I musei delle favelas del Brasile: l'esempio del riscatto sociale attraverso la valorizzazione delle culture locali.

In Brasile, in questi ultimi anni, stanno avvenendo cambiamenti importanti per la pacificazione sociale attraverso la nascita dei musei del territorio. Nel 2008 è stato fondato il Museu de Favela-MUF,  un'organizzazione non governativa, creata dagli stessi abitanti delle favelas di Pavão, Pavãozinho e Cantagalo. 
Si tratta di un primo museo del territorio rivolto alla conservazione della memoria e del patrimonio culturale delle favelas, e infatti le collezioni di questo museo sono i circa 20 mila abitanti delle favelas e il loro modo di vivere e di esprimersi culturalmente, spesso sconosciuto al resto dei residenti della città di Rio de Janeiro.
Il museo del territorio delle favelas è situato sulle pendici scoscese del massiccio Cantagalo tra i quartieri di Ipanema, Copacabana e Lagoa, nella parte meridionale di Rio de Janeiro, in Brasile. Dispone di 12 ettari di terreno e di una grande ricchezza culturale. Sono 5300 gli edifici collegati tra loro da un dedalo impressionante di vicoli e scalinate. Dal punto di vista paesaggistico gode di una delle viste più affascinanti della meravigliosa città.
L'obiettivo della musealizzazione di quest'area della città è una grande sfida che attraverso il museo diffuso creerà i presupposti per uno sviluppo del turismo culturale, i cui azionisti saranno gli stessi residenti. 
Il MUF difende la dignità delle condizioni di vita locale e combatte la segregazione sociale delle baraccopoli che fino a pochi anni fa rappresentava un'emergenza sociale gravissima per il Brasile.
L'esempio del Brasile sarà importante anche per tante altre zone depresse e "ghettizzate" del mondo che potranno ritrovare la propria dignità riscoprendo dapprima essi stessi la propria cultura e facendola conoscere al resto del mondo. Solo così si potrà sperare nella fine dei conflitti sociali, donando la speranza in un futuro migliore.


I piccoli musei italiani incontrano i musei del Brasile



Da sinistra: Vanessa De Britto, José Do Nascimento Jr, Caterina Pisu, Maria Valentina Naves 
Sabato mattina si è svolto a Roma un incontro tra l'Associazione Nazionale Piccoli Musei, rappresentata da Caterina Pisu, e una delegazione dell'Instituto Brasileiro de Museus (IBRAM), guidato dal Presidente, José do Nascimento Jr., accompagnato da Vanessa De Britto, responsabile del settore relazioni internazionali dell'IBRAM, e Maria Valentina Naves, responsabile del settore comunicazione dell'IBRAM.  Il colloquio ha aperto prospettive di future collaborazioni e ha messo in luce una comune visione dei musei, soprattutto dei piccoli musei che anche in Brasile, come in Italia, rappresentano la parte più importante del patrimonio museale nazionale. Il 70% dei musei brasiliani, ci ha detto il Prof. José do Nascimento Jr., è costituito da piccoli musei. Abbiamo anche constatato che il Brasile è un Paese all'avanguardia nelle politiche di promozione e di valorizzazione dei musei. Più avanti riferiremo in modo più approfondito dei vari progetti che sono già in atto o che stanno per nascere, tutti rivolti a rafforzare il legame tra le comunità e i musei, al fine di custodire la memoria e sviluppare i territori anche in senso economico e sociale. La mattinata si è conclusa con la visita di un museo appartenente al Polo Museale universitario La Sapienza, il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, che sta mettendo a punto un software per la creazione di siti web per i piccoli musei.


Una guida ai caffé dei musei di tutta Europa




"Un caffé al museo" è il libro di Maria Sole Pantanella che ci porta a conoscere le più belle caffetterie museali d'Europa. Il volume è del 2003 e si spera che la casa editrice Le Lettere pubblichi presto un'edizione aggiornata di questa interessante guida che ci fa conoscere il mondo dei musei attraverso una prospettiva diversa: quella del piacere dell'aggregazione e dell'incontro in un luogo dedicato all'arte e alla cultura cui unire l'altrettanto soddisfacente assaggio delle specialità gastronomiche che ognuno di questi raffinati locali è in grado di offrire. Un modo completamente nuovo di avvicinarsi al museo non solo attraverso la vista e l'udito ma attivando anche olfatto e gusto!




Ancora sulla colazione al museo...

Ricollegandomi al post di ieri, "Un caffé al museo", ho trovato un breve articolo del 2010 nel blog della Nutella, a conferma del successo riscosso dalle caffetterie museali. Lo riporto integralmente:



Colazione ad arte...nei grandi musei



Postato il 21 Settembre, 2010 alle 05:06 da La Redazione di Nutella.it

Capolavori d’arte e grandi mostre? Non solo. Oggi i musei attirano nuovi visitatori prendendoli anche… per la gola! Dopo la moda delle cene allestite tra le sale espositive, è arrivato il momento della prima colazione gourmand, proposta da molte caffetterie museali. Una formula originale che ha riscosso da subito un grande successo.
A Parigi celebrità, artisti e galleristi si danno appuntamento di primo mattino alla brasserie del Palais de Tokyo o al sesto piano del Centre Pompidou, sulla spettacolare terrazza della caffetteria del museo. A Londra la Tate Modern accoglie i primi visitatori della giornata con un caffè da sorseggiare ai tavolini allestiti accanto all’immensa vetrata con vista sul Tamigi, mentre a New York l’ultimo grido è il breakfast al The Wright, il nuovo bistrot del museo Guggenheim.
E in Italia? Vera antesignana è stata la caffetteria del Mambo, il museo d’arte moderna di Bologna, meta abituale fin dal primo mattino di studenti universitari e professionisti, grazie a un’ottima colazione servita tra arredi vintage e opere d’arte.
Con gli ultimi tepori autunnali, il Caffè delle Arti della Galleria d’Arte Moderna è uno dei luoghi più incantevoli di Roma, perfetto per sorseggiare un cappuccino. A Milano il ritrovo chic prima dell’ufficio è tra i tavolini allestiti con centotrenta diverse sedie d’autore al Triennale design caffè, mentre a Venezia c’è un angolo nascosto alla folla dei turisti: il caffè della fondazione Peggy Guggenheim, dove ordinare una romantica colazione prima di iniziare la visita al museo.

Un caffé al museo


di Caterina Pisu



Navigando su internet mi sono imbattuta in un blog che non aveva assolutamente niente a che vedere con i musei (un blog di ricette di cucina), ma in cui si faceva cenno al Caffé del Museo della Storia di Bologna. Quello che mi ha colpito è leggere l'entusiasmo con cui l'autrice lo ha descritto, decidendo addirittura di passarvi tutti i week-end dell'estate. 
Il bar, pur appartenendo alla struttura museale, consente l'ingresso indipendentemente dalla visita al museo, ma sarebbe interessante sapere quante persone hanno deciso o decideranno di entrare al museo solo perché attratte da questo bellissimo Caffè. Così mi è venuto in mente un articolo che avevo letto nel 2010 su corrieredellasera.it e che sono riuscita a ritrovare; l'articolo è di Francesca Bonazzoli e l'autrice scrive, a proposito dei bar dei musei di Roma: "Grazie alla dolcezza del clima, ai giardini lussureggianti e alle terrazze dalla vista spettacolare, regalano l’ebbrezza di farti sentire uno di quei turisti americani a Roma nei film degli anni Cinquanta, fra camerieri in candida divisa bianca, palme, alberi di agrumi, arredi di bambù, pianoforti a coda, chiacchericcio internazionale e tanto ghiaccio nei bicchieri". 
Nell'articolo ora citato si parla dei Caffé di alcuni dei musei più importanti di Roma: il Caffé delle Arti della Galleria d'Arte Moderna, il Bar di Villa Medici al Pincio, il bar ristorante Open Colonna del Palazzo delle Esposizioni e infine il Bar dei Musei Capitolini. Non sappiamo esattamente se in tutti questi casi, come pure in tanti altri luoghi di ristoro appartenenti a strutture museali di tutta Italia, si sia raggiunto davvero uno degli obiettivi che ci si era prefissati con la legge Ronchey, quello, cioè, di fare dei musei statali dei luoghi di aggregazione, ispirandosi alle collaudate esperienze straniere, in particolare nordamericane, e cercando così di "svecchiare" il sistema dei servizi museali italiani.
Purtroppo non sempre i risultati sono stati quelli voluti, soprattutto a causa di scelte gestionali non molto lungimiranti. Abbiamo citato, in apertura, il Caffé del Museo della Storia di Bologna che si presenta come un'area accessibile anche a chi deciderà di non entrare in un museo: una strategia indiscutibilmente intelligente. In un articolo comparso ne il Giornale del 2003, Camillo Langone ricorda altri casi simili, fuori dall'Italia, molto noti, come il Guggenheim e il Whitney Museum. All'opposto, ci sono musei che invece penalizzano la fruizione delle caffetterie; a questo proposito Langone ne cita alcune, note quasi solo agli addetti ai lavori, quasi "nascoste" dentro i musei, che oltretutto obbligano non solo a pagare conti più salati rispetto a un normale bar sulla strada, ma anche a caricarsi della spesa del biglietto d'ingresso al museo. La doppia spesa, secondo Langone, allontanerebbe qualsiasi persona che non sia decisamente un "art-maniaco"!
Non entro nel merito della complessa analisi sulle politiche di privatizzazione dei servizi museali, ma ciò che si è voluto evidenziare, molto semplicemente, è che le caffetterie museali possono avere, come si è visto, un appeal particolare sul pubblico, tale da renderli anche interessanti investimenti per le aziende private. Ma secondo Confcultura, perché ciò avvenga sarebbe necessaria una politica di incentivi che giovi anche al museo, per esempio con sconti in bassa stagione e alle famiglie. Inoltre le imprese avrebbero bisogno di più autonomia gestionale, senza dover rallentare il passo dietro il carro obsoleto del Mibac: "la soluzione potrebbe essere affidare ai privati la gestione diretta dei servizi museali, comprese le decisioni su marketing, orari, personale, prezzi ecc. Naturalmente in accordo e con il controllo delle Soprintendenze in una vera partnership" (Patrizia Asproni, Confcultura). Non ci resta che attendere tempi più propizi, tra un caffé e una brioche... 
 




"...con the al Museo"


Giovedì 22 novembre 2012 alle ore 18, nella Sala Santa Caterina del Museo Diocesano “San Matteo” di Salerno, si inaugurerà la manifestazione “... con the al Museo”, organizzata dalla Soprintendenza per i BSAE di Salerno e Avellino, guidata da Maura Picciau, di concerto con la Direzione del Museo (gli appuntamenti continueranno fino al 7 febbraio).
Nel primo appuntamento verrà presentato alla cittadinanza il dipinto su tavola raffigurante La Madonna del Rosario e misteri, opera cinquecentesca, donata al Museo Diocesano dal prof. Dante Cianciaruso, di cui ricorre quest'anno il ventennale della scomparsa.
Docente di Storia dell'arte presso il Liceo Classico “De Santis”, cultore di tante branche del sapere, Dante Cianciaruso contribuì, con passione e con amore, alla conoscenza della musica antica. Grazie al suo contributo si formarono ensemble musicali tra cui il coro “Antica consonanza”. A lui si deve l'organizzazione del primo “Festival di Musica Antica”, oggi giunto alla XXIII edizione.
Parteciperanno all'incontro alcuni dei testimoni di quella stagione intensa e ricca di novità che Cianciaruso fece vivere alla città durante la sua permanenza a Salerno.
Interverrà, tra gli altri, il pittore Mario Carotenuto che lo ha raffigurato nel famoso Presepe Dipinto e che, con altrettanta generosità, lo ha imitato con la donazione al Comune di alcune delle sue opere.
L'incontro, che si svolge con la collaborazione dell’Ept di Salerno, sarà arricchito dalle note del coro “Estro Armonico”, diretto da Silvana Noschese e del coro del Liceo De Santis, diretto da Giuseppe Lazzazzera. Seguirà un momento di degustazione, con the e pasticcini.

Ringrazio la Dott.ssa Giuliana Sorgente, Ufficio Comunicazione della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Salerno e Avellino, che mi ha segnalato la notizia.



Dipinto su tavola raffigurante La Madonna del Rosario e misteri,
opera cinquecentesca

Musei e multiculturalismo

di Caterina Pisu 




Oggi in Italia, non solo le grandi città ma anche i più piccoli centri devono confrontarsi con un multiculturalismo sempre più crescente, determinato dalla presenza nelle comunità di gruppi di immigrati di prima ma anche di seconda e terza generazione che, talvolta, anche se nati nel nostro Paese, risentono della mancata integrazione nel tessuto sociale autoctono dei loro genitori e nonni. Quando ciò accade è probabile che non abbiano sentito "propria" o comunque "vicina" la cultura locale e forse nessuno si è preoccupato di mettere in rilevo, ai loro occhi, gli elementi di "vicinanza" piuttosto che quelli di "distanza".
Valentina Andriani e Isabella Crespi, in un contributo del 2011 per l'università di Macerata (http://www2.unimc.it/dsef/working-papers/home/l2019appartenenza-alle-cerchie-sociali-e-la/filePaper), citando il sociologo Georg Simmel scrivono: "Simmel, definisce lo straniero come «colui che oggi viene e domani rimane» (Simmel 1998, 89). Questa sua condizione lo pone in una posizione ben differente rispetto al nomade o al viandante, nonostante non sia nato nel luogo in cui si trova e non vi appartenga". Per Simmel, inoltre, lo "straniero" è "colui che entra in contatto spaziale e sociale con il gruppo, che prima è mobile e poi si fissa in un nuovo punto" ((Andriani, Crespi 2011, p. 81).
Molto spesso la condizione degli stranieri, ne abbiamo esperienza nelle nostre comunità, è marginale, esclusa dai ruoli di maggiore rilevanza sociale, con capacità relazionali ridotte, a volte, da diversi ostacoli: linguistici, culturali, etici, religiosi. Ciò comporta un fenomeno di ambivalenza, derivante dalla posizione contemporaneamente interna ed esterna dello straniero rispetto alla comunità cui si riferisce: interna, in quanto egli è fisicamente dentro la comunità, esterna perché la sua condizione lo pone in una posizione estranea e antitetica rispetto al gruppo sociale autoctono.
Eppure la figura dello straniero immigrato, proprio per le caratteristiche appena descritte, contrariamente a quanto si possa pensare può svolgere un ruolo sociale importante di compattazione della comunità locale e di rafforzamento della sua iidentità, perché con la sua stessa presenza, che introduce un elemento di alterità, promuove "la coesione sociale del gruppo che si riconosce nei vincoli simbolico-relazionali che lo costituiscono proprio contrapponendosi a un elemento estraneo, che, pur condividendo lo spazio (abitativo e esperienziale) ed essendo, dunque, incluso, si trova in una relazione che è, al contempo esterna/frontale, rispetto al gruppo" (Andriani, Crespi 2011, p. 83). Quando ciò non avviene, non è l'immigrazione la causa (pur tenendo presente i problemi legati all'immigrazione clandestina e il pericolo di affiliazione da parte di organizzazioni criminali, che possono causare grande malessere sociale), ma vuol dire che è già in atto un processo di disgregazione della comunità che non si identifica più nei suoi valori tradizionali.
Già da vari anni i musei si stanno ponendo il problema di come declinare l'integrazione delle comunità di origine immigrata con la salvaguardia e il rafforzamento delle identità locali. E' del 2007, per esempio, il progetto europeo "Museums as Places for Intercultural Dialogue", Da questo progetto sono scaturiti studi molto interessanti che sono stati presentati in un convegno, a Bologna, il 10 giugno 2008. La museologia, pertanto, si è dimostrata attenta ai cambiamenti sociali e c'è la consapevolezza che i musei possano essere importanti, forse più di altre istituzioni politiche, economiche e sociali, al raggiungimento dell'armonia e dell'integrazione sociale.
Quali possono essere gli strumenti per attuare il dialogo interculturale attraverso i musei? Il primo passo dovrebbe essere il coinvolgimento diretto dei vari attori sociali. E' ciò che accade, per esempio, al Metropolitan Museum di New York, una delle città più multiculturali del mondo, in cui il Museo ha costituito un Comitato multiculturale consultivo, composto da afro-americani, asiatici, asiatico-americani, ispanici/latino-americani, americani, indiani, e, dal punto di vista religioso, da esponenti della religione musulmana, e da altri leader di organizzazioni interreligiose. Questi si incontrano periodicamente con il personale del Museo cercando di focalizzare obiettivi comuni. Il Comitato, quindi, predispone un programma che che comprende varie attività di sensibilizzazione, tra cui:
  • Ricevimenti, visite e conferenze che si ispirano alla diversità culturale rappresentata nelle collezioni del Museo.
  • Il sostegno e la partecipazione a numerosi eventi culturali e civili che riguardano le comunità di New York.
  • Collaborazioni con altre istituzioni e organizzazioni culturali di New York.
  • Celebrazione annuale dei "mesi del patrimonio".
Le varie iniziative vengono poi adeguatamente propagate attraverso i giornali locali, la radio e la televisione, avvisi pubblicitari, comunicati stampa e media, soprattutto i social media.

Un programma di mediazione interculturale di questo tipo è adattabile a qualunque museo e ad ogni comunità, anche la più piccola (un esempio: il piccolo Comune di Brabarano Romano, in provincia di Viterbo, avente una popolazione di circa 950 unità, ha anch'essa una sua comunità di stranieri di 85 unità). Per attuare tale impegno, è importante svolgere un'analisi preventiva della composizione della popolazione straniera presente. Solitamente è possibile dedurre i dati molto facilmente attraverso una ricerca nei siti comunali o provinciali o nei siti dei principali enti di ricerca statistica (riferendomi ancora a Barabarano Romano si può sapere, per esempio, che la popolazione straniera è così suddivisa: Romania 27 unità,  Polonia 20, Albania 6, Brasile 6, Filippine 4, Ucraina 3, India 2, Nigeria 2, Regno Unito 2, Perù 2, Germania 2, Marocco 1, Stati Uniti d'America 1, Bielorussia 1, Belgio 1, Cuba 1, Moldova 1, Kenya 1, Mauritius 1, Bulgaria 1).
E' utile anche cercare una collaborazione con gli uffici di mediazione interculturale che sono presenti presso gli enti locali e nelle province, con i quali possono essere concordati progetti culturali comuni che coinvolgano pienamente il museo.

Bisogna rilevare che in Italia si stanno moltiplicando i progetti di mediazione interculturale. Il prossimo 19 novembre, per esempio, presso la Fiera ABCD di Genova si svolgerà il Convegno "Musei e dialogo interculturale. Esperienze e buone pratiche a sostegno della mediazione culturale" (http://www.vanninieditrice.it/agora_scheda.asp?ID=838&categoria=convegni,%20mostre,%20concorsi) e in questa occasione ricercatori, esperti d’interculturalità e operatori museali presenteranno progetti d’intercultura in ambito museale. 

Una buona occasione per fare il punto su queste problematiche così attuali, essendo indubitabile che l'avvio di un dialogo costruttivo tra gli individui e le comunità portatrici di culture diverse è un compito che tutti i musei dovranno necessariamente affrontare per continuare a svolgere un ruolo attivo e rilevante nell'ambito delle proprie comunità di riferimento, contribuendo, così, all'armonizzazione sociale e ad un maggior senso di sicurezza e di fiducia reciproca.



Bibliografia e Sitografia:

V. Andriani, I. Crespi, "L’appartenenza alle cerchie sociali e la condizione di straniero in George Simmel", Università degli Studi di Macerata, 
Dipartimento di Scienze dell‟Educazione e della Formazione, Working paper n. 5, Novembre 2011

Metropolitan Museum of Art, www.metmuseum.org

Museums as Places for Intercultural Dialogue, http://www.mapforid.it/

Un museo tutto nuovo




Riflessione sull’importanza dell’innovazione in ambito museale. Il ruolo fondamentale della divulgazione per una percezione più corretta del mondo museale

di Caterina Pisu (Archeonews, settembre 2012)

 

Nel numero di Nemo, la newsletter del Network of European Museum Organisations, del febbraio 2009, Massimo Negri ha analizzato l’importanza del rinnovamento dei musei nell’ambito di un percorso di miglioramento continuo. Questo processo ha caratterizzato notevolmente l’evoluzione dei musei in ambito occidentale e soprattutto in Europa, dove oltre il 50% risale a un periodo precedente la seconda guerra mondiale. Gli anni del dopoguerra, pertanto, hanno visto la maggioranza dei musei modificarsi, “svecchiare” i propri allestimenti, adottare nuove strategie museologiche e museografiche, aprirsi alle forme di comunicazione più innovative, ovviamente tenendo presenti i ritardi che hanno penalizzato alcuni Paesi più di altri, o determinati musei rispetto ad altri. Secondo Negri, oggigiorno non siamo certo di fronte all’immagine del “museo polveroso” che tuttavia sembra ancora voler rimanere radicata nell’immaginario collettivo. Non si può negare che ancora esistano esempi di musei ancorati ai modelli ottocenteschi ma, in generale, i musei moderni si sono molto evoluti e si può affermare che siano il risultato della portata e dell’effetto di alcuni eventi che sono da considerarsi vere pietre miliari nella storia degli studi museologici/museografici: dall’affermazione dei Science Centers (che certamente più di altre categorie museali hanno incentivato l’interazione con il pubblico) al boom dell’archeologia industriale che tanto ha concorso alla nascita di teorie innovative in ambito museologico (ricordiamo il fondatore dell’archeologia industriale, Kenneth Hudson, uno dei maggiori museologi europei), senza dimenticare lo sviluppo del concetto di “ecomuseo” - teorizzato dai museologi George Henry Rivière e Hugues de Varine - o di “museo senza collezione”, che ha completamente rielaborato l’archetipo del museo tradizionale ed ha rafforzato la “vocazione sociale” dei musei.
L’innovazione, quindi, in quanto sviluppo essenziale per qualsiasi organizzazione che voglia mantenere alti gli standard di qualità, ha avuto un progresso costante in questi ultimi trent’anni, suscitando ampi dibattiti, soprattutto in relazione a quelle che possono essere le difficoltà che i musei hanno incontrato lungo questo percorso. Negri ha isolato dieci temi centrali che più frequentemente hanno animato la discussione sull’innovazione in ambito museale e che, in molti casi, sono rimasti tuttora problemi in attesa di soluzioni:
1. la difficile coesistenza del vecchio con il nuovo, uno dei problemi legati all’innovazione ambienti obsoleti, come possono essere le grandi istituzioni museali del mondo occidentale;
2. le sfide architettoniche: le trasformazioni dello spazio architettonico museale, che tanto hanno caratterizzato l’epoca contemporanea, possono interferire con il messaggio che il museo intende trasmettere e, in ogni caso, lo condizionano?
3. in che modo tali trasformazioni possono coniugarsi con il miglioramento del comfort del visitatore, una questione che coinvolge necessariamente il processo di rinnovamento del museo e il suo rapporto con il pubblico?
4. il museo come palcoscenico di un teatro, in cui gli “attori” interagiscono con i visitatori in un modo totalmente nuovo;
5. la presenza intrigante di robot, avatar, talking heads, ecc. in ambito museale.
6. il ruolo cruciale svolto dagli schermi; un nemico invadente nell’ambiente museale?

7. la rivoluzione del wireless; fino a che punto è possibile plasmare il comportamento dei visitatori
e la loro percezione del museo durante l’esperienza di visita?
8. la proliferazione di dispositivi di orientamento, sempre più conformi alla crescente segmentazione del pubblico, può rendere la vita dei visitatori più facile o più complicata?
9. la sperimentazione dell'accesso del pubblico, in varie forme e modalità, nell’organizzazione e nella gestione delle collezioni museali;
10. il dilemma dei vari modi di interpretazione dell’esperienza museale: saper bilanciare il compito informativo e quello evocativo.
Le dieci tematiche riassunte da Negri possono apparire nuove e forse insolite per i non specialisti che sono indotti, soprattutto dai media, a limitare le problematiche inerenti il mondo dei musei quasi esclusivamente alla necessità di attrarre visitatori e di far quadrare i bilanci, temi che sono senza dubbio importanti ma non centrali. In realtà, come si è appena dimostrato, la discussione in ambito museologico è ampia e diversificata e pone sempre al centro dei propri interessi il visitatore e il contesto urbano e territoriale in cui i musei operano. Ma se l’impulso al rinnovamento da parte dei musei è poco percepito all’esterno e continua ad imporsi l’immagine del “museo polveroso”, non sarà utile, ma soprattutto necessario, far sì che il dibattito interno sia maggiormente divulgato e che non si continuino a mostrare solo gli aspetti ritenuti “notiziabili” dai media? Se, come recita un noto proverbio orientale “fa più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce”, ecco che i lettori saranno più impressionati dai musei che chiudono i battenti piuttosto che dai musei che si innovano, ma solo perché di questi ultimi si parla poco e, soprattutto, non si conoscono bene o non si comprendono gli impulsi teorici che sono all’origine di tali cambiamenti. Questo, dunque, è l’undicesimo punto che mi permetto di aggiungere all’elenco stilato da Negri e che ritengo ugualmente fondamentale per il processo di rinnovamento dei musei: la comprensione critica del dibattito museologico da parte dei “comunicatori” (giornalisti tradizionali, comunicatori telematici, ecc.) e la corretta divulgazione al pubblico, da parte di questi, di un’immagine dei musei più aderente alla realtà.

Un salotto nel museo: comfort e stress da visita

di Caterina Pisu 


Uno degli aspetti cruciali della fruizione museale è il comfort. Si tratta di una questione apparentemente semplice legata alla presenza di alcuni strumenti e servizi: posti a sedere, segnaletica, bagni, caffetterie.
Nina Simon ne parla nel suo blog Museum 2.0 (http://museumtwo.blogspot.it/2008/01/creature-comfort-where-are-couches-in.html) e fa un esempio illuminante: un bar nel centro di Santa Cruz è collocato proprio accanto al Museo di Arte e Storia. All'interno si sentiva musica funky, alcune persone lavoravano, altre mangiavano, chiacchieravano e leggevano. Sui muri erano appese riproduzioni delle stesse opere esposte nel museo. Allora Nina Simon si chiede, un po' perplessa, perché il Museo non ci fa sentire a nostro agio come il bar? Per rispondere a queste domande la Simon ha chiesto il parere di due esperti, Steve Tokar e Beth Katz, che si occupano di progettazione museale soprattutto in relazione al benessere dei visitatori. Nel 2003, Steve ha completato la sua tesi di master in Progettazione Universale (in inglese Universal Design, UD*) nei musei della scienza, e ha trascorso diversi anni lavorando sul design ergonomico per i musei.

Perché i musei ci mettono così maledettamente a disagio?

Entrambi (Steve e Beth) hanno svolto studi sui visitatori, riuscendo a raccogliere molti dati, soprattutto sui musei d'arte. La domanda che si sono posti è: come è possibile che i musei vengano progettati senza preoccuparsi di cosa vuol dire per un visitatore stare sempre in piedi, camminare di continuo, avere bisogno di un bagno o di una tazza di caffé?
Di solito, infatti, nei musei i posti per potersi sedere sono pochi e i visitatori sono costretti a contenderseli. Secondo alcuni curatori le panchine svolgerebbero azione di disturbo nella visione delle opere; in pratica sarebbero "distrazioni visive". Ma dal punto di vista del visitatore? Nella progettazione dei musei e delle gallerie d'arte in realtà nessuno si immedesima nel visitatore e, passeggiando nelle sale, si chiede: "dove andrei, ora, se fossi tanco?" La maggioramza dei musei, invece, è stata progettata con criteri rigidi che provocano molta fatica nel corso della visita e che inducono il visitatore a pensare solo di trovarsi un posto per stare seduto.
Non mancano gli esempi positivi. Al Museum of Fine Arts di Boston si sta allestendo un salotto come parte integrante di ogni progetto allestitivo. I posti a sedere sono conformi allo stile dell'arte esposta in modo da non disturbare esteticamente lo spazio in cui sono collocati. Nella Gemälde Gallerie di Berlino, invece, ogni galleria ha delle vetrate che si affacciano sulla strada con posti a sedere a ridosso delle finestre rivolti verso  la galleria: un sollievo per il corpo e per la vista. Le sedute, inoltre, sono state concepite in modo da non essere in concorrenza con le opere d'arte.

I bagni.

Beth osserva che i visitatori che cercano un bagno hanno spesso un'espressione a metà tra lo stress e il panico, come se avessero paura di non trovare il posto in tempo! Non ce ne sono mai abbastanza e, chissà perché, sembrano essere sempre nascosti e poco segnalati.

Punti di ristoro.

Perché di solito c'è un solo punto di ristoro in tutto il museo? Perché bisogna andare fuori dal museo o dalla galleria per godersi un caffè o bere un bicchiere d'acqua? Perché abbandonare  lo spazio museale per fare uno spuntino? Il visitatore dovrebbe poter decidere da solo il momento in cui ha bisogno di fare una pausa e non essere costretto in percorsi obbligati che lo conducono a potersi riposare soltanto alla fine della visita, dopo che la stanchezza lo ha ormai prostrato.

Segnaletica. Le persone si aggirano chiedendosi: "Dove sono...?"

Il Metropolitan Museum of Art di New York ha fatto un ottimo lavoro. Lo spazio è vasto ma ci sono sempre degli atrii nei quali sono collocati dei piccoli Caffè.  La segnaletica è ottima, ce n'è dappertutto: un'esperienza che sarebbe potuta essere confusa, è stata invece resa piacevole e fruibile.


Esempi di musei accoglienti e attenti al comfort dunque ce ne sono. Nina Simon ricorda il Denver Art Museum in cui la struttura più antica è stata integrata con molti spazi interessanti. In occasione di una mostra di James Turrell è stato allestito un salotto esterno con sedie comode e materiali da condividere per approfondire le proprie riflessioni sulla mostra. Il relax è favorito dalla luce soffusa e dalla possibilità di ascoltare musei tramite iPod; i visitatori possono anche usufruire di  una libreria progettata come una biblioteca britannica con armadi contenenti libri e divani per sedersi.
Il problema, in definitiva, non è solo creare spazi per il ristoro o per la riflessione, ma cercare di integrare questi spazi nell'ambiente-museo, in modo che il visitatore possa godere della più ampia libertà e del maggior comfort possibile. Ciò vale per i grandi musei, dove queste strategie sono indispensabili a causa dell'ampiezza degli spazi, per limitare lo stress da visita, come per i piccoli musei, dove la visita è più breve ma si possono ricercare ugualmente forme di comfort e di rispetto dell'autonomia del visitatore con altrettanta attenzione. In questo caso lo scopo da perseguire non è tanto l'attenuazione della stanchezza quanto la ricerca di un ambiente accogliente e coinvolgente che contribuisca a rendere unica e positiva l'esperienza di visita.



* Il termine "Universal design", è stato coniato dall'architetto Ronald L. Mace, dell'università dello stato americano del Nord Carolina, a cui si è dedicato per lo studio, la ricerca e la fattibilità, assieme ad un gruppo di collaboratori, per descrivere il concetto di progettazione ideale di tutti i prodotti e degli ambienti artificiali, tali che siano piacevoli e fruibili, per quanto possibile da tutti, indipendentemente dalla loro età, capacità e/o condizione sociale (tratto da Wikipedia alla voce Universal Design).

Aurélie Filippetti: la cultura è libertà


Madame Culture, il nuovo ministro francese della Cultura e delle Comunicazioni, porta una ventata di rinnovamento e nuove energie per superare il difficile momento della cultura in Francia

di Caterina Pisu


La Francia di Hollande saprà dare nuovo impulso alla cultura nazionale? Non è ancora possibile saperlo con certezza ma la scelta del nuovo ministro della cultura, la giovane Aurélie Filippetti, sembra indicare un orientamento verso lo svecchiamento e l’innovazione, sempre che si riescano a superare le difficoltà di budget che limiteranno sicuramente i grandi progetti culturali anche in Francia (sono previsti consistenti tagli al settore cultura). La buona dose di entusiasmo e di combattività della giovane Filippetti, nipote di un immigrato italiano di Gualdo Tadino, potrà essere la ricetta giusta. Laureata all’École normale supérieure de Fontenay-Saint-Cloud, la Madame Culture francese è stata insegnante di Lettere classiche prima di dedicarsi alla politica. Per lei, come ha dichiarato in una recente intervista a L’Unità, «la cultura è un investimento e non una spesa» in quanto, continua, «la cultura, le arti, lo spettacolo possono essere creatori di ricchezza. La crescita, poi, non può essere misurata solo su parametri economici»; ma non solo, la cultura deve essere considerata soprattutto per la sua valenza etico/sociale: «la cultura è libertà collettiva», afferma.
Stupisce l’età del ministro: appena 39 anni. Se pensiamo all’età media dei nostri ministri della cultura, non solo ora che ci siamo affidati ad un governo tecnico, ma anche in precedenza (fatta eccezione per Giovanna Melandri che però non ha lasciato un segno indelebile nella politica culturale italiana), è scoraggiante constatare che la politica culturale del nostro paese è sempre stata guidata da politici “anziani”, forse non solo in senso anagrafico ma anche per la mancanza di un “fervore” più tangibile che conducesse a reali e coraggiosi cambiamenti. Certo, a parte la scelta della Filippetti, non tutte le idee di inizio insediamento di Hollande sono state eccezionali e per fortuna è stato scongiurato il progetto di unione dei ministeri dell’istruzione e della cultura che probabilmente avrebbe rischiato di appesantire tutto il sistema culturale francese. E’ ancora presto, in ogni caso, sia per poter esprimere un giudizio sul governo Hollande sia sul ministro della cultura. Alcuni passi fatti finora sembrano non deludere, specialmente la proposta che la Storia dell’Arte sia insegnata dall’”asilo all’università” perché, secondo la Filippetti, bisogna superare quella barriera psicologica che separa la gente dall’arte, soprattutto dall’arte contemporanea. In tal senso anche la sua politica museale prevederà strategie volte a richiamare l’interesse dei visitatori verso i musei, in collaborazione con le associazioni culturali e gli enti locali. L’obiettivo è attirare tutti i pubblici, perché per Aurélie non basta che i musei siano gratuiti dai 18 ai 25 anni (disposizione in vigore dal 2009), è necessario fare di più.  La nuova ministra  è preoccupata anche per il degrado dei beni culturali, causato dai tagli ai finanziamenti degli ultimi anni. C’è bisogno di nuovi investimenti ma un ostacolo non facile da superare è già sulla strada della Filippetti: è proprio dei giorni scorsi la notizia di una sua opposizione al progetto di ridimensionamento del meccanismo fiscale a favore delle sponsorizzazioni alla cultura; la riduzione del beneficio fiscale porterebbe automaticamente, secondo la Filippetti, a «una drammatica interruzione del finanziamento di associazioni, musei, ricerca». Sarebbe un passo falso per la cultura francese ma speriamo che la giovane Aurélie abbia l’energia e l’influenza necessaria per scongiurarlo.
tratto da ArcheoNews, luglio/agosto 2012

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