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Community engagement: un'analisi recente

Riporto qui un brano dell'articolo "COMMUNITY ENGAGEMENT NEI MUSEI PUBBLICI LOCALI" di Francesco Giaccari, Francesca Imperiale e Valentina Terlizzi, pubblicato in MANAGEMENT ARTI E CULTURE Resoconto del primo anno del GSA Accademia Italiana Economia Aziendale, a cura di Luigi Maria Sicca e Luca Zan, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014. Gli autori analizzano la situazione italiana in riferimento all'effettiva attuazione di pratiche di coinvolgimento della comunità nella gestione del museo.
In base alle informazioni raccolte attraverso la consultazione dei siti web di 262 musei pubblici locali è possibile affermare come nella maggior parte dei casi l’apertura ai temi del community engagement abbia interessato solo le modalità di comunicazione esterna, specificamente la predisposizione di un’immagine più viva e aperta e l’adozione di strumenti online di interazione con gli utenti (email, social network, newsletter, etc.). Inoltre, nel 19% dei casi esaminati sono state riscontrate dichiarazioni di mission attente ai temi dell’inclusione del pubblico, alle quali tuttavia non sembrano corrispondere, in base alle informazioni pubblicate, pratiche concrete di coinvolgimento di cittadini e/o loro gruppi. Diversa è la situazione emergente dai sei casi di studio approfonditi mediante somministrazione ai direttori dei musei coinvolti di apposito questionario. In tutti e sei i casi esaminati, si tratta di musei che perseguono e programmano annualmente (5/6) chiari obiettivi di inclusione del pubblico, per esigenze legate a:
1.      condivisione di conoscenze e contenuti culturali (6/6);
2.      ampliamento del numero dei visitatori (5/6);
3.      promozione della diversità culturale (5/6);
4.      promozione della cittadinanza attiva e della coesione sociale (6/6);
5.      «miglioramento della qualità del programma di attività includendo le competenze e le energie del pubblico» (intervista C. Collu, Direttore MART).
Ognuno di questi musei include nelle proposte culturali i cittadini residenti nel proprio territorio oltre a rivolgersi, a seconda delle attività, a target specifici di utenza come gli studiosi, i turisti, le scuole, i disabili. Il museo di Rovereto ha dichiarato di programmare, ultimamente, attività finalizzate all’inclusione di minoranze etniche, il museo di Saluzzo di coinvolgere maggiormente le famiglie, quello di La Spezia di lavorare anche con le comunità religiose, e infine il museo del Finale di rivolgere parte della sua programmazione a disabili psichici. Interessante è però evidenziare anche “come” questi musei si attivano per includere il pubblico nelle proposte culturali: ben quattro musei su sei si limitano a fornire informazioni adeguate. Soltanto i musei di Rovereto e del Finale consultano il pubblico per ottenere dei feedback per la formazione delle proposte culturali, lo coinvolgono nel processo di formulazione al fine di conoscere e considerare le esigenze e le aspettative del pubblico. Il museo di Rovereto ha aggiunto inoltre di «modificare le proprie policy in risposta ad esigenze del pubblico» (intervista C. Collu, Direttore MART). I musei che attivano una relazione solo in termini di trasferimento di informazioni adeguate (4/6): • sono soliti raccogliere anche le opinioni del pubblico tramite la somministrazione di questionari e l’analisi dei commenti pubblicati dagli utenti sui social media attivati dal museo; • non consentono al pubblico di partecipare alle decisioni del museo, sebbene talvolta le stesse sono influenzate dalle preferenze ed opinioni espresse; • instaurano un rapporto di tipo collaborativo con alcuni target della comunità di riferimento, affinché si sentano partecipi fruendo di specifiche proposte culturali pianificate dal museo; • dichiarano, sulla base di una specifica attività di monitoraggio, che le attività di coinvolgimento del pubblico poste in essere hanno determinato un incremento dei visitatori, specificamente di target specifici e, a livello territoriale, un considerevole aumento della partecipazione ad attività culturali da parte di categorie sociali emarginate. In tali casi, non essendo ravvisabile alcun trasferimento di potere decisionale, si può dire che i musei hanno posto in essere un’attività di comunicazione con cittadini e gruppi sociali specifici, raggiungendo migliori performance in termini di incremento del numero dei visitatori ed aumento dell’inclusione sociale a livello territoriale. Diversa è la situazione per il MART di Rovereto e il Museo del Finale, per i quali si configurano rapporti rispettivamente di tipo diverso. Il Museo del Finale pone in essere un’attività di co-creazione con cittadini e target specifici (scuole e disabili psichici), di tipo informativo e consultivo sul piano dei processi decisionali, ma maggiormente coinvolgente sul piano dell’attuazione delle proposte pianificate, giacché il museo fa sì che il suo pubblico partecipi attivamente alla realizzazione delle proposte e si senta a proprio agio nel perseguire i propri interessi ed obiettivi utilizzando il museo. Si tratta tuttavia di un’apertura in senso ospitale e di mutuo scambio di risorse nel rispetto delle regole del museo, e non in senso deliberativo, poiché non influente sulla politica culturale e sulle relative attività attuative, che rimangono in capo al museo. In termini di risultati e impatti raggiunti, si aggiungono, rispetto alle situazioni precedenti, un aumento della soddisfazione del pubblico e la sostenibilità delle proposte attivate dopo sei mesi dalla loro conclusione.
In tale situazione, il museo ha attuato di fatto un trasferimento di potere operativo. Il MART di Rovereto aggiunge un ulteriore tassello alla discussione del tema oggetto di indagine, poiché instaura un rapporto con le comunità di riferimento più pregnante sul piano dei processi decisionali di governo. Nello specifico l’attività di coinvolgimento di cittadini e gruppi sociali specifici può dirsi di tipo deliberativo poiché: • consulta il pubblico utilizzando apposite tecniche di facilitazione (workshop deliberativi) e modifica le proprie policy in risposta ad esigenze del pubblico; • il pubblico partecipa alle decisioni del museo attraverso un rappresentante con diritto di voto negli organi decisionali del museo; • il museo elabora e diffonde al pubblico un report annuale sulle attività svolte. È interessante osservare come le attività di coinvolgimento del pubblico poste in essere dal MART abbiano consentito il raggiungimento di ulteriori risultati. Non solo un incremento del numero dei visitatori e della relativa soddisfazione, ma anche l’acquisizione di nuove collezioni e l’incremento delle risorse finanziarie del museo. In termini di impatto territoriale, invece, si rileva in aggiunta un aumento dell’iniziativa culturale dei cittadini, la nascita di nuove reti sociali, lo sviluppo di nuove idee, servizi e modelli per affrontare meglio le questioni sociali. Il MART ha dunque optato per un trasferimento di potere di governo e la condivisione della responsabilità culturale. Infine, ad eccezione di un caso, si può osservare come il principale cambiamento attuato dai musei esaminati rispetto ai propri assetti di management abbia riguardato l’inserimento di figure professionali specializzate in mediazione culturale. Rispetto al dibattito internazionale sul tema, il contesto esaminato consente di giungere a conclusioni già rilevate in altri contesti, ovvero che: il community engagement non possa considerarsi una pratica omogenea; sono identificabili tre possibili archetipi di comportamento strategico, in relazione al ruolo di cliente, fornitore o imprenditore riconosciuto dall’istituto museale al suo interlocutore, in termini di tipologia di potere decisionale posto in relazione; le pratiche poste in essere producono benefici anche per chi le attua. In relazione a tale ultimo aspetto, il contesto esaminato consente di osservare in aggiunta una certa relazione di tipo incrementale tra risultati e intensità della relazione. Rispetto al dibattito nazionale sui temi del management dei beni culturali pubblici, i risultati dello studio aprono nuove prospettive in tema di assetti di governance partecipata dei musei locali, allargando il novero dei soggetti da coinvolgere nella gestione a coloro che idealmente sono proprietari e fruitori dei beni culturali musealizzati, ciò in coerenza con la genesi della loro istituzione a livello locale e tenuto conto dei potenziali effetti in termini di risultati aziendali.

Musei e multiculturalismo

di Caterina Pisu 




Oggi in Italia, non solo le grandi città ma anche i più piccoli centri devono confrontarsi con un multiculturalismo sempre più crescente, determinato dalla presenza nelle comunità di gruppi di immigrati di prima ma anche di seconda e terza generazione che, talvolta, anche se nati nel nostro Paese, risentono della mancata integrazione nel tessuto sociale autoctono dei loro genitori e nonni. Quando ciò accade è probabile che non abbiano sentito "propria" o comunque "vicina" la cultura locale e forse nessuno si è preoccupato di mettere in rilevo, ai loro occhi, gli elementi di "vicinanza" piuttosto che quelli di "distanza".
Valentina Andriani e Isabella Crespi, in un contributo del 2011 per l'università di Macerata (http://www2.unimc.it/dsef/working-papers/home/l2019appartenenza-alle-cerchie-sociali-e-la/filePaper), citando il sociologo Georg Simmel scrivono: "Simmel, definisce lo straniero come «colui che oggi viene e domani rimane» (Simmel 1998, 89). Questa sua condizione lo pone in una posizione ben differente rispetto al nomade o al viandante, nonostante non sia nato nel luogo in cui si trova e non vi appartenga". Per Simmel, inoltre, lo "straniero" è "colui che entra in contatto spaziale e sociale con il gruppo, che prima è mobile e poi si fissa in un nuovo punto" ((Andriani, Crespi 2011, p. 81).
Molto spesso la condizione degli stranieri, ne abbiamo esperienza nelle nostre comunità, è marginale, esclusa dai ruoli di maggiore rilevanza sociale, con capacità relazionali ridotte, a volte, da diversi ostacoli: linguistici, culturali, etici, religiosi. Ciò comporta un fenomeno di ambivalenza, derivante dalla posizione contemporaneamente interna ed esterna dello straniero rispetto alla comunità cui si riferisce: interna, in quanto egli è fisicamente dentro la comunità, esterna perché la sua condizione lo pone in una posizione estranea e antitetica rispetto al gruppo sociale autoctono.
Eppure la figura dello straniero immigrato, proprio per le caratteristiche appena descritte, contrariamente a quanto si possa pensare può svolgere un ruolo sociale importante di compattazione della comunità locale e di rafforzamento della sua iidentità, perché con la sua stessa presenza, che introduce un elemento di alterità, promuove "la coesione sociale del gruppo che si riconosce nei vincoli simbolico-relazionali che lo costituiscono proprio contrapponendosi a un elemento estraneo, che, pur condividendo lo spazio (abitativo e esperienziale) ed essendo, dunque, incluso, si trova in una relazione che è, al contempo esterna/frontale, rispetto al gruppo" (Andriani, Crespi 2011, p. 83). Quando ciò non avviene, non è l'immigrazione la causa (pur tenendo presente i problemi legati all'immigrazione clandestina e il pericolo di affiliazione da parte di organizzazioni criminali, che possono causare grande malessere sociale), ma vuol dire che è già in atto un processo di disgregazione della comunità che non si identifica più nei suoi valori tradizionali.
Già da vari anni i musei si stanno ponendo il problema di come declinare l'integrazione delle comunità di origine immigrata con la salvaguardia e il rafforzamento delle identità locali. E' del 2007, per esempio, il progetto europeo "Museums as Places for Intercultural Dialogue", Da questo progetto sono scaturiti studi molto interessanti che sono stati presentati in un convegno, a Bologna, il 10 giugno 2008. La museologia, pertanto, si è dimostrata attenta ai cambiamenti sociali e c'è la consapevolezza che i musei possano essere importanti, forse più di altre istituzioni politiche, economiche e sociali, al raggiungimento dell'armonia e dell'integrazione sociale.
Quali possono essere gli strumenti per attuare il dialogo interculturale attraverso i musei? Il primo passo dovrebbe essere il coinvolgimento diretto dei vari attori sociali. E' ciò che accade, per esempio, al Metropolitan Museum di New York, una delle città più multiculturali del mondo, in cui il Museo ha costituito un Comitato multiculturale consultivo, composto da afro-americani, asiatici, asiatico-americani, ispanici/latino-americani, americani, indiani, e, dal punto di vista religioso, da esponenti della religione musulmana, e da altri leader di organizzazioni interreligiose. Questi si incontrano periodicamente con il personale del Museo cercando di focalizzare obiettivi comuni. Il Comitato, quindi, predispone un programma che che comprende varie attività di sensibilizzazione, tra cui:
  • Ricevimenti, visite e conferenze che si ispirano alla diversità culturale rappresentata nelle collezioni del Museo.
  • Il sostegno e la partecipazione a numerosi eventi culturali e civili che riguardano le comunità di New York.
  • Collaborazioni con altre istituzioni e organizzazioni culturali di New York.
  • Celebrazione annuale dei "mesi del patrimonio".
Le varie iniziative vengono poi adeguatamente propagate attraverso i giornali locali, la radio e la televisione, avvisi pubblicitari, comunicati stampa e media, soprattutto i social media.

Un programma di mediazione interculturale di questo tipo è adattabile a qualunque museo e ad ogni comunità, anche la più piccola (un esempio: il piccolo Comune di Brabarano Romano, in provincia di Viterbo, avente una popolazione di circa 950 unità, ha anch'essa una sua comunità di stranieri di 85 unità). Per attuare tale impegno, è importante svolgere un'analisi preventiva della composizione della popolazione straniera presente. Solitamente è possibile dedurre i dati molto facilmente attraverso una ricerca nei siti comunali o provinciali o nei siti dei principali enti di ricerca statistica (riferendomi ancora a Barabarano Romano si può sapere, per esempio, che la popolazione straniera è così suddivisa: Romania 27 unità,  Polonia 20, Albania 6, Brasile 6, Filippine 4, Ucraina 3, India 2, Nigeria 2, Regno Unito 2, Perù 2, Germania 2, Marocco 1, Stati Uniti d'America 1, Bielorussia 1, Belgio 1, Cuba 1, Moldova 1, Kenya 1, Mauritius 1, Bulgaria 1).
E' utile anche cercare una collaborazione con gli uffici di mediazione interculturale che sono presenti presso gli enti locali e nelle province, con i quali possono essere concordati progetti culturali comuni che coinvolgano pienamente il museo.

Bisogna rilevare che in Italia si stanno moltiplicando i progetti di mediazione interculturale. Il prossimo 19 novembre, per esempio, presso la Fiera ABCD di Genova si svolgerà il Convegno "Musei e dialogo interculturale. Esperienze e buone pratiche a sostegno della mediazione culturale" (http://www.vanninieditrice.it/agora_scheda.asp?ID=838&categoria=convegni,%20mostre,%20concorsi) e in questa occasione ricercatori, esperti d’interculturalità e operatori museali presenteranno progetti d’intercultura in ambito museale. 

Una buona occasione per fare il punto su queste problematiche così attuali, essendo indubitabile che l'avvio di un dialogo costruttivo tra gli individui e le comunità portatrici di culture diverse è un compito che tutti i musei dovranno necessariamente affrontare per continuare a svolgere un ruolo attivo e rilevante nell'ambito delle proprie comunità di riferimento, contribuendo, così, all'armonizzazione sociale e ad un maggior senso di sicurezza e di fiducia reciproca.



Bibliografia e Sitografia:

V. Andriani, I. Crespi, "L’appartenenza alle cerchie sociali e la condizione di straniero in George Simmel", Università degli Studi di Macerata, 
Dipartimento di Scienze dell‟Educazione e della Formazione, Working paper n. 5, Novembre 2011

Metropolitan Museum of Art, www.metmuseum.org

Museums as Places for Intercultural Dialogue, http://www.mapforid.it/

 Cari amici, in questi anni in cui ho svolto l’incarico di direttore scientifico del Museo Civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, dal 2019 a...