Una guida ai caffé dei musei di tutta Europa
"Un caffé al museo" è il libro di Maria Sole Pantanella che ci porta a conoscere le più belle caffetterie museali d'Europa. Il volume è del 2003 e si spera che la casa editrice Le Lettere pubblichi presto un'edizione aggiornata di questa interessante guida che ci fa conoscere il mondo dei musei attraverso una prospettiva diversa: quella del piacere dell'aggregazione e dell'incontro in un luogo dedicato all'arte e alla cultura cui unire l'altrettanto soddisfacente assaggio delle specialità gastronomiche che ognuno di questi raffinati locali è in grado di offrire. Un modo completamente nuovo di avvicinarsi al museo non solo attraverso la vista e l'udito ma attivando anche olfatto e gusto!
Ancora sulla colazione al museo...
Ricollegandomi al post di ieri, "Un caffé al museo", ho trovato un breve articolo del 2010 nel blog della Nutella, a conferma del successo riscosso dalle caffetterie museali. Lo riporto integralmente:
Colazione ad arte...nei grandi musei
Postato il 21 Settembre, 2010
alle 05:06 da La Redazione di Nutella.it
Capolavori d’arte e grandi mostre?
Non solo. Oggi i musei attirano nuovi visitatori prendendoli anche… per la
gola! Dopo la moda delle cene allestite tra le sale espositive, è arrivato il
momento della prima colazione gourmand, proposta da molte
caffetterie museali. Una formula originale che ha riscosso da subito un grande
successo.
A Parigi celebrità,
artisti e galleristi si danno appuntamento di primo mattino alla brasserie del
Palais de Tokyo o al sesto piano del Centre Pompidou, sulla
spettacolare terrazza della caffetteria del museo. A Londra la Tate Modern
accoglie i primi visitatori della giornata con un caffè da sorseggiare ai
tavolini allestiti accanto all’immensa vetrata con vista sul Tamigi,
mentre a New York l’ultimo grido è il breakfast al The Wright,
il nuovo bistrot del museo Guggenheim.
E in Italia? Vera antesignana è
stata la caffetteria del Mambo, il museo d’arte moderna di
Bologna, meta abituale fin dal primo mattino di studenti universitari e
professionisti, grazie a un’ottima colazione servita tra arredi vintage e
opere d’arte.
Con gli ultimi tepori autunnali,
il Caffè delle Arti della Galleria d’Arte Moderna è uno dei
luoghi più incantevoli di Roma, perfetto per sorseggiare un cappuccino. A
Milano il ritrovo chic prima dell’ufficio è tra i tavolini
allestiti con centotrenta diverse sedie d’autore al Triennale design caffè,
mentre a Venezia c’è un angolo nascosto alla folla dei
turisti: il caffè della fondazione Peggy Guggenheim, dove ordinare una
romantica colazione prima di iniziare la visita al museo.
Un caffé al museo
di Caterina Pisu
Navigando
su internet mi sono imbattuta in un blog che non aveva assolutamente niente a
che vedere con i musei (un blog di ricette di cucina), ma in cui si faceva
cenno al Caffé del Museo della Storia di Bologna. Quello che mi ha colpito è
leggere l'entusiasmo con cui l'autrice lo ha descritto, decidendo addirittura
di passarvi tutti i week-end dell'estate.
Il
bar, pur appartenendo alla struttura museale, consente l'ingresso
indipendentemente dalla visita al museo, ma sarebbe interessante sapere quante
persone hanno deciso o decideranno di entrare al museo solo perché attratte da
questo bellissimo Caffè. Così mi è venuto in mente un articolo che avevo letto
nel 2010 su corrieredellasera.it e che sono riuscita a ritrovare; l'articolo è
di Francesca Bonazzoli e l'autrice scrive, a proposito dei bar dei musei di
Roma: "Grazie alla dolcezza del clima, ai giardini lussureggianti e
alle terrazze dalla vista spettacolare, regalano l’ebbrezza di farti sentire
uno di quei turisti americani a Roma nei film degli anni Cinquanta, fra
camerieri in candida divisa bianca, palme, alberi di agrumi, arredi di bambù,
pianoforti a coda, chiacchericcio internazionale e tanto ghiaccio nei bicchieri".
Nell'articolo
ora citato si parla dei Caffé di alcuni dei musei più importanti di Roma: il
Caffé delle Arti della Galleria d'Arte Moderna, il Bar di Villa Medici al
Pincio, il bar ristorante Open Colonna del Palazzo delle Esposizioni e infine
il Bar dei Musei Capitolini. Non sappiamo esattamente se in tutti questi
casi, come pure in tanti altri luoghi di ristoro appartenenti a strutture
museali di tutta Italia, si sia raggiunto davvero uno degli obiettivi che ci si
era prefissati con la legge Ronchey, quello, cioè, di fare dei musei
statali dei luoghi di aggregazione, ispirandosi alle collaudate esperienze
straniere, in particolare nordamericane, e cercando così di "svecchiare"
il sistema dei servizi museali italiani.
Purtroppo
non sempre i risultati sono stati quelli voluti, soprattutto a causa di scelte
gestionali non molto lungimiranti. Abbiamo citato, in apertura, il Caffé del
Museo della Storia di Bologna che si presenta come un'area accessibile anche a
chi deciderà di non entrare in un museo: una strategia indiscutibilmente
intelligente. In un articolo comparso ne il Giornale del 2003, Camillo Langone
ricorda altri casi simili, fuori dall'Italia, molto noti, come il Guggenheim e
il Whitney Museum. All'opposto, ci sono musei che invece penalizzano la
fruizione delle caffetterie; a questo proposito Langone ne cita alcune,
note quasi solo agli addetti ai lavori, quasi "nascoste" dentro i
musei, che oltretutto obbligano non solo a pagare conti più salati rispetto a
un normale bar sulla strada, ma anche a caricarsi della spesa del biglietto
d'ingresso al museo. La doppia spesa, secondo Langone, allontanerebbe qualsiasi
persona che non sia decisamente un "art-maniaco"!
Non
entro nel merito della complessa analisi sulle politiche di privatizzazione dei
servizi museali, ma ciò che si è voluto evidenziare, molto semplicemente, è che
le caffetterie museali possono avere, come si è visto, un appeal particolare
sul pubblico, tale da renderli anche interessanti investimenti per le aziende
private. Ma secondo Confcultura, perché ciò avvenga sarebbe necessaria una
politica di incentivi che giovi anche al museo, per esempio con sconti in bassa
stagione e alle famiglie. Inoltre le imprese avrebbero bisogno di più autonomia
gestionale, senza dover rallentare il passo dietro il carro obsoleto del
Mibac: "la soluzione potrebbe essere affidare ai privati la
gestione diretta dei servizi museali, comprese le decisioni su marketing,
orari, personale, prezzi ecc. Naturalmente in accordo e con il controllo delle
Soprintendenze in una vera partnership" (Patrizia Asproni,
Confcultura). Non ci resta che attendere tempi più propizi, tra un caffé e una
brioche...
"...con the al Museo"
Giovedì 22 novembre 2012 alle ore 18, nella Sala Santa Caterina del Museo Diocesano “San Matteo” di Salerno, si inaugurerà la manifestazione “... con the al Museo”, organizzata dalla Soprintendenza per i BSAE di Salerno e Avellino, guidata da Maura Picciau, di concerto con la Direzione del Museo (gli appuntamenti continueranno fino al 7 febbraio).
Nel primo appuntamento verrà presentato alla cittadinanza il dipinto su tavola raffigurante La Madonna del Rosario e misteri, opera cinquecentesca, donata al Museo Diocesano dal prof. Dante Cianciaruso, di cui ricorre quest'anno il ventennale della scomparsa.
Docente di Storia dell'arte presso il Liceo Classico “De Santis”, cultore di tante branche del sapere, Dante Cianciaruso contribuì, con passione e con amore, alla conoscenza della musica antica. Grazie al suo contributo si formarono ensemble musicali tra cui il coro “Antica consonanza”. A lui si deve l'organizzazione del primo “Festival di Musica Antica”, oggi giunto alla XXIII edizione.
Parteciperanno all'incontro alcuni dei testimoni di quella stagione intensa e ricca di novità che Cianciaruso fece vivere alla città durante la sua permanenza a Salerno.
Interverrà, tra gli altri, il pittore Mario Carotenuto che lo ha raffigurato nel famoso Presepe Dipinto e che, con altrettanta generosità, lo ha imitato con la donazione al Comune di alcune delle sue opere.
L'incontro, che si svolge con la collaborazione dell’Ept di Salerno, sarà arricchito dalle note del coro “Estro Armonico”, diretto da Silvana Noschese e del coro del Liceo De Santis, diretto da Giuseppe Lazzazzera. Seguirà un momento di degustazione, con the e pasticcini.
Ringrazio la Dott.ssa Giuliana Sorgente, Ufficio Comunicazione della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed
Etnoantropologici per le province di Salerno e Avellino, che mi ha segnalato la notizia.
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Musei e multiculturalismo
di Caterina Pisu
Oggi in Italia, non solo le grandi città ma anche i più piccoli
centri devono confrontarsi con un multiculturalismo sempre più
crescente, determinato dalla presenza nelle comunità di gruppi di
immigrati di prima ma anche di seconda e terza generazione
che, talvolta, anche se nati nel nostro Paese, risentono della mancata
integrazione nel tessuto sociale autoctono dei loro genitori e nonni.
Quando ciò accade è probabile che non abbiano sentito "propria" o
comunque "vicina" la cultura locale e forse nessuno si è preoccupato di
mettere in rilevo, ai loro occhi, gli elementi di "vicinanza" piuttosto
che quelli di "distanza".
Valentina Andriani e Isabella Crespi, in un contributo del 2011 per
l'università di Macerata
(http://www2.unimc.it/dsef/working-papers/home/l2019appartenenza-alle-cerchie-sociali-e-la/filePaper),
citando il sociologo Georg Simmel scrivono: "Simmel, definisce lo
straniero come «colui che oggi viene e domani rimane» (Simmel 1998, 89).
Questa sua condizione lo pone in una posizione ben differente rispetto
al nomade o al viandante, nonostante non sia nato nel luogo in cui si
trova e non vi appartenga". Per Simmel, inoltre, lo "straniero" è "colui
che entra in contatto spaziale e sociale con il gruppo, che prima è
mobile e poi si fissa in un nuovo punto" ((Andriani, Crespi 2011, p. 81).
Molto spesso la condizione degli stranieri, ne abbiamo esperienza
nelle nostre comunità, è marginale, esclusa dai ruoli di maggiore
rilevanza sociale, con capacità relazionali ridotte, a volte, da diversi
ostacoli: linguistici, culturali, etici, religiosi. Ciò comporta un
fenomeno di ambivalenza, derivante dalla posizione contemporaneamente
interna ed esterna dello straniero rispetto alla comunità cui si riferisce:
interna, in quanto egli è fisicamente dentro la comunità, esterna perché
la sua condizione lo pone in una posizione estranea e antitetica
rispetto al gruppo sociale autoctono.
Eppure la figura dello straniero immigrato, proprio per le
caratteristiche appena descritte, contrariamente a quanto si possa
pensare può svolgere un ruolo sociale importante di compattazione della
comunità locale e di rafforzamento della sua iidentità, perché con la
sua stessa presenza, che introduce un elemento di alterità, promuove "la
coesione sociale del gruppo che si riconosce nei vincoli
simbolico-relazionali che lo costituiscono proprio contrapponendosi a un
elemento estraneo, che, pur condividendo lo spazio (abitativo e
esperienziale) ed essendo, dunque, incluso, si trova in una relazione
che è, al contempo esterna/frontale, rispetto al gruppo" (Andriani,
Crespi 2011, p. 83). Quando ciò non avviene, non è l'immigrazione la causa (pur tenendo presente i problemi legati all'immigrazione clandestina e il pericolo di affiliazione da parte di organizzazioni criminali, che possono causare grande malessere sociale), ma vuol dire che è già in atto un processo di disgregazione della comunità che non si identifica più nei suoi valori tradizionali.
Già da vari anni i musei si stanno ponendo il
problema di come declinare l'integrazione delle comunità di origine
immigrata con la salvaguardia e il rafforzamento delle identità locali.
E' del 2007, per esempio, il progetto europeo "Museums as Places for Intercultural Dialogue",
Da questo progetto sono scaturiti studi molto interessanti che sono
stati presentati in un convegno, a Bologna, il 10 giugno 2008. La
museologia, pertanto, si è dimostrata attenta ai cambiamenti sociali e
c'è la consapevolezza che i musei possano essere importanti, forse più
di altre istituzioni politiche, economiche e sociali, al raggiungimento
dell'armonia e dell'integrazione sociale.
Quali possono essere gli strumenti per attuare il dialogo
interculturale attraverso i musei? Il primo passo dovrebbe essere il
coinvolgimento diretto dei vari attori sociali. E' ciò che accade, per
esempio, al Metropolitan Museum di New York, una delle città più
multiculturali del mondo, in cui il Museo ha costituito un Comitato
multiculturale consultivo, composto da afro-americani, asiatici,
asiatico-americani, ispanici/latino-americani, americani, indiani, e,
dal punto di vista religioso, da esponenti della religione musulmana, e
da altri leader di organizzazioni interreligiose. Questi si incontrano
periodicamente con il personale del Museo cercando di focalizzare
obiettivi comuni. Il Comitato, quindi, predispone un programma che che
comprende varie attività di sensibilizzazione, tra cui:
- Ricevimenti, visite e conferenze che si ispirano alla diversità culturale rappresentata nelle collezioni del Museo.
- Il sostegno e la partecipazione a numerosi eventi culturali e civili che riguardano le comunità di New York.
- Collaborazioni con altre istituzioni e organizzazioni culturali di New York.
- Celebrazione annuale dei "mesi del patrimonio".
Le varie iniziative vengono poi adeguatamente propagate
attraverso i giornali locali, la radio e la televisione, avvisi
pubblicitari, comunicati stampa e media, soprattutto i social media.
Un programma di mediazione interculturale di questo tipo è adattabile
a qualunque museo e ad ogni comunità, anche la più piccola (un esempio:
il piccolo Comune di Brabarano Romano, in provincia di Viterbo, avente
una popolazione di circa 950 unità, ha anch'essa una sua comunità di
stranieri di 85 unità). Per attuare tale impegno, è importante svolgere
un'analisi preventiva della composizione della popolazione straniera
presente. Solitamente è possibile dedurre i dati molto facilmente
attraverso una ricerca nei siti comunali o provinciali o nei siti dei
principali enti di ricerca statistica (riferendomi ancora a Barabarano Romano si può sapere, per esempio, che la popolazione straniera è così suddivisa: Romania
27 unità, Polonia 20, Albania 6, Brasile 6, Filippine 4, Ucraina 3,
India 2, Nigeria 2, Regno Unito 2, Perù 2, Germania 2, Marocco 1, Stati
Uniti d'America 1, Bielorussia 1, Belgio 1, Cuba 1, Moldova 1, Kenya 1,
Mauritius 1, Bulgaria 1).
E' utile anche cercare una collaborazione con gli uffici di
mediazione interculturale che sono presenti presso gli enti locali e
nelle province, con i quali possono essere concordati progetti culturali
comuni che coinvolgano pienamente il museo.
Bisogna rilevare che in Italia si stanno moltiplicando i progetti di
mediazione interculturale. Il prossimo 19 novembre, per esempio, presso
la Fiera ABCD di Genova si svolgerà il Convegno "Musei e dialogo
interculturale. Esperienze e buone pratiche a sostegno della mediazione
culturale"
(http://www.vanninieditrice.it/agora_scheda.asp?ID=838&categoria=convegni,%20mostre,%20concorsi)
e in questa occasione ricercatori, esperti d’interculturalità e
operatori museali presenteranno progetti d’intercultura in ambito
museale.
Una buona occasione per fare il punto su queste problematiche così attuali, essendo indubitabile che l'avvio di un dialogo costruttivo tra gli individui e le comunità portatrici
di culture diverse è un compito che tutti i musei dovranno
necessariamente affrontare per continuare a svolgere un ruolo attivo e rilevante
nell'ambito delle proprie comunità di riferimento, contribuendo, così, all'armonizzazione sociale e ad un maggior senso di sicurezza e di fiducia reciproca.
Bibliografia e Sitografia:
V. Andriani, I. Crespi, "L’appartenenza alle cerchie sociali e la condizione di straniero in George Simmel", Università degli Studi di Macerata,
Dipartimento di Scienze dell‟Educazione e della Formazione, Working paper n. 5, Novembre 2011
Metropolitan Museum of Art, www.metmuseum.org
Museums as Places for Intercultural Dialogue, http://www.mapforid.it/
Un museo tutto nuovo
Riflessione sull’importanza dell’innovazione in ambito museale. Il ruolo
fondamentale della divulgazione per una percezione più corretta del mondo
museale
di Caterina Pisu (Archeonews, settembre 2012)
di Caterina Pisu (Archeonews, settembre 2012)
Nel numero di Nemo, la newsletter del Network of
European Museum Organisations, del febbraio 2009, Massimo Negri ha analizzato
l’importanza del rinnovamento dei musei nell’ambito di un percorso di
miglioramento continuo. Questo processo ha caratterizzato notevolmente
l’evoluzione dei musei in ambito occidentale e soprattutto in Europa, dove
oltre il 50% risale a un periodo precedente la seconda guerra mondiale. Gli
anni del dopoguerra, pertanto, hanno visto la maggioranza dei musei modificarsi,
“svecchiare” i propri allestimenti, adottare nuove strategie museologiche e
museografiche, aprirsi alle forme di comunicazione più innovative, ovviamente
tenendo presenti i ritardi che hanno penalizzato alcuni Paesi più di altri, o
determinati musei rispetto ad altri. Secondo Negri, oggigiorno non siamo certo
di fronte all’immagine del “museo polveroso” che tuttavia sembra ancora voler
rimanere radicata nell’immaginario collettivo. Non si può negare che ancora
esistano esempi di musei ancorati ai modelli ottocenteschi ma, in generale, i
musei moderni si sono molto evoluti e si può affermare che siano il risultato
della portata e dell’effetto di alcuni eventi che sono da considerarsi vere pietre
miliari nella storia degli studi museologici/museografici: dall’affermazione
dei Science Centers (che certamente più di altre categorie museali hanno incentivato
l’interazione con il pubblico) al boom dell’archeologia industriale che tanto
ha concorso alla nascita di teorie innovative in ambito museologico (ricordiamo
il fondatore dell’archeologia industriale, Kenneth Hudson, uno dei maggiori
museologi europei), senza dimenticare lo sviluppo del concetto di “ecomuseo” -
teorizzato dai museologi George Henry Rivière e Hugues de Varine - o di “museo
senza collezione”, che ha completamente rielaborato l’archetipo del museo
tradizionale ed ha rafforzato la “vocazione sociale” dei musei.
L’innovazione, quindi, in quanto sviluppo essenziale
per qualsiasi organizzazione che voglia mantenere alti gli standard di qualità,
ha avuto un progresso costante in questi ultimi trent’anni, suscitando ampi
dibattiti, soprattutto in relazione a quelle che possono essere le difficoltà che
i musei hanno incontrato lungo questo percorso. Negri ha isolato dieci temi
centrali che più frequentemente hanno animato la discussione sull’innovazione
in ambito museale e che, in molti casi, sono rimasti tuttora problemi in attesa
di soluzioni:
1. la difficile coesistenza del vecchio con il nuovo, uno
dei problemi legati all’innovazione ambienti obsoleti, come possono essere le
grandi istituzioni museali del mondo occidentale;
2. le sfide architettoniche: le trasformazioni dello
spazio architettonico museale, che tanto hanno caratterizzato l’epoca
contemporanea, possono interferire con il messaggio che il museo intende
trasmettere e, in ogni caso, lo condizionano?
3. in che modo
tali trasformazioni possono coniugarsi con il miglioramento del
comfort del visitatore, una questione che coinvolge
necessariamente il processo di rinnovamento del museo e il suo rapporto con il
pubblico?
4. il museo come palcoscenico di un teatro, in
cui gli “attori” interagiscono con i visitatori in un modo
totalmente nuovo;
5. la presenza intrigante di robot, avatar, talking
heads, ecc. in ambito museale.
6. il ruolo cruciale svolto dagli schermi; un nemico invadente nell’ambiente museale?
7. la rivoluzione del wireless;
fino a che punto è possibile plasmare
il comportamento dei visitatori
e la loro percezione del museo durante l’esperienza
di visita?
8. la proliferazione di dispositivi di orientamento, sempre più conformi alla
crescente segmentazione del pubblico,
può rendere la vita dei visitatori
più facile o più complicata?
9. la
sperimentazione dell'accesso del pubblico, in varie forme e
modalità, nell’organizzazione e nella gestione delle collezioni museali;
10. il dilemma dei vari modi di interpretazione
dell’esperienza museale: saper bilanciare il compito informativo e quello evocativo.
Le
dieci tematiche riassunte da Negri possono apparire nuove e forse insolite per
i non specialisti che sono indotti, soprattutto dai media, a limitare le
problematiche inerenti il mondo dei musei quasi esclusivamente alla necessità
di attrarre visitatori e di far quadrare i bilanci, temi che sono senza dubbio
importanti ma non centrali. In realtà, come si è appena dimostrato, la
discussione in ambito museologico è ampia e diversificata e pone sempre al
centro dei propri interessi il visitatore e il contesto urbano e territoriale
in cui i musei operano. Ma se l’impulso al rinnovamento da parte dei musei è
poco percepito all’esterno e continua ad imporsi l’immagine del “museo
polveroso”, non sarà utile, ma soprattutto necessario, far sì che il dibattito
interno sia maggiormente divulgato e che non si continuino a mostrare solo gli
aspetti ritenuti “notiziabili” dai media? Se, come recita un noto proverbio orientale “fa più rumore
un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce”, ecco
che i lettori saranno più impressionati dai musei che chiudono i battenti
piuttosto che dai musei che si innovano, ma solo perché di questi ultimi si
parla poco e, soprattutto, non si conoscono bene o non si comprendono gli
impulsi teorici che sono all’origine di tali cambiamenti. Questo, dunque, è
l’undicesimo punto che mi permetto di aggiungere all’elenco stilato da Negri e
che ritengo ugualmente fondamentale per il processo di rinnovamento dei musei:
la comprensione critica del dibattito museologico da parte dei “comunicatori” (giornalisti
tradizionali, comunicatori telematici, ecc.) e la corretta divulgazione al
pubblico, da parte di questi, di un’immagine dei musei più aderente alla realtà.
Un salotto nel museo: comfort e stress da visita
Uno degli aspetti cruciali della fruizione museale è il comfort. Si tratta di una questione apparentemente semplice legata alla presenza di alcuni strumenti e servizi: posti a sedere, segnaletica, bagni, caffetterie.
Nina Simon ne parla nel suo blog Museum 2.0 (http://museumtwo.blogspot.it/2008/01/creature-comfort-where-are-couches-in.html) e fa un esempio illuminante: un bar nel centro di Santa Cruz è collocato proprio accanto al Museo di Arte e Storia. All'interno si sentiva musica funky, alcune persone lavoravano, altre mangiavano, chiacchieravano e leggevano. Sui muri erano appese riproduzioni delle stesse opere esposte nel museo. Allora Nina Simon si chiede, un po' perplessa, perché il Museo non ci fa sentire a nostro agio come il bar? Per rispondere a queste domande la Simon ha chiesto il parere di due esperti, Steve Tokar e Beth Katz, che si occupano di progettazione museale soprattutto in relazione al benessere dei visitatori. Nel 2003, Steve ha completato la sua tesi di master in Progettazione Universale (in inglese Universal Design, UD*) nei musei della scienza, e ha trascorso diversi anni lavorando sul design ergonomico per i musei.
Perché i musei ci mettono così maledettamente a disagio?
Entrambi (Steve e Beth) hanno svolto studi sui visitatori, riuscendo a raccogliere molti dati, soprattutto sui musei d'arte. La domanda che si sono posti è: come è possibile che i musei vengano progettati senza preoccuparsi di cosa vuol dire per un visitatore stare sempre in piedi, camminare di continuo, avere bisogno di un bagno o di una tazza di caffé?
Di solito, infatti, nei musei i posti per potersi sedere sono pochi e i visitatori sono costretti a contenderseli. Secondo alcuni curatori le panchine svolgerebbero azione di disturbo nella visione delle opere; in pratica sarebbero "distrazioni visive". Ma dal punto di vista del visitatore? Nella progettazione dei musei e delle gallerie d'arte in realtà nessuno si immedesima nel visitatore e, passeggiando nelle sale, si chiede: "dove andrei, ora, se fossi tanco?" La maggioramza dei musei, invece, è stata progettata con criteri rigidi che provocano molta fatica nel corso della visita e che inducono il visitatore a pensare solo di trovarsi un posto per stare seduto.
Non mancano gli esempi positivi. Al Museum of Fine Arts di Boston si sta allestendo un salotto come parte integrante di ogni progetto allestitivo. I posti a sedere sono conformi allo stile dell'arte esposta in modo da non disturbare esteticamente lo spazio in cui sono collocati. Nella Gemälde Gallerie di Berlino, invece, ogni galleria ha delle vetrate che si affacciano sulla strada con posti a sedere a ridosso delle finestre rivolti verso la galleria: un sollievo per il corpo e per la vista. Le sedute, inoltre, sono state concepite in modo da non essere in concorrenza con le opere d'arte.
I bagni.
Beth osserva che i visitatori che cercano un bagno hanno spesso un'espressione a metà tra lo stress e il panico, come se avessero paura di non trovare il posto in tempo! Non ce ne sono mai abbastanza e, chissà perché, sembrano essere sempre nascosti e poco segnalati.
Punti di ristoro.
Perché di solito c'è un solo punto di ristoro in tutto il museo? Perché bisogna andare fuori dal museo o dalla galleria per godersi un caffè o bere un bicchiere d'acqua? Perché abbandonare lo spazio museale per fare uno spuntino? Il visitatore dovrebbe poter decidere da solo il momento in cui ha bisogno di fare una pausa e non essere costretto in percorsi obbligati che lo conducono a potersi riposare soltanto alla fine della visita, dopo che la stanchezza lo ha ormai prostrato.
Segnaletica. Le persone si aggirano chiedendosi: "Dove sono...?"
Il Metropolitan Museum of Art di New York ha fatto un ottimo lavoro. Lo spazio è vasto ma ci sono sempre degli atrii nei quali sono collocati dei piccoli Caffè. La segnaletica è ottima, ce n'è dappertutto: un'esperienza che sarebbe potuta essere confusa, è stata invece resa piacevole e fruibile.
Esempi di musei accoglienti e attenti al comfort dunque ce ne sono. Nina Simon ricorda il Denver Art Museum in cui la struttura più antica è stata integrata con molti spazi interessanti. In occasione di una mostra di James Turrell è stato allestito un salotto esterno con sedie comode e materiali da condividere per approfondire le proprie riflessioni sulla mostra. Il relax è favorito dalla luce soffusa e dalla possibilità di ascoltare musei tramite iPod; i visitatori possono anche usufruire di una libreria progettata come una biblioteca britannica con armadi contenenti libri e divani per sedersi.
Il problema, in definitiva, non è solo creare spazi per il ristoro o per la riflessione, ma cercare di integrare questi spazi nell'ambiente-museo, in modo che il visitatore possa godere della più ampia libertà e del maggior comfort possibile. Ciò vale per i grandi musei, dove queste strategie sono indispensabili a causa dell'ampiezza degli spazi, per limitare lo stress da visita, come per i piccoli musei, dove la visita è più breve ma si possono ricercare ugualmente forme di comfort e di rispetto dell'autonomia del visitatore con altrettanta attenzione. In questo caso lo scopo da perseguire non è tanto l'attenuazione della stanchezza quanto la ricerca di un ambiente accogliente e coinvolgente che contribuisca a rendere unica e positiva l'esperienza di visita.
* Il termine "Universal design", è stato coniato dall'architetto Ronald L. Mace, dell'università dello stato americano del Nord Carolina, a cui si è dedicato per lo studio, la ricerca e la fattibilità, assieme ad un gruppo di collaboratori, per descrivere il concetto di progettazione ideale di tutti i prodotti e degli ambienti artificiali, tali che siano piacevoli e fruibili, per quanto possibile da tutti, indipendentemente dalla loro età, capacità e/o condizione sociale (tratto da Wikipedia alla voce Universal Design).
Aurélie Filippetti: la cultura è libertà
Madame Culture, il nuovo
ministro francese della Cultura e delle Comunicazioni, porta una ventata di
rinnovamento e nuove energie per superare il difficile momento della cultura in
Francia
di Caterina Pisu
La Francia di Hollande saprà dare nuovo impulso alla cultura nazionale? Non
è ancora possibile saperlo con certezza ma la scelta del nuovo ministro della
cultura, la giovane Aurélie Filippetti, sembra indicare un orientamento
verso lo svecchiamento e l’innovazione, sempre che si riescano a superare le
difficoltà di budget che limiteranno sicuramente i grandi progetti culturali
anche in Francia (sono previsti consistenti tagli al settore cultura). La buona
dose di entusiasmo e di combattività della giovane Filippetti, nipote di un
immigrato italiano di Gualdo Tadino, potrà essere la ricetta giusta. Laureata all’École normale supérieure de Fontenay-Saint-Cloud, la Madame Culture francese è stata insegnante di Lettere classiche prima di
dedicarsi alla politica. Per lei, come ha dichiarato in una recente intervista
a L’Unità, «la cultura è un investimento
e non una spesa» in quanto, continua,
«la cultura, le arti, lo spettacolo possono essere creatori di ricchezza. La
crescita, poi, non può essere misurata solo su parametri economici»; ma non
solo, la cultura deve essere considerata soprattutto per la sua valenza
etico/sociale: «la cultura è libertà
collettiva», afferma.
Stupisce l’età del ministro:
appena 39 anni. Se pensiamo all’età media dei nostri ministri della cultura,
non solo ora che ci siamo affidati ad un governo tecnico, ma anche in
precedenza (fatta eccezione per Giovanna Melandri che però non ha lasciato un
segno indelebile nella politica culturale italiana), è scoraggiante constatare
che la politica culturale del nostro paese è sempre stata guidata da politici
“anziani”, forse non solo in senso anagrafico ma anche per la mancanza di un “fervore”
più tangibile che conducesse a reali e coraggiosi cambiamenti. Certo, a parte
la scelta della Filippetti, non tutte le idee di inizio insediamento di
Hollande sono state eccezionali e per fortuna è stato scongiurato il progetto
di unione dei ministeri dell’istruzione e della cultura che probabilmente
avrebbe rischiato di appesantire tutto il sistema culturale francese. E’ ancora
presto, in ogni caso, sia per poter esprimere un giudizio sul governo Hollande
sia sul ministro della cultura. Alcuni passi fatti finora sembrano non
deludere, specialmente la proposta che la Storia dell’Arte sia insegnata dall’”asilo all’università” perché, secondo la
Filippetti, bisogna superare quella barriera psicologica che separa la gente
dall’arte, soprattutto dall’arte contemporanea. In tal senso anche la sua
politica museale prevederà strategie volte a richiamare l’interesse dei
visitatori verso i musei, in collaborazione con le associazioni culturali e gli enti locali. L’obiettivo
è attirare tutti i pubblici, perché per Aurélie non basta che i musei siano
gratuiti dai 18 ai 25 anni (disposizione in vigore dal 2009), è necessario fare
di più. La nuova ministra è preoccupata anche per il degrado dei beni
culturali, causato dai tagli ai finanziamenti degli ultimi anni. C’è bisogno di
nuovi investimenti ma un ostacolo non facile da superare è già sulla strada
della Filippetti: è proprio dei giorni scorsi la notizia di una sua opposizione
al progetto di ridimensionamento del meccanismo fiscale a favore delle
sponsorizzazioni alla cultura; la
riduzione del beneficio fiscale porterebbe automaticamente, secondo la
Filippetti, a «una
drammatica interruzione del finanziamento di associazioni, musei, ricerca». Sarebbe un passo falso per la cultura francese ma
speriamo che la giovane Aurélie abbia l’energia e l’influenza necessaria per
scongiurarlo.
tratto da ArcheoNews, luglio/agosto 2012
"I musei" di Vittorio Falletti e Maurizio Maggi
Un
testo che non può mancare nella biblioteca del museologo è "I musei" di Vittorio Falletti e Maurizio Maggi, edito nel
maggio 2012 da Il Mulino nella collana Universale Paperbacks.
Il
volume offre una vasta e completa panoramica dei dibattiti, delle problematiche
e delle contraddizioni che hanno animato la scena museologica negli ultimi
anni. I sette capitoli spaziano dalla definizione di museo (tratteggiata mediante
un’analisi storica, etica e funzionale che lascia aperte varie possibilità)
alla storia del museo (in un percorso cronologico che incominciando dal primo
museo moderno giunge ai musei contemporanei), dalla descrizione delle funzioni,
dei ruoli e della natura giuridica dei musei, fino ai temi più scottanti che
riguardano le politiche e le sfide del futuro.
Il
libro di Falletti e Maggi è il frutto di una ricerca sull’innovazione museale,
svolta a partire dal 1998, per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e che
ha portato i due autori a girare il mondo per cercare verifiche e confronti con
i professionisti museali di altri Paesi. I risultati di tale ricerca ci
permettono, quindi, attraverso le comparazioni che ci vengono offerte di volta
in volta, di uscire da una visione a volte troppo localistica delle
problematiche museali per proiettarci in un ambito europeo ed extra-europeo.
Ciò
che emerge da queste pagine con molta chiarezza è la convinzione che il museo
sia un organismo ancora vitale e che sia in grado di cogliere le metamorfosi
delle società, adattandosi ad esse ma riuscendo anche a non snaturarsi: questo è il problema di fondo che i museologi si sono posti e che continuano a porsi,
cercando di rispondere alle sfide attuali, economiche ma anche etiche che
stanno coinvolgendo il mondo museale. Il momento attuale rappresenta il punto di svolta forse più importante nella storia dei musei: la crisi economica mondiale ha fatto crollare molte certezze e nello stesso tempo ha aperto la strada all'innovazione. In questo volume ha uno
spazio importante di approfondimento la questione del marketing
le cui regole sono state spesso accettate con molta riluttanza dai museologi ma
che ha cominciato a trovare maggiori consensi quando al centro dell’attenzione
è stato posto non il prodotto, ma l’utilizzatore, cioè il visitatore, nel caso
dei musei. Il museo si muove lungo una linea che ha come traguardo il
raggiungimento dei propri obiettivi e che cerca di mantenersi in equilibrio tra
quadratura dei conti, conservazione, esposizione, studio e richiamo dell’interesse
del pubblico. Come affermano i due autori nell’introduzione al libro, “sotto i cambiamenti superficiali che
interessano i musei si muovono correnti profonde. Sono lente e forti e non si
curano dell’interesse contingente dei media, non si fanno condizionare dalle
liste di priorità della politica, sembrano segnate dalle singole specificità
nazionali ma hanno invece molto in comune tra loro, ovunque avvengano”. Nel
futuro potremo fare assegnamento, quindi, nelle radici forti e sane su cui
poggia il concetto stesso di museo moderno, il quale potrà continuare ad
evolversi restando sempre al servizio della comunità e rispondendo alle sue esigenze.
Gli autori
Vittorio Falletti
insegna Economia dell’Arte all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino.
È socio fondatore dell’Associazione Italiana di Studi Museologici e membro
dell’Icom Italia. Tra le sue pubblicazioni si ricorda: «Ecomusei: cosa sono e
cosa possono diventare», scrito con M. Maggi ed edito da Allemandi nel 2001.
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