di Caterina Pisu
Oggi in Italia, non solo le grandi città ma anche i più piccoli
centri devono confrontarsi con un multiculturalismo sempre più
crescente, determinato dalla presenza nelle comunità di gruppi di
immigrati di prima ma anche di seconda e terza generazione
che, talvolta, anche se nati nel nostro Paese, risentono della mancata
integrazione nel tessuto sociale autoctono dei loro genitori e nonni.
Quando ciò accade è probabile che non abbiano sentito "propria" o
comunque "vicina" la cultura locale e forse nessuno si è preoccupato di
mettere in rilevo, ai loro occhi, gli elementi di "vicinanza" piuttosto
che quelli di "distanza".
Valentina Andriani e Isabella Crespi, in un contributo del 2011 per
l'università di Macerata
(http://www2.unimc.it/dsef/working-papers/home/l2019appartenenza-alle-cerchie-sociali-e-la/filePaper),
citando il sociologo Georg Simmel scrivono: "Simmel, definisce lo
straniero come «colui che oggi viene e domani rimane» (Simmel 1998, 89).
Questa sua condizione lo pone in una posizione ben differente rispetto
al nomade o al viandante, nonostante non sia nato nel luogo in cui si
trova e non vi appartenga". Per Simmel, inoltre, lo "straniero" è "colui
che entra in contatto spaziale e sociale con il gruppo, che prima è
mobile e poi si fissa in un nuovo punto" ((Andriani, Crespi 2011, p. 81).
Molto spesso la condizione degli stranieri, ne abbiamo esperienza
nelle nostre comunità, è marginale, esclusa dai ruoli di maggiore
rilevanza sociale, con capacità relazionali ridotte, a volte, da diversi
ostacoli: linguistici, culturali, etici, religiosi. Ciò comporta un
fenomeno di ambivalenza, derivante dalla posizione contemporaneamente
interna ed esterna dello straniero rispetto alla comunità cui si riferisce:
interna, in quanto egli è fisicamente dentro la comunità, esterna perché
la sua condizione lo pone in una posizione estranea e antitetica
rispetto al gruppo sociale autoctono.
Eppure la figura dello straniero immigrato, proprio per le
caratteristiche appena descritte, contrariamente a quanto si possa
pensare può svolgere un ruolo sociale importante di compattazione della
comunità locale e di rafforzamento della sua iidentità, perché con la
sua stessa presenza, che introduce un elemento di alterità, promuove "la
coesione sociale del gruppo che si riconosce nei vincoli
simbolico-relazionali che lo costituiscono proprio contrapponendosi a un
elemento estraneo, che, pur condividendo lo spazio (abitativo e
esperienziale) ed essendo, dunque, incluso, si trova in una relazione
che è, al contempo esterna/frontale, rispetto al gruppo" (Andriani,
Crespi 2011, p. 83). Quando ciò non avviene, non è l'immigrazione la causa (pur tenendo presente i problemi legati all'immigrazione clandestina e il pericolo di affiliazione da parte di organizzazioni criminali, che possono causare grande malessere sociale), ma vuol dire che è già in atto un processo di disgregazione della comunità che non si identifica più nei suoi valori tradizionali.
Già da vari anni i musei si stanno ponendo il
problema di come declinare l'integrazione delle comunità di origine
immigrata con la salvaguardia e il rafforzamento delle identità locali.
E' del 2007, per esempio, il progetto europeo "Museums as Places for Intercultural Dialogue",
Da questo progetto sono scaturiti studi molto interessanti che sono
stati presentati in un convegno, a Bologna, il 10 giugno 2008. La
museologia, pertanto, si è dimostrata attenta ai cambiamenti sociali e
c'è la consapevolezza che i musei possano essere importanti, forse più
di altre istituzioni politiche, economiche e sociali, al raggiungimento
dell'armonia e dell'integrazione sociale.
Quali possono essere gli strumenti per attuare il dialogo
interculturale attraverso i musei? Il primo passo dovrebbe essere il
coinvolgimento diretto dei vari attori sociali. E' ciò che accade, per
esempio, al Metropolitan Museum di New York, una delle città più
multiculturali del mondo, in cui il Museo ha costituito un Comitato
multiculturale consultivo, composto da afro-americani, asiatici,
asiatico-americani, ispanici/latino-americani, americani, indiani, e,
dal punto di vista religioso, da esponenti della religione musulmana, e
da altri leader di organizzazioni interreligiose. Questi si incontrano
periodicamente con il personale del Museo cercando di focalizzare
obiettivi comuni. Il Comitato, quindi, predispone un programma che che
comprende varie attività di sensibilizzazione, tra cui:
- Ricevimenti, visite e conferenze che si ispirano alla diversità culturale rappresentata nelle collezioni del Museo.
- Il sostegno e la partecipazione a numerosi eventi culturali e civili che riguardano le comunità di New York.
- Collaborazioni con altre istituzioni e organizzazioni culturali di New York.
- Celebrazione annuale dei "mesi del patrimonio".
Le varie iniziative vengono poi adeguatamente propagate
attraverso i giornali locali, la radio e la televisione, avvisi
pubblicitari, comunicati stampa e media, soprattutto i social media.
Un programma di mediazione interculturale di questo tipo è adattabile
a qualunque museo e ad ogni comunità, anche la più piccola (un esempio:
il piccolo Comune di Brabarano Romano, in provincia di Viterbo, avente
una popolazione di circa 950 unità, ha anch'essa una sua comunità di
stranieri di 85 unità). Per attuare tale impegno, è importante svolgere
un'analisi preventiva della composizione della popolazione straniera
presente. Solitamente è possibile dedurre i dati molto facilmente
attraverso una ricerca nei siti comunali o provinciali o nei siti dei
principali enti di ricerca statistica (riferendomi ancora a Barabarano Romano si può sapere, per esempio, che la popolazione straniera è così suddivisa: Romania
27 unità, Polonia 20, Albania 6, Brasile 6, Filippine 4, Ucraina 3,
India 2, Nigeria 2, Regno Unito 2, Perù 2, Germania 2, Marocco 1, Stati
Uniti d'America 1, Bielorussia 1, Belgio 1, Cuba 1, Moldova 1, Kenya 1,
Mauritius 1, Bulgaria 1).
E' utile anche cercare una collaborazione con gli uffici di
mediazione interculturale che sono presenti presso gli enti locali e
nelle province, con i quali possono essere concordati progetti culturali
comuni che coinvolgano pienamente il museo.
Bisogna rilevare che in Italia si stanno moltiplicando i progetti di
mediazione interculturale. Il prossimo 19 novembre, per esempio, presso
la Fiera ABCD di Genova si svolgerà il Convegno "Musei e dialogo
interculturale. Esperienze e buone pratiche a sostegno della mediazione
culturale"
(http://www.vanninieditrice.it/agora_scheda.asp?ID=838&categoria=convegni,%20mostre,%20concorsi)
e in questa occasione ricercatori, esperti d’interculturalità e
operatori museali presenteranno progetti d’intercultura in ambito
museale.
Una buona occasione per fare il punto su queste problematiche così attuali, essendo indubitabile che l'avvio di un dialogo costruttivo tra gli individui e le comunità portatrici
di culture diverse è un compito che tutti i musei dovranno
necessariamente affrontare per continuare a svolgere un ruolo attivo e rilevante
nell'ambito delle proprie comunità di riferimento, contribuendo, così, all'armonizzazione sociale e ad un maggior senso di sicurezza e di fiducia reciproca.
Bibliografia e Sitografia:
V. Andriani, I. Crespi, "L’appartenenza alle cerchie sociali e la condizione di straniero in George Simmel", Università degli Studi di Macerata,
Dipartimento di Scienze dell‟Educazione e della Formazione, Working paper n. 5, Novembre 2011
Metropolitan Museum of Art, www.metmuseum.org
Museums as Places for Intercultural Dialogue, http://www.mapforid.it/
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