Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist

Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere definito “razzismo al contrario”. Il museo, fino a poco tempo fa, si serviva di guide volontarie, i cosiddetti museum docents, che negli Stati Uniti fungono da guide e da educatori, di solito come volontari. L’AIC ne contava ben 122, tutti altamente qualificati. Nonostante siano dei volontari, i museum docents devono avere una formazione estremamente rigorosa. Prima di poter svolgere il servizio, infatti, devono aver seguito due sessioni di formazione a settimana per diciotto mesi e poi ben cinque anni di continua ricerca nel settore per poter soddisfare i criteri di conoscenza approfondita delle 13 aree tematiche dell’esposizione. Inoltre, sono tenuti a seguire corsi di formazione mensili e bisettimanali sulle nuove mostre in allestimento. Ogni museum docent offre fino a due tour di un'ora al giorno per un totale di 18 settimane all'anno e un minimo di 24 tour di un'ora con adulti/famiglie.

I volontari erano in servizio al museo, in media, da 15 anni e, in maggioranza, si tratta di donne bianche anziane che hanno tempo e risorse da dedicare al Museo a titolo gratuito. A un certo punto l’AIC ha ritenuto che le caratteristiche anagrafiche e razziali dei volontari non fossero più adatte e ha licenziato tutti, dicendo che sarebbero stati sostituiti da un numero minore di lavoratori part-time, che questa volta sarebbero stati retribuiti 25 dollari l'ora.

In realtà la scelta sembra essere fallita per un semplice motivo: trattandosi di un lavoro di volontariato che richiede molto tempo libero, e le minoranze svantaggiate spesso non hanno la possibilità di rinunciare ad un lavoro remunerato per dedicarsi al volontariato per molte ore nell’arco della settimana.

Il museo, quindi, ha fatto sparire in un istante anni di formazione che sono stati necessari per creare le competenze dei museum docents per che cosa? Forse si sarebbero dovuti chiedere prima se quello fosse davvero il modo giusto di rappresentare le diversità nell’ambito del museo. E’ vero che alcuni docenti appartenenti alle minoranze etniche potrebbero offrire punti di vista diversi sull'arte, ma una decisione così drastica non ha risolto il problema e ha privato il museo di risorse umane importanti. D’altra parte se il museo si servisse della collaborazione solo di museum docents neri o ispanici, non si avrebbe più il “punto di vista” dei bianchi.  Ma allora, siamo proprio sicuri che la questione della razza dei museum docents sia cruciale per le politiche del Museo?

Forse sarebbe stato meglio, eventualmente, sostituire gradualmente alcuni museum docents, una volta raggiunti i limiti d’età, con rappresentanti delle minoranze, ma usando gli stessi criteri usati fino a quel momento e non modificandoli in base alla razza, cioè prestazioni a titolo gratuito per i bianchi, lavori part-time remunerati per le minoranze, oppure cambiandoli per tutti.

Evidentemente ciò succede quando si rincorre a tutti i costi il “politically correct”, senza che le decisioni nascano veramente da un’esigenza concreta della collettività.

 

Fonte: Why evolution is true 

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