BRIXIA. Roma e le genti del Po

Un incontro di culture. III-I sec. a.C.
9 maggio 2015 - 17 gennaio 2016
Brescia, Santa Giulia, Museo della Città
Dal 9 maggio 2015 al 17 gennaio 2016 al Museo di Santa Giulia di Brescia, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività culturali e il Turismo, Regione Lombardia, Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, che attraverso 500 eccezionali reperti esposti, racconta della grande vicenda che ha portato, tra il III e il I secolo a.C., all'unione tra la Roma repubblicana e le genti del Po. Con l'obiettivo di illustrare questo processo di unione, in un racconto per immagini della straordinaria trasformazione storica e culturale che fu qui attuata tra fasi di conflitto e integrazione, la  mostra Roma e le genti del Po
Un incontro di culture III-I sec. a.C. ricostruisce, sullo sfondo della pianura del Po, area estesa tra gli Appennini e le Alpi e favorita in antico da una posizione privilegiata e dalla presenza di un grande fiume, la fisionomia sorprendente di un luogo d’Italia, che divenne vero laboratorio di integrazione tra etnie e culture diverse e cassa di risonanza del confronto fra cultura romana ed ellenismo. La mostra sarà anche un viaggio emotivo, con installazioni interattive e multimediali, adatte al pubblico adulto e giovane, che faranno rivivere situazioni e atmosfere di quei tempi lontani.  
Insieme verrà inaugurato Brixia. Parco archeologico di Brescia romana, il più esteso parco archeologico a nord di Roma: su un'area di circa 4.200 mq, esso comprende gli edifici più antichi e significativi della città: il Santuario di età repubblicana (I sec. a.C.) - che dal 9 maggio sarà aperto per la prima volta al pubblico -, il Capitolium (73 d.C.), il teatro (I-II sec. d.C.), il tratto di lastricato del decumano massimo, la vista su piazza del Foro, che conserva vestigia della piazza di età romana (I sec. d.C.). Nel parco archeologico il visitatore avrà modo di fare un incredibile viaggio nel tempo, dall’età preromana al rinascimento, partendo dai livelli più antichi al di sotto del Capitolium, sino ai palazzi nobili che, reimpiegando i resti degli antichi edifici, cingono ancora oggi la zona.  
Il Parco archeologico da maggio sarà completato da tutti i servizi necessari, come una nuova area di accoglienza dedicata, con biglietteria, bookshop, guardaroba. Oltre ai consueti servizi didattici forniti dal Museo, l’area - già dotata di una suggestiva istallazione interattiva realizzata, all’interno del Capitolium, da Studio Azzurro - metterà a disposizione dell'utente un innovativo sistema di video e ricostruzioni immersive che grazie al 3D e alle più avanzate wearable technology propone un'esperienza unica. Novità unica nel panorama delle aree archeologiche italiane, è infatti la possibilità di vivere un’esperienza di visita in realtà aumentata grazie a dispositivi indossabili Epson messi a punto dalla società Art Glass, che permetteranno di rivedere, dopo 2000 anni, gli edifici e la città come si presentavano dal III secolo a. C. al I secolo d. C. Il visitatore, muovendosi liberamente nell’area, avrà la possibilità di vedere ricostruiti i suoi monumenti più antichi e le trasformazioni avvenute dopo il suo abbandono.
LA MOSTRA
Nel 295 a.C. a Sentino, in una vallata nel cuore delle Marche, l’esercito di Roma e dei suoi alleati sconfiggeva in una battaglia incerta fino all’ultimo la coalizione di popoli italici guidata da Sanniti e Galli Senoni. Con quella vittoria Roma non solo affermava il suo dominio incontrastato sulla penisola, ma si apriva la via per la valle Padana. E’ di pochi anni dopo la sottomissione del territorio senone e la fondazione della colonia latina di Rimini. Nei due secoli successivi si avrà prima la definitiva conquista militare, nei primi decenni del II secolo, poi il graduale inserimento dell’Italia settentrionale nel sistema politico romano, concluso nel 49 a.C. con la concessione della cittadinanza.
La mostra di Brescia vuole narrare questa vicenda uscendo dallo schema tradizionale dello scontro tra Roma e popolazioni locali considerate semibarbare e da integrare nella civiltà classica per mostrare invece la realtà di un confronto che aveva molteplici sfaccettature. Le popolazioni che abitavano la valle Padana avevano alle spalle storie molto diverse.
Le tribù celtiche (Insubri, Cenomani, Boi.) avevano ereditato le civiltà dei popoli che abitavano i territori sui quali dominavano: Etruschi, Umbri, Liguri, Celti di ceppo ancora più antico; ne avevano assimilato i costumi e costituivano un’élite politico-militare organizzata. I Veneti erano di provenienza assai antica, con una cultura urbana elaborata e comuni origini con i Latini; al contrario i Liguri, che si consideravano a ragione una stirpe autoctona, erano ancora organizzati sul modello tribale. Ciascuna di queste popolazioni ebbe una propria politica nei confronti di Roma: alcuni furono alleati stabili (Veneti, Cenomani) altri ostili (Boi, Insubri) o divisi al proprio interno (Liguri). Ma neppure la strategia della Repubblica nei loro confronti fu mai univoca: a seconda che prevalessero le ragioni del partito “popolare” o di quello “senatorio” fu attuata una politica aggressiva per guadagnare nuove terre da assegnare a coloni italici disposti a trasferirsi o di collaborazione “amichevole” con i ceti dirigenti e aristocratici locali. Sono i reperti archeologici presenti nei musei dell’Italia del nord, rinvenuti negli scavi anche recentissimi che ci consentono di ricostruire un quadro così complesso e vivace, di cui le fonti antiche ci illustrano soltanto gli elementi essenziali.
Il filo dell’esposizione segue il racconto secondo una sequenza cronologica e rispettando la logica del confronto. Vengono presentate le diverse popolazioni padane nel IV e III secolo a.C.: i reperti significativi e simbolici dei corredi funerari e anche ciò che esce dagli scavi delle loro città. Ne esce l’immagine di civiltà complesse, con capi che esaltano ora il loro livello culturale ora il ruolo guerriero e un’organizzazione politica avanzata, con l’uso della scrittura e l’introduzione della moneta. A fronte sono esposti i reperti contemporanei della colonia di Rimini e di centri come Ravenna sotto il controllo diretto di Roma. Seguono gli anni delle guerre. L’imponente frontone di Talamone celebra la disfatta dell’ultima offensiva celtica nel 225 avvenuta sul promontorio toscano; la risposta di Roma porta alla prima conquista della val Padana e alla vittoria di Casteggio. Infine Annibale passa le Alpi e attraversa la pianura nell’incendio dell’insurrezione di Boi e Insubri, che appoggiando la sua impresa mettevano in gioco la loro indipendenza. Di quegli anni sono esposte le armi degli eserciti contrapposti recuperate nei corredi funerari e rappresentate nei monumenti e nei reperti votivi, ma anche l’esito della penetrazione culturale e politica di Roma, con l’impianto di santuari di tipo italico già alla fine del III secolo, i cui reperti si confrontano con quelli dei contemporanei luoghi di culto locali.
Con il II secolo le principali colonie latine e romane così come le città alleate presentano da Rimini a Bologna o Piacenza, così come a Aquileia, Padova, Brescia o Milano, caratteristiche comuni. Si illustrano le mura, le porte urbiche, le strade, gli edifici civili, come il foro, le basiliche o, nel caso di Bologna, uno dei più antichi teatri stabili. I grandi templi come il Capitolium, i santuari urbani e del territorio sono testimoniati da resti architettonici fittili figurati di tipo italico ed ellenistico e da statue di culto, per lo più acroliti in marmo. Vengono introdotti nuovi culti, italici e orientali, che spesso riflettono gli orientamenti delle diverse personalità politiche romane, ma vengono anche confermati e assimilati i culti locali, come ben dimostra il caso emblematico di Brescia. La ricchezza crescente della Cisalpina in età repubblicana è verificabile non solo negli edifici pubblici e religiosi, ma anche nel livello delle case private. In mostra sono esposte soprattutto le pavimentazioni, che evolvono da modesti laterizi e semplici battuti in cementizio a pavimenti decorati con motivi geometrici e a mosaico, ma non mancano decorazioni parietali e reperti di lusso rinvenuti negli scavi a seguito di episodi di abbandono o di tesaurizzazione. Le planimetrie mostrano nel I secolo l’adesione delle classi dirigenti al modello della casa ad atrio.
Tutto riflette l’aumento progressivo di ricchezza dell’Italia settentrionale, dovuto certamente allo sfruttamento agricolo del territorio, ben organizzato grazie al controllo delle acque e alla distribuzione funzionale delle terre (la centuriazione), ma, come dimostrano i resti archeologici, dalla nascita di manifatture locali (vasellame bronzeo, tessuti, laterizi, ceramiche, carpenteria) e dallo sfruttamento di risorse naturali, come le riserve aurifere della Bessa. Il confronto tra le popolazioni locali e i coloni è affidato in questa fase soprattutto alle sepolture; per la prima volta vengono esposti insieme reperti (corredi ma anche stele funerarie) dello stesso periodo attribuibili a romani (in Emilia Romagna e Aquileia) a Veneti, Cenomani, Insubri, Liguri. E’ così possibile confrontare l’apparato funerario di un notabile romano sepolto presso Piacenza con il letto funerario in osso di fattura centro-italica e tradizione ellenistica, con la sepoltura del capo cenomane di Zevio con resti del carro e vasellame bronzeo della medesima provenienza. Così dall’intesa tra le classi dirigenti e da un confronto virtuoso tra le diverse aree culturali nasceva la provincia della Gallia Cisalpina, centro propulsore delle conquiste di Cesare e futuro baluardo della civiltà classica contro le invasioni germaniche (testo a cura di Luigi Malnati).
V. anche

Anteprima di #smallmuseumtour speciale #EXPO Milano 2015

Domani, lunedì 4 maggio, alle ore 15, appuntamento su Twitter per l'anteprima di #smallmuseumtour, l'iniziativa social promossa da Associazione Nazionale Piccoli Musei: parleremo dei musei che parteciperanno, delle tematiche, della ultimazione del calendario in relazione ai mesi di giugno e luglio.
Ci sarà del materiale da vedere e soprattutto faremo in modo che anche l'anteprima si trasformi in un bel dialogo tra professionisti museali, studiosi e pubblico.

Come si salva un museo?

Dalla lettura di un post di Claire Madge, dal blog Tincture of Museum, alcune riflessioni sulla crisi dei musei




In questi giorni mi è capitato sotto gli occhi un articolo di Claire Madge, laureata in storia, bibliotecaria e volontaria in alcuni musei di Londra, tratto dal suo blog Tincture of Museum. In questi anni, Claire, già convinta sostenitrice dell’importanza dei musei per lo sviluppo intellettivo e psicologico dei bambini, quando è diventata mamma di una bambina autistica si è molto interessata alle tematiche che riguardano la cura dei bambini autistici con il supporto delle attività museali. Dopo aver lasciato il suo lavoro di bibliotecaria, ha scelto di entrare come volontaria in tre musei: il Museum of London l’Horniman Museum, come volontaria in progetti rivolti a migliorare l’accessibilità del museo per vari tipi di disabilità, e infine il Bromely Museum, in cui, dopo un inizio come volontaria generica, è riuscita ad inserirsi nei progetti che riguardano l’apprendimento e la partecipazione del pubblico. Purtroppo uno di questi musei, il Bromely Museum, rischia di chiudere e nell’articolo cui ho fatto cenno, la Madge riporta i punti essenziali di un dibattito cui ha partecipato e che avrebbe dovuto trovare delle soluzioni per evitare questa sfortunata eventualità.

Il Bromely Museum è un museo periferico di Londra che l’Associazione Nazionale Piccoli Musei includerebbe sicuramente nella categoria dei “piccoli musei”. Claire descrive bene la sensazione di inferiorità che l’essere “piccoli” fa nascere in quelle situazioni in cui bisogna confrontarsi con la dura realtà dei “conti”, della “produttività economica” applicata spietatamente e indifferentemente tanto a istituzioni gigantesche come il British Museum quanto a musei periferici che non sono nati per fare grandi numeri ma che sono stati creati soprattutto per rendere vitale e produttiva la cultura locale con particolare attenzione agli aspetti educativi e sociali. Così racconta:

«Fa sorridere partecipare ad un dibattito sul futuro dei musei regionali, nel cuore di Londra.  Il Courtauld Institute of Art ha voluto dar vita ad un ampio dibattito per trovare una soluzione alla crisi dei musei regionali. (…) ». Il Bromely Museum si trova nella Greater London, fa notare Claire, la stessa contea in cui si trova quella Londra che catalizza gli enormi finanziamenti dell’ArtsCouncil. I musei regionali, invece, non riescono a trovare finanziamenti. «Ci si sente come se si stesse per entrare nel sancta sanctorum in cerca di risposte».

Claire sa che il suo intervento sarà preceduto da quello dei “decisori” e lei, un po’ intimidita, si sente come una “novizia” che cerca di scoprire i misteriosi meccanismi del mondo dei musei. Ascolta tutti gli interventi con molta attenzione e non tutto è piacevole da apprendere per chi sta dedicando tutta la propria vita a uno di questi musei apparentemente “perdenti”.

Qualcuno afferma che non si potrà evitare la chiusura di alcuni musei, che non si può indorare la pillola e che bisogna guardare in faccia la realtà, che la risposta non può essere la filantropia, che c’è bisogno di nuovi modi di fare le cose, nuovi modelli di business per portare avanti il cambiamento. Claire pensa che se si taglierà il personale tutto questo sarà molto difficile o si pensa di farlo con un museo condotto esclusivamente da volontari? Come soluzioni si suggeriscono la ricerca di finanziamenti attraverso l’adesione a progetti universitari oppure la dinamicità delle collezioni, con frequenti cambiamenti, grazie a partenariati e collaborazioni.

Tutte le soluzioni proposte, osserva Claire Madge, sono a lungo termine mentre c’è bisogno di soluzioni immediate per scongiurare la chiusura dei musei regionali. Alla fine il colpo di grazia arriva dall’ultimo intervento, quello di Piotr Bienkowski, Museum Independent Consultant, il quale afferma che non tutti i musei dovrebbero rimanere aperti.  Se non riescono, quasi sempre la causa principale è la governance intrinsecamente debole e una scarsa comprensione degli aspetti finanziari della gestione.

Alla fine dell’intervento di Bienkowski, Claire si rende improvvisamente conto che tutto ciò che apprezza del Bromley Museum, il personale, il suo ruolo di volontaria, la sua fuga dalla realtà quotidiana, non sono più sufficienti per impedirle di vedere che il museo sta fallendo: questo, purtroppo, è il risultato di anni di declino. Da una indagine da lei condotta intervistando famiglie è risultato che il 90% di queste non sapeva dell’esistenza del museo. Nonostante ciò – riflette Claire – «io ho ignorato questo (…).  Ho lavorato spesso di sabato, i visitatori erano pochi e ancora ho scelto di non vedere.  Ho guardato ciò che c’era di buono, i progetti educativi, la passione del personale e mi sono rifiutata di vedere oltre. (…) Allora, qual è la risposta? Il Museo Bromley avrebbe potuto consolidare da solo il proprio “stato di salute” anni fa.  Avevamo bisogno di animare il dibattito sul cambiamento ben prima di arrivare sul ciglio del baratro.  Credo che sia stato Paul Greenhalgh a dire: “tenere aperta la porta è un lavoro per tutti noi e qualcosa che dovremmo fare insieme".  Ha ragione, naturalmente, ma abbiamo ancora bisogno di sapere come fare. Mentre lascio il dibattito, sento che stanno parlando di un altro museo sull'orlo della chiusura.  Il Bromley Museum non è l'unico e non sarà l'ultimo.  Ho imparato molto e mi è stata data una quantità enorme di spunti sui cui riflettere. Era ingenuo pensare che avrei trovato risposte immediate e soluzioni rapide.  Il dibattito mi ha fatto guardare la realtà alla luce fredda del giorno.  E forse questo è ciò che mi serviva più di qualsiasi altra soluzione».

Le conclusioni di Claire mi hanno indotta a tentare un confronto in particolare con la realtà del nostro Paese, tenendo conto che quando si parla di musei “in crisi” le situazioni sono le più varie e bisogna considerare le legislazioni, la natura giuridica, le finalità che si propone un museo e molti altri fattori discriminanti. In ogni caso ritengo che, pur nell’ambito di un necessario processo di autocritica (ed avendo ben presenti anche i casi - non pochi - di incuria da un lato e di vero e proprio abbandono da parte delle istituzioni dall’altro), le cause del “fallimento” di alcuni musei siano da ricercare non solo nelle responsabilità individuali e istituzionali, ma spesso nella inadeguatezza di un sistema generale di gestione che ha troppo “uniformato” i musei rendendoli poco interessanti. Afferma a questo proposito, Giovanni Pinna:

«(…) Ormai, nelle sale espositive di queste istituzioni, non sono più gli specialisti del museo che parlano al pubblico, ma anonime équipes specializzate nella realizzazione delle esposizioni, mentre il rapporto con il pubblico, la realizzazione delle guide o l’organizzazione delle manifestazioni pubbliche sono affidati ai cosiddetti “servizi culturali” che, di norma, operano autonomamente rispetto alla struttura scientifica dell’istituto. Il risultato di questa separazione è stato un inevitabile appiattimento dei contenuti delle esposizioni del museo e del loro significato culturale, poiché équipes specializzate nella didattica espositiva non possono che uniformarsi a un modello generale, che, proprio in quanto generale, non è mai rappresentativo di una specifica cultura. Il museo ha perso allora la propria conoscenza e la propria individualità a favore di questo modello generale, con il risultato finale che nei suoi rapporti con il pubblico ogni museo è divenuto uguale a ogni altro museo. Io ritengo che una delle ragioni dell’attuale debolezza politica e sociale dei musei – una debolezza pericolosa poiché conduce inevitabilmente il museo stesso a una debolezza finanziaria e quindi culturale, e la società alla perdita delle proprie radici – risieda nella separazione dei ruoli che porta alla perdita della cultura individuale di ciascun museo».

E in effetti, se pensiamo ai casi di “piccoli musei” di successo che sono a me famigliari grazie al mio lavoro nell’ambito dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei, si può constatare che si tratta sempre di musei con una spiccata individualità e originalità: penso al Museo del Bottone di Santarcangelo di Romagna, al Museo della Bora di Trieste, al Museo del Precinema di Padova, solo per citarne alcuni e senza nulla togliere a numerosi altri che potrebbero essere citati come esempi.

E’ necessario ripartire, dunque, dal dato di fatto che i musei hanno bisogno di uscire da un anonimato imposto da metodi di gestione troppo uniformanti, in cui talvolta, soprattutto nel caso di reti e sistemi museali (quando sono organizzazioni rigide, con un'unica fonte di comunicazione, un unico sito uguale per tutti, stessa pianificazione delle attività didattiche, ecc.), conta più la struttura amministrativa e burocratica che gestisce i musei che non il singolo museo. Ciò produce appiattimento e quindi incapacità di rendersi attraenti agli occhi del pubblico grazie alla valorizzazione delle proprie specificità, legate alla natura delle collezioni, al luogo cui si è legati, alla comunità di riferimento.

Poggiandosi su una base solida - cioè su questo presupposto fondamentale che richiede autenticità, radicamento territoriale, originalità - si potranno innestare, poi, altre soluzioni, non escluse quelle che provengono anche dal settore dell’economia e del marketing, che aiuteranno a fare chiarezza sui “punti deboli” che impediscono ai musei di esprimere le proprie potenzialità.

A questo proposito, afferma Giancarlo Dall’Ara: «Modello gestionale inadeguato può significare inoltre che il museo ha personale insufficiente o demotivato, o propone orari di visita o "politiche di prezzi" sbagliati, una organizzazione degli spazi “fredda”, asettica e non accogliente, o adotta modelli espositivi di difficile comprensione. Oppure ancora i problemi possono essere nell’assenza di nuove competenze professionali oggi assolutamente necessarie (web, accoglienza, narrazione…), o nella visione autoriferita di alcuni responsabili. In sostanza credo si possa affermare che in Italia non esistano luoghi privi di interesse o musei privi di “attrattori”, esistono invece problemi di gestione, di sedi museali inadeguate, di mancanza di passione, di conoscenze, di competenze, di visione, di risorse, di umiltà».

Se il mondo dei musei, per primo, deve affrontare un’approfondita autoanalisi, anche le istituzioni e la società non possono sottrarsi a questo processo: solo se l’intera collettività rispetterà i musei, i grandi quanto i piccoli, quali “produttori di cultura”, ogni strumento destinato ad aumentarne l’efficienza si mostrerà efficace, accrescendo anche l’attrattività dei musei nei confronti del pubblico. Se, al contrario, si perderà di vista questo compito primario dei musei, questi appariranno inevitabilmente sempre inferiori alle aspettative e la misurazione della loro efficienza resterà circoscritta quasi esclusivamente al conteggio dei biglietti venduti. Infatti, raramente, soprattutto a livello di informazione mediatica, si focalizza l’attenzione su altri aspetti determinanti, come la qualità dei programmi culturali ed educativi e la capacità di essere presenti nella vita della società. Ciò non vuol dire, come afferma Giancarlo Dall’Ara, che non ci si debba porre il problema dell’assenza o della diminuzione di visitatori, ovviamente in relazione al proprio potenziale bacino di utenza, ma questo aspetto va inquadrato in una più ampia e articolata valutazione di tutta l’attività promossa dai musei.

 “Il museo non è un’azienda” scriveva qualche anno fa Salvatore Settis per il quale “la vera "redditività" (…) non è negli introiti diretti e nemmeno nell'indotto che esso genera (incluso il turismo), bensì in un senso di appartenenza che incide a fondo sulla qualità della vita, e dunque anche sulla produttività della società nel suo insieme”.

E’ pur vero, però, che gli studi sul marketing museale nel frattempo si sono evoluti e dopo una prevalente attenzione per le tecniche che miravano ad aumentare fatturato e utili, si concentrano, ora, sulla ricerca di soluzioni che siano in grado di creare autentico valore per il visitatore (Vittorio Falletti, I musei, 2012, p. 129).

Nel nuovo marketing l’attenzione è più focalizzata sulle persone, sulla cura delle relazioni interpersonali, sulle opinioni, sui “luoghi” intesi come insieme di tradizioni e di cultura locale ma non solo, anche come spazi virtuali di condivisione (social media, ecc.). Esso si propone di creare esperienze di vita conformandosi ai desideri della gente e, in base a questo, cerca di creare prodotti che rispecchino quelle esigenze e aspettative. Da questa filosofia anche il mondo dei musei potrà attingere strategie e idee.

Oltre ai doveri tradizionali del conservare, esporre, educare, i musei oggi hanno assunto altri generi di responsabilità rivolte, per esempio, all’inclusione sociale (quindi alla ricerca dei pubblici solitamente esclusi dalla fruizione museale), all’armonia sociale (diventando luoghi di incontro, di conoscenza reciproca e di dialogo) e alla promozione territoriale (quando sono mediatori di azioni sinergiche finalizzate a valorizzare le ricchezze culturali ed economiche).
Trovare un punto di incontro tra il desiderio di rendere più “attrattivi” i musei, il dovere di non snaturarne le funzioni primarie e l’assunzione di nuovi compiti, è l’unico modo possibile per non perdere pezzi importanti del nostro patrimonio museale lungo il cammino.

TUO MUSEO: mettere in rete, pianificare visite, condividere, interagire, giocare



Tuo Museo, selezionato da Telecom per la sua nuova piattaforma di CrowdFunding #WithYouWeDo, è una piattaforma Open Source che in un unico ambiente virtuale, digitalizza, mette in rete culturale, crea forme di partecipazione e di interazione, offre strumenti di gestione alle istituzioni museali.

La piattaforma è gratuita, ludica e partecipativa, totalmente integrabile con tecnologie come i Beacons e QrCode, segue l'esempio di successo del Dallas Museum of Arts sviluppando il concetto di "Activity Code". Le cartoline/souvenirs, collocate in prossimità di opere e luoghi, diventano al tempo stesso una memorabilia dell'esperienza ed uno strumento di interazione. Sul retro è presente un codice univoco alfanumerico che concorre a guidare i comportamenti ed a tracciare i dati qualitativi e quantitivi dei visitatori. I gestori museali potranno chiedere le opere preferite, associare missioni ad aree del museo o città solitamente meno frequentate, rilasciare cartoline a seguito della partecipazione ad eventi particolari, nasconderle in luoghi dando vita a speciali caccie al tesoro.

E-Commerce della Cultura

TuoMuseo offre la possibilitá di usufruire del primo e-commerce dei beni Culturali Digitali Nazionale. I musei hanno l'occasione di aggiungere una fonte di reddito mettendo in vendita biglietti elettronici; le foto in altissima risoluzione delle loro opere; cataloghi e libri in formato digitale; wallpapers; il tutto senza dover creare infrastrutture tecnologiche e senza costi, riconoscendo semplicemente una piccola parte del ricavato a TuoMuseo. Tutto questo fino ad oggi non esisteva. Finalmente visitatori italiani e stranieri hanno la possibilità di avere per sempre con sé un piccolo ricordo digitale di un'opera cara, acquistandolo comodamente da casa.
Pianificare le visite/Missioni per il visitatore

Tramite Tuo Museo è possibile pianificare le visite in base ai contenuti di ciascun museo. Gli utenti, comportandosi come in un social network, possono interagire con le opere scrivendo le proprie recensioni, fornendo keywords, descrivendo le emozioni mediante emoticons o aggiungendo informazioni per rendere più interessante la visita dei prossimi visitatori e fornire in tempo reale dati ai gestori museali. Nello stesso modo è possibile scaricare, condividere ed apprezzare le opere digitali con un Like!

Il visitatore, previa registrazione, potrà pianificare le visite attraverso missioni da compiere che gli verranno assegnate (es. visita ad un punto di interesse segnalato, selfie con un’opera d’arte etc.). Le missioni sono studiate per incentivare l’utente ad interagire con le città e i musei in modo più approfondito. Una volta completata una missione, l’utente riceve un punteggio che servirà per determinare la sua posizione nella classifica generale del portale e, se previsto, per assegnargli un premio.

I premi possono essere di vario genere ed in genere forniscono un bonus di cui godere legato al museo stesso che si è visitato oppure in altro luogo di interesse della medesima città:

•uno sconto nel negozio del museo

•uno sconto per acquistare biglietti in un altro museo

•accesso esclusivo al deposito con opere mai esposte

•una visita a porte chiuse in un museo
Adotta un'opera

Gli utenti della piattaforma hanno la possibilità di dare il proprio contributo per la salvaguardia dei beni culturali nazionali adottando la loro opera preferita o il luogo di interesse al quale sono più legati. Si potranno ottenere vantaggi e sconti da utilizzare su TuoMuseo per l'acquisto di biglietti o di prodotti digitali. Inoltre il proprio nome o quello della persona da te prescelta magari sotto forma di regalo, sarà per sempre visibile di fianco all'opera adottata.

Strumenti per i gestori

La piattaforma permette ai curatori di musei di ottenere un sito web totalmente gestibile e configurabile senza necessità di conoscenze tecniche. A loro disposizione, una serie di strumenti (CMS) per inserire in modo autonomo testi, immagini, schede delle opere e gestire la componente di gamification come missioni, premi, badge e quiz. Sia che si opti per farne il proprio sito web di riferimento o una sezione aggiuntiva all'interno del proprio portale, TuoMuseo invia automaticamente report contenenti decine di dati: profilo del visitatore, area geografica di provenienza, tasso di ritorno, gradimento delle opere anche in relazione a età e sesso ed una serie di altre informazioni utili per il marketing, fidelizzazione e miglioramento dell'esperienza della visita.

La rosa di fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudí

Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 19 aprile – 19 luglio 2015
La rosa di fuoco era il nome con cui era chiamata Barcellona negli ambienti anarchici di inizio Novecento. Un appellativo che evoca, allo stesso tempo, il fermento che a cavallo del secolo infiammava la vita politica, sociale e culturale della capitale catalana, ma anche i violenti attentati dinamitardi e i conflitti sociali di cui fu teatro la città.




Antoni Gaudí

Chiesa della Colònia Güell, esterno, 1908-10

Carboncino, acquerello e gouache su carta eliografica, mm 610 x 475
Collezione María del Carmen Gómez Navarro


A siglare l’ascesa di Barcellona era stata nel 1888 l’Esposizione Universale, che celebrava il vertiginoso sviluppo economico e urbanistico della città e contribuiva a diffondere idee di rinnovamento. S’impongono nuovi stili di vita, nuovi valori e nuove visioni creative, contagiati dall’euforia della vita moderna che si respirava nelle capitali della Belle Epoque. Contemporaneamente, sulla scena artistica, si afferma un movimento animato dalla sete di sperimentazione, il modernismo catalano, che prende a modello la Parigi Art Nouveau, la Secessione Viennese e le altre grandi correnti europee del rinnovamento culturale. La crescita culturale ed economica della capitale catalana fu però accompagnata da tensioni sociali che nel luglio del 1909, durante quella che sarà definita la “settimana tragica”, sfociarono in un violento conflitto tra popolazione civile e militari e in una dura repressione che decretò la fine di questa stagione irripetibile.


Pablo Picasso

Autoritratto, 1899-1900

Carboncino e gessetto su carta, mm 225 x 165

Barcellona, Museu Picasso. Dono dell’artista, 1970
© Succession Picasso, by SIAE 2015


Di questi anni fecondi e inquieti, e dei talenti che li animarono, dà conto La rosa di fuoco, la grande mostra organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, a cura di Tomàs Llorens e Boye Llorens, affiancati da un comitato di esperti di chiara fama. La rosa di fuoco, ovvero l’arte e le arti a Barcellona tra 1888 e 1909, rispecchia perfettamente la cifra culturale di Palazzo dei Diamanti: mostre accuratamente selezionate, approfondite, mai banali. Rassegne che presentano in Italia artisti straordinari ma poco frequentati (tra i tanti Reynolds, Chardin, Zurbarán...) o snodi fondamentali della storia dell’arte da prospettive inedite. Il taglio di questa esposizione offre, infatti, un punto di vista particolare su quel periodo aureo dell’arte e della cultura catalana, presentandolo sullo sfondo dello scenario storico-sociale per metterne in risalto la fisionomia complessa quanto affascinante. In questa ottica i grandi protagonisti della storia dell’arte appaiono sotto una luce non scontata: è il caso del giovanissimo Picasso che nel giro di qualche anno conquista la scena artistica catalana e parigina, con il tratto graffiante del suo precoce talento. Due testimonianze folgoranti sono l’Autoritratto del 1899-1900, con il suo sguardo magnetico da enfant prodige, e il Ritratto di Gustave Coquiot del 1901, sorprendente nello stile quasi espressionista. O ancora invenzioni originalissime del genio di Antoni Gaudí, come il progetto per la chiesa della Colònia Güell, di cui viene offerta una visione ravvicinata grazie a un allestimento spettacolare. Accanto a nomi celeberrimi, vengono proposte le opere di artisti meno noti ma di grande statura, come Ramon Casas, Santiago Rusiñol, Hermen Anglada Camarasa, Isidre Nonell o Julio González. Il racconto della mostra delinea un ritratto a forti contrasti delle varie anime del modernismo, che espressero il loro immaginario attraverso una pluralità di stili. Si parte dall’eclettismo degli architetti che tra Otto e Novecento cambiarono il volto della città all’insegna della sperimentazione e del recupero della tradizione romanica, gotica e mudéjar.

Pablo Picasso

Donna a teatro (Le Divan japonais), 1901

Acquerello e gouache su cartone, cm 39 x 53

Collezione privata
© Succession Picasso, by SIAE 2015
Si passa poi alle estrose istantanee della vita moderna sul modello dei naturalisti e degli impressionisti, tra le quali spiccano Scena domestica all’aria aperta di Casas e Le Grand bal di Rusiñol, del 1891. Ci si addentra quindi nell’atmosfera equivoca dei caffè e dei ritrovi notturni, grazie alle femmes fatales e agli impasti cromatici iridescenti che resero celebre Anglada all’inizio del Novecento, per chiudere sulla dominante blu dell’ultima sala della mostra. Picasso e Isidre Nonell, infatti, scelsero questo colore per esprimere il dolore e la solitudine che il progresso si lasciava dietro nella sua marcia trionfante. Nascono così capolavori assoluti, quali Dolores di Nonell e Ragazza in camicia di Picasso, icone immortali della dignità umana. L’allestimento della mostra è stato studiato per mettere in dialogo tecniche e materiali diversi: dipinti, disegni, manifesti, fotografie, gioielli, modelli architettonici e teatrali, ceramiche e sculture, oltre 120 opere testimonieranno come tutte le arti siano state percorse da un medesimo fuoco di rinnovamento.
Un programma di iniziative culturali accompagnerà la mostra, sotto il titolo di Barcellona modernista: città dei prodigi. Un ciclo di conferenze organizzato dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Dipartimento di Architettura in collaborazione con la Pinacoteca Nazionale porterà a Ferrara esperti di levatura internazionale che offriranno un punto di vista ravvicinato sui differenti ambiti e le varie personalità attraverso cui si è espressa quella temperie culturale. La collaborazione con il Conservatorio “G. Frescobaldi”, la Fondazione Teatro Comunale e l’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio offrirà ulteriori suggestioni sull’universo musicale e sulla poetica di Gaudí. Infine, per il pubblico dei più giovani, la Fondazione Ferrara Arte ha in programma una novità. Una proposta di laboratori “en plein air” riservati ai centri estivi della città e della provincia metterà nelle mani dei più piccoli quel tesoro di immaginazione, curiosità e sperimentazione che è la straordinaria eredità della “rosa di fuoco”.
Informazioni

LA ROSA DI FUOCO. La Barcellona di Picasso e Gaudí Ferrara, Palazzo dei Diamanti 19 aprile – 19 luglio 2015

A cura di Tomàs Llorens e Boye Llorens Organizzatori Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara La realizzazione della mostra è stata possibile grazie alla fondamentale collaborazione del Museu Nacional d’Art de Catalunya

Orari di apertura
Dal 19 aprile al 31 maggio: 9.00 – 19.00
Dal 1 giugno al 19 luglio: 10.00 – 20.00
Aperto anche 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno
Aperture serali straordinarie fino alle 23.00: 25 aprile, 1 e 22 maggio, 1 giugno, 17, 18 e 19 luglio

Informazioni e Prenotazioni Mostre e Musei tel. 0532 244949, diamanti@comune.fe.it www.palazzodiamanti.it
Ufficio stampa Studio ESSECI, Sergio Campagnolo tel. 049 663499,   info@studioesseci.net www.studioesseci.net
Dopo La rosa di fuoco
Dopo l’apertura il 19 aprile della rassegna La rosa di fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudí, la Fondazione Ferrara Arte ha in cantiere una serie di appuntamenti di alto profilo scientifico che hanno un particolare significato per la città di Ferrara, poiché si focalizzano su alcuni momenti cruciali della sua storia artistica e culturale.
Dal 14 novembre 2015 al 28 febbraio 2016, la mostra De Chirico a Ferrara, 1915-1918. Pittura metafisica e avanguardie europee celebrerà il centenario dell’arrivo di Giorgio de Chirico nella città estense e racconterà la nascita e lo sviluppo di una delle più importanti correnti artistiche del Novecento: la pittura metafisica. Organizzata in collaborazione con l’Archivio dell’Arte Metafisica e con la Staatsgalerie di Stoccarda e curata da Paolo Baldacci e Gerd Roos, l’esposizione ricostruirà il percorso di Giorgio de Chirico nei tre anni trascorsi a Ferrara, che determinano profondi cambiamenti nella sua opera. De Chirico infatti trova ispirazione nelle atmosfere sospese della città emiliana: scorci urbani e interni si popolano di manichini, di oggetti scoperti nelle vetrine del ghetto, di dolci e forme di pane tipiche della tradizione locale che, accostati l’uno all’altro, liberano nuovi e misteriosi significati. La pittura ferrarese di De Chirico ha avuto un’influenza cruciale non solo sull’arte italiana, ma anche sulle avanguardie europee. Per questa ragione ai dipinti metafisici realizzati dell’artista in questi anni faranno eco le opere di alcuni dei suoi compagni d’avventura, come Carlo Carrà, Filippo de Pisis e Giorgio Morandi, e alcune dei capolavori dei più importanti artisti dadaisti, come Man Ray e Raoul Hausmann, e surrealisti, come René Magritte, Max Ernst e Salvador Dalí.
Dal 24 settembre 2016 Palazzo dei Diamanti dedicherà una nuova e affascinante esposizione a uno dei capolavori della letteratura occidentale, l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, per celebrare i 500 anni della prima edizione. La mostra, a cura di Guido Beltramini e Adolfo Tura, si prefigge di andare oltre la semplice dimensione documentaria o di analisi della fortuna figurativa del libro, e si propone come un inedito, coinvolgente viaggio nell’universo ariostesco. Attraverso una selezione di splendide opere, alcune delle quali dei grandi artisti nominati dall’Ariosto nel poema – da Bellini a Mantegna, da Dosso a Leonardo, da Raffaello a Sebastiano del Piombo, da Michelangelo a Tiziano –,
l’esposizione condurrà il visitatore tra le pagine del Furioso, facendo rivivere il fantastico mondo cavalleresco che nutrì l’immaginario del suo autore. Dipinti, sculture, disegni, incisioni, arazzi, armi, libri, manoscritti e manufatti di straordinaria bellezza, evocheranno le battaglie, i tornei, gli amori e le imprese dei paladini ariosteschi, offrendo al tempo stesso un suggestivo spaccato della Ferrara in cui fu concepito il poema e raccontando giochi, sogni, desideri e fantasie di quella società delle corti italiane del Rinascimento di cui Ariosto fu cantore sensibilissimo.
Nel solco della consolidata attività di promozione della conoscenza di Ferrara e di quei fenomeni artistici e culturali germogliati in città che hanno avuto grande respiro internazionale, la Fondazione Ferrara Arte è promotrice anche dell’apertura, nell’autunno 2015, di una mostra dedicata a Michelangelo Antonioni: l’EYE Filmuseum di Amsterdam ospiterà infatti dall’11 settembre al 29 novembre 2015, la quarta tappa della mostra dedicata al maestro ferrarese e al patrimonio del Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara-Museo Michelangelo Antonioni, dopo gli appuntamenti a Palazzo dei Diamanti, al Centre for Fine Arts di Bruxelles e alla Cinemathèque Française di Parigi.

Museo dei Tasso e della Storia postale: presentazione del nuovo volume sui Tasso

Domani, sabato 2 maggio, ore 16.30, presso l’Aula Didattica del Palazzo del Podestà di Bergamo (Piazza Vecchia, Città Alta), presentazione del volume “I Tasso, maestri della posta imperiale a Venezia. Storia di una famiglia bergamasca dal 1500 al 1700” di Bonaventura Foppolo.

La presentazione è stata organizzata con la Fondazione Bergamo nella Storia.

Il libro ricostruisce la storia del ramo della famiglia Tasso che gestì la Posta imperiale a Venezia dal 1541 al 1796. L’autore racconta le vicende di sette generazioni che, a partire dal capostipite Davide Tasso, coprirono un arco temporale di 300 anni, durante i quali la famiglia accrebbe le sue ricchezze e il suo prestigio nell’ambito della società veneziana.
La storia di questa famiglia s’intrecciò con i cambiamenti del mondo politico, culturale e sociale dei secoli in cui si occupò di posta, vivendo la trasformazione del sistema delle comunicazioni che da “posta dei re” divenne “posta di tutti”.
All’incontro interverranno: Emilio Moreschi, Consigliere Delegato della Fondazione Bergamo nella Storia; Gianfranco Lazzarini, Presidente del Museo dei Tasso e della Storia postale e Bonaventura Foppolo, autore del volume.
Museo dei Tasso e della Storia postale
Via Cornello, 22 - 24010 Camerata Cornello (Bg)
Tel/fax. 034543479


Sito internet: www.museodeitasso.com

APRE IL MUSEO DELL’ARTE CONTADINA DI LUCITO, IN MOLISE

Aprirà al pubblico il prossimo 9 maggio alle 16,30 il Museo dell’Arte contadina di Lucito. La struttura intitolata “Lucito...un Monumento rurale per l’arte contadina Molisana” si trova in via Gabriele Pepe.

 L’iniziativa nasce dalla volontà di promuovere e diffondere la scoperta, la conoscenza e la salvaguardia degli attrezzi agricoli del passato in tutti i suoi aspetti. Il progetto è stato realizzato grazie al Bando del Programma di Sviluppo Rurale 2007/2013. Il museo è entrato a far parte dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei, «un vanto unico - afferma l’ideatore del progetto Christian Agricola per questa piccola realtà e questa regione».




All'inaugurazione è prevista la presenza del sindaco di Lucito, il presidente del Gal Molise verso il 2000, il presidente dell’associazione nazionale dei Piccoli Musei Italiani, il Presidente della regione Molise e l’assessore regionale alle politiche agricole. Seguirà la visita guidata al museo da parte della dottoressa Ilaria Di Cillo, laureata all'Università degli Studi del Molise in Archeologia Beni Culturali e Turismo che si è occupata in modo volontario di restaurare, inventariare e catalogare gli oltre 600 pezzi che saranno esposti nel museo.
Articolo tratto dal sito primonumero.it.

Nepal, ecco il patrimonio culturale annientato dal terremoto: le foto

Libere riflessioni sulle Invasioni Digitali



Invasioni Digitali si è imposta all’attenzione del pubblico ormai da alcuni anni, invitando le persone a visitare i luoghi della cultura e a condividerne fotografie e video attraverso i social media. Osservando le Invasioni che si sono svolte in questi anni e che si stanno compiendo proprio in questi giorni, si nota la quasi totale assenza, con poche eccezioni, di un “racconto” delle varie iniziative. Intendo, con questo, non tanto la creazione di storify realizzati dopo gli eventi, ma il racconto dell’Invasione mentre questa è in corso. Un esempio può essere Urban Experience, cui ho avuto occasione di prendere parte non molto tempo fa, a Viterbo.
Chi non partecipa realmente all’evento, infatti, rimane escluso, e le foto, soprattutto quelle postate su Twitter, spesso sono corredate da poche descrizioni. Ciò comporta che, nell’insieme, le Invasioni non siano altro che un’ampia panoramica di tanti luoghi culturali che rischia, però, nel suo insieme, di apparire indistinta. Inoltre, mancando delle efficaci forme di “racconto”, chi segue dall’esterno non viene coinvolto, soprattutto dal punto di vista emotivo, e quindi si osservano poche interazioni esterne. La “partecipazione” collettiva sui social è un aspetto fondamentale e indispensabile per un evento che vuole promuovere la comunicazione digitale. Il primo impegno dovrebbe essere, dunque, non solo la condivisione di immagini (e possibilmente di contenuti) ma soprattutto l’interazione con il resto della comunità digitale.


La sensazione che Invasioni Digitali non faccia emergere le singole esperienze in modo più visibile si evidenzia anche nella consuetudine, prevista dal regolamento, di scattare una foto di gruppo finale con il cartello recante la scritta “Invasione compiuta”. Questo dettaglio, apparentemente poco rilevante, in realtà contribuisce a rendere le iniziative meno “personali”. Se infatti ogni Invasione si concluderà in maniera identica, soprattutto per quanto riguarda lo slogan utilizzato, sarà problematico individuare delle differenze tra un evento e l’altro; invece, se al posto dello slogan uguale per tutti, il cartello venisse utilizzato per inviare un messaggio più soggettivo, una breve frase che sia in grado di rappresentare con estrema sintesi i sentimenti del gruppo che ha compiuto quella determinata Invasione, scelta con l’aiuto di ciascuno (operazione che aiuterebbe anche a elaborare l’esperienza), allora non solo le Invasioni apparirebbero meno standardizzate, ma gli Invasori assumerebbero un ruolo ancora più attivo. 



Nuova apertura delle sale del Museo Archeologico di Tuscania

Il primo maggio, alle ore 11,00 al Museo Nazionale Archeologico di Tuscania, la Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria Meridionale, riapre al pubblico le sale che ospitano i reperti provenienti da alcune fra le più importanti necropoli rupestri dell’Etruria interna. A testimonianza del prestigio raggiunto dagli abitanti della città nel periodo arcaico troviamo le lastre che decoravano edifici provenienti dalla necropoli di Ara del tufo e i preziosi corredi rinvenuti nelle camere funerarie dei tumuli di Guado Cinto. Un unicum, nel vasto panorama delle necropoli rupestri, è rappresentato dalla tomba a Casa con Portico della necropoli di Pian di Mola, che offre un modello di edilizia privata/sacrale del VI sec. a.C. . L’esposizione museale si conclude con gli opulenti corredi funerari dell’aristocrazia dell’età ellenistica, a testimonianza della prosperità economica del territorio
Il Museo Nazionale Archeologico di Tuscania è aperto al pubblico tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle ore 8,30 alle ore 19,30. L’ingresso è gratuito.
 

Museo archeologico Nazionale Tuscanese

Largo Mario Moretti, 1

01017 Tuscania

FEDERICO GORI / COME AFFERRARE IL VENTO


Pistoia, Palazzo Fabroni 9 maggio / 26 luglio 2015

Inaugurazione venerdì 8 maggio 2015, ore 18
con aperitivo in terrazza e apertura fino alle 22
Inaugurerà venerdì 8 maggio p.v., alle ore 18.00, a Palazzo Fabroni (Pistoia, via Sant’Andrea 18) la mostra FEDERICO GORI/COME AFFERRARE IL VENTO. Promossa e organizzata dal Comune di Pistoia/Palazzo Fabroni, e curata da Marco Pierini, la mostra è un’iniziativa realizzata con la collaborazione del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci nell’ambito del progetto regionale “Cantiere Toscana Contemporanea”. È sponsorizzata da Publiacqua.
Progettata interamente per le sale del secondo piano di Palazzo Fabroni, l'esposizione si lega al contesto architettonico e storico dell’edificio in maniera organica, in un equilibrio compositivo pensato ad hoc per gli spazi del museo, in modo che il tutto appaia come un’unica, grande installazione composta però, al suo interno, da opere differenti per natura, dimensioni e materiali. Si tratta della prima, grande mostra personale che Federico Gori, che vive e lavora a Pistoia, tiene in un istituto museale pubblico.
Ulteriori informazioni:

 Cari amici, in questi anni in cui ho svolto l’incarico di direttore scientifico del Museo Civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, dal 2019 a...