Riporto qui un’intervista a Silvana Sperati, presidente dell’Associazione
Bruno Munari, pubblicata sulla rivista online La vita scolastica.Bruno Munari fu artista, designer e scrittore tra i maggiori del secolo
scorso. Dedicò un interesse particolare al mondo dell’infanzia e dell’educazione.
Alla scuola di oggi consegna una proposta assai attuale: il laboratorio come
luogo della migliore educazione, la creatività come “ricerca sincera di
varianti”, un metodo che risiede nel “creare relazioni tra gli elementi
conosciuti”. L’Associazione Bruno Munari ne prosegue ufficialmente il metodo e
la ricerca che indicò l’artista. Promuove seminari, laboratori, eventi, mostre
in Italia e nel mondo ed è l'unica deputata alla formazione sul Metodo Munari.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.brunomunari.it.
Una sua intervista a Bruno Munari del 1997 si chiude con questa
domanda: “Munari è per tutti o per pochi?”. E Munari risponde: “Mah, io direi
per tutti”. Che cos’è oggi Munari per la scuola?
Intanto vorrei dire che, secondo
me, questa risposta che diede Munari: “Mah, io direi per tutti” descrive in
modo assolutamente chiaro il pensiero dell’artista. Ho motivo di credere che
negli ultimi anni della sua vita Bruno Munari abbia riservato un’attenzione
particolare al mondo dell’infanzia e all’educazione. Diceva lui stesso che
quello che voleva restasse era il laboratorio. In questa sua affermazione, io
riconoscevo l’accezione vera del laboratorio, come luogo, spazio, tempo,
occasione per la costruzione della conoscenza a partire dalla sperimentazione.
Lì, nel laboratorio, c’è Munari. E nel laboratorio c’è gran parte del futuro di
tutti noi che si costruisce qui e ora attraverso la migliore educazione,
proprio quella che ci venne insegnata da questo grande artista.
Pablo Picasso lo paragonò al
genio di Leonardo da Vinci, perché si esprimeva con agilità in tanti settori
(l’arte, la grafca, la scultura, la scrittura, la progettazione...) e per la
tipologia di pensiero, così attenta alla conoscenza, che sempre espresse in
tutti i campi. Nonostante questa poliedricità e intensità, Munari sente sempre,
e lo ribadisce nell’intervista, di voler essere “per tutti”. Questo vuol dire
che dalla lezione di Bruno Munari possiamo trarre anche delle indicazioni necessarie
al mondo della scuola. Perché la scuola cos’è, se non il luogo deputato alla
costruzione del sapere? Certo si va a scuola per imparare, ma soprattutto per
scoprire, per aguzzare la curiosità, per conoscere. Ecco io credo che
nell’approccio che Bruno Munari mostrò nei laboratori possiamo trovare
indicazioni per portare in aula l’apprendimento, in senso pieno. E questo
atteggiamento è quello richiesto proprio oggi dalla scuola, non solo italiana,
ma anche europea, quando insiste su quello che viene defnito “imparare a
imparare”: quindi fare in modo che l'individuo apprenda, fin da piccolo, a
diventare fautore del proprio apprendimento.
L’Associazione di cui è presidente lavora per la comprensione e la
diffusione del “metodo Munari”. Vuole illustrarlo ai nostri lettori?
Proverò, attingendo ai testi di
Munari e in particolare al suo libro Fantasia (Universale Laterza, Bari, 1977).
Qui Munari prova a defnire alcune parole molto spesso confuse tra di loro:
fantasia, immaginazione, creatività, invenzione. Quando parla della fantasia,
Munari dice che è la facoltà più importante di tutte, perché ci permette di
fantasticare di cose e di oggetti che possono anche essere assolutamente
irrealizzabili. Si parla di una fantasia che va a briglie sciolte, dunque, di
una possibilità del pensiero in cui tutto può essere immaginato. Però, quando
parla di fantasia, Munari dice anche che la fantasia usa lo stesso metodo, e
sottolinea proprio la parola metodo, di altre facoltà: per esempio
dell’invenzione, o della creatività. E dunque: che cos’è questo metodo? Questo
metodo, dice Munari, risiede nel “creare relazioni tra gli elementi
conosciuti”.
Dunque la persona, prima di
tutto, è invitata a “costruirsi” delle informazioni attraverso la
sperimentazione che avviene nel laboratorio e nel vissuto quotidiano. Nel
laboratorio di Munari posso esplorare un materiale, una tecnica, per scoprire
tutto quello che si può fare. Questo mi dà la possibilità di “costruirmi” delle
informazioni. Ma se queste informazioni rimanessero ferme, non utilizzate in
nessun progetto – Munari dice “come un magazzino di dati inerti” – non
servirebbero a nulla. Dunque l’importante è creare una situazione, un'attività
che inviti ciascuno a creare relazioni tra queste informazioni, relazioni che
poi portano a progettare, costruire, immaginare un qualcosa di nuovo.
Questo “qualcosa di nuovo” non
deve essere necessariamente finalizzato, perché può essere anche qualcosa di
cui ancora non immaginiamo un uso possibile. Munari dice: quando un oggetto è
così preciso, descritto, come un trompe-l’oeil, non stimola il soggetto come
un’immagine che invece può essere tante cose, per esempio un ippopotamo o una
cavalletta. Massima apertura, dunque, verso materiali “imperfetti”, semplici e
più vari possibile, in modo che il bambino possa realizzare sperimentazioni
diverse. A livello educativo, inoltre, occorre tempestività: se un bambino
riceve un’educazione che lo invita a vedere quello che si può fare con le cose
fin da piccolo, è verosimile che manterrà questa attitudine per sempre. Se,
invece, già nei primi anni a un bambino si dice: “Stai attento, No!... Si deve
fare così, si deve fare cosà!... Il cielo è sempre azzurro... Il pulcino è
sempre giallo... La mela è sempre rossa...”, quel bambino avrà poche
possibilità di emancipare i propri pensieri, di contemplare le infinite
variabili, di costruire i propri apprendimenti...
Tornando all’intervista del 1997, Munari dice che la creatività è
“ricerca sincera di varianti”. Come possiamo tradurre, anche per il mondo della
scuola, questa definizione?
Questa frase sulla creatività è
molto bella e mi permette di precisare la risposta sul metodo che ho dato
prima, perché ogni parola della frase è un elemento di metodo. La parola
“ricerca” ci porta all'approccio scientifco, così vicino all’attenzione di
Munari, che ha sempre cercato di analizzare ogni aspetto, di non dare nulla per
scontato. L’atteggiamento del ricercatore è l’atteggiamento di colui che con
curiosità guarda a tutte le espressioni che il mondo gli presenta. E Bruno
Munari aveva fatto suo questo atteggiamento, manifestato anche con la grande
attenzione che ha sempre riservato al mondo della natura. Per tutta la vita
Munari osservò la natura, i suoi processi, i suoi cambiamenti, le sue variabili
e io credo che dalla lezione di Munari ci venga anche lo stimolo di tornare
alla natura con uno sguardo di stupore per tutto quello che ci può insegnare.
Questa ricerca, dice Munari, deve
essere “sincera”. Una ricerca sincera è una ricerca “vera”. Dal nido
all’università proponiamo ricerche viziate, non vere ogni volta che si dà il
risultato per scontato. Per esempio: se provo a fare un’esperienza di
mescolamento dei colori, come il blu e il giallo, so bene che il risultato sarà
il verde, ma non posso fermarmi lì. Infatti quante variabili ci possono essere
in quell’esperienza, a partire dall’intensità e tipologia dei pigmenti, da
quanto blu e quanto giallo metto, dal materiale su cui spalmo, spremo o stendo
il colore? In questo senso la dimensione della ricerca deve essere “sincera”.
Perché la dimensione della ricerca “sincera” coinvolge, appaga l’individuo e,
soprattutto, diventa realmente generativa di nuovi saperi. La ricerca non deve
essere millantata, su questo dobbiamo essere molto attenti. Come il
laboratorio: deve essere il luogo della ricerca, non può essere il luogo del
“facciamo finta che facciamo la ricerca”. Ormai anche intorno alla parola
“laboratorio” è andato un po’ a perdersi questo elemento costitutivo della
ricerca: dobbiamo rileggere il senso delle parole, ritornare al loro significato come definizione di azioni realmente congruenti. “Ricerca
sincera di varianti”, dice Munari. Ecco, qui entriamo nell’orizzonte molto
creativo del “quanti ce ne sono” e del “come sono”. Proviamo a immaginare delle
domande: un sasso: quanti ce ne sono di sassi?; è rosso: quanti ce ne sono di
rossi?; fino a quando questo materiale che è rosso è rosso, e quando invece da
rosso diventa scuro scuro, e forse stiamo passando nel marrone? La ricerca
delle varianti mi “apparecchia davanti” le possibilità del mondo, ma insieme mi
descrive anche i suoi confini, portandomi in quel territorio dello “sfumato”
dove posso descrivere un fenomeno con un’esattezza che non è solo mero dato,
numero, definizione ma consapevolezza del mondo. Entrare in questo tipo di
processo significa prendersi in mano il gusto, la gioia dell’apprendere. E sarà
proprio ritornando a questa gioia che potremmo dare ai nostri studenti una
grande chance. Si tratta di un movimento da compiere all’insegna del festina
lente, dove l’investimento nell’educazione, oggi, è l’azione più importante che
possiamo fare.