Bebè al museo
Foto: http://www.toledomuseum.org/learn/babytours/ |
Infatti, i musei, in particolare i musei d'arte, sono una ricca fonte di stimolazione visiva per i bambini; portarli in questi ambienti fin dai primi mesi di vita aiuta a sviluppare la loro mente.
I musei, allora, si organizzano per accogliere i genitori con neonati: il Louvre Lens, per esempio, organizza alcune speciali iniziative dedicate a bambini anche di soli nove mesi, con l'aiuto di un mediatore. Sono state programmate tre visite di mezz'ora (10.30-11.00): la prima si è già svolta domenica 14 settembre e le prossime sono previste le domeniche del 12 ottobre e del 9 novembre. Durante questo tempo i genitori potranno osservare le reazioni dei propri bambini davanti a una grande opera colorata. I bambini, infatti, si sottolinea nel sito del museo francese, già a tre mesi sono in grado di distinguere perfettamente i colori e di apprezzare i contrasti.
Oltre al Louvre Lens, oltreoceano, negli Stati Uniti, il Toledo Museum of Art svolge visite molto simili e della durata, anche in questo caso, di trenta minuti, da 0 a 18 mesi. Nel sito del museo è possibile osservare una serie di immagini relative a queste attività.
Forse, se si inizierà a frequentare i musei in così tenera età, si imparerà ad amarli e a considerarli ambienti familiari anche per il resto della vita!
5th Conference of Small Museums
The 5th International Conference
of Small Museums took place last month in Viterbo (26th-27th september), Italy,
and attracted about 200 participants, including 21 speakers from Italy, Brazil
(Instituto Brasileiro de Museus, Ibram) and Slovenia (Regional Museum of Ptuj).
The topic of the meeting was:
"Pleasant museums: a new model for managing small museums".
It is the latest in the series of
seminars and conferences promoted by the National Association of Small Museums
- APM (Associazione Nazionale Piccoli Musei) as part of its commitment to this
specific area of research.
The conference was opened by APM
President, Giancarlo Dall'Ara.
The National Association of Small
Museums is the only european organization dedicated to museological research
about small museums, realizing a new vision of museums and their role in
society.
The conference proceedings volume
will be available in 2015.
The
next conference will be held in Massa Marittima, Tuscany, in september 2015.
Viterbo promuove i “piccoli musei”
Il 26 e 27 settembre scorso, la Rocca Albornoz di Viterbo, sede del Museo Nazionale Etrusco, ha ospitato il Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei, un incontro annuale che vede riuniti specialisti in museologia, museografia, economia e marketing, responsabili di musei e pubblici amministratori per discutere di gestione dei musei “minori” e di piccole dimensioni, e di altre tematiche attinenti questo argomento. Non entro nel dettaglio dei contenuti che sono stati prodotti durante la due giorni viterbese, organizzata dall’Associazione Nazionale Piccoli Musei (APM), e che saranno oggetto di prossima pubblicazione, ma vorrei esprimere qui delle considerazioni sul significato che questo evento ha rappresentato per la collettività e, più in generale, alcune mie riflessioni sul ruolo sociale dei musei.
A mio parere,
una comunità locale rafforza il proprio senso di identità proprio nel momento
in cui si apre agli altri, cioè quando decide di condividere la ricchezza del
proprio patrimonio culturale con il mondo esterno. E’ importante, però, che
questa apertura implichi una profonda conoscenza di sé, non dettata da un
banale orgoglio campanilistico che in un momento successivo potrebbe generare,
al contrario, chiusure e intolleranze. Ciò che conta è una piena consapevolezza
dell’importanza delle proprie radici, delle tradizioni e della cultura del
luogo in cui si vive. Ho usato volontariamente l’espressione “in cui si vive” e
non “in cui si è nati” perché la sensibilità culturale e spirituale cui mi
riferisco non è necessariamente legata alle origini ma, piuttosto, all’indole
delle persone: può accadere, infatti, che chi vanta antiche ascendenze locali
sia poi, all’atto pratico, più indifferente nei riguardi della propria cultura
rispetto a chi ha acquisito più di recente il diritto di sentirsi parte della
comunità.
Il confronto con
gli altri aiuta a capire se stessi e i musei possono avere un ruolo determinante
nel processo formativo e nel mantenimento dell'autocoscienza della collettività.
E’ importante che questo concetto si rafforzi anche grazie a momenti di
pubblico dibattito. Il convegno di Viterbo ha portato in città persone
provenienti da tutta Italia e anche dal resto del mondo - Brasile, Slovenia e,
a distanza, la Spagna – con la presenza di delegazioni i cui rappresentanti,
specialisti di organizzazioni ministeriali e regionali dei rispettivi Paesi di
origine (Instituto Brasileiro de Museus – IBRAM; Museo regionale di Ptuj; rete
locale dei Musei andalusi, REC CIE), hanno potuto osservare e comparare con le
proprie le forme di gestione dei piccoli musei di Viterbo e della provincia.
Ciascuno ha portato la propria esperienza e l’ha condivisa con tutti. Sono
emersi aspetti positivi e problematiche, ma ritengo che uno dei risultati più
apprezzabili di questo avvenimento sia stato il clima di grande collaborazione
e cordialità che si è creato tra i partecipanti.
Durante il
convegno sono state numerose le presenze di uditori da tutta Italia (circa 200 nel
corso delle due giornate) e anche di viterbesi, della città e della provincia.
Tale presenza locale è da evidenziare a prescindere dalla sua entità. Non
ritengo essenziale, infatti, che i residenti presenti al convegno siano stati molti
o pochi; più importante è che dai presenti sia stata accolta o consolidata
l’idea che il patrimonio culturale appartiene all’intera comunità (la cui
salvaguardia è imprescindibile da una forte presa di coscienza civica) e che i
piccoli musei, indipendentemente dal tipo e dalla natura giuridica, sono il
luogo per eccellenza in cui poter dare forma e concretezza al desiderio di compartecipazione
della gente.
Mi piace raffigurare
simbolicamente il buon risultato di questo convegno, in particolare per la
città che ci ha dato ospitalità, con l’immagine di un germoglio che sta
nascendo in un terreno fertile: non si può non considerare, infatti, che la
Tuscia possiede circa 70 musei, alcuni dei quali applicano efficacemente forme
di gestione in cui la relazione museo/comunità ha un ruolo importante. Tale
orientamento dovrà essere potenziato ed esteso a molti altri musei del
viterbese, ma questa prospettiva potrà essere attuata se si verificheranno due
condizioni indispensabili: la prima è la passione (“la passione è fondamentale ed è a costo zero”, ama ripetere David
Fleming, famoso curatore britannico), senza la quale è arduo, per chi ha la
cura di un museo, riuscire a coinvolgere il pubblico più difficile, quello dei
residenti; la seconda è il sostegno delle istituzioni locali, che non può
limitarsi alla sola erogazione di fondi ma che deve fondarsi soprattutto sulla consapevolezza,
cioè sulla capacità di comprendere le potenzialità che un museo può avere per
lo sviluppo sociale e perfino economico di una città o di un territorio. Il
museo che viene tenuto aperto quel tanto che basta per accogliere i pochi
turisti di passaggio è destinato a chiudere o a restare un luogo senza vita e
senz’anima.
Il museo che si rivolge innanzitutto alla propria comunità, invece,
la coinvolgerà in iniziative in grado di richiamare l’attenzione di ogni
categoria sociale, cercherà la collaborazione di aziende, artigiani, etc., creando
favorevoli sinergie tra economia, cultura e territorio. Sarà un museo vivo e solo
dopo potrà aprirsi agli altri visitatori in modo corretto, creando interesse
intorno a sé anche se distante dalle rotte più importanti del turismo nazionale
e internazionale perché è l’autenticità che richiama i visitatori più sensibili
alle proposte culturali e ambientali di nicchia. “I primi turisti sono i residenti”, afferma Giancarlo Dall’Ara,
fondatore dell’APM, secondo il quale “i
musei possono avere un ruolo fondamentale nel rilancio dei territori se si
valorizzeranno le radici culturali locali, investendo più sulle persone che
sugli strumenti della promozione tradizionale”.
Durante il
convegno di Viterbo abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci direttamente
con i direttori di alcuni musei locali e abbiamo percepito una grande voglia di
fare da parte di questi professionisti che spesso operano in condizioni di
semi-volontariato o di puro volontariato, con entusiasmo ma anche con un senso
di avvilimento perché senza il sostegno convinto delle istituzioni si finisce
con il dover lavorare al minimo delle potenzialità. Il mondo variegato e
complesso dei musei risente della mancanza di un sistema di standard efficace
che considera più importanti gli aspetti qualitativi piuttosto che quelli
quantitativi. I direttori dei musei con cui ci siamo confrontati nella Tuscia,
hanno lamentato, da parte della Regione (e questo è un problema che non
riguarda solo la Regione Lazio) una costante richiesta di dati sul numero di
ingressi e nessun tipo di processo valutativo della qualità delle iniziative
culturali prodotte nei loro musei.
E’ necessario
invertire la rotta premiando le buone pratiche e incentivando il più possibile l’attività
culturale ed educativa dei musei, cioè quella che si dovrebbe svolgere ogni
giorno all’interno delle strutture museali (e non solo l’impegno limitato a
poche “giornate speciali” cui il Ministero dei Beni culturali e i media danno così
tanto risalto). E’ importante incoraggiare le attività “dal basso”, quelle che
nascono grazie al coinvolgimento diretto della comunità, migliorare il rapporto
con le scuole, che non si limiti a episodiche visite scolastiche programmate
saltuariamente, ma che sia veramente continuativo e interattivo, intra ed extra
muros; altrettanto importante è lavorare per l’inclusione sociale e per aiutare
la comunità a risolvere i problemi. Per
capire quanto sia incisiva l’azione di un museo, la sua realtà deve essere
analizzata in modo completo, tenendo conto anche di tutto ciò che si muove
intorno ad esso: le professionalità che ad esso afferiscono, le varie forme di
volontariato e, in particolare, l’associazionismo, espressione dell’impegno
civico collettivo. Ogni luogo, inoltre, ha caratteristiche sue proprie e anche
questo incide sulla scelta del tipo di pianificazione culturale da parte
dell’ente museale.
Una strategia
gestionale orientata verso la collettività non mette in secondo piano il lavoro
di ricerca e di divulgazione delle conoscenze che ogni museo deve compiere, ma
significa fare in modo che le “collezioni” e lo studio della materia di
riferimento (che si tratti della storia dell’arte o dell’antropologia o delle
scienze naturali, o di qualunque altra disciplina) servano a rendere attivo il
ruolo sociale del museo, “il suo essere
elemento di aggregazione, di continuità e di identità di una comunità (che) si
esplica, dunque, nel conservare per la comunità e nel mostrare alla comunità i
prodotti della propria storia” (Giovanni Pinna).
Il convegno di
Viterbo dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei è un evento che non potrà
ripetersi a breve termine ma non vogliamo che le premesse che sono state create
in questa occasione svaniscano nel nulla. Se riusciremo a trovare altri momenti
di incontro e di dibattito costruttivo in ambito locale, sarà possibile
riprogettare il futuro dei musei della Tuscia con la collaborazione di tutti.
Il nostro territorio e, in generale, tutto il Paese, non ha bisogno di veder nascere
nuovi musei se questi non sono realmente l’espressione della volontà comune,
popolare ed istituzionale, che sostenga e alimenti il progetto
scientifico/culturale degli specialisti. Il convegno di Viterbo e gli altri
incontri che lo hanno preceduto negli anni passati non devono essere intesi,
quindi, come una “esaltazione” acritica dei piccoli musei, ma per quello che
effettivamente rappresentano: momenti di approfondimento e di analisi delle
problematiche che riguardano i musei visti attraverso “la piccola dimensione”,
una condizione che interessa tanto i musei dei piccoli centri quanto quelli
delle grandi città, talora definiti “musei minori” e non “piccoli” perché non tutti
sono limitati in termini di spazio ma sono ridotti più in relazione al numero
dei componenti dello staff, alla quantità di visitatori e alla esiguità delle
risorse disponibili, in raffronto con i grandi musei più noti e frequentati. Ci
auguriamo che il convegno appena concluso abbia contribuito a diffondere il
concetto che essere musei “piccoli” significa cogliere il valore di questa
condizione e sfruttarne i vantaggi: la possibilità di poter dedicare la maggior
parte delle proprie risorse ed energie alla cura dell’accoglienza, al rapporto
più stretto e meno formale con il pubblico, alla ricerca della collaborazione
di tutta la collettività.
Caterina Pisu
Coordinatrice nazionale
Associazione Nazionale Piccoli Musei
Say cheese! The museum is open, today!
...e qualche considerazione personale a margine del Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei
di Caterina Pisu
Recentemente anche in Italia,
grazie al Decreto Cultura, varato dal Consiglio dei ministri il 22 maggio 2014,
si permette di scattare fotografie nei musei, purché non si utilizzi flash o
alcun altro tipo di illuminazione artificiale, né alcun tipo di treppiede o
stativo, e purché gli scatti siano solo per uso personale e assolutamente non a
scopo di lucro. Questa novità è stata accolta con un sospiro di sollievo perché
finalmente i musei non saranno più quei luoghi in cui abbiamo paura che un arcigno
custode ci rimproveri se ci scappa qualche click durante la visita a un museo.
E in effetti chi non si è sentito a disagio in queste situazioni?
In Italia le nuove disposizioni
non sembrano aver creato problemi, o almeno non ne è giunta notizia, ma si
cominciano a vedere gli effetti negativi di questo nuovo orientamento generale
in alcuni grandi musei stranieri. Uno di questi è la National Gallery di Londra
dove sembra che si sia generato il caos a seguito della concessione di
fotografare liberamente al suo interno. Da che cosa dipende la situazione che
si è venuta a creare? Lo spiega Nina Simon in un articolo sul suo blog Museum 2.0, tradotto da Ilaria Baratta per Finestre sull’Arte che mi offre lo spunto per qualche riflessione. Quando anche da noi, in
Italia, si è iniziato a parlare molto di musei partecipativi, mi sono subito
chiesta che cosa significasse esattamente questa parola. Da noi spesso si
associa il concetto di partecipazione collettiva all’utilizzo dei social media
o alla adesione a manifestazioni speciali come le Giornate Europee del
Patrimonio, le Notti dei Musei e le Invasioni Digitali che sicuramente hanno
avuto il merito di creare interesse e di sensibilizzare pubblico e
professionisti museali su un certo tipo di fruizione museale. Mi domando se
possiamo definire una vera partecipazione collettiva questi eventi o se si
tratta di avvenimenti sporadici che non incidono, poi, sulla quotidianità del
museo. Sarebbe interessante sapere se tra una manifestazione di questo tipo e
l’altra, il modo di concepire la programmazione culturale di quei musei sia
cambiato e se sia effettivamente mutato il loro modo di rapportarsi con i
visitatori e più in generale con la comunità. Giustamente la Simon, promotrice
del museo partecipativo, afferma che il caos che si è creato alla National
Gallery dimostra che questa folla è soprattutto ansiosa di essere parte di una
percezione collettiva, di una sorta di "rito religioso" che culmina
nella conquista dell’opera famosa per mezzo dell’obiettivo di una macchina
fotografica. Di chi è la "colpa" di questo fenomeno sociale?
Sicuramente degli stessi musei, i quali hanno “esasperato questo culto della
celebrità dando molta enfasi a mostre di successo e a spettacoli itineranti”;
viene detto alla folla che non deve perdere questa occasione e questa “si
affanna in una continua e frettolosa ricerca, macchina fotografica
rigorosamente in mano”. Le giornate speciali, come le Notti dei musei e le
Invasioni Digitali hanno contribuito anch’esse, involontariamente, a rafforzare
l’idea del patrimonio culturale come parte di un grande flash mob.
E’ opportuno fare tesoro della
lezione che ci viene dagli errori altrui e dai nostri e cominciare finalmente a
non confondere l’apparente partecipazione che deriva non dal risultato di un
processo di cambiamento o come effetto di una nuova pianificazione delle
attività culturali del museo, ma solo dalla voglia di essere parte di un evento
collettivo. Una moda che bisogna seguire per non essere esclusi dal grande
gioco. Si tratta di manifestazioni i cui risultati possono essere misurati,
forse, solo numericamente: successi straordinari che poi, all’atto pratico, producono
risultati insignificanti sul piano culturale e sociale, pur considerando le
eccezioni che meritano di essere riconosciute e lodate. Lo sappiamo bene tutti noi
che ci affanniamo ad organizzare eventi e giornate speciali ma che
siamo anche consapevoli che alcuni musei, una volta spenti i riflettori,
torneranno alla consueta immobilità. La gente è libera di fotografare nei musei
e molti accorrono per prendere parte ai grandi eventi speciali, ma poi continua
a non partecipare realmente alla produzione dei contenuti culturali del museo nell’arco
dei restanti 365 giorni. Questo, invece, è il rinnovamento che dobbiamo auspicare.
In occasione del Quinto Convegno
Internazionale dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei che si è svolto a Viterbo
lo scorso 26 e 27 settembre, è stato evidenziato che il rapporto dei musei con
la propria comunità è un lavoro che richiede continuo stimolo e il
coinvolgimento di tutti. Si tratta di un lavoro costante, giornaliero, che può
prevedere certamente anche la preparazione di eventi speciali ma che non fa di
essi il perno intorno ai quali si basa l'attività del museo. Siamo in un
momento di passaggio tra la vecchia visione dei musei e la nuova: i continui
richiami a utilizzare la comunicazione 2.0 e le nuove tecnologie hanno avuto
l'effetto di produrre, talvolta, una sorta di rattoppo con stoffa nuova in un
tessuto vecchio. Il rinnovamento, invece, deve essere totale e non basta certo consentire
le riprese fotografiche o avere una pagina Facebook per essere "musei
moderni". Si tratta di elementi che vanno presi in considerazione,
certamente, nell’ambito di una realtà propositiva e partecipativa del museo, ma
sempre nella giusta proporzione e in relazione con tutti gli altri aspetti che
riguardano la comunicazione museale, la ricerca, la produzione di contenuti e
l'attività di mediazione sociale, di inclusione e di educazione a favore della
collettività.
Articolo correlato: http://museumsnewspaper.blogspot.it/2014/08/se-troppo-successo-famale-al-museo-di.html
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A Viterbo il Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei
Il 26-27 settembre, a Viterbo,
presso il Museo Nazionale Etrusco, Rocca Albornoz, si svolgerà il Quinto
Convegno Internazionale dei Piccoli Musei organizzato dall’Associazione
Nazionale Piccoli Musei (APM) con il patrocinio del Comune di Viterbo, della
Provincia di Viterbo e con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Etruria Meridionale e dell’Incubatore Culturale ICult- BIC
Lazio.
Collaborano all’organizzazione
dell’evento la Società Archeoares, l’associazione Archeotuscia e l’associazione
Historia.
La prima giornata del convegno,
venerdì 26, avrà inizio alle ore 15.00, la seconda giornata, sabato 27, alle
ore 9.00.
Negli anni precedenti i convegni
annuali dell’APM si sono svolti a Castenaso (BO), a Battaglia Terme (PD), ad
Amalfi (SA), e ad Assisi (PG).
Ad ogni edizione hanno
partecipato specialisti del settore dei musei, del turismo, della comunicazione
e dell’economia per discutere e per confrontarsi su tematiche inerenti i
piccoli musei o i cosiddetti musei “minori”, ma che in ogni Paese del mondo
rappresentano una realtà importante (in Italia sono il 90% dei musei) e molto
spesso il tessuto culturale più vivo e più vicino alle comunità. E’ importante
che i piccoli musei non siano considerati “copie ridotte” dei grandi musei, ma
istituzioni con proprie caratteristiche specifiche, i cui punti di forza sono
soprattutto la capacità di essere accoglienti e di essere luoghi culturalmente
e socialmente vivificanti dei territori cui appartengono.
Si tratta dell’unico convegno, in
Italia e in Europa, dedicato espressamente ai piccoli musei, e del secondo nel
mondo insieme al convegno dell’organizzazione statunitense Small Museums
Association.
Quest’anno, in occasione del Convegno di Viterbo si avranno due
importanti novità: la prima è l’apertura al confronto con le realtà museali
estere.
Giungerà a Viterbo dal Brasile una delegazione dell’Instituto
Brasileiro de Museus-IBRAM e, dalla Slovenia, la Dott.ssa Aleksandra Nestorović, curatore della sezione archeologica del Pokrajinski muzej Ptuj (Museo regionale di Ptuj - Ormož).
Gli ospiti stranieri saranno presenti a Viterbo dal
23 settembre per partecipare al convegno e per compiere un viaggio tecnico di
conoscenza dei metodi di gestione dei musei di Viterbo e del suo territorio, in
particolare del Sistema museale del Lago di Bolsena. L’APM è in contatto con la
rete museale spagnola RED CIE della regione andalusa, la quale invierà un
messaggio di saluto in questa occasione.
La seconda novità è un evento che sarà collegato al convegno ma che
abbiamo voluto dedicare in modo specifico a Viterbo: il Focus Tuscia, una
vetrina delle eccellenze, dei prodotti e delle attività culturali ed editoriali
del territorio viterbese. Il Focus Tuscia avrà inizio alle ore 15.00 del 27
settembre, subito dopo la chiusura della seconda giornata del convegno, e si
svolgerà presso la sede dell’Incubatore Culturale ICult-BIC Lazio. Alle 17.00 è
previsto un seminario/incontro con i direttori dei musei della Tuscia.
Il sito web del Quinto Convegno dei Piccoli Musei: http://quintoconvegnoapm.weebly.com
Il sito web ufficiale dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei: http://piccolimusei.weebly.com
Small Museums Best Practices: call for papers
Nasce il nuovo blog/journal dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei
APM is calling for contributions to its new
blog/journal, "Small Museums Best Practices", http://smallmuseumsbp.over-blog.com/,
a compilation of case studies and best practices in small museums.
You may send your contribution in .doc or
.pdf format as attachment to the e-mail address piccolimusei@hotmail.com.
Contributions in English, Spanish and French will be accepted. Thank
you for your contribution to our research activities.
L’Associazione Nazionale PiccoliMusei - APM dedica particolare attenzione alle buone pratiche messe in atto dai
professionisti museali e dai volontari che operano nell’ambito dei piccoli
musei. Ogni anno un’ampia sezione dei nostri convegni nazionali è dedicata a
queste tematiche.
In generale, però, si nota una
mancanza di informazione al riguardo o una dispersione dei casi studio
attraverso i più disparati canali, in assenza di uno spazio pensato
espressamente per riunirli e rendere più semplice la consultazione. Il
risultato di ciò è che - sebbene siano tanti i piccoli musei che elaborano e
realizzano progetti interessanti inerenti la gestione, la didattica, il
rapporto con la comunità, le azioni inclusive o socialmente utili - non sempre i
risultati prodotti ottengono adeguato riscontro.
Accade, pertanto, che si continui
a pensare ai musei, soprattutto ai piccoli musei, solo in termini di numeri,
cioè di biglietti venduti, senza considerare altri parametri di valutazione che
tengano conto soprattutto dei benefici che i piccoli musei possono apportare
alla vita della società.
L’APM, quindi, ha deciso di
dare vita ad un blog/journal, “Small Museums Best Practices”, http://smallmuseumsbp.over-blog.com/,
cui tutti possono contribuire per far conoscere le proprie buone pratiche, i
progetti e le iniziative che si desidera mettere in evidenza. Per partecipare
si prega di inviare il proprio contributo in formato .doc o .pdf all’indirizzo
di posta elettronica piccolimusei@hotmail.com.
Vi ringraziamo fin d’ora per la
Vostra collaborazione.
Associazione Nazionale Piccoli Musei
http://piccolimusei.weebly.com
Il Manifesto dei Musei Age Friendly
La prima Age Collective Conference ha avuto luogo il 22
novembre 2013 presso il British Museum
ed ha riunito 172 relatori e delegati provenienti da una vasta gamma di
settori di tutto il Regno Unito.
Age Collective è un progetto realizzato in
partnership dal British Museum con Glasgow Life (Glasgow Museums), il Manchester Museum e il National Museums Northern Ireland.
In quella occasione è stato redatto il Manifesto dei Musei Age Friendly. Di seguito, il testo:
Un Museo Age-Friendly...
…abbraccia le opportunità e le sfide che si accompagnano all'invecchiamento
della popolazione e ai cambiamenti demografici; l’età non è un ostacolo al
coinvolgimento o alla partecipazione.
…riconosce che la categoria della persone anziane è
tutt'altro che omogenea e che può avere stili di vita, esperienze di vita,
punti di vista, requisiti e interessi verso le collezioni museali del tutto
differenti.
…fornisce opportunità di partecipazione sostenibili, di alta
qualità e rilevanti che possono soddisfare le esigenze del pubblico più
anziano; adotta soluzioni per cercare di raggiungere coloro che non possono recarsi
fisicamente a visitare i musei.
…utilizza accorgimenti per il benessere e il comfort delle
persone - tra cui poltrone con poggiaschiena e braccioli!
…utilizza le collezioni dinamicamente al fine di valorizzare
le singole storie di vita e favorire nuove esperienze, opportunità di apprendimento
e il pensiero creativo.
…riconosce il valore della terza età e il contributo positivo
che gli anziani danno alla società. Lavora per dissipare le percezioni
negative dell'invecchiamento e creare dialogo tra le varie generazioni.
…valorizza le conoscenze, le competenze e l'esperienza che
tutte le persone anziane portano con sé, sia che si tratti di dipendenti, di
volontari oppure di visitatori.
…collabora per condividere le esperienze con gli altri musei,
con gli operatori sanitari e sociali, con gli studiosi delle università, come
le organizzazioni rivolte alle persone anziane e con gli anziani della propria
comunità locale.
…si impegna a formare il proprio personale a tutti i livelli,
affinché riesca a coinvolgere e a comprendere meglio il pubblico dei più
anziani.
Se troppo successo fa
male al museo
di Salvatore Settis
Da La Repubblica, 30 luglio 2014
Sterminate folle premono sui musei, sulle città d’arte. Miliardi di cinesi, indiani, giapponesi, russi che paiono dietro l’angolo disegnano nuove frontiere non della cultura ma della cupidigia di nuovi introiti.
Il turismo mordi-e-fuggi genera l’arte usa-e-getta (il 75% dei turisti che vanno a Venezia si fermano meno di un giorno lasciandovi chili di detriti).
La neomania dei selfie, sdoganati come performance individualista, inonda il web di fotoricordo che certificano non la curiosità culturale ma la presenza rituale del turista. Non archiviano il ricordo, sostituiscono lo sguardo: perciò la loro quantità è più importante della qualità. La visita a un museo somiglia più a una simulazione che all’esperienza di un tempo, l’incontro di una persona (il visitatore di oggi) con un’altra (Giotto, Caravaggio, Rembrandt). Perciò in un libro recente (2010) Steven Conn si domanda sin dal titolo se i musei hanno ancora bisogno di oggetti (Do Museums still need Objects?). Secondo lui, via via che diminuisce la fiducia nel potere degli oggetti di trasmettere conoscenza diminuiscono di numero gli oggetti esposti nei musei, crescono gli apparati tecnologici e le appropriazioni fotografiche. Il nuovo rituale turistico sostituisce la tecnologia alla storia, la rappresentazione virtuale alla realtà.
Le immagini su un cellulare acquistano un grado di verità e un’intensità di esperienza che non si accontentano di essere equivalenti al contatto con «la cosa vera», vogliono essere superiori ad esso. Consentono manipolazioni (ingrandire un dettaglio), archiviazione di impressioni momentanee, scambi di opinioni via Facebook. L’oggetto d’arte diventa il mero innesco di un processo sensoriale che si svolge prevalentemente altrove. Davanti alla Gioconda, il 20% dell’esperienza (diciamo) è quella del quadro nell’affollatissima sala del Louvre; ma l’80% ha luogo nello smartphone, nell’i-Pad, in un labirinto di modalità interattive che consentono inedite forme di appropriazione. Secondo Conn, la storia (la “cosa vera”) sta diventando noiosa, la tecnologia la rivitalizza; la realtà virtuale è superiore alla realtà tangibile, l’illusione prende il posto della riflessione, la duplicazione spodesta l’unicità dell’originale. L’irriducibile diversità del passato si diluisce e si annienta in un gratuito bricolage. Viene in mente Baudrillard: «Il simulacro non è mai ciò che nasconde la verità; la verità è il simulacro, e nasconde che non c’è alcuna verità. Solo il simulacro è vero».
Le folle che si accalcano davanti alla Gioconda e ignorano i Leonardo della sala lì accanto e l’accanimento fotografico che sostituisce lo sguardo sono fratelli: due declinazioni della fretta, di una concezione del museo come esperienza di consumo, di una stessa rinuncia alla riflessione. Vi sono rimedi? Il Louvre ci sta provando a Lens, città mineraria in gran decadenza, dove un “secondo Louvre” è stato aperto con gran successo un anno fa, e ha già avuto più di un milione di visitatori, rianimando un’area di scarsa attrattività. Scegliendo oggetti della collezione e disponendoli in ordine cronologico (ma mescolando le opere d’arte dei vari dipartimenti), sia lo staff del museo che i visitatori sono invitati a riflettere sulla consistenza e sulla storia delle collezioni; collocando a Lens una bellissima mostra sui Disastri della guerra che ricorda l’anniversario 1914-2014, una parte cospicua di visitatori è attratta altrove, e moltiplica le potenzialità di quel grande museo. Se arrestare la valanga di selfie pare difficile, sarà possibile diffondere una cultura della lentezza che nell’osservazione dell’opera d’arte veda un’occasione di riflessione e di crescita civile? È immaginabile mettere in rete i tour operator e indirizzare i flussi turistici non solo su poche destinazioni iconiche, ma sulla trama minuta dei monumenti, delle città, dei musei?
A queste domande nessuno si aspetta più risposte dirimenti dall’Italia, che pure è il Paese con la più nobile tradizione museografica, con le più antiche norme di tutela, prescritta dalla Costituzione nell’art. 9, sempre celebrato e mai pienamente attuato. Volgari approssimazioni vedono nell’arte delle nostre città e dei nostri musei un’occasione di business e non un’esperienza di vita; circola nei palazzi del potere la stolta ipotesi che un manager vale per principio più di uno storico dell’arte; si ipotizza di chiudere musei e siti archeologici con pochi visitatori, si ironizza sul fatto che gli Uffizi abbiano meno visitatori del Louvre (che è 30 volte più grande). E intanto è in fase di cottura una riforma del ministero dei Beni culturali innescata non (come sarebbe giusto) dalla voglia di investire sulla cultura, di assumere nuovo personale, di mettere l’Italia in prima fila in un discorso, quello sul rapporto fra arte e cittadinanza, che sarà fra i più importanti del nostro secolo; ma da una pretestuosa spending review , e cioè da ulteriori tagli che vanno ad aggiungersi a quelli perpetrati dal 2008 in poi da governi d’ogni colore. Ma la colpevole insistenza sul turismo come ragione ultima delle cure dovute al nostro patrimonio culturale trascura il solo punto essenziale: quel patrimonio non è dei turisti, ma dei cittadini; è “nostro” a titolo di sovranità (questo dice la Costituzione), è consustanziale al diritto di cittadinanza, serbatoio di energie morali per costruire il futuro. L’Italia ha su questo fronte un diritto di primogenitura, ma pare decisa a rinunciarvi.
Comunicazione vera o apparente?
Quando parliamo di musei e di comunicazione sui social media, "non è sempre tutto oro quel che luccica", soprattutto se la comunicazione e il rapporto sul web con il pubblico sono affidati totalmente a società in house.
Se non c'è alcun coinvolgimento da parte dello staff del museo, in realtà il dialogo è solo apparente, e se non si può dire che si tratta di un bluff però è evidente che tra il museo e i visitatori virtuali è stata posta una barriera.
Nel settore del marketing la questione è già stata approfondita e uno degli aspetti fondamentali di una buona strategia è la capacità di interagire in prima persona.
A tale proposito, così si è espressa Carlotta Petracci, esperta italiana di storytelling e di comunicazione, fondatrice dello studio creativo White:
La prima cosa che facciamo noi, quando un marchio ci affida la gestione della sua pagina o dei suoi profili, è fare un piano editoriale che sia contemporaneamente di approfondimento (anche se in pillole) e di intrattenimento. Raramente ci sostituiamo ai marchi nelle risposte perché riteniamo che quello sia un lavoro molto personale e che un marchio, come una persona fisica, debba prendersi la responsabilità della costruzione della propria reputation online. E' una questione di autenticità. Noi possiamo sviluppare piani, campagne, contenuti visivi e di copy, ma non possiamo e non vogliamo sostituirci alle persone. Le conversazioni sono una cosa preziosa e devono essere vere".(Dal magazine "Uomini e donne della comunicazione")
Forse è per questo che i piccoli musei (o i grandi musei che dimenticano di essere tali) raggiungono il cuore delle persone più in fretta?
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