Libere riflessioni sulle Invasioni Digitali



Invasioni Digitali si è imposta all’attenzione del pubblico ormai da alcuni anni, invitando le persone a visitare i luoghi della cultura e a condividerne fotografie e video attraverso i social media. Osservando le Invasioni che si sono svolte in questi anni e che si stanno compiendo proprio in questi giorni, si nota la quasi totale assenza, con poche eccezioni, di un “racconto” delle varie iniziative. Intendo, con questo, non tanto la creazione di storify realizzati dopo gli eventi, ma il racconto dell’Invasione mentre questa è in corso. Un esempio può essere Urban Experience, cui ho avuto occasione di prendere parte non molto tempo fa, a Viterbo.
Chi non partecipa realmente all’evento, infatti, rimane escluso, e le foto, soprattutto quelle postate su Twitter, spesso sono corredate da poche descrizioni. Ciò comporta che, nell’insieme, le Invasioni non siano altro che un’ampia panoramica di tanti luoghi culturali che rischia, però, nel suo insieme, di apparire indistinta. Inoltre, mancando delle efficaci forme di “racconto”, chi segue dall’esterno non viene coinvolto, soprattutto dal punto di vista emotivo, e quindi si osservano poche interazioni esterne. La “partecipazione” collettiva sui social è un aspetto fondamentale e indispensabile per un evento che vuole promuovere la comunicazione digitale. Il primo impegno dovrebbe essere, dunque, non solo la condivisione di immagini (e possibilmente di contenuti) ma soprattutto l’interazione con il resto della comunità digitale.


La sensazione che Invasioni Digitali non faccia emergere le singole esperienze in modo più visibile si evidenzia anche nella consuetudine, prevista dal regolamento, di scattare una foto di gruppo finale con il cartello recante la scritta “Invasione compiuta”. Questo dettaglio, apparentemente poco rilevante, in realtà contribuisce a rendere le iniziative meno “personali”. Se infatti ogni Invasione si concluderà in maniera identica, soprattutto per quanto riguarda lo slogan utilizzato, sarà problematico individuare delle differenze tra un evento e l’altro; invece, se al posto dello slogan uguale per tutti, il cartello venisse utilizzato per inviare un messaggio più soggettivo, una breve frase che sia in grado di rappresentare con estrema sintesi i sentimenti del gruppo che ha compiuto quella determinata Invasione, scelta con l’aiuto di ciascuno (operazione che aiuterebbe anche a elaborare l’esperienza), allora non solo le Invasioni apparirebbero meno standardizzate, ma gli Invasori assumerebbero un ruolo ancora più attivo. 



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