Segnalo con piacere il nuovo libro dell'amico Riccardo Rosati, "Museologia e Tradizione", edito da Solfanelli. Buona lettura!
I musei e i non visitatori
Oggi vorrei iniziare a riportare qui, sulle pagine del mio blog, alcuni stralci di un saggio molto importante, una pietra miliare in ambito museologico, intitolato "Si contano i visitatori o sono i visitatori che contano?". L'autrice è Eilean Hooper-Greenhill, docente presso il Department of Museum Studies dell'Università di Leicester. In questa prima parte si parla di come un museo può migliorare il proprio rapporto con il pubblico, iniziando ad analizzare non il pubblico effettivo, ma le ragioni per le quali il "pubblico potenziale" non frequenta il museo. Per capirlo, dice La Hooper-Greenhill, "bisogna uscire dalle quattro mura del museo".
Il saggio è tratto dal volume "L'industria del museo. Nuovi contenuti, gestione, consumo di massa", a cura di Robert Lumley, edito da Costa & Nolan nel 2005 (versione originale edita nel 1988 da Routledge con il titolo "The Museum Time Machine").
"Per molti di coloro che lavorano nei musei, i visitatori sono solo cifre senza volto, piedi da contare mentre oltrepassano la soglia, un male inevitabile dal momento che un museo è, per definizione, un luogo pubblico. E' raro che un museo sappia chi sono i suoi visitatori e perché ci vengono, anche se i direttori sono sempre pronti a snocciolare grandi quantità di "dati sulle presenze". La parola d'ordine sembra essere quantità e non qualità, e nel valutare l'opera svolta da un museo sembra quasi che il peso corporeo delle persone che lo frequentano sia più importante della qualità dell'esperienza che ne ricavano.
Generalmente per visitatori si intendono coloro che vengono a vedere gli oggetti esposti, e solo raramente viene elaborata un'interpretazione più approfondita del concetto di gruppi di utenza. (...)
Difficilmente la politica delle comunicazioni di un museo viene elaborata sulla base di una conoscenza dell'utenza complessiva derivata da apposite ricerche. Il museo molto spesso non ha alcun programma in proposito né provvede a definire obiettivi specifici relativi alle strutture predisposte per i visitatori effettivi, per quelli potenziali e per il pubblico più in generale. (...)
E' ormai evidente che finora i conservatori dei musei hanno agito sulla base della propria visione del mondo, presumendo che i visitatori condividessero i valori, i criteri e gli interessi intellettuali che li avevano guidati nella scelta e nella presentazione del materiale ed anche, cosa ancor più importante, nella selezione e nell'acquisto degli oggetti. (...)
Raramente nel decidere le attività da svolgere si è tenuto conto della necessità, dei desideri o delle opinioni del pubblico. (...)
Le indagini sui visitatori dei musei forniscono informazioni soltanto sulle persone che al museo ci vanno. Un museo in cui si registra un calo nel numero di ingressi e che si precipita a fare un sondaggio in realtà si muove nella direzione sbagliata: un'indagine sui visitatori, per quanto approfondita, non potrà mai rivelare le opinioni di coloro che al museo non ci vanno; fornirà dei dati su chi ci va, e se si confrontano tali dati con gli studi sulla popolazione locale, si chiariranno certe lacune, ma per ottenere un quadro più veritiero del perché gli ingressi stanno calando, o meglio, per sapere cosa pensa del museo la gente, è necessario fare uno studio completo della popolazione e intervistare sia quelli che al museo ci vanno sia quelli che non ci mettono piede, e cioè bisogna uscire dalle quattro mura del museo.
(prima parte)
Il grande saccheggio
Vent’anni di contrasto al traffico illecito di reperti archeologici e una straordinaria scoperta
Da sinistra: Maurizio Pellegrini, Fabio Isman e Alessandro Barelli |
Venerdì 22 aprile, presso l’Auditorium
della Fondazione Carivit di Viterbo, a Valle Faul, ho avuto il piacere di
assistere alla conferenza dell’archeologo Maurizio Pellegrini, funzionario
della Soprintendenza Archeologia Lazio ed Etruria Meridionale (già
Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Etruria Meridionale prima della
Riforma Franceschini) e del giornalista e scrittore Fabio Isman (autore del
libro “I predatori dell’arte perduta”).
L’occasione, nell’ambito del ciclo di
incontri “Etruscans – Gli Etruschi mai visti” (organizzato dall’Associazione
Historia di Alessandro Barelli), ha permesso di ricordare vent’anni di attività
di contrasto al traffico illecito di reperti archeologici che l’Ufficio Sequestri
della Soprintendenza ha condotto con grande dedizione e con straordinaria
efficacia, ma spesso rimanendo nell’ombra, come dimostra lo scarso riscontro
avuto dal punto di vista mediatico, e, mi permetto di dire, anche il tiepido
plauso che i protagonisti diretti di questa battaglia contro i trafficanti
d’arte hanno ricevuto anche dalle Istituzioni (si può leggere in questo blog
un’intervista a Daniela Rizzo e a Maurizio Pellegrini, condotta dalla
sottoscritta, nel 2013, per il mensile Archeo News).
Eppure i risultati sono stati, quelli sì, sotto i riflettori del mondo: è
sufficiente ricordare la restituzione all’Italia del Cratere di Eufronio, scavato
illecitamente, venduto ed esposto fin dal 1972 presso il Metropolitan Museum di
New York; oppure l’Afrodite di Morgantina, restituita dal Paul Getty Museum di
Malibu che l’aveva ottenuta nel 1986 da Robin Symes per la cifra di 18 milioni
di dollari, solo per citare due dei casi più clamorosi.
Robin Symes, il più grande trafficante inglese
Proprio su Robin Symes si è focalizzato
l’intervento di Fabio Isman, grande conoscitore delle vicende di traffico
clandestino internazionale che negli ultimi cinquant’anni ha privato il nostro
Paese di almeno un milione e mezzo di reperti, secondo la stima effettuata
dall’Università di Princeton; “una vera e propria razzia” – ha sottolineato
Fabio Isman. I pochi reperti restituiti hanno un valore superiore ai due
miliardi di euro e questo dato rivela l’entità di un commercio dalle cifre
stratosferiche e quindi, proprio per questo motivo, molto difficile da
combattere completamente, tanto più che in questo traffico non si sono tirate
indietro neppure le più famose case d’asta. Robin Symes, nativo del quartiere
londinese di Chelsea, era un antiquario che è considerato uno dei più grandi
trafficanti d’arte, soprattutto alla luce dei più recenti recuperi. La fine dei
suoi affari è dovuta ad una circostanza avversa, legata alla morte accidentale
del compagno Christo Michaelides, nel 1999. Quando la sua famiglia intraprese
un’azione legale contro Symes, rivendicando l’eredità di Michaelides,
l’antiquario mentì riguardo l’entità del patrimonio e dunque fu condannato a
due anni di reclusione per l’impostura e per l’oltraggio alla corte (e quindi
non per il reato di ricettazione e vendita di opere d’arte). Le vicende
giudiziarie che hanno portato Symes al fallimento hanno anche rivelato l’enorme
attività di ricettazione e di vendita dei reperti archeologici, trafugati per
buona parte dall’Italia. Presso il suo magazzino di stoccaggio in Svizzera, lo
scorso gennaio le autorità italiane hanno rinvenuto ben 45 casse colme di
reperti dall’Etruria e dall’Italia meridionale, per un valore di circa 9
milioni di euro. Molti di questi oggetti - stiamo parlando di migliaia di
reperti – provenivano da un edificio templare, localizzato probabilmente a
Cerveteri; si tratta di numerosi frammenti di lastre architettoniche policrome
o con rilievi, databili tra la metà e la fine del VI sec. a. C., la cui entità dimostra
chiaramente che il santuario è stato totalmente razziato dai clandestini. E’
uno dei rinvenimenti archeologici più importanti degli ultimi decenni.
E’ stato anche dimostrato che
Symes aveva sicuramente rapporti d’affari con l’italiano Giacomo Medici e con
l’americano Robert E. Hecht, entrambi famigerati trafficanti d’arte che hanno
rifornito numerosi musei in tutto il mondo e in particolare il Paul Getty
Museum. La stessa ex curatrice del museo americano, a riprova degli stretti
rapporti con i faccendieri internazionali, aveva acquistato una villa su
un’isola greca proprio per mezzo di Symes.
Lo scoop. L’insperata ricostruzione di un contesto archeologico depredato: il corredo della tomba apula di Ascoli Satriano
Nel corso della conferenza,
Maurizio Pellegrini ha reso nota una sua importantissima scoperta: la
ricostruzione, dopo la vendita e il successivo recupero, di quello che si
suppone possa essere l’intero corredo tombale di una tomba da Ascoli Satriano,
scavata clandestinamente.
Uno dei danni maggiori prodotti
dagli scavi clandestini è, ovviamente, la perdita della connessione tra l’oggetto
riportato alla luce e il proprio contesto di provenienza. E’ praticamente
impossibile, tranne nel caso in cui gli stessi tombaroli abbiano documentato il
recupero e ne abbiano informato successivamente gli inquirenti, riuscire a
ricostruire un corredo tombale per intero. Per questa ragione, la scoperta di
Maurizio Pellegrini assume una rilevanza straordinaria.
Per ripercorrere le varie fasi
dell’indagine è necessario risalire ai tempi del processo contro la curatrice
del Getty, Marion True, e contro Robert Emanuel Hecht, aperto presso il
Tribunale di Roma. In quella circostanza si acquisì una nota riservata scritta da
Arthur Houghton - curatore del Getty prima della True - il quale, scrivendo
alla direttrice associata del museo, Deborah Gribbon, faceva riferimento ad un
articolo scientifico in cui venivano menzionate alcune opere marmoree – in particolare
il trapezophoros, la lekanis - che erano state poco tempo
prima acquisite dal museo americano e che il trafficante d’arte Giacomo Medici
aveva dichiarato provenire da una stessa tomba “non lontano da Taranto”, un contesto che includeva anche “un discreto numero di vasi del Pittore di
Dario”.
Recentemente queste opere - che nel
1985 erano state vendute al Getty, per la cifra di 500 mila dollari, dal collezionista
di New York, Maurice Tempelsman[*]
- sono rientrate in Italia.
Successivamente, nel corso delle
loro investigazioni, Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini notarono un gruppo di
21 vasi apuli esposti nel Staatliche Museen di Berlino, tutti provenienti da una
stessa tomba e, tra questi, due crateri apuli a figure rosse erano attribuibili
al Pittore di Dario. Bisogna sottolineare che questi reperti furono acquistati
tutti insieme dal museo tedesco, nel 1984, da una famiglia svizzera che ne era
proprietaria all’incirca dal 1970, come attestato da due testimoni di cui una
di loro, tale Fiorella Cottier Angeli, era una restauratrice, funzionaria delle
dogane elvetiche del Porto Franco e collaboratrice del trafficante Giacomo Medici!
L’altro testimone, invece, era Jacques Chamay, direttore del Museo di Ginevra
più volte implicato in indagini della magistratura italiana, che giurò d’aver
scoperto egli stesso i reperti in questione.
Le Polaroid con lo stesso numero di imballo dei vasi apuli e dei marmi di Ascoli Satriano |
Le indagini della Rizzo e di
Pellegrini stabilirono, invece, che 4 dei 21 vasi apuli erano rintracciabili
nelle polaroid dell’archivio Medici; due vasi appaiono ancora in frammenti, prima
del restauro, ma – particolare importante - le polaroid in cui sono stati immortalati
recano un identico numero di serie (00057703532) e facevano parte di una
confezione di polaroid "300 Istant Film" da 20 scatti. Maurizio
Pellegrini, quindi, ricordando il documento confidenziale del Getty dove il
trafficante informava che il trapezophoros
e la lekanis provenivano da una tomba
"non lontano da Taranto, che
includeva un certo numero di vasi del Pittore di Dario”, scopre che altre sei polaroid con l’identico
numero di serie, mostrano il trapezophoros
in pezzi e la lekanis, ancora
ricoperti di terra, fotografati nel bagagliaio di un auto, subito dopo lo scavo
clandestino: ciò significa che i vasi apuli e i reperti marmorei provengono
sicuramente dalla stessa importante tomba apula della seconda metà del IV sec. a.
C. I primi sono attualmente ancora esposti nel Staatliche Museen di Berlino,
mentre il trapezophoros, la lekanis, cui si aggiunge la statua di
Apollo (proveniente sempre da Ascoli Satriano ma da un altro contesto) sono
stati restituiti dal Getty Museum ed ora sono esposti ad Ascoli Satriano.
I marmi restituiti all'Italia dal P. Getty Museum, esposti ad Ascoli Satriano |
A ciò si aggiunge un’altra
ipotesi suggestiva, sebbene ancora da verificare. Al Pittore di Dario e allo
stesso ambito culturale sono attribuiti anche un altro gruppo di vasi, tutti
acquistati dai musei americani tra il 1984 e il 1991 e già restituiti allo
Stato italiano: un’anfora a figure rosse decorata con la scena della morte di Atreo,
venduta da Hecht al Museum of Fine Arts di Boston; la pelike apula a figure rosse decorata con
il ritorno di Andromeda venduta al Getty Museum; la loutrophoros
apula a figure rosse decorata con Niobe in lutto, venduta al Princeton
University Museum of Art; un cratere a volute apulo a figure
rosse venduto al Cleveland Museum of Art; un dinos apulo a figure rosse con Ercole e
Busiride venduto al Metropolitan Museum of Art di New York. Potrebbero
appartenere anch’essi alla stessa tomba di Ascoli Satriano cui provengono gli
altri reperti? Questa seconda ipotesi, al momento, salvo altre scoperte o
rivelazioni degli stessi trafficanti d’arte, potrà essere confermata solo da ulteriori
analisi. Tuttavia è già un risultato clamoroso l’essere riusciti a ricostruire,
forse interamente o forse solo parzialmente, il contesto dei vasi apuli e dei
reperti marmorei da Ascoli Satriano, venduti separatamente in Germania e negli
Stati Uniti, subito dopo lo scavo clandestino. Per una volta si è riusciti non
solo a ottenere la restituzione di parte dei reperti, ma anche a recuperare dei
dati preziosi ai fini della ricerca storica e archeologica.
Il video della conferenza è stato
curato da Mauro Galeotti.
[*] Maurice
Tempelsman, affarista belga-americano e mercante di diamanti, è noto in Italia
per essere stato a lungo il compagno di Jacqueline Kennedy Onassis, ex First
Lady degli Stati Uniti.
Petizione per la ratifica della Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società
Vi invito a firmare questa petizione in cui si chiede al Ministro per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, di farsi promotore presso il Governo e presso il Parlamento affinché si giunga al più presto alla ratifica della Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società, aperta alla firma a Faro (Portogallo) nel 2005 e firmata anche dall'Italia il 27 febbraio 2013. Nelle petizione si evidenzia che "il Trattato mette i cittadini e le comunità al centro di ogni politica in materia di patrimonio culturale e rappresenta oggi la risposta più forte, chiara ed efficace ai processi di inclusione sociale in atto in Europa e nel mondo. È uno strumento fondamentale per una effettiva integrazione culturale" e che "l’Italia, pur avendo sottoscritto la convenzione nel 2013, non l'ha ancora ratificata". Si afferma, quindi, la necessità di giungere al più presto alla ratifica anche da parte del nostro Paese, perché "i territori, i cittadini, il patrimonio culturale, i professionisti, le istituzioni preposte alla tutela non possono aspettare altro tempo".
Firmiamo tutti!
Per firmare la petizione:
https://www.change.org/p/petizione-per-la-ratifica-della-convenzione-di-faro
Firmiamo tutti!
Per firmare la petizione:
https://www.change.org/p/petizione-per-la-ratifica-della-convenzione-di-faro
#MuseumWeek 2016: dialogare con musei vicini e lontani
Si è conclusa da una settimana la
MuseumWeek 2016 e i risultati di quest’ultima edizione dimostrano che l’evento sta
diventando di anno in anno una straordinaria occasione d’incontro e di confronto
soprattutto tra i professionisti museali e gli analisti del settore. I dati statistici
rilevati durante la settimana di svolgimento della MuseumWeek sono eccezionali:
3.500 i musei partecipanti da 75 paesi nel mondo (di cui 355 musei italiani), 664
mila i tweet con hashtag #museumweek, visti 294 milioni di volte. Un traguardo
notevole se si considera che lo scorso anno a partecipare erano in 2800 e che i
musei italiani erano 259, numero peraltro quadruplicato rispetto al 2014.
Ogni giorno della settimana (dal
28 marzo al 3 aprile) è stato contraddistinto da un hashtag diverso
corrispondente ad un tema da seguire: l’hashtag che ha raccolto il maggior
numero di commenti è #LoveMW (domenica 3 aprile) con un totale di 22.5k post
pubblicati su Twitter. Al secondo posto c’è #ZoomMW (sabato 2 aprile).
Ben cinque i musei presenti nella
top ten mondiale dei musei più attivi durante la #MuseumWeek: l’account
dell'area archeologica di Massaciuccoli romana(@MassaciuccoliRo), il Museo
Corona Arrubia (@Coronarrubia), il Museo Bergallo (@museobergallo), il Museo
Tattile di Varese (@museotattile_VA) e il Museo Archeologico del Distretto
Minerario Rio nell'Elba (@MuseoRioElba).
In Italia, oltre agli account già presenti nella classifica
mondiale, gli altri musei più attivi sono stati il Museo Archeologico di Cagliari (@MuseoArcheoCa), l’Ufficio
Beni Archeologici della Provincia Autonoma di Trento (@BeniArcheo), Musei in
Comune Roma (@museiincomune), il Museo della Navigazione nelle Acque Interne
(@MuseoPiroga), il Museo del Setificio Monti (@Museo_Setificio), Trasimeno Lake
(@TrasimenoLake) e il Museo e Pinacoteca Civica Palazzo Mazzetti
(@PalazzoMazzetti).
Al di là di questi dati, l’aspetto
più importante è sicuramente il coinvolgimento di un così elevato numero di
musei nel mondo e, in particolare, in Italia.
MuseumWeek non è una gara, non è
una vetrina per i musei che vi partecipano, sebbene non si possa negare che la
visibilità guadagnata sia un grande vantaggio, ma è soprattutto un dialogo.
Personalmente
considero di fondamentale importanza insistere su questo aspetto perché nei
giorni scorsi ho avuto occasione di leggere critiche soprattutto nei confronti
di musei più piccoli che spesso hanno maggiori difficoltà ad organizzarsi ed
anche a produrre contenuti con maggiore frequenza rispetto ai grandi musei.
Dovrebbe essere chiaro che un piccolo/medio museo non può vantare la collezione
del Louvre né avere il suo repertorio fotografico, ma se i dati statistici servono
a qualcosa, sicuramente sono utili per dimostrare che le competenze, l’entusiasmo
e il desiderio di comunicare non sono mancati nemmeno a quei musei italiani che,
pur potendo contare su pochi mezzi e risorse, abbiamo poi visto affiancare il
British Museum, il Louvre, il Prado e l’Hermitage nella classifica mondiale dei
musei più attivi.
Se la MuseumWeek può essere considerata un dialogo - o meglio
ancora, un insieme di dialoghi - allora è ragionevole immaginare che in una
manifestazione che è durata dalle 6 alle 10 ore giornaliere, se non di più, durante l’arco di
un’intera settimana, il registro formale abbia dovuto ogni tanto cedere il
passo a quello colloquiale.
Se nei dialoghi sono sortiti dei “buongiorno” o “buonanotte”
ai colleghi dei musei co-partecipanti e ai propri followers, o qualche frase
rimarcante l’entusiasmo di essere parte di una grande manifestazione, questo non
dovrebbe essere disapprovato, ma visto, piuttosto, come l’espressione di un
coinvolgimento reale e appassionato. Sarebbe ingiusto, però, non vedere il
grande lavoro che i musei italiani hanno compiuto durante la MuseumWeek, twittando
contenuti di grande interesse.
E’ stato molto bello leggere i dialoghi,
osservare la formazione di piccole “reti” e di collegamenti sia con realtà
vicine che con quelle più lontane. Ciascuno ha cercato di trovare un modo di
essere nella MuseumWeek nel modo più adatto alle proprie esigenze, al tipo di
istituzione, ai risultati che si è cercato di ottenere.
Se ad un osservatore
esterno la MuseumWeek è sembrata caotica è perché non ha recepito che questo
tipo di manifestazione non si può vivere da “osservatori” ma solo da
partecipanti. Non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di un evento mondiale
che coinvolge milioni di voci, ma lo scopo della MuseumWeek, lo ripeto, non è
la produzione collettiva di un contenuto, ma piuttosto la creazione di dialoghi
basati sui contenuti, sullo scambio di opinioni e sul confronto, a beneficio
prima di tutto del settore dei musei e della categoria dei professionisti
museali che, senza alcun dubbio, da questa manifestazione hanno ottenuto un
rafforzamento del senso di appartenenza alla categoria. Mi è sembrato ottimo
anche il dialogo con i followers e con gli analisti del settore che hanno
partecipato all’evento. Non ci si può aspettare che al di fuori di questo
ambito ci possa essere una partecipazione di massa. Mi sembra improbabile che
questo possa avvenire e quindi si dovrebbe anche smettere di ripetere ogni anno
che è mancata la partecipazione del pubblico. Non è questo il tipo di
manifestazione che può catturare una platea di non specialisti, prima di tutto
per la sua durata: nessuno che non sia professionalmente coinvolto avrebbe la
costanza di seguire un evento lungo un’intera settimana per molte ore al giorno.
Inoltre Twitter è considerato ancora un social network di nicchia che, tra l’altro,
è in continuo calo e ultimamente gli accessi sono scesi del 28%. E’ normale che
non si riesca a intercettare il “cittadino medio” che probabilmente preferisce
altre piattaforme social.
E’ necessario, piuttosto, utilizzare tutte le
potenzialità della MuseumWeek per creare reti virtuali tra i musei, così come è
avvenuto soprattutto a partire dalla scorsa edizione, migliorando notevolmente
la comunicazione, un settore che solo fino a tre anni fa ci vedeva tra i musei
meno attivi d’Europa. Ora possiamo con orgoglio dimostrare che la situazione è
decisamente cambiata!
La cultura iper connessa: un articolo di Valentina Vacca
Museo digitale e fruizione culturale collettiva. Il dibattito con gli addetti ai lavori.
Ipermoderno, iperreale, iper connesso, iper social. E’ un dominio imponente e inarrestabile quello messo in atto dal prefissoiper durante questi tempi contemporanei, ed è proprio quest’ultimo l'assioma dal quale partire per trattare la tematica del Museo 3.0 e, al contempo, degli incalzanti progetti del Mibact improntati sulla creazione del Museo digitale. Poteva forse la cultura d'oggigiorno -e pertanto tutto il sistema museale- non essere forse integrato entro l'orbita commemorativa dell'iper? .....................................................................
Continua su unclosed.eu
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Dal Museo del Bardo il coraggio di combattere contro terrorismo e oscurantismo
Foto Britaly Post |
Mentre in queste ore dobbiamo ancora una volta piangere le vittime di un nuovo, gravissimo attentato in Belgio che ci ricorda che la
lotta contro il terrorismo è sempre aperta e che non si potrà abbassare la guardia ancora per molti anni, solo pochi giorni fa, in Tunisia, è avvenuta la commemorazione della strage al Museo Nazionale del Bardo, accaduta lo scorso anno, il 18 marzo 2015. In quella
circostanza la reazione fu immediata e dopo appena due settimane il museo aveva
già riaperto le sue porte, cercando di raccogliere tutte le forze possibili per superare la paura e ricominciare. Forse per questo oggi il Bardo è diventato un simbolo della
lotta contro il terrorismo e il radicalismo religioso. Quel giorno di marzo l'attacco fu terrificante: due
terroristi entrarono nel museo e iniziarono la caccia ai turisti. Alcuni dei
visitatori che erano nelle sale riuscirono a nascondersi, altri no:
rimasero uccisi in ventidue. La Tunisia non è stata risparmiata dagli attacchi
terroristici; ne ha sofferto e ne soffre ancora, perché la sua economia si
basa in buona parte sul settore del turismo. Il Museo Nazionale del Bardo è una
vera istituzione, un punto di riferimento per la cultura tunisina e, nonostante
il calo del numero di visitatori, non si è voluto spegnere. Forse perché questo museo è
una testimonianza della storia multiculturale della Tunisia, dato che conserva
ed espone opere pagane, cristiane, islamiche e anche giudaiche, e questo rende
l'identità del museo veramente unica. La Tunisia è un paese con una naturale
vocazione alla mediazione, posta al crocevia di culture e religioni, tra Africa,
Medio Oriente ed Europa. Così, nonostante gli attacchi terroristici al Bardo e, qualche
mese più tardi, quelli sulla spiaggia di Sousse, si è voluta mantenere viva l'idea di una cultura libera contro l'oscurantismo religioso, facendo proprio del Museo Nazionale del Bardo un baluardo contro ogni
forma di radicalizzazione. Durante tutto l'anno nel museo si susseguono molti eventi
artistici e culturali su questo tema. Invece di essere indebolita, la convinzione che la vera cultura può trionfare sull'estremismo è stata invece
rafforzata. Fino ad oggi sono state
numerose anche le visite da parte di politici e personalità della cultura
provenienti da tutto il mondo. Un'associazione tunisina ha realizzato un
mosaico murale che rappresenta le 22 persone cadute sotto i colpi dei
kalashnikov dei terroristi.
Il museo porta ancora i segni
della strage, con le tracce dei proiettili sui muri, ma la vita, e con essa la lotta contro il male, continuano.
Foto: Repubblica.it |
Fonte: RTL (Cécile De Sèze)
Un blogtour per raccontare il Lago di Bolsena
Se Laura Patara mi coinvolge in una esperienza di conoscenza del territorio, posso essere certa che sarà qualcosa di speciale perché lei non è una tour operator come ce ne sono tanti. Lei va oltre le cose ovvie e scontate, è una "cercatrice di storie". Lo ha dimostrato, negli ultimi anni, in varie occasioni, facendoci conoscere iniziative culturali particolari, piccole produzioni locali che superano l'aspetto commerciale per cercare di mantenere in vita - talvolta per ricreare dopo l'oblio dei secoli - metodi di coltivazione e di produzione antichi.
Lo scorso sabato 5 marzo, a distanza di alcuni mesi dal primo blogtour dedicato all'olio d'oliva della Tuscia, sono stata invitata a prendere parte al blogtour Dagli Etruschi ai Farnese in doppia veste, sia come blogger (http://museumsnewspaper.blogspot.it/, http://archaeologicaljournalism.blogspot.it/, https://trevignanoromano.wordpress.com/) sia come direttrice del Museo della Navigazione nelle Acque Interne di Capodimonte, sul Lago di Bolsena.
Una delle tappe del tour, infatti, era proprio questo piccolo ma importante museo, nato nel 2010 per custodire un prezioso reperto: la piroga monossila dell'età del bronzo rinvenuta presso l'Isola Bisentina, a Punta Calcino, nelle acque antistanti la cittadina di Capodimonte.
Lo scorso sabato 5 marzo, a distanza di alcuni mesi dal primo blogtour dedicato all'olio d'oliva della Tuscia, sono stata invitata a prendere parte al blogtour Dagli Etruschi ai Farnese in doppia veste, sia come blogger (http://museumsnewspaper.blogspot.it/, http://archaeologicaljournalism.blogspot.it/, https://trevignanoromano.wordpress.com/) sia come direttrice del Museo della Navigazione nelle Acque Interne di Capodimonte, sul Lago di Bolsena.
Una delle tappe del tour, infatti, era proprio questo piccolo ma importante museo, nato nel 2010 per custodire un prezioso reperto: la piroga monossila dell'età del bronzo rinvenuta presso l'Isola Bisentina, a Punta Calcino, nelle acque antistanti la cittadina di Capodimonte.
Ho raccontato ai presenti che per il museo è stata scelta una impostazione museografica particolare che ha preferito non imporre da subito al visitatore una serie di informazioni sulla piroga, sul suo rinvenimento, sul contesto ambientale e cronologico, ecc. ecc., in modo che la visita possa essere gestita dal visitatore stesso in base alle proprie esigenze. Chi vorrà vivere solo l'aspetto emozionale, dato dall'incontro con un reperto così suggestivo per l'immaginario collettivo, potrà farlo. Chi sentirà il bisogno di continuare ad approfondire, potrà accedere ad ulteriori informazioni grazie alle schede di sala che sono a disposizione dei visitatori per la lettura.
Spero di riuscire in tempi brevi a rendere nuovamente fruibile la mediateca dove sarà possibile accedere anche al materiale video in dotazione al museo, tutto incentrato sul tema della navigazione in Italia centrale (vedi, per esempio, il documentario "L'ultimo mastro d'ascia").
La piroga di Punta Calcino custodita nel Museo della Navigazione nelle Acque Interne di Capodimonte (VT), presso il Lago di Bolsena |
La seconda tappa del blogtour è stato il Museo del Costume Farnesiano di Gradoli. Tutto il gruppo, composto dai blogger Francesca Pontani (Tusciatimes), Vincenzo Allegrezza (AllegrezzadiOliodiOliva), Paola Romi e Antonia Falcone (Professione Archeologo), Geraldine Meyer, (Discovery Tuscia), Sandra Morlupi (Quarto Spazio Tour Operator), Francesca Mazzara Toto (direttrice d'albergo) e Norma Hengstenberg (guida turistica), sfidando la pioggia e le rigide temperature, si è trasferito a Gradoli, sulla sponda settentrionale del Lago di Bolsena.
Qui, dopo un breve saluto del Sindaco, Luigi Buzi, siamo stati accolti dal vicesindaco Rosanna Ceccarelli e dal direttore del museo, Fulvio Ricci che ci ha illustrato tutti i segreti di questo splendido allestimento e della cornice che lo accoglie, il Palazzo Farnese, dove è ubicato anche il Comune di Gradoli.
Splendidi i costumi, riprodotti sulla base dei dipinti e delle stampe dell'epoca, che spaziano dagli abiti aristocratici a quelli popolari e a quelli ecclesiastici. Il periodo cronologico d'interesse è quello tra XV e XVII secolo. La collezione è molto ben illustrata e l'allestimento presenta anche delle ceramiche, rinvenute in un butto all'interno del Palazzo Farnese, alcuni strumenti per la lavorazione della lana e un bellissimo telaio del 1800.
Foto di gruppo a Palazzo Farnese |
Dopo questa entusiasmante visita, siamo tornati a Capodimonte dove ci attendeva il nostro momento di degustazione e di shopping! Laura ci ha portato in campagna, presso La Bella Verde, in località Palazzetta, Via Verentana 47, km 17. Qui ogni sabato mattina si svolge la vendita diretta di prodotti locali biologici, come lo straordinario pane prodotto con una qualità di grano antica, il Gentil Rosso, che era largamente usato in Italia agli inizi del '900 ma poi fu sostituito, intorno agli anni '30, con altri tipi di grano, più produttivi e quindi più adatti alla coltivazione intensiva. Il Gentil Rosso, quindi, ci riporta al sapore del pane di altri tempi e vi posso assicurare che la differenza è notevole. Provare per credere! Si tratta, inoltre, di un grano a basso contenuto di glutine e che non richiede trattamenti chimici. Vantaggi non da poco! Altrettanto buona la caciottina, semplice o al timo, ottenuta con caglio vegetale (cardo selvatico). E poi la ricotta, lo yogurt, il miele, il polline, i dolci, l'olio extravergine d'oliva, ecc.
Penso che questo posto diventerà meta di altre mie personali escursioni nella campagna di Capodimonte!
Dopo questo piacevole intermezzo, tutti insieme abbiamo invaso la casa di Laura, nel centro storico di Capodimonte, per un pranzo a base di prodotti locali! Per me l'esperienza purtroppo ha avuto termine qui, ma i colleghi blogger hanno proseguito nel pomeriggio con la visita ad una monumentale tomba etrusca di VII/VI sec. a. C. in località Maccarino, San Lorenzo Nuovo, accompagnati da Luigi Catena (vedi il post della collega archeologa e blogger Francesca Pontani su Archeotime). Per scoprire i racconti degli altri blogger partecipanti basta seguire Tuscia in Rete! Il racconto si è svolto anche in diretta sui principali social network, utilizzando gli hashtag #DiscoverTuscia e #TusciaStories.
Quale futuro per i musei civici e per i piccoli musei?
A proposito della creazione dei poli e dei sistemi museali regionali
Un articolo di Ledo Prato del 26
febbraio scorso, comparso su Il Giornale delle Fondazioni, fa il punto sul
futuro che potrebbe attendere i musei civici italiani a seguito della Riforma
Franceschini. Vorrei esporre qui alcune mie considerazioni in merito
all’argomento trattato. Quando si parla di politiche museali che propongono modalità
di accentramento delle scelte gestionali e culturali, mi invade un vivo senso di preoccupazione in
quanto il rischio è sempre quello di una perdita della capacità di produrre
cultura in modo indipendente e senza i filtri di organi istituzionali
sovrastanti. Non
intendo dire, con questo, che i sistemi museali siano una scelta sempre negativa,
ma dipende da che cosa si intende con questo termine. Se significa essere inquadrati
in un rigido sistema gestionale che impone solo standard generali e che inibisce
le iniziative dei singoli, allora ritengo che i sistemi museali siano una scelta
negativa; se invece sono utili soprattutto per dare vita ad occasioni
di confronto e a progetti comuni, nel rispetto delle individualità e delle
autonomie di ciascuna istituzione museale aderente, allora ben venga questa soluzione.
Nell’articolo di Prato si parla della possibilità di un accorpamento dei musei locali ai Poli
regionali, i quali - si legge - “possono
favorire le relazioni con le diverse forme di autonomia che hanno assunto i
musei civici e porre le basi per la realizzazione di politiche museali
territoriali che ricompongono l’offerta a vantaggio dei cittadini e dei
visitatori”. I Poli, in realtà, saranno inevitabilmente organismi fortemente
accentratori, "la cui costituzione sarà promossa e realizzata dai direttori dei
poli museali regionali sulla base di modalità di organizzazione e funzionamento
del sistema museale nazionale stabilite dal Direttore generale Musei, sentito
il Consiglio superiore “Beni culturali e paesaggistici” (vedi decreto musei). Non sembra poi così
improbabile che un museo locale, inglobato in una struttura così complessa,
gestita da una tale pluralità di soggetti, avrebbe poco margine di manovra e
vedrebbe fortemente ridotta la propria indipendenza scientifica, culturale e
gestionale. Oltretutto non è chiaro se tale soluzione porterebbe effettivi
benefici dal punto di vista finanziario dato che nell’articolo di Ledo Prato si
legge espressamente che sarà opportuno il ricorso alle associazioni e al
volontariato “per la gestione dei servizi
destinati alla fruizione e valorizzazione dei beni culturali, attraverso lo
strumento delle convenzioni”. Mi chiedo, allora: qual è la novità? I musei civici non sono
forse quasi sempre gestiti in economia dagli enti locali con il supporto del
volontariato? Se questo è ciò che prevede l’appartenenza ad un Polo, si deve
pensare che i vantaggi da questo punto di vista sarebbero pari a zero.
Si
specifica, poi, che “con atti successivi
è possibile che siano meglio definiti i “servizi strumentali comuni destinati
alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali” e si capirà se in
questo contesto si potranno immaginare accordi che contemplino l’affidamento
congiunto fra musei statali e musei civici dei servizi al pubblico (ex legge
Ronchey) o quali saranno le procedure attraverso le quali si potrà pervenire
alla costituzione di uffici comuni, obiettivo già inseguito senza successo
nelle riforme a cavallo fra i due decenni che ci hanno preceduto”. Questo è
l’aspetto più preoccupante della visione che viene prospettata nell’articolo di
Prato. Sebbene in ambito statale si sia constatato che l’affidamento a società
esterne dei servizi al pubblico ha prodotto quella nefasta divisione tra tutela
e valorizzazione e, in generale, un appiattimento delle proposte culturali ed
educative dei singoli musei, si vorrebbe includere anche i musei locali in
questa strategia che ha già mostrato molti lati negativi. Ciò è paragonabile a
voler annullare le singole voci di un coro che può essere melodioso solo se
ogni corista potrà esprimere le proprie specifiche vocalità e tonalità. Può
esserci bellezza in un suono piatto e indifferenziato?
Continuando la lettura
dell’articolo, a un certo punto l’Autore fa riferimento ai piccoli musei
affermando che “per lungo tempo è
prevalsa l’idea che occorresse una specifica politica per i piccoli musei e, in
qualche caso, si è sostenuto che fosse necessaria una legislazione speciale che
ne rispettasse le specificità. Probabilmente poteva essere una strada utile. Ma
in un Paese dove tutto si ritiene che possa essere affrontato e risolto con il
ricorso alla produzione di nuove leggi, con tutto ciò che ne consegue, dubito
che sarebbe stata o sia una strada efficace”. Ora, chi ha seguito il
dibattito museologico di questi ultimi anni sulle tematiche che riguardano i
piccoli musei, sa che l’Associazione Nazionale Piccoli Musei fondata da
Giancarlo Dall’Ara è stata la prima a focalizzare l’attenzione generale sulla
necessità di una specifica politica per i piccoli musei. Stiamo parlando degli
ultimi sei anni e bisogna anche precisare che finora nulla è stato fatto, a
livello ministeriale, per discutere le proposte avanzate dall’Associazione. Non
si può dire, quindi, che si tratti di un argomento ormai superato perché, al
contrario, chi segue i convegni nazionali dell’APM sa che è ancora molto vivo e
sentito e che si è tuttora in attesa dell’auspicato, diretto confronto tra le
Istituzioni e i musei di ogni forma giuridica. Finché tutto ciò non sarà
attuato, dunque, non è lecito affermare che la questione è ormai vecchia e
superata. Certamente ritengo che, per i motivi sopra espressi, la soluzione ai
problemi di gestione non possa essere la creazione di “reti museali di area vasta” e l’istituzione di “forme consortili non imprenditoriali per la
gestione di uffici comuni” perché, al contrario di quanto prevede Prato e nonostante le migliori intenzioni dei legislatori,
temo che proprio questo potrebbe invece marginalizzare i piccoli musei, in
particolare quei musei che risultano “poco produttivi” dal punto di vista
economico, dimenticando che i risultati che un museo deve garantire, in
particolare un piccolo museo situato in aree poco interessate da grandi flussi
turistici, devono piuttosto riguardare non il numero di biglietti staccati ma
l’efficacia della sua azione culturale, educativa e sociale in seno alla
propria comunità. Ciò può essere assicurato solo da professionalità che siano
fortemente integrate nel tessuto sociale in cui operano, che siano in grado di
conoscere profondamente le problematiche e le aspettative della comunità e che
quindi sappiano adeguare le finalità del museo alle specifiche situazioni
socio-ambientali.
A che cosa potrà servire, allora, l’appartenenza ad un polo
museale e la conseguente imposizione di direttive a istituzioni museali completamente
diverse tra loro per tipo, forma giuridica e dimensioni? Si finirà con il
peggiorare le stesse difficoltà che finora sono emerse con l’applicazione di
standard generali a modelli museali eterogenei, alla fine privilegiando sempre
la grande dimensione rispetto alla piccola. Da ciò era nata l’esigenza di
normative specifiche per i piccoli musei che è stata appunto rimarcata dall’Associazione
Nazionale Piccoli Musei.
Ritengo, dunque, che non si possa
fare una proposta di tale impatto per il futuro dei piccoli musei e liquidare
le criticità che potranno presentarsi lasciando al dopo “tutte le questioni sul futuro dei musei, sul loro ruolo, sulle innovazioni
possibili, sul rapporto con i territori e le comunità, sul ruolo dei visitatori
e così via”. Tutto questo, invece, deve essere discusso prima di ogni
tentativo di riforma in modo da non incorrere in errori che potrebbero essere
fatali per il futuro delle piccole realtà museali del nostro Paese.
Kenneth Hudson non sbagliava
quando diceva che i grandi musei dovrebbero comportarsi come un insieme di
musei piccoli perché aveva intuito che un museo di piccole dimensioni presenta
dei vantaggi che ancora oggi troppo spesso la politica tende non solo a
sottovalutare ma, ancora peggio, a considerare un problema, indirizzando così
le proprie decisioni non verso la valorizzazione dei piccoli musei ma verso una
loro trasformazione in musei grandi, accorpando, centralizzando, snaturandone
l’essenza stessa e la vocazione.
Ci sono ambiti che non possono essere gestiti con una
mentalità da banchiere. Sono quegli spazi, come i musei, che appartengono di
diritto alla comunità ed è principalmente in ragione di questo legame che
devono essere studiate le soluzioni più idonee. Se molti musei rischiano la
chiusura è perché non si è lavorato per “essere
amici del pubblico”, per riprendere un’altra frase di Kenneth Hudson. Tutto
il resto è secondario, a cominciare dal numero dei visitatori che sembra essere
la preoccupazione maggiore delle politiche culturali di sempre. Quando si
inizierà a parlare meno di numeri e più di progetti realizzati, saremo sulla
buona strada.
T-Essere Memoria conquista Parigi
Musées (emportables) 2016: spazio ai progetti che favoriscono l'accessibilità
La mia ultima partecipazione a Musées (em)portables come membro della giuria mi ha regalato una bellissima soddisfazione: vedere nuovamente vincente un video italiano. Dopo la vittoria del 2014 del Museo Archeologico Virtuale di Ercolano che presentò il video di Raffaele Gentiluomo, "Vesuvius making of" e vinse il premio per il miglior short-film straniero, quest'anno il
progetto “T-Essere Memoria”, realizzato dall'Ufficio Beni Archeologici della Provincia Autonoma di Trento, ha vinto un premio particolarmente importante: l'ICOM-Musée pour tous, il premio speciale voluto dall'Icom per promuovere l'accessibilità nei musei. La mia presenza alla premiazione in qualità di rappresentante dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei è stata, pertanto, per me doppiamente importante in quanto nella mia collaborazione con l'APM ho potuto sviluppare due tematiche che quest'anno sono state, insieme, il filo conduttore anche del festival francese: la promozione visuale dei musei (dal documentario allo short-film, allo spot, al trailer) e l'accessibilità.
I tre film che hanno ricevuto gli ambiti riconoscimenti Icom per le produzioni audio-visive che hanno descritto più efficacemente il rapporto tra i musei e il pubblico con ridotto accesso alla cultura
(fasce sociali svantaggiate, persone con
disabilità, nuovi immigrati, residenti nelle zone rurali, ecc.), sono stati:
T-essere Memorie, incentrato sul programma di attività per i malati di
Alzheimer svoltosi nel 2015 presso il Museo delle Palafitte di Fiavé, in provincia di Trento.
Il secondo premio è stato assegnato al film Quand l'art sert d'union, che descrive un progetto educativo presso il Museo Nazionale di
Scultura di Valladolid, in Spagna, per persone affette da malattie mentali che hanno potuto lavorare come guide nel museo per un giorno.
Il terzo
premio è andato a Piquer une tête, realizzato da un gruppo di
adolescenti in gravi difficoltà scolastiche e sociali di Marly, nel nord della
Francia, durante una visita al Musée des Beaux-Arts di Valenciennes.
La premiazione si è svolta presso la Cité de la mode et du design, a Parigi, lo scorso 13 gennaio. Anne-Catherine Robert-Hauglustaine, direttore generale di ICOM, ha assegnato i premi ai tre film vincitori della sezione speciale. Per l'Italia hanno ritirato il premio Luisa Moser, dell'Ufficio beni archeologici della Provincia Autonoma di Trento, ed Emanuela Trentini della APSPMargherita Grazioli di Trento.
Anne-Catherine Robert-Hauglustaine, Icom
I premiati
I film vincitori del Premio Museés Emportables sono stati:
- primo premio a "HDA", video realizzato dagli studenti del Liceo Saint Paul di Lille nelle sale del Palazzo delle Belle Arti.
- secondo premio a "Pourquoi le noir ?" di Zoé Tibloux e Ismael Mounime.
- terzo premio al video del museo cecoslovacco, Regionální muzeum a galerie di Jičíně, intitolato "Muséum spot 2".
La premiazione
Musées (em)portables si svolge ogni anno in occasione del SITEM, il Salon des Musées des lieux de culture et de tourisme.
Ringrazio il Presidente di Museumexperts e commissario generale di SITEM, Jean François Grunfeld, per avermi voluta nella giuria per tre anni consecutivi. E' stata un'esperienza particolarmente bella e arricchente che ha accresciuto il mio interesse per il video making, gli short films e il cinema documentaristico.
SITEM 2016
Il progetto T-essere memoria:
Il progetto “T-Essere Memoria”, attuato da febbraio
a giugno 2015, ha coinvolto un gruppo di 12 malati di Alzheimer ospiti
dell'Azienda Pubblica di Servizi alla Persona di Povo (dotata di un nucleo
specializzato rivolta a questo tipo di pazienti). Il percorso sperimentale è
stato proposto dai Servizi Educativi dell’Ufficio beni archeologici della
Soprintendenza per i beni culturali nell'ottica di aprire le porte del Museo
delle Palafitte di Fiavé ad un pubblico che difficilmente in questa fase della
vita viene accompagnato in museo o partecipa a laboratori archeologici. Sono
stati condotti sei incontri con laboratori pratici e un'uscita finale presso il
museo. Il primo momento di confronto è stato finalizzato alla conoscenza
reciproca, indispensabile per prendere confidenza ed instaurare un rapporto di
fiducia sia con l'educatore che con gli altri partecipanti. Negli incontri
successivi, partendo da copie di reperti appositamente selezionati, si è dato
ampio spazio all'osservazione, alla manipolazione e alla discussione, in modo
da mettere in atto la stimolazione cognitiva e la valorizzazione delle abilità
residue. Ogni partecipante ha potuto toccare, osservare, riconoscere alcuni oggetti,
fare supposizioni, cercare di portare a galla ricordi o antichi gesti. Reperti
molto semplici, essenziali ma ricchi di significato, utili per stimolare la
memoria dei partecipanti.
Attraverso l’interazione diretta con i reperti, si è
cercato di sollecitare lo scambio di idee, di far scaturire ricordi ed
esperienze personali e di mettere in relazione il proprio vissuto con i
materiali e gli oggetti archeologici. Sono stati inoltre proposti, partendo
dalle attività documentate dagli archeologi a Fiavé, laboratori di tessitura,
lavorazione dell'argilla e preparazione del burro. Tutte le pazienti hanno
partecipato volentieri (aspetto non scontato per chi soffre di Alzheimer), si
sono messe in gioco, hanno saputo riprodurre, con estrema facilità e grande
attenzione antichi gesti, dimostrando come alcune abilità, quali il "saper
fare", la manualità e la creatività permangano nonostante la malattia, se
adeguatamente sollecitate. I laboratori pratici sono risultati esperienze
stimolanti, emotivamente coinvolgenti e piacevoli, che hanno permesso di
accedere a personali memorie e saperi, di potersi mettere in gioco,
sperimentare le proprie abilità e anche aumentare la propria autostima.
La visita al Museo delle Palafitte e all'area archeologica
ha concluso il percorso: uscire dalla struttura protetta per andare in un posto
nuovo e sconosciuto è stato un momento arricchente e ha assunto anche un valore
particolare. Il museo si è dimostrato infatti un luogo ricco di stimoli dove le
partecipanti hanno mostrato grande capacità di osservazione, anche di
particolari che sfuggono ai più. Si sono sentite a loro agio, libere di
muoversi, di esprimersi, di toccare, di fare domande e di veder esaudite le
loro curiosità. Momenti dedicati a laboratori pratici, alla creatività e la
visita ad un museo, possono dunque influenzare positivamente la qualità della
vita di un paziente affetto da Alzheimer.
L’esperienza fatta ha confermato che il museo, se reso
fruibile e “partecipativo” può avere un ruolo sociale e può aiutare nel decorso
della malattia a migliorare la qualità di vita dei pazienti ma anche di chi si
occupa di loro, i care giver, i quali
si trovano a condividere questa devastante patologia.
Il Gruppo di lavoro che ha seguito il progetto è composto
da Luisa Moser (responsabile dei Servizi Educativi dell’Ufficio beni
archeologici, Soprintendenza per i beni culturali), Roberto Maestri, Alberta
Faes e Emanuela Trentini (animatore, fisioterapista
e educatore della APSP di Povo).
I risultati positivi di questo innovativo
percorso hanno consentito di coinvolgere altre APSP del Trentino (S.Croce nel
Bleggio, S.Spirito a Pergine Valsugana, Pinzolo, Condino, Pieve di Bono e
Storo) dove nei prossimi mesi sarà riproposto il progetto con incontri,
laboratori e visite al sito archeologico e al Museo delle Palafitte di Fiavé.
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