Nel cuore dei musei

Il 7 novembre inizia su Twitter il secondo ciclo di #smallmuseumtour
Dopo la sperimentazione della scorsa estate, dal 7 novembre riprende #smallmuseumtour, l'iniziativa cui l'Associazione Nazionale Piccoli Musei ha dato vita su Twitter per creare un dialogo tra gli utenti del social network e i curatori dei musei che aderiscono a #smallmuseumtour.
Le modalità do svolgimento non cambiano: otto immagini che saranno "twittate" nel tempo di un'ora o qualcosa di più, inframezzate dal commento e dalle spiegazioni dei direttori o di altri professionisti museali oppure dei responsabili di associazioni, di fondazioni o di istituzioni che gestiscono i musei.
Immagini tratte dal sito http://www.zazzle.co.uk/museum+conservator+gifts
Otto immagini possono sembrare poche per conoscere un museo, ma sono solo lo spunto per alimentare una fitta serie di domande e risposte che animano immancabilmente ogni tour. Ed è questa la finalità di #smallmuseumtour: parlare del museo con chi lo conosce dal di dentro e lo vive ogni giorno, potendo così trasmettere al pubblico l'anima stessa di quel museo.
Immagini tratte dal sito http://www.zazzle.co.uk/museum+conservator+gifts

Per il secondo ciclo sono stati previsti inizialmente 9 tour ma molto probabilmente sarà necessario prolungare il calendario fino a febbraio. Hanno già confermato la propria partecipazione: l'Area archeologica di Massaciuccoli Romana, che inaugurerà il nuovo ciclo; il Museo Civico Archeologico del Distretto minerario di Rio nell'Elba; il Museo delle Maschere Mediterranee di Mamoiada; il Museo Archeologico Virtuale di Ercolano; il Museo delle Palafitte di Fiavè; il Museo "Ignazio Cerio" di Capri, a gennaio. In occasione del tour di quest'ultimo museo, il Presidente del Centro Caprense "Ignazio Cerio", il Prof. Filippo Barattolo, sarà affiancato dagli studenti del Corso di Laurea in Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali dell'Università di Napoli Federico II.
Attendiamo conferma da altri musei della Puglia, della Sicilia, e ancora dalla Toscana e dalla Sardegna. Sarà rappresentata tutta l'Italia come nel primo ciclo.
Di seguito, gli appuntamenti di novembre:


L'auspicio è che #smallmuseumtour sia ancora una bella occasione per parlare tutti insieme di musei, per conoscerne tutti gli aspetti, anche quelli che solitamente non emergono durante una visita tradizionale, e per scoprire quei musei di cui si parla poco ma che hanno tanto da raccontare e da offrire. 
Vi aspettiamo venerdì 7 novembre, ore 15. Seguiteci su Twitter attraverso l'hashtag #smallmuseumtour e i nostri account @piccolimusei e @piccolimusei2.
Immagini tratte dal sito http://www.zazzle.co.uk/museum+conservator+gifts


#smallmuseumtour: meeting the museum on Twitter









by Caterina Pisu


Virtual Visits and Access


A museum may be visited in various ways, either alone or together with a party of others or virtually. Technology today makes this possible and visitors have the opportunity to visit museums from their own home.

Visiting museums on the web may be very useful in preparing for the real visit, but the spirit of a work of art as described in a museum may be lacking in spite of HD technology resembling closely reality as we know it. 

Yet sometimes this is the only way for some of us to be able to visit a museum ! Having “access” to a museum means efficient technology to overcome barriers which may prevent access to visitors who are unable to reach a museum physically. This would greatly reduce differences and is sometimes the only possible solution for some art lovers and museum visitors.



Virtual visits: creating interaction


The inevitable limit of virtual tours is the lack of a certain atmosphere and emotion created by being there, and the personal and social interaction. The great difference between visiting a museum really and visiting it virtually, is the lack of human interaction.

The human element cannot be reproduced by virtual reality, unless the idea of virtual is adapted to new kinds of communication used by the social media. This is the idea at the root of the #smallmuseumtour project which simulates a museum visit throughTwitter. Its main feature is not high definition images, but the emphasis on dialogue within a virtual community interacting exactly as if each member virtually visiting the museum on site in different locations were all one party. The social aspect is perhaps the most important feature when it comes to overcome obstacles and inequalities. Bearing this in mind, we also considered institutions for the disabled, prisons and the like, while we worked on this project. 



Museums staff and Visitors : two worlds meet


Overcoming barriers was not the only target of #smallmuseumtour. The formality between the public and staff attracted our attention. Excepting certain special occasions, in some museums the only staff in touch with visitors was Security staff. Thus, the “behind the scenes” was hidden or left to the imagination.

Yet whoever has visited a museum and conversed with the museum curator or other qualified staff would agree that they gained deeper knowledge and made new discoveries that otherwise would not have been made in an ordinary visit. Only rarely does close contact occur, and this is where we step in to offer precisely that kind of interaction through the medium of the social network on the web. We aim to create a close and exciting relationship with museums and the marvelous treasures they contain.



The #smallmuseumtour project


#smallmuseumtour has devised to this effect a plan to promote museums through dialogue and social interaction. The first of its cyclical virtual visits which took place May 12th to July 28th 2014on a weekly basis ; we involved twelve museums of various kinds and different forms of ownership. We avoided ‘tweet’ counts and other web statistics which usually determine the "success" of a hashtag, because our aim in fact, was to perfect virtual museum visits rather than create a web trend. We aimed at creating as closely as possible the reality of a visit to a museum, especially for those who were physically unable to admire real life collections and at creating a dialogue with museum curators, staff and followers.

Other opportunities have been introduced on the Web in various forms, as for example #AskACurator day, but #smallmuseumtour offers exclusively and for the first time, a virtual visit to one single museum at a time. Thus, closer attention is given to a further dialogue between curators and followers. 



#smallmuseumtour  step by step


In order to achieve the best results in terms of a virtual museum tour using Twitter as a social network, certain rules had to be applied: virtual visit duration is 60 minutes; eight pictures are chosen by the curators for each visit, and under special circumstances according to advice from the museum curators themselves, the number may be more. During visits, the Twitter accounts of National Association of Small Museums act as curators “assistants”, tweeting pictures at regular intervals. Museum curators commented each picture and answered questions put by the followers at that very moment. In some cases the tour takes on a livelier turn by adding quizzes and video.


Future Prospects

A second cycle of virtual tours is planned at November 2014.


@piccolimusei @piccolimusei2

#SMALLMUSEUMTOUR, SECONDO CICLO: 3 NOVEMBRE 2014 - 23 GENNAIO 2015

Ci stiamo preparando al secondo ciclo di #smallmuseumtour e abbiamo bisogno della collaborazione di altri 9 musei che desiderano mettersi a disposizione del pubblico di Twitter per far conoscere le collezioni, le attività, la vita e la missione del museo. Chi desidera può prenotarsi e richiedere informazioni anche via e-mail a piccolimusei@hotmail.com. Ricordo che #smallmuseumtour è una sorta di visita virtuale dei musei che si svolge in otto "tappe": ogni tappa è costituita da una immagine o da un video: può trattarsi di un oggetto del museo o di un ambiente o di una attività in svolgimento. #smallmuseumtour è soprattutto uno strumento per mettere in contatto i curatori (o altre figure professionali del museo) con il pubblico, in modo speciale con coloro che, per vari motivi, non hanno la possibilità di raggiungere fisicamente il museo, ma con tutti, in generale, anche in preparazione di una visita futura. Le "visite" si svolgeranno, come si è detto, su Twitter, e avranno la durata di un'ora, un'ora e un quarto al massimo, con cadenza settimanale; un museo diverso ogni settimana. Sono disponibili le settimane del 3-7 novembre, 10-14 novembre, 17-21 novembre , 24-28 novembre, 1-5 dicembre, 8-12 dicembre, 5-9 gennaio, 12-16 gennaio , 19-23 gennaio. E' possibile scegliere un giorno a piacimento, dal lunedì al venerdì. L'orario previsto per ciascun "tour" è dalle 15.00 alle 16.00, salvo altre specifiche richieste.
Per rivedere quanto è stato fatto durante il primo ciclo di #smallmuseumtour e quanto se ne sia parlato anche dopo: https://tagboard.com/smallmuseumtour/search

 

Standards sì o no?

L'interessante punto di vista di Giovanni Pinna che alcuni anni fa commentava l'utilità dell'imposizione di norme o della standardizzazione anche delle professioni museali, soprattutto in relazione alle caratteristiche specifiche dei musei del nostro Paese.

Nel primo articolo di questo numero di Nuova Museologia, Maurizio Maggi contrappone due approcci al museo mutuati dalla biologia, un approccio riduzionista, che considera il museo immutabile e tende a identificare le regole che stanno alla base della sua natura e quindi del suo funzionamento, e un approccio che interpreta invece il museo come un sistema complesso, in equilibrio instabile poiché in continua interazione con l’ambiente. Il favore di Maggi va al museo inteso come struttura complessa, ed egli ne deriva da un lato la convinzione che sia più utile chiedersi “non cosa sia un museo ma cosa faccia un museo”, dall’altro l’inutilità di predeterminare meccanicisticamente il suo futuro con l’imposizione di norme, quali standard museali e codificazioni delle professioni.
Io ho più volte espresso l’idea che i rapporti complessi esistenti fra il museo, il territorio sociale, la pluralità di forze intellettuali interne all’istituzione fanno sì che ogni museo sia strutturalmente e culturalmente diverso da ogni altro museo e che non possa dunque esistere un modello standard di museo. Inoltre ho sempre sostenuto che anche la professione museale non è standardizzabile, non può cioè essere insegnata a priori, e che la professionalità viene acquisita all’interno del museo, nei rapporti quotidiani con le collezioni, con i colleghi e con il pubblico. È dunque naturale che io condivida l’approccio non riduzionista al museo di Maggi e che sia portato a minimizzare l’importanza di documenti, quali le norme di indirizzo e la recente carta delle professioni prodotta dalle associazioni museologiche nazionali, il cui pericolo consiste nella loro applicazione acritica, cosa che ho già visto apparire qua e là nel mondo delle amministrazioni pubbliche.
La carta delle professioni in particolare mi induce ad alcune riflessioni. L’ICOM Italia e alcune altre associazioni professionali hanno prodotto una proposta indubbiamente completa, costata fatica e applicazione, ma non priva di alcune debolezze di fondo, prima fra tutte il fatto che essa non è il risultato di una riflessione sulla specificità della realtà museale italiana, ma il tentativo di applicare ai nostri musei il modello anglosassone. Ciò porta all’inapplicabilità quantitativa e qualitativa: in Italia non esistono infatti strutture museali complesse che necessitino di una estrema separazione dei compiti come quella ipotizzata dalla proposta; la nostra realtà è invece fatta di musei di medie dimensioni – inoltre tradizionalmente carenti di personale – nei quali le diverse professionalità museali devono assumere in se stesse una pluralità di compiti. L’analisi dei compiti previsti per le 20 diverse figure professionali proposte rende evidente che la carta non è la summa di esperienze dirette nella gestione di musei complessi pluridisciplinari ma il prodotto di una compilazione teorica, e che non ha alla sua base una verifica sperimentale. Non si spiegherebbe altrimenti l’esistenza di figure professionali le cui responsabilità si accavallano e possono generare così conflitti di competenza.
Il lavoro museale è un lavoro articolato che prevede azioni importanti, quali tutela delle collezioni, creazione del patrimonio culturale e comunicazione dei suoi significati, azioni che non possono essere suddivise fra personalità professionali diverse senza andare incontro al rischio di una frammentazione dell’azione complessiva del museo: la grandezza culturale del modello italiano e di altri Paesi dell’Europa continentale risiedeva proprio nella riunione di tutte le funzioni principali del museo nell’unica figura del conservatore, cui si vuole ora sostituire la frammentazione del modello anglosassone. Se il fine è l’abdicazione dei nostri modelli, allora si vada fino in fondo: nella carta nazionale delle professioni museali manca l’ethics adviser, che nel museo è colui che veglia affinché la manipolazione dei resti umani e degli oggetti di culto sia conforme alle regole morali delle diverse confessioni ed etnie.
G. Pinna, "Il dio della museologia genera mostri" in Nuova Museologia, n°14, giugno 2006

Musée-Oh!

Claire Casedas, autrice del seguitissimo blog francese Musée-Oh! ha pubblicato il mio articolo "Libre de photographier mais pas de "participer", dandomi l'opportunità di continuare il confronto tra la situazione italiana e quella francese su questo tema.
"Questa è la prima volta" - scrive Claire -  "che il blog pubblica un contributo esterno. L'opportunità non si era ancora presentata! Grazie a Caterina Pisu per questa bella iniziativa e per questo articolo molto istruttivo sull'annoso dibattito: le foto al museo, in questo caso con riferimento soprattutto all'Italia".
In fondo al mio scritto, Claire ha inserito il link a un articolo di Marlèn Duretz, "Clics et déclic photographiques", pubblicato su Le Monde lo scorso 10 luglio.
Si tratta di un tema che inizia a diventare "caldo": lo scorso luglio Salvatore Settis scrive a questo proposito il suo articolo "Se troppo successo fa male al museo", Nina Simon lo ha fatto dal suo blog, Museum 2.0. Il dibattito è ancora aperto e sicuramente si avrà l'opportunità di tornare ancora sull'argomento.
Foto Le Monde

Musées (em)portables: musei nel cellulare.

Anche nel 2015 si svolgerà il concorso Musées (em)portables organizzato dalla società francese museumexperts sas .
Come ricordato già in occasione delle due edizioni precedenti che hanno avuto come partner l'Associazione Nazionale Piccoli Musei, si tratta di un concorso creativo rivolto sia a chi opera nell'ambito dei musei sia ai visitatori, in forma individuale o in gruppo (classi scolastiche, ecc.). La particolarità di questo concorso è che i filmati devono essere realizzati con un cellulare o con altri dispositivi di ripresa non professionali. La durata non deve essere maggiore di tre minuti. I soggetti possono essere vari purché riguardino i musei oppure le attività che si svolgono all'interno dei musei, i "dietro le quinte" etc.; inoltre possono essere "seri" o "divertenti", senza limitazioni alla fantasia o al senso dell'arte di ciascuno.



L'aspetto che più mi piace di questo concorso è che invita a "pensare", non è la solita foto davanti all'opera d'arte ma è un lavoro in cui è necessario esprimere creatività e senso artistico. Può essere un modo per lanciare un messaggio oppure per mostrare il proprio modo di vedere i musei.
C'è chi ha realizzato perfino dei veri film per il cinema con un cellulare, perciò si vuole anche dimostrare che non sono le tecnologie sofisticate quelle che fanno un bel film, ma è l'idea che c'è dietro. In tre minuti si possono dire tante cose. Chi vuole cimentarsi in questa prova, ha l'occasione per farlo!
I premi, che consisteranno in piccole somme in denaro ma soprattutto nella soddisfazione di aver presentato una bella creazione, saranno assegnati alle opere selezionate da una giuria di vari esperti che operano nell'ambito della cultura, in particolare dei musei, e della comunicazione. La premiazione è prevista a Parigi, presso il Carrousel du Louvre, mercoledì 4 febbraio 2015, alle 12.00.
Per altre informazioni è possibile visionare il regolamento del concorso. Ricordo che il termine ultimo per l'invio dei filmati è il 12 dicembre. Spero che la partecipazione italiana sia notevole anche quest'anno e che possa portare all'assegnazione di un premio a un concorrente italiano come l'anno scorso, con il premio come "miglior film straniero" (ricorda tanto gli Oscar!) a Raffaele Gentiluomo per il suo bellissimo video sul Museo Archeologico Virtuale di Ercolano, Vesuvius Making of.
I filmati devono essere inviati su CD o DVD o chiavetta USB in formato .avi al seguente indirizzo:
Museumexperts / musei (em) Portable
18 rue de la Michodière - 75002 Parigi
unitamente ai moduli che è possibile scaricare a questo link .

Grazie per i piccoli musei!


In questi giorni mi sono soffermata su una breve nota di Frederick A. Johnsen, già direttore dell'Air Force Flight Test Museum, pubblicato sul sito Museumerica, che mi ha molto colpito per il suo pensiero così vicino a noi che studiamo i piccoli musei e che ne mettiamo in evidenza i punti di forza oltre, ovviamente, alle problematicità.
E' chiaro che chi lavora con passione ed entusiasmo trasmette gli stessi sentimenti alle altre persone con cui entra in contatto; succede in qualsiasi altro mestiere o professione. Talmente logico che, fa notare Johnsen, non c'è niente di più semplice di questo.
Senza nulla togliere ai musei che utilizzano tecnologie avanzatissime o altri effetti spettacolari, non posso non essere d'accordo sul fatto che un piccolo museo può trasmetterci altrettanta bellezza e può farci meravigliare allo stesso modo, se non per un dinosauro che improvvisamente prende vita, per la gioia contagiosa di chi ci sta raccontando la propria storia per pura passione.
Vi riporto, di seguito, uno stralcio dello scritto di Frederick A. Johnsen, dal titolo " Grazie per i piccoli musei come il Baker Heritage Museum".


Durante un recente viaggio, tra un museo e l'altro, mi sono fermato presso il Baker Heritage Museum a Baker City, nell’Oregon. Situato all’interno dell’ex piscina comunale del 1921, il museo è il risultato di un restauro veloce effettuato nel 1970 dalla Baker County Historical Society per salvare la struttura, destinata alla demolizione.

Spesso l'utilizzo di un impianto già esistente è una necessità finanziaria, più che una scelta, per un museo. La città ha affittato l’ex piscina alla società storica senza alcun costo, in cambio dell’impegno della società a fondarvi e a gestirvi essi stessi un museo. Il progetto museale cui hanno dato vita è una serie di collezioni che spaziano dai minerali alle diligenze d'epoca locali, diorami della fauna selvatica, e reperti archeologici della zona.

Due cose mi hanno colpito durante la mia visita: il piccolo staff che gestisce il museo e la squadra di volontari che con passione ed entusiasmo raccontano ai visitatori la storia della regione, e che, soprattutto, lo fanno senza utilizzare nessun tipo di tecnologia o costosi apparati espositivi.

Il Baker Heritage Museum esemplifica la gioia dei musei, puri e semplici. Le sua esposizioni e i diorami sono la prova che apprendimento e divertimento si possono trovare anche nei piccoli musei delle più piccole comunità. La mia visita mi ha ricordato di non trascurare musei come questo durante i miei viaggi attraverso il Paese.

Il Baker Heritage Museum è sostenuto da una fondazione senza scopo di lucro. In una brochure del museo si legge: «La creazione, il sostegno e il continuo sforzo dei volontari a favore di questo museo dimostra la dedizione e la determinazione dal popolo di Baker City affinché la propria storia sia condivisa per sempre con i visitatori». Un concetto profondamente semplice e semplicemente profondo: l’obiettivo apertamente dichiarato del museo è “per sempre” e si lavora per questo.

(…)
Foto tratta da http://www.woodallscm.com/wp-content/uploads/2012/02/Wally_Byam_Display_Baker_Heritage_Museum_Baker_City_OR_r-2-copy-copy-300x199.png
Foto tratta da
http://sierranevadaairstreams.org/destinations/oregon/eastern-oregon/2011jul02-sat-p1000374-museumdisplay.jpg



Un mio contributo al blog francese Option Culture

http://www.option-culture.com/?p=6864

Option Culture, il blog di Jean Michel Tobelem, docente dell'École du Louvre, ha accolto un mio contributo che tenta di analizzare la contraddizione del momento attuale in materia di fruizione dei musei: da un lato si aboliscono finalmente alcuni divieti, come quello di fotografare, e si cerca di attrarre il maggior numero di visitatori in poche occasioni speciali; dall'altra, molti musei continuano ad essere luoghi isolati, lontani dalla comunità, capaci di ravvivarsi solo per un giorno, per una Notte al Museo o per una Invasione Digitali, in qualche modo "imposta" dall'esterno o dettata dalle "mode". Come fare affinché i musei possano diventare davvero "democratici", propositivi e aperti alla società, per usare un'espressione di David Fleming?

Bebè al museo

Foto: http://www.toledomuseum.org/learn/babytours/
In un post di alcuni mesi fa, "Lavorare con i bambini di età inferiore ai cinque anni" si era fatto cenno ai musei che hanno introdotto nei loro programmi alcune speciali attività didattiche per bambini molto piccoli, solitamente tra i due e i cinque anni; tuttavia, ci sono musei che non tralasciano di occuparsi anche dei neonati.


Infatti, i musei, in particolare i musei d'arte, sono una ricca fonte di stimolazione visiva per i bambini; portarli in questi ambienti fin dai primi mesi di vita aiuta a sviluppare la loro mente.  

I musei, allora, si organizzano per accogliere i genitori con neonati: il Louvre Lens, per esempio, organizza alcune speciali iniziative dedicate a bambini anche di soli nove mesi, con l'aiuto di un mediatore. Sono state programmate tre visite di mezz'ora (10.30-11.00): la prima si è già svolta domenica 14 settembre e le prossime sono previste le domeniche del 12 ottobre e del 9 novembre. Durante questo tempo i genitori potranno osservare le reazioni dei propri bambini davanti a una grande opera colorata. I bambini, infatti, si sottolinea nel sito del museo francese, già a tre mesi sono in grado di distinguere perfettamente i colori e di apprezzare i contrasti.


Oltre al Louvre Lens, oltreoceano, negli Stati Uniti, il Toledo Museum of Art  svolge visite molto simili e della durata, anche in questo caso, di trenta minuti, da 0 a 18 mesi. Nel sito del museo è possibile osservare una serie di immagini relative a queste attività. 

Forse, se si inizierà a frequentare i musei in così tenera età, si imparerà ad amarli e a considerarli ambienti familiari anche per il resto della vita! 



5th Conference of Small Museums



The 5th International Conference of Small Museums took place last month in Viterbo (26th-27th september), Italy, and attracted about 200 participants, including 21 speakers from Italy, Brazil (Instituto Brasileiro de Museus, Ibram) and Slovenia (Regional Museum of Ptuj).
The topic of the meeting was: "Pleasant museums: a new model for managing small museums".
It is the latest in the series of seminars and conferences promoted by the National Association of Small Museums - APM (Associazione Nazionale Piccoli Musei) as part of its commitment to this specific area of research.
The conference was opened by APM President, Giancarlo Dall'Ara.
The National Association of Small Museums is the only european organization dedicated to museological research about small museums, realizing a new vision of museums and their role in society.
The conference proceedings volume will be available in 2015.
The next conference will be held in Massa Marittima, Tuscany, in september 2015.

Il Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei in immagini

Viterbo promuove i “piccoli musei”



Il 26 e 27 settembre scorso, la Rocca Albornoz di Viterbo, sede del Museo Nazionale Etrusco, ha ospitato il Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei, un incontro annuale che vede riuniti specialisti in museologia, museografia, economia e marketing, responsabili di musei e pubblici amministratori per discutere di gestione dei musei “minori” e di piccole dimensioni, e di altre tematiche attinenti questo argomento. Non entro nel dettaglio dei contenuti che sono stati prodotti durante la due giorni viterbese, organizzata dall’Associazione Nazionale Piccoli Musei (APM), e che saranno oggetto di prossima pubblicazione, ma vorrei esprimere qui delle considerazioni sul significato che questo evento ha rappresentato per la collettività e, più in generale, alcune mie riflessioni sul ruolo sociale dei musei.
A mio parere, una comunità locale rafforza il proprio senso di identità proprio nel momento in cui si apre agli altri, cioè quando decide di condividere la ricchezza del proprio patrimonio culturale con il mondo esterno. E’ importante, però, che questa apertura implichi una profonda conoscenza di sé, non dettata da un banale orgoglio campanilistico che in un momento successivo potrebbe generare, al contrario, chiusure e intolleranze. Ciò che conta è una piena consapevolezza dell’importanza delle proprie radici, delle tradizioni e della cultura del luogo in cui si vive. Ho usato volontariamente l’espressione “in cui si vive” e non “in cui si è nati” perché la sensibilità culturale e spirituale cui mi riferisco non è necessariamente legata alle origini ma, piuttosto, all’indole delle persone: può accadere, infatti, che chi vanta antiche ascendenze locali sia poi, all’atto pratico, più indifferente nei riguardi della propria cultura rispetto a chi ha acquisito più di recente il diritto di sentirsi parte della comunità.

Il confronto con gli altri aiuta a capire se stessi e i musei possono avere un ruolo determinante nel processo formativo e nel mantenimento dell'autocoscienza della collettività. E’ importante che questo concetto si rafforzi anche grazie a momenti di pubblico dibattito. Il convegno di Viterbo ha portato in città persone provenienti da tutta Italia e anche dal resto del mondo - Brasile, Slovenia e, a distanza, la Spagna – con la presenza di delegazioni i cui rappresentanti, specialisti di organizzazioni ministeriali e regionali dei rispettivi Paesi di origine (Instituto Brasileiro de Museus – IBRAM; Museo regionale di Ptuj; rete locale dei Musei andalusi, REC CIE), hanno potuto osservare e comparare con le proprie le forme di gestione dei piccoli musei di Viterbo e della provincia. Ciascuno ha portato la propria esperienza e l’ha condivisa con tutti. Sono emersi aspetti positivi e problematiche, ma ritengo che uno dei risultati più apprezzabili di questo avvenimento sia stato il clima di grande collaborazione e cordialità che si è creato tra i partecipanti. 
Durante il convegno sono state numerose le presenze di uditori da tutta Italia (circa 200 nel corso delle due giornate) e anche di viterbesi, della città e della provincia. Tale presenza locale è da evidenziare a prescindere dalla sua entità. Non ritengo essenziale, infatti, che i residenti presenti al convegno siano stati molti o pochi; più importante è che dai presenti sia stata accolta o consolidata l’idea che il patrimonio culturale appartiene all’intera comunità (la cui salvaguardia è imprescindibile da una forte presa di coscienza civica) e che i piccoli musei, indipendentemente dal tipo e dalla natura giuridica, sono il luogo per eccellenza in cui poter dare forma e concretezza al desiderio di compartecipazione della gente.
Mi piace raffigurare simbolicamente il buon risultato di questo convegno, in particolare per la città che ci ha dato ospitalità, con l’immagine di un germoglio che sta nascendo in un terreno fertile: non si può non considerare, infatti, che la Tuscia possiede circa 70 musei, alcuni dei quali applicano efficacemente forme di gestione in cui la relazione museo/comunità ha un ruolo importante. Tale orientamento dovrà essere potenziato ed esteso a molti altri musei del viterbese, ma questa prospettiva potrà essere attuata se si verificheranno due condizioni indispensabili: la prima è la passione (“la passione è fondamentale ed è a costo zero”, ama ripetere David Fleming, famoso curatore britannico), senza la quale è arduo, per chi ha la cura di un museo, riuscire a coinvolgere il pubblico più difficile, quello dei residenti; la seconda è il sostegno delle istituzioni locali, che non può limitarsi alla sola erogazione di fondi ma che deve fondarsi soprattutto sulla consapevolezza, cioè sulla capacità di comprendere le potenzialità che un museo può avere per lo sviluppo sociale e perfino economico di una città o di un territorio. Il museo che viene tenuto aperto quel tanto che basta per accogliere i pochi turisti di passaggio è destinato a chiudere o a restare un luogo senza vita e senz’anima.
Il museo che si rivolge innanzitutto alla propria comunità, invece, la coinvolgerà in iniziative in grado di richiamare l’attenzione di ogni categoria sociale, cercherà la collaborazione di aziende, artigiani, etc., creando favorevoli sinergie tra economia, cultura e territorio. Sarà un museo vivo e solo dopo potrà aprirsi agli altri visitatori in modo corretto, creando interesse intorno a sé anche se distante dalle rotte più importanti del turismo nazionale e internazionale perché è l’autenticità che richiama i visitatori più sensibili alle proposte culturali e ambientali di nicchia. “I primi turisti sono i residenti”, afferma Giancarlo Dall’Ara, fondatore dell’APM, secondo il quale “i musei possono avere un ruolo fondamentale nel rilancio dei territori se si valorizzeranno le radici culturali locali, investendo più sulle persone che sugli strumenti della promozione tradizionale”.
Durante il convegno di Viterbo abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci direttamente con i direttori di alcuni musei locali e abbiamo percepito una grande voglia di fare da parte di questi professionisti che spesso operano in condizioni di semi-volontariato o di puro volontariato, con entusiasmo ma anche con un senso di avvilimento perché senza il sostegno convinto delle istituzioni si finisce con il dover lavorare al minimo delle potenzialità. Il mondo variegato e complesso dei musei risente della mancanza di un sistema di standard efficace che considera più importanti gli aspetti qualitativi piuttosto che quelli quantitativi. I direttori dei musei con cui ci siamo confrontati nella Tuscia, hanno lamentato, da parte della Regione (e questo è un problema che non riguarda solo la Regione Lazio) una costante richiesta di dati sul numero di ingressi e nessun tipo di processo valutativo della qualità delle iniziative culturali prodotte nei loro musei.
E’ necessario invertire la rotta premiando le buone pratiche e incentivando il più possibile l’attività culturale ed educativa dei musei, cioè quella che si dovrebbe svolgere ogni giorno all’interno delle strutture museali (e non solo l’impegno limitato a poche “giornate speciali” cui il Ministero dei Beni culturali e i media danno così tanto risalto). E’ importante incoraggiare le attività “dal basso”, quelle che nascono grazie al coinvolgimento diretto della comunità, migliorare il rapporto con le scuole, che non si limiti a episodiche visite scolastiche programmate saltuariamente, ma che sia veramente continuativo e interattivo, intra ed extra muros; altrettanto importante è lavorare per l’inclusione sociale e per aiutare la comunità a risolvere i problemi.  Per capire quanto sia incisiva l’azione di un museo, la sua realtà deve essere analizzata in modo completo, tenendo conto anche di tutto ciò che si muove intorno ad esso: le professionalità che ad esso afferiscono, le varie forme di volontariato e, in particolare, l’associazionismo, espressione dell’impegno civico collettivo. Ogni luogo, inoltre, ha caratteristiche sue proprie e anche questo incide sulla scelta del tipo di pianificazione culturale da parte dell’ente museale.
Una strategia gestionale orientata verso la collettività non mette in secondo piano il lavoro di ricerca e di divulgazione delle conoscenze che ogni museo deve compiere, ma significa fare in modo che le “collezioni” e lo studio della materia di riferimento (che si tratti della storia dell’arte o dell’antropologia o delle scienze naturali, o di qualunque altra disciplina) servano a rendere attivo il ruolo sociale del museo, “il suo essere elemento di aggregazione, di continuità e di identità di una comunità (che) si esplica, dunque, nel conservare per la comunità e nel mostrare alla comunità i prodotti della propria storia” (Giovanni Pinna).

Il convegno di Viterbo dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei è un evento che non potrà ripetersi a breve termine ma non vogliamo che le premesse che sono state create in questa occasione svaniscano nel nulla. Se riusciremo a trovare altri momenti di incontro e di dibattito costruttivo in ambito locale, sarà possibile riprogettare il futuro dei musei della Tuscia con la collaborazione di tutti. Il nostro territorio e, in generale, tutto il Paese, non ha bisogno di veder nascere nuovi musei se questi non sono realmente l’espressione della volontà comune, popolare ed istituzionale, che sostenga e alimenti il progetto scientifico/culturale degli specialisti. Il convegno di Viterbo e gli altri incontri che lo hanno preceduto negli anni passati non devono essere intesi, quindi, come una “esaltazione” acritica dei piccoli musei, ma per quello che effettivamente rappresentano: momenti di approfondimento e di analisi delle problematiche che riguardano i musei visti attraverso “la piccola dimensione”, una condizione che interessa tanto i musei dei piccoli centri quanto quelli delle grandi città, talora definiti “musei minori” e non “piccoli” perché non tutti sono limitati in termini di spazio ma sono ridotti più in relazione al numero dei componenti dello staff, alla quantità di visitatori e alla esiguità delle risorse disponibili, in raffronto con i grandi musei più noti e frequentati. Ci auguriamo che il convegno appena concluso abbia contribuito a diffondere il concetto che essere musei “piccoli” significa cogliere il valore di questa condizione e sfruttarne i vantaggi: la possibilità di poter dedicare la maggior parte delle proprie risorse ed energie alla cura dell’accoglienza, al rapporto più stretto e meno formale con il pubblico, alla ricerca della collaborazione di tutta la collettività.


Caterina Pisu
Coordinatrice nazionale

Associazione Nazionale Piccoli Musei


Say cheese! The museum is open, today!

...e qualche considerazione personale a margine del Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei

di Caterina Pisu

Recentemente anche in Italia, grazie al Decreto Cultura, varato dal Consiglio dei ministri il 22 maggio 2014, si permette di scattare fotografie nei musei, purché non si utilizzi flash o alcun altro tipo di illuminazione artificiale, né alcun tipo di treppiede o stativo, e purché gli scatti siano solo per uso personale e assolutamente non a scopo di lucro. Questa novità è stata accolta con un sospiro di sollievo perché finalmente i musei non saranno più quei luoghi in cui abbiamo paura che un arcigno custode ci rimproveri se ci scappa qualche click durante la visita a un museo. E in effetti chi non si è sentito a disagio in queste situazioni?
In Italia le nuove disposizioni non sembrano aver creato problemi, o almeno non ne è giunta notizia, ma si cominciano a vedere gli effetti negativi di questo nuovo orientamento generale in alcuni grandi musei stranieri. Uno di questi è la National Gallery di Londra dove sembra che si sia generato il caos a seguito della concessione di fotografare liberamente al suo interno. Da che cosa dipende la situazione che si è venuta a creare? Lo spiega Nina Simon in un articolo sul suo blog Museum 2.0, tradotto da Ilaria Baratta per Finestre sull’Arte  che mi offre lo spunto per qualche riflessione. Quando anche da noi, in Italia, si è iniziato a parlare molto di musei partecipativi, mi sono subito chiesta che cosa significasse esattamente questa parola. Da noi spesso si associa il concetto di partecipazione collettiva all’utilizzo dei social media o alla adesione a manifestazioni speciali come le Giornate Europee del Patrimonio, le Notti dei Musei e le Invasioni Digitali che sicuramente hanno avuto il merito di creare interesse e di sensibilizzare pubblico e professionisti museali su un certo tipo di fruizione museale. Mi domando se possiamo definire una vera partecipazione collettiva questi eventi o se si tratta di avvenimenti sporadici che non incidono, poi, sulla quotidianità del museo. Sarebbe interessante sapere se tra una manifestazione di questo tipo e l’altra, il modo di concepire la programmazione culturale di quei musei sia cambiato e se sia effettivamente mutato il loro modo di rapportarsi con i visitatori e più in generale con la comunità. Giustamente la Simon, promotrice del museo partecipativo, afferma che il caos che si è creato alla National Gallery dimostra che questa folla è soprattutto ansiosa di essere parte di una percezione collettiva, di una sorta di "rito religioso" che culmina nella conquista dell’opera famosa per mezzo dell’obiettivo di una macchina fotografica. Di chi è la "colpa" di questo fenomeno sociale? Sicuramente degli stessi musei, i quali hanno “esasperato questo culto della celebrità dando molta enfasi a mostre di successo e a spettacoli itineranti”; viene detto alla folla che non deve perdere questa occasione e questa “si affanna in una continua e frettolosa ricerca, macchina fotografica rigorosamente in mano”. Le giornate speciali, come le Notti dei musei e le Invasioni Digitali hanno contribuito anch’esse, involontariamente, a rafforzare l’idea del patrimonio culturale come parte di un grande flash mob.
E’ opportuno fare tesoro della lezione che ci viene dagli errori altrui e dai nostri e cominciare finalmente a non confondere l’apparente partecipazione che deriva non dal risultato di un processo di cambiamento o come effetto di una nuova pianificazione delle attività culturali del museo, ma solo dalla voglia di essere parte di un evento collettivo. Una moda che bisogna seguire per non essere esclusi dal grande gioco. Si tratta di manifestazioni i cui risultati possono essere misurati, forse, solo numericamente: successi straordinari che poi, all’atto pratico, producono risultati insignificanti sul piano culturale e sociale, pur considerando le eccezioni che meritano di essere riconosciute e lodate. Lo sappiamo bene tutti noi che ci affanniamo ad organizzare eventi e giornate speciali ma che siamo anche consapevoli che alcuni musei, una volta spenti i riflettori, torneranno alla consueta immobilità. La gente è libera di fotografare nei musei e molti accorrono per prendere parte ai grandi eventi speciali, ma poi continua a non partecipare realmente alla produzione dei contenuti culturali del museo nell’arco dei restanti 365 giorni. Questo, invece, è il rinnovamento che dobbiamo auspicare.

In occasione del Quinto Convegno Internazionale dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei che si è svolto a Viterbo lo scorso 26 e 27 settembre, è stato evidenziato che il rapporto dei musei con la propria comunità è un lavoro che richiede continuo stimolo e il coinvolgimento di tutti. Si tratta di un lavoro costante, giornaliero, che può prevedere certamente anche la preparazione di eventi speciali ma che non fa di essi il perno intorno ai quali si basa l'attività del museo. Siamo in un momento di passaggio tra la vecchia visione dei musei e la nuova: i continui richiami a utilizzare la comunicazione 2.0 e le nuove tecnologie hanno avuto l'effetto di produrre, talvolta, una sorta di rattoppo con stoffa nuova in un tessuto vecchio. Il rinnovamento, invece, deve essere totale e non basta certo consentire le riprese fotografiche o avere una pagina Facebook per essere "musei moderni". Si tratta di elementi che vanno presi in considerazione, certamente, nell’ambito di una realtà propositiva e partecipativa del museo, ma sempre nella giusta proporzione e in relazione con tutti gli altri aspetti che riguardano la comunicazione museale, la ricerca, la produzione di contenuti e l'attività di mediazione sociale, di inclusione e di educazione a favore della collettività.

Articolo correlato: http://museumsnewspaper.blogspot.it/2014/08/se-troppo-successo-famale-al-museo-di.html

A Viterbo il Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei



Il 26-27 settembre, a Viterbo, presso il Museo Nazionale Etrusco, Rocca Albornoz, si svolgerà il Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei organizzato dall’Associazione Nazionale Piccoli Musei (APM) con il patrocinio del Comune di Viterbo, della Provincia di Viterbo e con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale e dell’Incubatore Culturale ICult- BIC Lazio.
Collaborano all’organizzazione dell’evento la Società Archeoares, l’associazione Archeotuscia e l’associazione Historia.
La prima giornata del convegno, venerdì 26, avrà inizio alle ore 15.00, la seconda giornata, sabato 27, alle ore 9.00.
Negli anni precedenti i convegni annuali dell’APM si sono svolti a Castenaso (BO), a Battaglia Terme (PD), ad Amalfi (SA), e ad Assisi (PG).
Ad ogni edizione hanno partecipato specialisti del settore dei musei, del turismo, della comunicazione e dell’economia per discutere e per confrontarsi su tematiche inerenti i piccoli musei o i cosiddetti musei “minori”, ma che in ogni Paese del mondo rappresentano una realtà importante (in Italia sono il 90% dei musei) e molto spesso il tessuto culturale più vivo e più vicino alle comunità. E’ importante che i piccoli musei non siano considerati “copie ridotte” dei grandi musei, ma istituzioni con proprie caratteristiche specifiche, i cui punti di forza sono soprattutto la capacità di essere accoglienti e di essere luoghi culturalmente e socialmente vivificanti dei territori cui appartengono.
Si tratta dell’unico convegno, in Italia e in Europa, dedicato espressamente ai piccoli musei, e del secondo nel mondo insieme al convegno dell’organizzazione statunitense Small Museums Association.
Quest’anno, in occasione del Convegno di Viterbo si avranno due importanti novità: la prima è l’apertura al confronto con le realtà museali estere. 
Giungerà a Viterbo dal Brasile una delegazione dell’Instituto Brasileiro de Museus-IBRAM e, dalla Slovenia, la Dott.ssa Aleksandra Nestorović, curatore della sezione archeologica del Pokrajinski muzej Ptuj (Museo regionale di Ptuj - Ormož).  
Gli ospiti stranieri saranno presenti a Viterbo dal 23 settembre per partecipare al convegno e per compiere un viaggio tecnico di conoscenza dei metodi di gestione dei musei di Viterbo e del suo territorio, in particolare del Sistema museale del Lago di Bolsena. L’APM è in contatto con la rete museale spagnola RED CIE della regione andalusa, la quale invierà un messaggio di saluto in questa occasione.
La seconda novità è un evento che sarà collegato al convegno ma che abbiamo voluto dedicare in modo specifico a Viterbo: il Focus Tuscia, una vetrina delle eccellenze, dei prodotti e delle attività culturali ed editoriali del territorio viterbese. Il Focus Tuscia avrà inizio alle ore 15.00 del 27 settembre, subito dopo la chiusura della seconda giornata del convegno, e si svolgerà presso la sede dell’Incubatore Culturale ICult-BIC Lazio. Alle 17.00 è previsto un seminario/incontro con i direttori dei musei della Tuscia.

Il sito web del Quinto Convegno dei Piccoli Musei: http://quintoconvegnoapm.weebly.com

Il sito web ufficiale dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei: http://piccolimusei.weebly.com

Small Museums Best Practices: call for papers

Nasce il nuovo blog/journal  dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei



APM is calling for contributions to its new blog/journal, "Small Museums Best Practices", http://smallmuseumsbp.over-blog.com/, a compilation of case studies and best practices in small museums.
You may send your contribution  in .doc or .pdf format as attachment to the e-mail address piccolimusei@hotmail.com. Contributions in English, Spanish and French will be accepted. Thank you for your contribution to our research activities.


L’Associazione Nazionale PiccoliMusei - APM dedica particolare attenzione alle buone pratiche messe in atto dai professionisti museali e dai volontari che operano nell’ambito dei piccoli musei. Ogni anno un’ampia sezione dei nostri convegni nazionali è dedicata a queste tematiche.
In generale, però, si nota una mancanza di informazione al riguardo o una dispersione dei casi studio attraverso i più disparati canali, in assenza di uno spazio pensato espressamente per riunirli e rendere più semplice la consultazione. Il risultato di ciò è che - sebbene siano tanti i piccoli musei che elaborano e realizzano progetti interessanti inerenti la gestione, la didattica, il rapporto con la comunità, le azioni inclusive o socialmente utili - non sempre i risultati prodotti ottengono adeguato riscontro.
Accade, pertanto, che si continui a pensare ai musei, soprattutto ai piccoli musei, solo in termini di numeri, cioè di biglietti venduti, senza considerare altri parametri di valutazione che tengano conto soprattutto dei benefici che i piccoli musei possono apportare alla vita della società.
L’APM, quindi,  ha deciso di dare vita ad un blog/journal, “Small Museums Best Practices”, http://smallmuseumsbp.over-blog.com/, cui tutti possono contribuire per far conoscere le proprie buone pratiche, i progetti e le iniziative che si desidera mettere in evidenza. Per partecipare si prega di inviare il proprio contributo in formato .doc o .pdf all’indirizzo di posta elettronica piccolimusei@hotmail.com.
Vi ringraziamo fin d’ora per la Vostra collaborazione.

Associazione Nazionale Piccoli Musei
http://piccolimusei.weebly.com

Il Manifesto dei Musei Age Friendly



La prima Age Collective Conference ha avuto luogo il 22 novembre 2013 presso il British Museum  ed ha riunito 172 relatori e delegati provenienti da una vasta gamma di settori di tutto il Regno Unito. 
Age Collective è un progetto realizzato in partnership dal British Museum con Glasgow Life (Glasgow Museums), il Manchester Museum e il National Museums Northern Ireland.

In quella occasione è stato redatto il Manifesto dei Musei Age Friendly. Di seguito, il testo:

Un Museo Age-Friendly...

…abbraccia le opportunità e le sfide che si accompagnano all'invecchiamento della popolazione e ai cambiamenti demografici; l’età non è un ostacolo al coinvolgimento o alla partecipazione.

…riconosce che la categoria della persone anziane è tutt'altro che omogenea e che può avere stili di vita, esperienze di vita, punti di vista, requisiti e interessi verso le collezioni museali del tutto differenti.

…fornisce opportunità di partecipazione sostenibili, di alta qualità e rilevanti che possono soddisfare le esigenze del pubblico più anziano; adotta soluzioni per cercare di raggiungere coloro che non possono recarsi fisicamente a visitare i musei.

…utilizza accorgimenti per il benessere e il comfort delle persone - tra cui poltrone con poggiaschiena e braccioli!

…utilizza le collezioni dinamicamente al fine di valorizzare le singole storie di vita e favorire nuove esperienze, opportunità di apprendimento e il pensiero creativo.

…riconosce il valore della terza età e il contributo positivo che gli anziani danno alla società. Lavora per dissipare le percezioni negative dell'invecchiamento e creare dialogo  tra le varie generazioni.

…valorizza le conoscenze, le competenze e l'esperienza che tutte le persone anziane portano con sé, sia che si tratti di dipendenti, di volontari oppure di visitatori.

…collabora per condividere le esperienze con gli altri musei, con gli operatori sanitari e sociali, con gli studiosi delle università, come le organizzazioni rivolte alle persone anziane e con gli anziani della propria comunità locale.


…si impegna a formare il proprio personale a tutti i livelli, affinché riesca a coinvolgere e a comprendere meglio il pubblico dei più anziani.
Se troppo successo fa male al museo

di Salvatore Settis

Da La Repubblica, 30 luglio 2014


Sterminate folle premono sui musei, sulle città d’arte. Miliardi di cinesi, indiani, giapponesi, russi che paiono dietro l’angolo disegnano nuove frontiere non della cultura ma della cupidigia di nuovi introiti. 

Il turismo mordi-e-fuggi genera l’arte usa-e-getta (il 75% dei turisti che vanno a Venezia si fermano meno di un giorno lasciandovi chili di detriti).

La neomania dei selfie, sdoganati come performance individualista, inonda il web di fotoricordo che certificano non la curiosità culturale ma la presenza rituale del turista. Non archiviano il ricordo, sostituiscono lo sguardo: perciò la loro quantità è più importante della qualità. La visita a un museo somiglia più a una simulazione che all’esperienza di un tempo, l’incontro di una persona (il visitatore di oggi) con un’altra (Giotto, Caravaggio, Rembrandt). Perciò in un libro recente (2010) Steven Conn si domanda sin dal titolo se i musei hanno ancora bisogno di oggetti (Do Museums still need Objects?). Secondo lui, via via che diminuisce la fiducia nel potere degli oggetti di trasmettere conoscenza diminuiscono di numero gli oggetti esposti nei musei, crescono gli apparati tecnologici e le appropriazioni fotografiche. Il nuovo rituale turistico sostituisce la tecnologia alla storia, la rappresentazione virtuale alla realtà.

Le immagini su un cellulare acquistano un grado di verità e un’intensità di esperienza che non si accontentano di essere equivalenti al contatto con «la cosa vera», vogliono essere superiori ad esso. Consentono manipolazioni (ingrandire un dettaglio), archiviazione di impressioni momentanee, scambi di opinioni via Facebook. L’oggetto d’arte diventa il mero innesco di un processo sensoriale che si svolge prevalentemente altrove. Davanti alla Gioconda, il 20% dell’esperienza (diciamo) è quella del quadro nell’affollatissima sala del Louvre; ma l’80% ha luogo nello smartphone, nell’i-Pad, in un labirinto di modalità interattive che consentono inedite forme di appropriazione. Secondo Conn, la storia (la “cosa vera”) sta diventando noiosa, la tecnologia la rivitalizza; la realtà virtuale è superiore alla realtà tangibile, l’illusione prende il posto della riflessione, la duplicazione spodesta l’unicità dell’originale. L’irriducibile diversità del passato si diluisce e si annienta in un gratuito bricolage. Viene in mente Baudrillard: «Il simulacro non è mai ciò che nasconde la verità; la verità è il simulacro, e nasconde che non c’è alcuna verità. Solo il simulacro è vero».

Le folle che si accalcano davanti alla Gioconda e ignorano i Leonardo della sala lì accanto e l’accanimento fotografico che sostituisce lo sguardo sono fratelli: due declinazioni della fretta, di una concezione del museo come esperienza di consumo, di una stessa rinuncia alla riflessione. Vi sono rimedi? Il Louvre ci sta provando a Lens, città mineraria in gran decadenza, dove un “secondo Louvre” è stato aperto con gran successo un anno fa, e ha già avuto più di un milione di visitatori, rianimando un’area di scarsa attrattività. Scegliendo oggetti della collezione e disponendoli in ordine cronologico (ma mescolando le opere d’arte dei vari dipartimenti), sia lo staff del museo che i visitatori sono invitati a riflettere sulla consistenza e sulla storia delle collezioni; collocando a Lens una bellissima mostra sui Disastri della guerra che ricorda l’anniversario 1914-2014, una parte cospicua di visitatori è attratta altrove, e moltiplica le potenzialità di quel grande museo. Se arrestare la valanga di selfie pare difficile, sarà possibile diffondere una cultura della lentezza che nell’osservazione dell’opera d’arte veda un’occasione di riflessione e di crescita civile? È immaginabile mettere in rete i tour operator e indirizzare i flussi turistici non solo su poche destinazioni iconiche, ma sulla trama minuta dei monumenti, delle città, dei musei?

A queste domande nessuno si aspetta più risposte dirimenti dall’Italia, che pure è il Paese con la più nobile tradizione museografica, con le più antiche norme di tutela, prescritta dalla Costituzione nell’art. 9, sempre celebrato e mai pienamente attuato. Volgari approssimazioni vedono nell’arte delle nostre città e dei nostri musei un’occasione di business e non un’esperienza di vita; circola nei palazzi del potere la stolta ipotesi che un manager vale per principio più di uno storico dell’arte; si ipotizza di chiudere musei e siti archeologici con pochi visitatori, si ironizza sul fatto che gli Uffizi abbiano meno visitatori del Louvre (che è 30 volte più grande). E intanto è in fase di cottura una riforma del ministero dei Beni culturali innescata non (come sarebbe giusto) dalla voglia di investire sulla cultura, di assumere nuovo personale, di mettere l’Italia in prima fila in un discorso, quello sul rapporto fra arte e cittadinanza, che sarà fra i più importanti del nostro secolo; ma da una pretestuosa spending review , e cioè da ulteriori tagli che vanno ad aggiungersi a quelli perpetrati dal 2008 in poi da governi d’ogni colore. Ma la colpevole insistenza sul turismo come ragione ultima delle cure dovute al nostro patrimonio culturale trascura il solo punto essenziale: quel patrimonio non è dei turisti, ma dei cittadini; è “nostro” a titolo di sovranità (questo dice la Costituzione), è consustanziale al diritto di cittadinanza, serbatoio di energie morali per costruire il futuro. L’Italia ha su questo fronte un diritto di primogenitura, ma pare decisa a rinunciarvi.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...