Community engagement: un'analisi recente

Riporto qui un brano dell'articolo "COMMUNITY ENGAGEMENT NEI MUSEI PUBBLICI LOCALI" di Francesco Giaccari, Francesca Imperiale e Valentina Terlizzi, pubblicato in MANAGEMENT ARTI E CULTURE Resoconto del primo anno del GSA Accademia Italiana Economia Aziendale, a cura di Luigi Maria Sicca e Luca Zan, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014. Gli autori analizzano la situazione italiana in riferimento all'effettiva attuazione di pratiche di coinvolgimento della comunità nella gestione del museo.
In base alle informazioni raccolte attraverso la consultazione dei siti web di 262 musei pubblici locali è possibile affermare come nella maggior parte dei casi l’apertura ai temi del community engagement abbia interessato solo le modalità di comunicazione esterna, specificamente la predisposizione di un’immagine più viva e aperta e l’adozione di strumenti online di interazione con gli utenti (email, social network, newsletter, etc.). Inoltre, nel 19% dei casi esaminati sono state riscontrate dichiarazioni di mission attente ai temi dell’inclusione del pubblico, alle quali tuttavia non sembrano corrispondere, in base alle informazioni pubblicate, pratiche concrete di coinvolgimento di cittadini e/o loro gruppi. Diversa è la situazione emergente dai sei casi di studio approfonditi mediante somministrazione ai direttori dei musei coinvolti di apposito questionario. In tutti e sei i casi esaminati, si tratta di musei che perseguono e programmano annualmente (5/6) chiari obiettivi di inclusione del pubblico, per esigenze legate a:
1.      condivisione di conoscenze e contenuti culturali (6/6);
2.      ampliamento del numero dei visitatori (5/6);
3.      promozione della diversità culturale (5/6);
4.      promozione della cittadinanza attiva e della coesione sociale (6/6);
5.      «miglioramento della qualità del programma di attività includendo le competenze e le energie del pubblico» (intervista C. Collu, Direttore MART).
Ognuno di questi musei include nelle proposte culturali i cittadini residenti nel proprio territorio oltre a rivolgersi, a seconda delle attività, a target specifici di utenza come gli studiosi, i turisti, le scuole, i disabili. Il museo di Rovereto ha dichiarato di programmare, ultimamente, attività finalizzate all’inclusione di minoranze etniche, il museo di Saluzzo di coinvolgere maggiormente le famiglie, quello di La Spezia di lavorare anche con le comunità religiose, e infine il museo del Finale di rivolgere parte della sua programmazione a disabili psichici. Interessante è però evidenziare anche “come” questi musei si attivano per includere il pubblico nelle proposte culturali: ben quattro musei su sei si limitano a fornire informazioni adeguate. Soltanto i musei di Rovereto e del Finale consultano il pubblico per ottenere dei feedback per la formazione delle proposte culturali, lo coinvolgono nel processo di formulazione al fine di conoscere e considerare le esigenze e le aspettative del pubblico. Il museo di Rovereto ha aggiunto inoltre di «modificare le proprie policy in risposta ad esigenze del pubblico» (intervista C. Collu, Direttore MART). I musei che attivano una relazione solo in termini di trasferimento di informazioni adeguate (4/6): • sono soliti raccogliere anche le opinioni del pubblico tramite la somministrazione di questionari e l’analisi dei commenti pubblicati dagli utenti sui social media attivati dal museo; • non consentono al pubblico di partecipare alle decisioni del museo, sebbene talvolta le stesse sono influenzate dalle preferenze ed opinioni espresse; • instaurano un rapporto di tipo collaborativo con alcuni target della comunità di riferimento, affinché si sentano partecipi fruendo di specifiche proposte culturali pianificate dal museo; • dichiarano, sulla base di una specifica attività di monitoraggio, che le attività di coinvolgimento del pubblico poste in essere hanno determinato un incremento dei visitatori, specificamente di target specifici e, a livello territoriale, un considerevole aumento della partecipazione ad attività culturali da parte di categorie sociali emarginate. In tali casi, non essendo ravvisabile alcun trasferimento di potere decisionale, si può dire che i musei hanno posto in essere un’attività di comunicazione con cittadini e gruppi sociali specifici, raggiungendo migliori performance in termini di incremento del numero dei visitatori ed aumento dell’inclusione sociale a livello territoriale. Diversa è la situazione per il MART di Rovereto e il Museo del Finale, per i quali si configurano rapporti rispettivamente di tipo diverso. Il Museo del Finale pone in essere un’attività di co-creazione con cittadini e target specifici (scuole e disabili psichici), di tipo informativo e consultivo sul piano dei processi decisionali, ma maggiormente coinvolgente sul piano dell’attuazione delle proposte pianificate, giacché il museo fa sì che il suo pubblico partecipi attivamente alla realizzazione delle proposte e si senta a proprio agio nel perseguire i propri interessi ed obiettivi utilizzando il museo. Si tratta tuttavia di un’apertura in senso ospitale e di mutuo scambio di risorse nel rispetto delle regole del museo, e non in senso deliberativo, poiché non influente sulla politica culturale e sulle relative attività attuative, che rimangono in capo al museo. In termini di risultati e impatti raggiunti, si aggiungono, rispetto alle situazioni precedenti, un aumento della soddisfazione del pubblico e la sostenibilità delle proposte attivate dopo sei mesi dalla loro conclusione.
In tale situazione, il museo ha attuato di fatto un trasferimento di potere operativo. Il MART di Rovereto aggiunge un ulteriore tassello alla discussione del tema oggetto di indagine, poiché instaura un rapporto con le comunità di riferimento più pregnante sul piano dei processi decisionali di governo. Nello specifico l’attività di coinvolgimento di cittadini e gruppi sociali specifici può dirsi di tipo deliberativo poiché: • consulta il pubblico utilizzando apposite tecniche di facilitazione (workshop deliberativi) e modifica le proprie policy in risposta ad esigenze del pubblico; • il pubblico partecipa alle decisioni del museo attraverso un rappresentante con diritto di voto negli organi decisionali del museo; • il museo elabora e diffonde al pubblico un report annuale sulle attività svolte. È interessante osservare come le attività di coinvolgimento del pubblico poste in essere dal MART abbiano consentito il raggiungimento di ulteriori risultati. Non solo un incremento del numero dei visitatori e della relativa soddisfazione, ma anche l’acquisizione di nuove collezioni e l’incremento delle risorse finanziarie del museo. In termini di impatto territoriale, invece, si rileva in aggiunta un aumento dell’iniziativa culturale dei cittadini, la nascita di nuove reti sociali, lo sviluppo di nuove idee, servizi e modelli per affrontare meglio le questioni sociali. Il MART ha dunque optato per un trasferimento di potere di governo e la condivisione della responsabilità culturale. Infine, ad eccezione di un caso, si può osservare come il principale cambiamento attuato dai musei esaminati rispetto ai propri assetti di management abbia riguardato l’inserimento di figure professionali specializzate in mediazione culturale. Rispetto al dibattito internazionale sul tema, il contesto esaminato consente di giungere a conclusioni già rilevate in altri contesti, ovvero che: il community engagement non possa considerarsi una pratica omogenea; sono identificabili tre possibili archetipi di comportamento strategico, in relazione al ruolo di cliente, fornitore o imprenditore riconosciuto dall’istituto museale al suo interlocutore, in termini di tipologia di potere decisionale posto in relazione; le pratiche poste in essere producono benefici anche per chi le attua. In relazione a tale ultimo aspetto, il contesto esaminato consente di osservare in aggiunta una certa relazione di tipo incrementale tra risultati e intensità della relazione. Rispetto al dibattito nazionale sui temi del management dei beni culturali pubblici, i risultati dello studio aprono nuove prospettive in tema di assetti di governance partecipata dei musei locali, allargando il novero dei soggetti da coinvolgere nella gestione a coloro che idealmente sono proprietari e fruitori dei beni culturali musealizzati, ciò in coerenza con la genesi della loro istituzione a livello locale e tenuto conto dei potenziali effetti in termini di risultati aziendali.

Volontari o stagisti?

MiBAC e Ministero del Lavoro stipulano un protocollo d'intesa per l'impiego di 2.000 "volontari" in servizio civile nazionale nelle attività di tutela, di fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale
Poveri professionisti della cultura!
Sempre meno le prospettive per il futuro...

(immagine tratta da 
http://napoleonlive.info/what-i-think/help-the-homeless/)
 
Il Ministero dei beni e delle attività culturali e il Ministero del Lavoro hanno stipulato un protocollo d'intesa per l'impiego di 2.000 volontari in servizio civile nazionale nelle attività di tutela, di fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale. “Si tratta del primo protocollo interistituzionale" – ha dichiarato il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini - "che inaugura un percorso di sperimentazione di progetti di servizio civile nazionale innovativi, capaci di coniugare lo spirito proprio del servizio civile, esperienza di formazione e arricchimento sia per i giovani che per la società, con la necessità di agevolare l’ingresso di giovani professionalità nel mondo del lavoro”. L'operazione costerà complessivamente circa 11 milioni di euro per il 2014/2015, ed è destinata, nella metà dei casi, a giovani che si trovino in condizioni di disoccupati o inoccupati e nel contempo, non risultino essere inseriti in un percorso di  istruzione  e  di formazione. L'altra metà dei "volontari" che beneficeranno del finanziamento del MiBACT "verranno impegnati in progetti dedicati alla tutela del patrimonio culturale di musei, archivi e biblioteche, con particolare attenzione alla diffusione della cultura tra le giovani generazioni".

C'è qualcosa che non funziona in questo protocollo d'intesa. Il primo dubbio, il più rilevante, riguarda la preparazione di questi giovani che verranno impiegati in tutte le funzioni più importanti svolte dagli enti culturali: si parla di tutela, di fruizione, di valorizzazione! Ma quali sono i requisiti che si richiedono? Quale tipo di preparazione? Sembrerebbe superfluo ribadire che la cura del patrimonio culturale richiede competenze altamente specialistiche in ogni singolo settore di intervento e che i professionisti della cultura sono laureati, specializzati e dottori di ricerca che hanno dedicato anni della loro vita e risorse per raggiungere questa preparazione. Evidentemente questo sembra un aspetto trascurabile per chi ha potere decisionale.

Il secondo dubbio riguarda l'uso del termine "volontari". Chi sono i volontari? C'è una ricca letteratura in proposito, ci sono normative, definizioni universali. Il testo della Legge quadro sul volontariato 266/91 recita all’art. 2:

1. Ai fini della presente legge per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.

2. L’attività del volontariato non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.

3. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte.

L’art 2, quindi, già smentisce l’interpretazione del termine da parte dei due Ministeri: si parla di attività svolte a titolo completamente gratuito, invece in questo caso chi svolge il servizio civile riceve una retribuzione, seppur minima. Ma c'è un altro aspetto da non sottovalutare e che riguarda la libertà di partecipazione: tutti dovrebbero poter contribuire con le proprie competenze e capacità alle attività di volontariato, quando questo è correttamente inteso come partecipazione spontanea dei cittadini ad attività di vario tipo, nell’interesse di tutta la collettività. Nel caso in questione, invece, il servizio civile è riservato a giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni, aventi cittadinanza italiana. Quindi una categoria di persone ben definita che ne esclude molte altre. In questo caso, dunque, non si può parlare di partecipazione attiva e spontanea della cittadinanza, ma di risposta di alcuni ad una ricerca di persone con determinati requisiti di età e di condizione occupazionale.

Quali sono le conclusioni? Il dato di fatto è che si tratta dell’ennesimo affronto al mondo dei professionisti culturali italiani. Dopo l’operazione “The Hidden Treasure of Rome” - l’accordo tra Enel, Comune di Roma e Musei Capitolini che prevede la cessione temporanea all’estero, per fini di studio e di ricerca, di centinaia di reperti archeologici, scavalcando, di fatto, a piè pari, tutto il mondo della ricerca, degli accademici e dell’archeologia italiana in generale - ecco che ora, evidentemente nella convinzione che il patrimonio culturale possa essere gestito da chiunque, senza bisogno di preparazione specifica, si ricorre al servizio civile per supplire alla necessità di personale, ormai cronica, nell’ambito dei beni culturali. I giovani che saranno impiegati in questa circostanza non sono volontari, forse possono essere definiti “stagisti”, ma in ogni caso il loro impiego, con le modalità che sono state descritte, appare improprio e, soprattutto, ingiusto. Infatti, in questo caso, non si tratta di tenere aperti i musei durante una giornata speciale come avvenuto lo scorso anno, quando difesi le decisioni del MiBAC. Ora la circostanza è completamente diversa e si danneggiano non solo i professionisti culturali ma anche i volontari veri che, ancora una volta, si trovano al centro di discussioni che rischiano di creare fraintendimenti riguardo la natura effettiva del volontariato, il quale, mi piace sempre sottolinearlo, consente a tutti i cittadini di partecipare alle attività della comunità di appartenenza, senza mai sostituirsi ai lavoratori retribuiti.


Giornata Internazionale dei diritti delle persone con disabilità 2014




Mercoledì 3 dicembre 2014 ricorre la "Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità" come stabilito dal "Programma di azione mondiale per le persone disabili" adottato nel 1982 dall'Assemblea generale dell'ONU.
Seguendo l'invito del MIBACT, e condividendo la verità che l'accesso alla cultura è un diritto fondamentale sancito dalla Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità (art. 30), l'Associazione Nazionale Piccoli Musei aderisce alla Giornata e invita i piccoli musei a promuovere iniziative speciali per le persone con disabilità.

#smallmuseumtour: incontro con il Museo Archeologico Virtuale di Ercolano




Domani su Twitter nuovo appuntamento di #smallmuseumtour, il progetto social dell' Associazione Nazionale Piccoli Musei.  Icontreremo il Museo Archeologico Virtuale di Ercolano-MAV e sarà posssibile rivolgere domande al direttore Ciro Cacciola.
Il MAV è gestito dalla Fondazione C.I.V.E.S., la quale, grazie ad un accordo con il Comune di Ercolano e con la Provincia di Napoli, si è assunta l'onere di riqualificare un ex edificio scolastico destinandolo a sede del museo.
Il MAV è stato inaugurato l'8 luglio del 2008 ed è un vero e proprio centro di cultura e tecnologia applicata ai beni culturali, un'eccellenza del settore tra le più avanzate in Italia. Il museo ospita un percorso virtuale e interattivo che accompagna il visitatore a rivivere emozioni e sensazioni che lo riportano indietro nel tempo, fino ad un attimo prima la famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. 
 Nel sito http://www.museomav.it/ si possono trovare molte informazioni ma domani lo stesso direttore del Museo potrà soddisfare eventuali curiosità che riguardano il museo, la sua organizzazione e la sua gestione. Sarà un tour virtuale di grandissimo interesse, pertanto vi attendiamo numerosi come sempre!

Musei da podio?

La mania delle classifiche nei media e nei blog di tutto il mondo


Ogni tanto compaiono sul web alcune classifiche: i dieci migliori musei del mondo, i musei più social, i migliori blog museali.

Ecco una lista:
http://edition.cnn.com/2014/06/16/travel/world-top-museums/; http://www.telegraph.co.uk/travel/10062522/The-worlds-best-museums-a-guide.html; http://jonaslund.biz/works/the-top-100-highest-ranked-curators-in-the-world/; http://museummedia.nl/links/100-best-curator-and-museum-blogs/;
http://shortyawards.com/category/6th/museum; http://www.repubblica.it/speciali/arte/gallerie/2014/08/06/foto/i_10_musei_da_vedere_sono_i_pi_belli_del_mondo-93274206/1/;
http://www.tgcom24.mediaset.it/viaggi/2014/notizia/musei-ecco-i-piu-belli-del-mondo_2068118.shtml.

Personalmente non amo le classifiche perché somigliano tanto ai concorsi di bellezza, si basano molto sull'apparenza e poco sulla sostanza. Sembra che non si possa fare a meno di eleggere il "migliore" o i "migliori", ma in realtà le cose, come sempre, sono molto più complesse e superano la rigidità di questi schemi. Per esempio, sulla base di quali criteri si può giudicare un museo migliore di altri? Perché ha una ricca collezione? Molti visitatori? Un ottimo ristorante? Buoni servizi aggiuntivi? Perché è molto presente sui social? Nel primo caso, il più delle volte si tratta di una condizione non prodotta ma "ereditata"; cioè, in genere, chi dirige il museo ha ricevuto l'onore e l'onere di gestire una importante collezione e se è vero che per farlo ci vogliono adeguate capacità, tuttavia questo non è propriamente un merito ma un requisito necessario, o almeno così dovrebbe essere. Avere tanti visitatori, lo sappiamo, è un dato quantitativo ma non qualitativo: un museo può essere molto visitato per un insieme di ragioni, a volte del tutto indipendenti dalla capacità dello staff che lo gestisce o dall'efficacia dei servizi che offre. In tutti gli altri casi si può dire che un museo è ben organizzato, che ha un ottimo staff, ecc., ma questo non li rende "migliori" nel senso più alto del termine. Soprattutto da quando mi occupo di "piccoli" musei, ho compreso che tutti coloro che uscendo da un museo possono esclamare "Che bello, siamo stati veramente bene qui dentro!", in genere sono stati colpiti da qualità che non sono mai considerate in queste classifiche e che riguardano, il più delle volte, le sensazioni umane che quella visita ha prodotto.
A mio avviso, pertanto, sarebbe opportuno fare un po' meno ricorso alle classifiche che dipingono un panorama culturale più povero di quello che realmente è, nonostante nelle intenzioni si perseguano, forse, obiettivi opposti. Sarebbe preferibile, invece, mettere in luce, di volta in volta, le buone pratiche che spesso non ricevono adeguato spazio mediatico e che, talvolta, sono poco note anche nello specifico settore professionale.

Un patrimonio culturale che sa parlare alla comunità


Visitare i musei al cinema: libertà di sognare

Su Il Fatto Quotidiano dello scorso 5 novembre, Augusto Sainati, professore universitario e critico cinematografico, ha espresso il suo parere sulla nuova moda di diffondere, attraverso il cinema, occasioni culturali non direttamente legate al cinema, come è il caso di Musei Vaticani 3D, proiettato per un solo giorno lo scorso 4 novembre.
Personalmente non sono del tutto contraria perché se da una parte concordo certamente con Sainati riguardo il fatto che spesso si tratta di realizzazioni che basano il proprio successo quasi esclusivamente sull'impatto emotivo, sulla suggestione delle immagini in 3D e quindi sul confezionamento di un prodotto molto commerciale e limitatamente culturale nel vero senso della parola, dall'altra, però, bisogna considerare che questi documentari hanno il merito di portare nei grandi musei del mondo, persone che nella loro vita probabilmente non vi potranno mai entrare per lontananza fisica o per altri motivi.
Se una immagine 3D non produrrà le stesse sensazioni di una visita dei Musei Vaticani dal vero, tuttavia non priviamo le persone della possibilità di sognare. E in questo il cinema e le nuove tecnologie possono essere di grande aiuto.
 
 

Nel cuore dei musei

Il 7 novembre inizia su Twitter il secondo ciclo di #smallmuseumtour
Dopo la sperimentazione della scorsa estate, dal 7 novembre riprende #smallmuseumtour, l'iniziativa cui l'Associazione Nazionale Piccoli Musei ha dato vita su Twitter per creare un dialogo tra gli utenti del social network e i curatori dei musei che aderiscono a #smallmuseumtour.
Le modalità do svolgimento non cambiano: otto immagini che saranno "twittate" nel tempo di un'ora o qualcosa di più, inframezzate dal commento e dalle spiegazioni dei direttori o di altri professionisti museali oppure dei responsabili di associazioni, di fondazioni o di istituzioni che gestiscono i musei.
Immagini tratte dal sito http://www.zazzle.co.uk/museum+conservator+gifts
Otto immagini possono sembrare poche per conoscere un museo, ma sono solo lo spunto per alimentare una fitta serie di domande e risposte che animano immancabilmente ogni tour. Ed è questa la finalità di #smallmuseumtour: parlare del museo con chi lo conosce dal di dentro e lo vive ogni giorno, potendo così trasmettere al pubblico l'anima stessa di quel museo.
Immagini tratte dal sito http://www.zazzle.co.uk/museum+conservator+gifts

Per il secondo ciclo sono stati previsti inizialmente 9 tour ma molto probabilmente sarà necessario prolungare il calendario fino a febbraio. Hanno già confermato la propria partecipazione: l'Area archeologica di Massaciuccoli Romana, che inaugurerà il nuovo ciclo; il Museo Civico Archeologico del Distretto minerario di Rio nell'Elba; il Museo delle Maschere Mediterranee di Mamoiada; il Museo Archeologico Virtuale di Ercolano; il Museo delle Palafitte di Fiavè; il Museo "Ignazio Cerio" di Capri, a gennaio. In occasione del tour di quest'ultimo museo, il Presidente del Centro Caprense "Ignazio Cerio", il Prof. Filippo Barattolo, sarà affiancato dagli studenti del Corso di Laurea in Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali dell'Università di Napoli Federico II.
Attendiamo conferma da altri musei della Puglia, della Sicilia, e ancora dalla Toscana e dalla Sardegna. Sarà rappresentata tutta l'Italia come nel primo ciclo.
Di seguito, gli appuntamenti di novembre:


L'auspicio è che #smallmuseumtour sia ancora una bella occasione per parlare tutti insieme di musei, per conoscerne tutti gli aspetti, anche quelli che solitamente non emergono durante una visita tradizionale, e per scoprire quei musei di cui si parla poco ma che hanno tanto da raccontare e da offrire. 
Vi aspettiamo venerdì 7 novembre, ore 15. Seguiteci su Twitter attraverso l'hashtag #smallmuseumtour e i nostri account @piccolimusei e @piccolimusei2.
Immagini tratte dal sito http://www.zazzle.co.uk/museum+conservator+gifts


#smallmuseumtour: meeting the museum on Twitter









by Caterina Pisu


Virtual Visits and Access


A museum may be visited in various ways, either alone or together with a party of others or virtually. Technology today makes this possible and visitors have the opportunity to visit museums from their own home.

Visiting museums on the web may be very useful in preparing for the real visit, but the spirit of a work of art as described in a museum may be lacking in spite of HD technology resembling closely reality as we know it. 

Yet sometimes this is the only way for some of us to be able to visit a museum ! Having “access” to a museum means efficient technology to overcome barriers which may prevent access to visitors who are unable to reach a museum physically. This would greatly reduce differences and is sometimes the only possible solution for some art lovers and museum visitors.



Virtual visits: creating interaction


The inevitable limit of virtual tours is the lack of a certain atmosphere and emotion created by being there, and the personal and social interaction. The great difference between visiting a museum really and visiting it virtually, is the lack of human interaction.

The human element cannot be reproduced by virtual reality, unless the idea of virtual is adapted to new kinds of communication used by the social media. This is the idea at the root of the #smallmuseumtour project which simulates a museum visit throughTwitter. Its main feature is not high definition images, but the emphasis on dialogue within a virtual community interacting exactly as if each member virtually visiting the museum on site in different locations were all one party. The social aspect is perhaps the most important feature when it comes to overcome obstacles and inequalities. Bearing this in mind, we also considered institutions for the disabled, prisons and the like, while we worked on this project. 



Museums staff and Visitors : two worlds meet


Overcoming barriers was not the only target of #smallmuseumtour. The formality between the public and staff attracted our attention. Excepting certain special occasions, in some museums the only staff in touch with visitors was Security staff. Thus, the “behind the scenes” was hidden or left to the imagination.

Yet whoever has visited a museum and conversed with the museum curator or other qualified staff would agree that they gained deeper knowledge and made new discoveries that otherwise would not have been made in an ordinary visit. Only rarely does close contact occur, and this is where we step in to offer precisely that kind of interaction through the medium of the social network on the web. We aim to create a close and exciting relationship with museums and the marvelous treasures they contain.



The #smallmuseumtour project


#smallmuseumtour has devised to this effect a plan to promote museums through dialogue and social interaction. The first of its cyclical virtual visits which took place May 12th to July 28th 2014on a weekly basis ; we involved twelve museums of various kinds and different forms of ownership. We avoided ‘tweet’ counts and other web statistics which usually determine the "success" of a hashtag, because our aim in fact, was to perfect virtual museum visits rather than create a web trend. We aimed at creating as closely as possible the reality of a visit to a museum, especially for those who were physically unable to admire real life collections and at creating a dialogue with museum curators, staff and followers.

Other opportunities have been introduced on the Web in various forms, as for example #AskACurator day, but #smallmuseumtour offers exclusively and for the first time, a virtual visit to one single museum at a time. Thus, closer attention is given to a further dialogue between curators and followers. 



#smallmuseumtour  step by step


In order to achieve the best results in terms of a virtual museum tour using Twitter as a social network, certain rules had to be applied: virtual visit duration is 60 minutes; eight pictures are chosen by the curators for each visit, and under special circumstances according to advice from the museum curators themselves, the number may be more. During visits, the Twitter accounts of National Association of Small Museums act as curators “assistants”, tweeting pictures at regular intervals. Museum curators commented each picture and answered questions put by the followers at that very moment. In some cases the tour takes on a livelier turn by adding quizzes and video.


Future Prospects

A second cycle of virtual tours is planned at November 2014.


@piccolimusei @piccolimusei2

#SMALLMUSEUMTOUR, SECONDO CICLO: 3 NOVEMBRE 2014 - 23 GENNAIO 2015

Ci stiamo preparando al secondo ciclo di #smallmuseumtour e abbiamo bisogno della collaborazione di altri 9 musei che desiderano mettersi a disposizione del pubblico di Twitter per far conoscere le collezioni, le attività, la vita e la missione del museo. Chi desidera può prenotarsi e richiedere informazioni anche via e-mail a piccolimusei@hotmail.com. Ricordo che #smallmuseumtour è una sorta di visita virtuale dei musei che si svolge in otto "tappe": ogni tappa è costituita da una immagine o da un video: può trattarsi di un oggetto del museo o di un ambiente o di una attività in svolgimento. #smallmuseumtour è soprattutto uno strumento per mettere in contatto i curatori (o altre figure professionali del museo) con il pubblico, in modo speciale con coloro che, per vari motivi, non hanno la possibilità di raggiungere fisicamente il museo, ma con tutti, in generale, anche in preparazione di una visita futura. Le "visite" si svolgeranno, come si è detto, su Twitter, e avranno la durata di un'ora, un'ora e un quarto al massimo, con cadenza settimanale; un museo diverso ogni settimana. Sono disponibili le settimane del 3-7 novembre, 10-14 novembre, 17-21 novembre , 24-28 novembre, 1-5 dicembre, 8-12 dicembre, 5-9 gennaio, 12-16 gennaio , 19-23 gennaio. E' possibile scegliere un giorno a piacimento, dal lunedì al venerdì. L'orario previsto per ciascun "tour" è dalle 15.00 alle 16.00, salvo altre specifiche richieste.
Per rivedere quanto è stato fatto durante il primo ciclo di #smallmuseumtour e quanto se ne sia parlato anche dopo: https://tagboard.com/smallmuseumtour/search

 

Standards sì o no?

L'interessante punto di vista di Giovanni Pinna che alcuni anni fa commentava l'utilità dell'imposizione di norme o della standardizzazione anche delle professioni museali, soprattutto in relazione alle caratteristiche specifiche dei musei del nostro Paese.

Nel primo articolo di questo numero di Nuova Museologia, Maurizio Maggi contrappone due approcci al museo mutuati dalla biologia, un approccio riduzionista, che considera il museo immutabile e tende a identificare le regole che stanno alla base della sua natura e quindi del suo funzionamento, e un approccio che interpreta invece il museo come un sistema complesso, in equilibrio instabile poiché in continua interazione con l’ambiente. Il favore di Maggi va al museo inteso come struttura complessa, ed egli ne deriva da un lato la convinzione che sia più utile chiedersi “non cosa sia un museo ma cosa faccia un museo”, dall’altro l’inutilità di predeterminare meccanicisticamente il suo futuro con l’imposizione di norme, quali standard museali e codificazioni delle professioni.
Io ho più volte espresso l’idea che i rapporti complessi esistenti fra il museo, il territorio sociale, la pluralità di forze intellettuali interne all’istituzione fanno sì che ogni museo sia strutturalmente e culturalmente diverso da ogni altro museo e che non possa dunque esistere un modello standard di museo. Inoltre ho sempre sostenuto che anche la professione museale non è standardizzabile, non può cioè essere insegnata a priori, e che la professionalità viene acquisita all’interno del museo, nei rapporti quotidiani con le collezioni, con i colleghi e con il pubblico. È dunque naturale che io condivida l’approccio non riduzionista al museo di Maggi e che sia portato a minimizzare l’importanza di documenti, quali le norme di indirizzo e la recente carta delle professioni prodotta dalle associazioni museologiche nazionali, il cui pericolo consiste nella loro applicazione acritica, cosa che ho già visto apparire qua e là nel mondo delle amministrazioni pubbliche.
La carta delle professioni in particolare mi induce ad alcune riflessioni. L’ICOM Italia e alcune altre associazioni professionali hanno prodotto una proposta indubbiamente completa, costata fatica e applicazione, ma non priva di alcune debolezze di fondo, prima fra tutte il fatto che essa non è il risultato di una riflessione sulla specificità della realtà museale italiana, ma il tentativo di applicare ai nostri musei il modello anglosassone. Ciò porta all’inapplicabilità quantitativa e qualitativa: in Italia non esistono infatti strutture museali complesse che necessitino di una estrema separazione dei compiti come quella ipotizzata dalla proposta; la nostra realtà è invece fatta di musei di medie dimensioni – inoltre tradizionalmente carenti di personale – nei quali le diverse professionalità museali devono assumere in se stesse una pluralità di compiti. L’analisi dei compiti previsti per le 20 diverse figure professionali proposte rende evidente che la carta non è la summa di esperienze dirette nella gestione di musei complessi pluridisciplinari ma il prodotto di una compilazione teorica, e che non ha alla sua base una verifica sperimentale. Non si spiegherebbe altrimenti l’esistenza di figure professionali le cui responsabilità si accavallano e possono generare così conflitti di competenza.
Il lavoro museale è un lavoro articolato che prevede azioni importanti, quali tutela delle collezioni, creazione del patrimonio culturale e comunicazione dei suoi significati, azioni che non possono essere suddivise fra personalità professionali diverse senza andare incontro al rischio di una frammentazione dell’azione complessiva del museo: la grandezza culturale del modello italiano e di altri Paesi dell’Europa continentale risiedeva proprio nella riunione di tutte le funzioni principali del museo nell’unica figura del conservatore, cui si vuole ora sostituire la frammentazione del modello anglosassone. Se il fine è l’abdicazione dei nostri modelli, allora si vada fino in fondo: nella carta nazionale delle professioni museali manca l’ethics adviser, che nel museo è colui che veglia affinché la manipolazione dei resti umani e degli oggetti di culto sia conforme alle regole morali delle diverse confessioni ed etnie.
G. Pinna, "Il dio della museologia genera mostri" in Nuova Museologia, n°14, giugno 2006

 Cari amici, in questi anni in cui ho svolto l’incarico di direttore scientifico del Museo Civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, dal 2019 a...