Lo scorso anno Alexandra Generalova ha svolto un’intervista con Pierre-Olivier Rollin per la rivista culturale online COLTA.RU.
Rollin è direttore del
Museo di Arte Contemporanea BPS22 a Charleroi, in Belgio, e ha partecipato ad
un progetto del BOZAR Centre for Fine Arts di Bruxelles, con il sostegno dell'Unione Europea, della Fondazione
Vladimir Potanin e del governo delle Fiandre, che è consistito in una serie di
seminari online denominati “The Art of Community Building”, a cui hanno preso
parte curatori belgi e russi.
Di seguito il testo dell’intervista:
AG - In preparazione all'intervista, ho letto un testo di 20 anni fa sul New York Times , in cui Charleroi veniva descritta come un centro degradato, occupato dalla criminalità. È vero o è un'esagerazione giornalistica?
POR - Charleroi è una città industriale nella provincia vallone dell'Hainaut.
Non abbiamo un patrimonio architettonico e culturale di epoche diverse come a
Bruxelles, Gand, Liegi, ma solo industriale. Il Museo di Arte Contemporanea BPS
22 è ospitato in un edificio in vetro e ferro costruito per un'esposizione
industriale all'inizio del XX secolo.
Dopo la crisi industriale degli anni '70 nel mondo occidentale,
Charleroi si impoverì e molti residenti persero il lavoro. Non c’erano
università in città, e se volevi studiare, dovevi andartene. In genere, dopo
aver conseguito un diploma, nessuno voleva ritornare. Per questo ci sono pochi
specialisti qualificati a Charleroi ed è difficile cambiare la vita sociale
qui.
Non abbiamo espressioni artistiche perché non ci sono scuole d'arte e
se un giovane artista vuole fare carriera dovrà necessariamente trasferirsi a
Bruxelles o in Francia, per esempio, dove anche le piccole città hanno
università e scuole d'arte. Quindi il compito del nostro museo è stato quello
di creare nuove opportunità per i residenti. È importante che il mio lavoro sia
diverso da quello che fanno i curatori a Bruxelles, ad esempio, perché il
nostro pubblico non è costituito da persone ricche che hanno avuto
l'opportunità di ricevere una buona istruzione.
AG – Quindi la comunità di Charleroi può essere interessata a un museo
di arte moderna?
POR - I progetti educativi sono per noi ancora più importanti dei progetti
espositivi: in questo modo siamo stati in grado di costruire un dialogo con il
nostro pubblico senza imporre il mio punto di vista, senza voler essere un
maestro che dà direttive, anzi, aiutando il visitatore a formarsi una propria
visione dell'arte contemporanea. BPS 22 riceve soldi dallo Stato, cioè vive
delle tasse dei cittadini: devo rispettarli e provare in tutti i modi ad instaurare
un dialogo con loro.
Il governo cittadino ha un piano per lo sviluppo del paesaggio
culturale di Charleroi. Il primo passo è il sostegno delle istituzioni
culturali, poi la trasformazione del centro cittadino che si trova in uno stato
di degrado: la maggior parte degli edifici necessita di interventi di restauro.
A lungo termine si prevede l'apertura di un istituto di istruzione superiore
per dare alla popolazione l'opportunità di studiare. Vorremmo aderire a questo
“piano generale” e promuovere la nascita di una scuola d'arte a Charleroi,
strettamente legata al museo. In città vivono più di 200 mila persone, dunque è
uno tra i cinque centri più grandi del paese, non può non avere una propria
scuola d'arte. Vorrei creare un centro d'arte che contemplasse programmi in cui
articolare contesti locali e globali allo stesso tempo, dove gli artisti
invitati potrebbero creare progetti che immaginassero una nuova realtà per
Charleroi. Allo stesso tempo, vorrei sostenere e incoraggiare i giovani artisti
delle province vallone.
Il Museo BPS 22 non è il più grande della parte francofona del Belgio,
ma non è nemmeno il più piccolo. Dovrebbe essere lo spazio in cui il visitatore
sia indotto a pensare ai problemi della società nel mondo moderno, quindi ho
creato il museo principalmente per la riflessione e non per l'intrattenimento o
il piacere estetico.
AG - Come crei la tua collezione? Come spazio d'arte, BPS 22 opera dal
2000, ma come museo da soli cinque anni.
POR - Abbiamo 7.000 oggetti nella nostra collezione, ma questo non è
solo un nuovo museo di arte moderna - è un museo d'arte dell'intera provincia
dell'Hainaut, quindi abbiamo anche opere del XIX secolo. Spendiamo parte del
budget per acquisire lavori di artisti locali.
Mi interessa concentrarmi sul rapporto tra arte e politica, così come
arte e società: questo principio aiuta a scegliere le nuove opere coerenti con
la collezione e a costruire un dialogo tra loro. Ad esempio, il nostro ultimo
acquisto è un'opera dell'artista messicana Teresa Margolish, la cui mostra You
Obey - Or They Will Make You Obey (“Obbedisci” o “Ti faranno obbedire”) è stata
ospitata da noi nel 2019. Il titolo è una frase di avvertimento, quasi il
testamento lasciato da uno spacciatore messicano prima di essere ucciso da una
potente organizzazione nel traffico internazionale della droga. L'artista ha
creato le sue opere in risposta a questa brutalità che sta devastando il paese
ed ha analizzato la società messicana.
AG - Puoi citare alcuni dei principali elementi della collezione BPS
22?
POR - Abbiamo fotografie di Andres Serrano, Cindy Sherman, c'è il
lavoro di Jan Fabre, Alighiero Boetti. Abbiamo recentemente acquistato un
bellissimo dipinto dell'artista svizzera Mariam Kan, un arazzo dei fratelli
artisti rumeni Gert e Uwe Tobias, che ora stanno lavorando in Germania. Stiamo
cercando di espandere la collezione con opere di artisti africani - il budget è
piccolo , ma lo usiamo in modo adeguato alla nostra strategia.
A questo proposito, abbiamo in programma di acquistare in futuro
un'opera dell'artista russo Andrei Molodkin, che nel 2009 ha esposto nel
padiglione nazionale della Russia alla Biennale di Venezia, una particolare
installazione pompante petrolio e sangue. L'anno scorso abbiamo mostrato le
opere di Molodkin insieme alle opere di Erik Bulatov nella mostra Black
Horizon.
AG - Come hai conosciuto le opere di Molodkin?
POR - Attraverso la fondazione a/politica
di Andrey Tretyakov, con sede a Londra, grazie alla quale siamo stati in grado
di mostrare le grandi opere di otto metri di Erik Bulatov alla prima mostra del
maestro in Belgio: sono cose follemente costose, un progetto del genere per un
museo è troppo pesante senza un supporto esterno. Nel 2018 il museo ha esposto
una collezione /politica alla mostra di arte politica US OR CHAOS , dove
sono stati presentati anche Bulatov, Molodkin, Andres Serrano, Santiago Sierra,
gruppo DEMOCRACIA , Franco B e una documentazione video dell’installazione “Lighting”
di Peter Pavlensky, a Parigi.
A proposito di Pavlensky, credo che si
tratti di un artista poco adatto alla rappresentazione in un museo, la sua arte
è destinata ai social media. Questo è un nuovo tipo di artista. Sì, puoi
stampare una foto della sua installazione per esporla nella mostra, ma non sarebbe
molto interessante. La maggior parte degli artisti ha bisogno di sale
espositive, ma ovviamente non Pavlensky.
AG - Qual è l'atteggiamento nei confronti
dell'arte politica a Charleroi, nella provincia dell'Hainaut e in Belgio in
generale?
POR - Quando ho discusso di questo
problema con giovani artisti della parte francofona del paese, mi sono reso
conto che non erano molto interessati all'agenda politica.
AG - Quante mostre fai all'anno?
POR – Non più di quattro grandi mostre,
solitamente tre. Le realizziamo grazie all’apporto dei curatori e mi piace
anche invitare curatori di altre istituzioni e paesi per alcune mostre specifiche.
Parallelamente realizziamo anche progetti più piccoli, ad esempio mostre di
giovani artisti. Non abbiamo una mostra permanente nella nostra collezione,
come avviene solitamente nei musei, ma periodicamente realizziamo un progetto
in cui viene ripensata la collezione. Una sala del museo è dedicata al nostro
archivio di mail-art degli anni '60-'70 e di fanzine realizzate da artisti
belgi francofoni. Cambiamo questa esposizione ogni tre mesi.
AG - Perché hai deciso di collezionare una
raccolta di fanzine?
POR - Per ragioni pratiche: non disponiamo
di un budget elevato e non possiamo sempre permetterci di acquistare opere di
artisti belgi anche viventi.
Pertanto, ci concentriamo su ciò che non è
così interessante per le istituzioni che hanno maggiori disponibilità
finanziarie. Mi interessa lavorare su aspetti dell’arte poco conosciuti e sulle
parti meno studiate della storia dell'arte: la mail art è una di queste. Le fanzine
sono interessanti in quanto associate alla cultura rock, alle comunità di fan. Grazie
a queste cose possiamo avere uno sguardo più ampio sulla cultura.
AG - Raccontaci in che cosa consiste la
tua pratica curatoriale.
POR - Preferisco essere uno sparring
partner per gli artisti con cui lavoro. Mi piace questa metafora perché anche
lo sparring partner combatte. Mi piacciono di più le mostre personali, mi
permettono di conoscere più a fondo l'artista, di capirlo. Come ho detto prima,
mi piace trovare vari modi per "tradurre" argomenti globali nella
realtà locale - questa è il mio principale intento curatoriale.
AG - Chi è per te il curatore più
influente?
POR – Nella mia vita sono felice di essere
riuscito a comunicare con Harald Zeeman
durante la preparazione della mostra Visionary Belgium, dedicata al 175°
anniversario del Belgio, nel 2005: Questa è stata la sua ultima mostra. Era una
persona incredibile che, in generale, ha inventato la professione curatoriale:
molto impulsivo e allo stesso tempo molto riservato.
AG - Quali competenze sono indispensabili
per un curatore moderno?
POR - La flessibilità intellettuale.
Questo è fondamentale quando si lavora con codici culturali diversi, punti di
vista diversi.