Quando parliamo di musei e di comunicazione sui social media, "non è sempre tutto oro quel che luccica", soprattutto se la comunicazione e il rapporto sul web con il pubblico sono affidati totalmente a società in house.
Se non c'è alcun coinvolgimento da parte dello staff del museo, in realtà il dialogo è solo apparente, e se non si può dire che si tratta di un bluff però è evidente che tra il museo e i visitatori virtuali è stata posta una barriera.
Nel settore del marketing la questione è già stata approfondita e uno degli aspetti fondamentali di una buona strategia è la capacità di interagire in prima persona.
A tale proposito, così si è espressa Carlotta Petracci, esperta italiana di storytelling e di comunicazione, fondatrice dello studio creativo White:
La prima cosa che facciamo noi, quando un marchio ci affida la gestione della sua pagina o dei suoi profili, è fare un piano editoriale che sia contemporaneamente di approfondimento (anche se in pillole) e di intrattenimento. Raramente ci sostituiamo ai marchi nelle risposte perché riteniamo che quello sia un lavoro molto personale e che un marchio, come una persona fisica, debba prendersi la responsabilità della costruzione della propria reputation online. E' una questione di autenticità. Noi possiamo sviluppare piani, campagne, contenuti visivi e di copy, ma non possiamo e non vogliamo sostituirci alle persone. Le conversazioni sono una cosa preziosa e devono essere vere".(Dal magazine "Uomini e donne della comunicazione")
Forse è per questo che i piccoli musei (o i grandi musei che dimenticano di essere tali) raggiungono il cuore delle persone più in fretta?
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