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#smallmuseumtour: visitiamo virtualmente un piccolo museo



Il 90% dei musei italiani è di piccole e piccolissime dimensioni. Spesso si tratta di patrimoni quasi sconosciuti ma che meriterebbero di essere valorizzati e usufruiti da tutti perché “il viaggio in un piccolo museo è un viaggio verso l'autenticità” (Giancarlo Dall’Ara).
Non sempre, però, per le ragioni più disparate, è possibile muoversi per raggiungere questi luoghi: il lavoro, la salute, i costi di un viaggio, impediscono a molti di godere di questo svago culturale.
Alcuni grandi musei sono riusciti a superare queste difficoltà grazie, per esempio, a soluzioni web avanzate che consentono di effettuare visite virtuali, ma un piccolo museo che non ha le stesse risorse finanziarie come può risolvere il problema? L’aiuto viene dai social media e, in questo caso particolare, da Twitter.
L’Associazione Nazionale Piccoli Musei ha così deciso di lanciare una nuova iniziativa su Twitter, #smallmuseumtour, una serie di visite guidate virtuali che, nel corso di un’ora, permetteranno a tutti coloro che lo desiderano, di conoscere un piccolo museo attraverso otto “tappe”, con la guida dei curatori. Ogni “tappa” corrisponde all’immagine di un oggetto o di un angolo del museo, di una postazione, di qualsiasi dettaglio che il curatore riterrà utile per condurre la sua visita guidata. Sarà possibile interagire con i curatori, porre domande e dialogare, esattamente come si farebbe durante una visita reale.

Il primo degli 11 appuntamenti previsti fino alla fine di luglio, sarà lunedì 12 maggio. Dalle ore 15.00 alle 16.00 tutti “sintonizzati” su Twitter per visitare virtualmente il Museo del Bottone di Santarcangelo di Romagna, in compagnia del suo direttore, Giorgio Gallavotti. Ogni settimana sarà possibile visitare un museo diverso. Il giorno e l’ora potranno variare, ma se ne darà notizia in largo anticipo. Basta tenere d’occhio l’hashtag #smallmuseumtour.

Altre informazioni:

Quando il museo chiude per restauri: i tanti vantaggi del buon uso dei social media


Foto tratta da http://seamsandstitches.files.wordpress.com


Quando si dice che i social media possono essere molto utili alla comunicazione museale, si pensa, solitamente, a situazioni di routine. Ma è proprio nei momenti non usuali che i nuovi mezzi di comunicazione possono essere un’ancora di salvezza. Ecco che cosa è successo al Museo di Storia Naturale di Oxford quando lo scorso anno è stato chiuso per restauri.
Poco prima della chiusura, lo staff ha cominciato a preoccuparsi che la gente si dimenticasse dell'esistenza del museo. I social media sono sembrati l’unica soluzione per “restare vivi”. Si poteva continuare a mantenere il contatto con la gente e contemporaneamente mostrare il lato più giocoso del museo? Valeva la pena tentare.
Per prima cosa è stato creato un apposito blog per il periodo di chiusura, Darkened not Dormant, che dimostrava che stavano accadendo tante cose anche se il museo era chiuso: per esempio rivelando il mistero dei graffiti in stile vittoriano ritrovati durante i lavori di restauro del tetto; oppure seguendo i programmi outreach dello staff educativo.
Dopo il blog, il secondo obiettivo è stato Twitter: è stato scelto l’account @morethanadodo che ha riscosso subito successo assicurando un buon numero di followers. Quando, il 15 febbraio, è stato riaperto il museo dopo 14 mesi di restauri, si è avuto un incremento di followers su Twitter ed è stato lanciato anche un account Instagram. Il blog è stato archiviato ed è iniziato il lavoro per il nuovo blog, More than a Dodo, che non servirà soltanto per promuovere programmi ed eventi, ma soprattutto per raccontare nuove storie e per spiegare come funziona il museo.

Che cosa sarebbe successo senza l’aiuto dei social media? Sicuramente il museo avrebbe dovuto interrompere o ridurre notevolmente il suo dialogo con la comunità e, una volta riaperto, ci sarebbe voluto del tempo per tornare alla condizione precedente la chiusura. Il periodo occorso per i restauri, invece, non solo non ha inibito la comunicazione del museo, ma l’ha addirittura incrementata, procurando molti altri  followers su Twitter.
Ci sono abbastanza spunti per riflettere e per convincere i responsabili di musei ancora reticenti ad aprirsi finalmente ai nuovi mezzi di comunicazione facendone un uso intelligente e vantaggioso.

Il caso studio è tratto da un articolo di Rachel Parle, interpretation and education officer presso l’Oxford University’s Museum of Natural History, Museum Practice, 15.04.2014

#followasmallmuseum: i piccoli musei su Twitter



L'Associazione Nazionale Piccoli Musei lancia una campagna per la presenza dei piccoli musei su Twitter
Durante la settimana di #MuseumWeek, i dati hanno indicato l'Associazione Nazionale Piccoli Musei tra i protagonisti di questo evento in Europa. Ma questo non basta. L'APM rappresenta i piccoli musei ma c'è bisogno che anche ogni piccolo museo faccia sentire la propria voce su Twitter e c'è da dire che non sono molti quelli che approfittano di questa opportunità. 

E' lecito chiedersi per quale motivo un piccolo museo dovrebbe decidere di creare un proprio account Twitter. I motivi sono molteplici: Twitter è uno strumento straordinario che, limitando i messaggi a soli 140 caratteri, obbliga a dare subito un senso compiuto al testo che si intende postare. Uno dei vantaggi più importanti è che si può comunicare ed essere seguiti o seguire chiunque anche se non fa parte della propria reti di contatti. Ciò permette di ottenere molti nuovi followers ogni volta che un tweet risulta essere di interesse generale per molti. Un beneficio non trascurabile che permette ad un piccolo museo di ottenere molta visibilità. Gi hashtag, inoltre, permettono di individuare gli argomenti di proprio interesse e di contrassegnare anche i propri tweets con hashtag che danno la possibilità a chi ricerca le stesse tematiche di rintracciarli immediatamente. 

Molto più di Facebook, Twitter permette di creare delle vere e proprie reti tra account che condividono gli stessi interessi e questo è un notevole vantaggio per i piccoli musei che possono confrontarsi con le altre realtà museali, dialogare e trovare nuove ispirazioni per la propria progettazione culturale. Invitiamo, dunque, i piccoli musei a creare subito il proprio account Twitter e a contrassegnare il primo tweet con il seguente hashtag: #followasmallmuseum

Da domani e per un tempo indeterminato, l’Asssociazione Nazionale Piccoli Musei cercherà i musei che avranno utilizzato questo hashtag e li aiuterà a conoscere le altre realtà museali che sono già attive su Twitter. Vi aspettiamo!

#MuseumWeek: l'analisi de La Magnética

Dopo l'intensa settimana di #MuseumWeek, dal 24 al 30 marzo, la società spagnola di marketing e comunicazione La Magnética ha condotto un’analisi molto approfondita sui numeri che hanno caratterizzato questa manifestazione. Più di 180,000 i tweets, più di 40,000 gli utenti e 600 i musei che hanno preso parte al grande evento.
La Magnética ha preso in considerazione tutti quei profili che hanno twittato con l’hashtag #museumweek e le varie interrelazioni che si sono create tra gli utenti. La rete risultante è la seguente e prende in considerazione i quattro paesi europei che hanno aderito all’iniziativa: Regno Unito, Francia, Spagna e Italia.



Gli utenti più attivi sono al centro delle varie reti. I colori rappresentano la struttura della comunità, cioè quei gruppi che hanno mostrato una forte interazione fra i propri membri e si vede che questi gruppi coincidono quasi perfettamente con le quattro nazioni partecipanti.

La grandezza dei cerchi è proporzionale alle menzioni inviate e ricevute. I musei con maggiore rilevanza tra i quattro paesi europei già citati sono dunque: Palazzo Madama da Torino (@palazzomadamato), l’Associazione Nazionale Piccoli Musei (@PiccoliMusei) da Roma e il Centre Pompidou da Parigi (@centrepompidou).


Qui sotto un dettaglio della comunità italiana che vede Palazzo Madama e l’Associazione Nazionale Piccoli Musei come i due centri più attivi della rete italiana. 



Qui il report completo de La Magnética.

Volontari e social media

I consigli di Mar Dixon anche per i piccoli musei




In un articolo del 16 settembre 2013 di Museum Practice, Mar Dixon, social media manager di Kids in Museums, ci spiega come i volontari possono essere una risorsa importante per una organizzazione no profit. 
In Kids in Museums (associazione che cerca di dare voce alle famiglie che visitano musei e gallerie della Gran Bretagna) i volontari operano in ogni settore. Mar Dixon ha iniziato a collaborare come social media manager circa tre anni fa. Quando ha iniziato, il principale account era Twitter, che allora contava circa 3.000 followers (ora ne ha 17.400). Il primo obiettivo che Dixon si è prefisso è stato quello di fare in modo che Kids in Museum diventasse più reattivo e aperto. Per costruire una strategia di social media che funzionasse e che si fondasse sulla collaborazione di volontari era necessario innanzitutto consolidare sia la fiducia nei confronti dei volontari che quella nei confronti dei followers. Dopo che gli altri canali (Facebook e Linkedin) furono attivati, Dixon cercò altri volontari affinché a loro volta promuovessero Kids in Museums attraverso quei social networks.
Il concetto era semplice: più voci che sostenevano i loro canali e più i followers avrebbero saputo che Kids in Museums era lì pronto a interagire con loro. Ma utilizzare dei volontari può comportare dei rischi per l'organizzazione?
Secondo Dixon la risposta è semplice: non sarebbero stati invitati a far parte di Kids in Museums se ci fossero state preoccupazioni al riguardo. "I volontari sono collaboratori favolosi ed essi stessi hanno un grande rispetto per il loro ruolo. Possono accadere errori? Si possono commettere degli sbagli? Naturalmente. Tutti noi siamo caduti vittime del senso dell'umorismo scatenato dalle “correzioni automatiche”. Ma invece di eliminarli, questi errori si tengono intenzionalmente. Almeno ciò dimostra che Kids in Museums è gestito da esseri umani e che i followers hanno a cuore la loro presenza online nonostante qualche piccola svista. Se un nuovo volontario commette un errore, gli viene fatto capire che è tutto ok e che non è solo. Viene messo al corrente degli sbagli più divertenti che sono stati commessi da altri in modo che superi il senso di inadeguatezza o il timore. Dixon ricorda quella volta che sbagliò l'indicazione del giorno, martedì al posto di venerdì, o quella volta che gli capitò di menzionare per errore un museo al posto di un altro. Dopo quelli errori il mondo non è finito e questo ha dato modo ai followers di uscire allo scoperto e di farsi sentire per correggerlo in modo ironico. La parte difficile, invece, è infondere fiducia nei volontari affinché capiscano che la loro voce merita di essere ascoltata. I corsi di formazione sono utili, ma non sono sempre i volontari hanno la possibilità di partecipare.
In certi casi si cerca di comunicare a distanza con loro per aiutare a costruire la fiducia in loro stessi e affinché comprendano che quell'account Twitter o Facebook appartiene anche a loro. E' importante che i volontari abbiano una certa autonomia perché Kids in Museums deve seguire molti differenti progetti, workshop ed eventi, e quindi non può seguire anche una pianificazione per quanto riguarda i tweets. 
Dixon è anche convinto che i social media debbano essere innanzitutto sociali prima che strumenti di promozione. Quando diversi progetti sono in lavorazione simultaneamente si cerca di coordinare e di equilibrare il volume delle condivisioni online. Per questo è stata studiata una strategia molto semplice da seguire che include i seguenti punti:

- Utilizzare sempre le proprie iniziali. Questo aiuta i followers a capire chi dei due o più utilizzatori principali sta usando l'account.  

- Verificare prima i tempi prima di condivisione per assicurarsi che non sia già in atto un'altra conversazione. Inserire un aggiornamento su uno workshop e subito dopo su un evento diverso confonde i followers.

- E’ giusto che i responsabili dei progetti di Kids in Museums desiderino promuovere il loro lavoro e farlo conoscere ai followers, ma dobbiamo anche ricordare che  i social media non devono essere utilizzati solo come strumento di pubblicità ispirato al marketing. 

  • Incoraggiare i followers a partecipare attivamente.

  • Ascoltare i volontari e fare in modo che le loro esigenze sia no ascoltate. Ad esempio, alcuni volontari preferiscono usare Facebook più di Twitter, allora si è fatto in modo che gli account Facebook e Twitter siano collegati in modo che tutto ciò che viene condiviso su Facebook sia postato automaticamente anche in Twitter


Altre linee guida fondamentali della strategia di Kids in Museum sui social media sono:  


  • Niente parolacce.
  • Controllare sempre i collegamenti prima della condivisione.
  • Non avviare una conversazione e lasciarla a metà.


La maggior parte di queste indicazioni è dettata dal comune buon senso e sembra quasi ovvia, ma all'atto pratico, in giro sui social media è più difficile vederle attuate di quanto si pensi. Affidare il proprio social media ai volontari dovrebbe essere, in ogni caso, una meravigliosa esperienza. In due anni Kids in Museums è riuscito a costruire la propria rete sui social media con Twitter che ha visto un aumento di oltre il 366% e Linkedin e Facebook ugualmente cresciuti in maniera esponenziale. E tutto questo grazie ai volontari. Penso, allora, ai piccoli musei, per esempio, che spesso lamentano che la mancanza di personale impedisce loro di essere sui social media. Ecco, questa può essere una soluzione. I consigli di Mar Dixon valgono quanto per le organizzazioni no profit quanto per quelle strutture museali che non hanno le risorse finanziarie per avere del personale destinato esclusivamente alla comunicazione sul web. In questo caso i volontari possono svolgere un ruolo importantissimo per dare visibilità e voce a quei musei.


#MuseumWeek. Tutti i musei su Twitter dal 24 al 30 marzo: istruzioni per l'uso



Dal 24 al 30 marzo si svolgerà la "Settimana dei Musei" su Twitter. Seguendo l’hashtag #MuseumWeek tutti avranno la possibilità di connettersi direttamente con le strutture museali e con chi ne ha la responsabilità, postando tweet, immagini e video. Parteciperanno i più grandi musei d’Europa, come la Tate Modern Gallery, il Museo della Scienza di Londra, Musei e Gallerie di Leeds, il Museo del Louvre, il Museo d’Orsay, il Chateau de Verasailles, il Museo del Prado, la Fundación Dalí, il Museo Picasso e il Reina Sofía.
Ma di che cosa si tratta esattamente?
Partiamo dal dato di fatto che ogni giorno migliaia di istituzioni culturali e di musei di tutto il mondo utilizzano regolarmente Twitter per comunicare.
#MuseumWeek è l’occasione per evidenziare l’importanza di questo strumento e per “convincere” altri utenti ad utilizzarlo. Twitter ci permette di abbattere le barriere che dividono, solitamente, i professionisti dei musei dal pubblico; può aiutare a far capire in che cosa consiste il lavoro di un curatore e che cosa si vuole comunicare attraverso le collezioni del museo. Regno Unito, Francia, Spagna e Italia si sono uniti per incoraggiare i musei ad aprirsi a questa forma di dialogo con il pubblico. Oltre ai grandi musei già citati, ci piacerebbe se qualche “piccolo” museo aderisse all’iniziativa. 
Ecco alcune delle motivazioni, tratte dal blog Museum Librarians and ArchivistsGroup, che potrebbero convincervi a partecipare:
Perché dovremmo essere coinvolti?
  • Tu sei la persona che ha la posizione migliore per promuovere le collezioni del tuo museo e il tuo lavoro
  • Se twitterai sotto la bandiera di un evento come #MuseumWeek sarai certo di avere un enorme ampliamento del tuo pubblico virtuale  
  • Si tratta di un evento divertente
  • Avrai l’opportunità di aggiungere qualcosa di nuovo al tuo CV
  • Se questa sarà la tua prima esperienza di utilizzo di Twitter per promuovere le tue collezioni e il tuo lavoro, lo farai attraverso un grande evento!
Come si svolgerà?
Ogni giorno, dal 24al 30 marzo, #MuseumWeek avrà un tema e quindi un hashtag diverso. Ciò renderà l'evento più gestibile e vi aiuterà a concentrare i vostri sforzi. Ecco i temi cui dovrete dedicare i vostri tweets:
24 Marzo: Un giorno nella vita (#DayInTheLife) Per esempio, raccontate che cosa fate nella vostra giornata al museo…
25 Marzo  Metti alla prova la tua conoscenza (#MuseumMastermind) Qualche quiz sui contenuti del vostro museo?
26 marzo La tua storia (#MuseumMemories) La storia del vostro museo e la vostra (ovviamente in relazione al museo), aneddoti, ecc.
27 marzo  Edifici dietro l'arte (#BehindTheArt) 
28 marzo  Chiedi all'esperto (#AskTheCurator) Facciamo domande al curatore
29 marzo  MuseumSelfies (#MuseumSelfies) Avanti con le vostre foto!
30 marzo I vincoli portano alla creatività (#GetCreative) Si può essere creativi anche in 140 caratteri!

Per partecipare basta compilare questo modulo
Per saperne di più:
  • @MarDixon è uno dei migliori esperti nell’uso di Twitter e nelle migliori strategie da utilizzare per fare in modo che i musei utilizzino al meglio questo strumento per promuovere il museo e farlo amare dal pubblico.  Ha scritto la guida 'Tutto quello che dovete sapere' sull'evento. #MuseumWeek - Perché (e come) tutti dovrebbero essere coinvolti
  • Cercate l’hashtag #MuseumWeek e seguite le persone che ne stanno già parlando.
Buon lavoro e buona Settimana dei Musei!

I MOOCs applicati ai musei: le nuove frontiere della fruizione museale

di Caterina Pisu



Leggendo un post di David Greenfield dal suo blog View from a Blog, mi sono molto interessata all’applicazione degli ultimi sviluppi dell’e-learning all’ambito museale. David Greenfield inizia con la considerazione che le visite ai musei sono sempre un’esperienza molto coinvolgente. Che si tratti della visita di una mostra temporanea o di una galleria, che si segua un percorso proposto dai curatori o dagli operatori didattici, o che si compia autonomamente, costruendo, in tal modo, un nostro personalissimo modo di vedere quella esposizione, in ogni caso ne trarremo sempre grandi vantaggi. Quando si ha la possibilità di vedere i luoghi e gli oggetti nelle proprie reali dimensioni, dal vivo, potendo osservare materiali e dettagli, l’intelletto e la curiosità dei visitatori sono catturati e affascinati molto più che dall’osservazione sul web di immagini ridimensionate. In ogni caso, per facilitare l’esperienza di visita, i professionisti museali cercano di progettare e ottimizzare i siti web anche per la realizzazione di pre-visite, che aiuteranno poi la visita reale, offrendo dei punti di riferimento e delle conoscenze preliminari.
Ma non tutti potranno prendere parte alla visita reale: costi e distanze possono creare ostacoli difficili da superare a molti potenziali visitatori dei musei. Questo rappresenta uno dei punti critici da risolvere.
Un aiuto può venire dai recenti progressi del web: il continuo sviluppo e l'integrazione dei media digitali, ovvero l’uso del web e dei social network, possono fornire alcune soluzioni interessanti e innovative a questo problema o almeno possono cercare di ricreare alcune delle condizioni che si verificano durante lo svolgimento di una visita guidata. Durante queste visite, per esempio, coloro che vi partecipano creano delle comunità temporanee nelle quali viene condivisa la prospettiva di interpretazione delle opere o, più in generale, dell’allestimento, così come proposto dalla guida, aggiungendo, però, anche il proprio punto di vista o sollevando questioni. Si crea, così, un dialogo tra la guida e i visitatori che consente lo scambio di informazioni, osservazioni e la ricerca di risposte alle proprie curiosità.
La domanda è: può essere attuato il trasferimento di un tipo di esperienza analogo anche alle visite on-line? Si è accennato al fatto che alcuni musei stanno già sviluppando strumenti web che funzionano come pre-visita. Sebbene questo sia un importante servizio messo a disposizione dei migliori siti web dei musei, bisogna dire che in realtà questo non supera tutte le limitazioni alla fruizione del museo che penalizzano i potenziali visitatori impossibilitati a raggiungere fisicamente il museo.
La proposta, dunque, è quella di utilizzare le possibilità offerte dai MOOCs (Massive Open On-line Course) che consentono la partecipazione interattiva su larga scala e l’open access attraverso il web. In pratica i MOOCs sono capaci di integrare i punti di forza dei social media (web 2.0) e del web semantico (3.0).
Per comprenderne meglio l’utilizzo, dobbiamo collocare questo strumento nell’ambito dell’e-learning, di cui il MOOC è l’ultima frontiera che si traduce, appunto in “massive open online course”, cioè corsi online gratuiti e aperti a tutti. Da poco tempo è possibile accedere a questi corsi gratuiti, online, da molte università in tutto il mondo. Su You Tube è disponibile un video che spiega molto chiaramente il funzionamento dei MOOCs:


In Italia, l’Università La Sapienza di Roma è il primo ateneo ad essere entrato nel progetto Coursera, lo spin off universitario nato nell’aprile del 2012 su iniziativa di due docenti dell’Università di Stanford, Daphne Koller e Andrew Ng, con l’obiettivo di creare uno spazio sul web dove chiunque possa partecipare a corsi on-line gratuiti su diverse materie. 
Rispetto a corsi online di tipo tradizionale, un MOOC si basa sul presupposto che il grande numero di partecipanti costituisca il punto di partenza per lo sviluppo di elevate connessioni e interazioni, elemento fondamentale per la divulgazione dell’apprendimento. Inoltre i MOOCs, che sono gratuiti, richiedono una partecipazione attiva nella produzione e nel repackaging di contenuti. E questo richiama moltissimo il funzionamento degli attuali social media.

E i musei? In ambito museale si possono utilizzare le potenzialità del MOOC per creare un ponte tra le esperienze reali e quelle on-line: in tal senso, esso può essere usato come sito stand-alone (cioè capace di funzionare in modo indipendente) per emulare l’esperienza di una visita guidata. I visitatori connessi on-line avrebbero la possibilità di esplorare, condividere, interpretare e creare dei contenuti all'interno di una comunità di persone con i loro stessi interessi.
Il MOOC può anche essere utilizzato come piattaforma per la creazione di mostre virtuali che, oltre agli evidenti vantaggi economici, permetterebbe, per esempio, di mostrare quelle opere che sono conservate nei magazzini, offrendo ai visitatori ulteriori approfondimenti della produzione di un artista, di uno stile o di un determinato periodo. Si possono creare, inoltre, mostre di opere d’arte o manufatti che sono disseminati in tanti musei, in varie parti del mondo, che altrimenti difficilmente potrebbero essere viste simultaneamente. Si possono anche formare dei sotto-gruppi, all’interno di una comunità, per coloro che sono interessati a discutere argomenti ancora più specifici, per esempio determinate opere o movimenti artistici, storici, ecc. ecc. Le possibilità di utilizzo sono veramente illimitate.
Forse la visita di una mostra on-line potrebbe non essere così appagante come l'esperienza reale, ma le funzioni del MOOC, per mezzo delle connessioni e delle interazioni su cui si basa il sistema, sono in grado di ricreare ciò che avviene durante una visita reale, quando si formano comunità temporanee tra le persone che vi partecipano; e questo è il primo passo per rendere la visita on-line più vicina a quella on-site.
Mi viene in mente l’esempio citato da Umberto Eco nel suo articolo “Il museo nel terzo millennio”: l’idea di un museo trasportabile, fatto non di opere originali, ma di immagini proiettate dei capolavori dei più importanti musei del mondo, per permettere a tutti di vedere ciò che probabilmente non potranno mai raggiungere fisicamente. Un’idea concepita dall’architetto Konrad Wachsmann, condivisa da Eco, per il quale il museo del terzo millennio sarà “sempre inedito, sempre capace di offrirmi nuove sorprese”. E forse questo è l’obiettivo che si potrà raggiungere con le nuove tecnologie, grazie al superamento delle distanze e alla possibilità di mettere in connessione tra loro milioni di persone.


Misurare il successo dei social media



di Jim Richardson 

Tratto dal sito MuseumNext


Mentre è facile farsi entusiasmare dal numero di seguaci che il tuo museo attira su Twitter o Facebook, è importante essere obiettivi sul perché stai utilizzando i social media.
Bisogna puntare di più sulla qualità che sulla quantità – l’interazione regolare tra un certo numero di fan su Facebook è più efficace rispetto ad avere un elevato numero di seguaci che lasciano un messaggio sulla bacheca e non si fanno più vivi. Starbucks e Coca Cola sono i principali esempi di gruppi di Facebook su larga scala con bassi livelli di coinvolgimento.
All’inizio di qualsiasi progetto di social media, dovresti pensare a quelli che sono i tuoi obiettivi; sono questi obiettivi che contano, piuttosto che la popolarità della tua organizzazione, quando si tratta di misurare il tuo successo online.
Ci sono misure facili e difficili per dimostrare il successo. Le misure difficili comprendono gli indicatori web standard come:
• Visite e reindirizzamenti
• Volume di ricerca
• Analisi delle statistiche utilizzate per migliorare le procedure rendendole più efficaci
• Numeri di seguaci, fans, amici
Queste misure difficili rendono molto più facile la quantificazione del ritorno degli investimenti nei social media rispetto ai media tradizionali; è ad esempio virtualmente impossibile misurare con precisione quante persone agiscono su un annuncio di giornale.
Possiamo sfruttare l’influenza che i social media hanno sul pubblico, cercando di misurare, ad esempio, quante persone che interagiscono con te on-line visitano anche il museo fisicamente; si tratta di una cosa difficile, ma non impossibile.
Nel 2009 il TATE ha offerto ai suoi fan di Facebook, sulla sua bacheca, un buono sconto per una mostra dell’artista britannico Chris Odofi. Questo buono è stato sfruttato da oltre 10.000 persone, mostrando un legame diretto tra coloro che interagiscono con la galleria su Facebook e coloro che pagano per partecipare a un’esibizione.
Oltre a utilizzare strumenti quali buoni per misurare l’efficacia dei social media, dovresti anche includere delle domande rilevanti nel tuo sondaggio annuale proposto ai visitatori, scoprendo se il tuo pubblico è attivo su siti come Facebook e Twitter e chiedendogli se sa che il tuo museo è presente su questi siti.
Verifica anche la qualità delle tue interazioni, per esempio se fai al pubblico una domanda su Facebook, quante persone rispondono e cosa stanno scrivendo?  Facebook’s Insight analytics ti fornisce gli strumenti per misurare quanto impegno c’è sui tuoi contenuti sul social network.
Potresti anche guardare oltre ciò che le persone ti dicono direttamente, monitorando qualsiasi riferimento al tuo museo che viene fatto sulle piattaforme di social media, registrando sia le risposte positive che quelle negative.
Perché misurare?
Mentre i social media possono sembrare una risorsa a basso costo, ci può volere molto tempo per riuscire a gestire queste piattaforme e potrebbe essere necessario dover giustificare questa attività, soprattutto se hai un team di gestori scettico sulla sua utilità.
Misurare la risposta al tuo museo e all’attività dei social media è importante anche per registrare i progressi ed il successo e per imparare da ciò che si sta facendo; non sarai mai veramente in grado di sapere se quello che stai facendo ha qualche effetto se non lo misuri.
Ritengo inoltre che i musei possono avere un enorme successo con i social media, e questo dovrebbe essere misurato per giustificare il tempo di gestione di tali siti web.
Come si misura il successo dei social media?

Campagna per la presenza dei musei italiani nei social networks.

di Caterina Pisu



Partendo da una ricerca statistica condotta da Jim Richardson (@ sumojim) su Google Docs, Sean Redmond (Litot-es) ha tratto un elenco di musei di tutto il mondo che utilizzano tre importanti social network, Facebook, Twitter e Klout. Ne risulta che tra i primi dodici musei più attivi in rete, ci sono i seguenti:

  1. MoMA The Museum of Modern Art 
  2. The Metropolitan Museum of Art, New York 
  3. Musée du Louvre 
  4. Tate 
  5. Solomon R. Guggenheim Museuem 
  6. Saatchi Gallery 
  7. Centre Pompidou 
  8. Moca Taipei 
  9. British Museum 
  10. MoMA PS1 
  11. Design Museum 
  12. Museo Nacional del Prado


Per i dati rimando a Litot-es. Notiamo che fra i primi 50 non ci sono musei italiani. Bisogna arrivare all'85° posto per trovare Musei in Comune di Roma. E' evidente, quindi, che i musei italiani non utilizzano ancora tutte le potenzialità offerte dai social network e che gli utenti che seguono e partecipano attivamente alla vita dei musei attraverso questi strumenti di comunicazione, sono pochi. E' necessario, allora, da una parte promuovere la presenza dei musei italiani sui social network e, dall'altra, coinvolgere più pubblico possibile, diversificato per età, grado di istruzione, sesso, interessi specifici. Si tratta di un impegno doveroso per essere al passo con i tempi e con il resto del mondo. L'uso dei social network sta cambiando modi e funzioni della comunicazione museale e sta creando nuovi stimoli di ricerca e di studio anche nel campo della museologia. E' importante, allora, dare inizio ad una vera e propria campagna di sensibilizzazione all'uso dei social network da parte dei musei. 
Tali considerazioni hanno spinto l'Associazione Nazionale Piccoli Musei (www.piccolimusei.com) a promuovere una ricerca a livello nazionale che si svolgerà attraverso queste fasi:

  • creazione di un questionario (http://www.scribd.com/doc/96031044/Questionario-musei)
  • invio del questionario ad un campione di musei italiani
  • analisi dei dati raccolti
  • pubblicazione in rete dei risultati
  • presentazione dei risultati durante il 3° Convegno Nazionale dei Piccoli Musei (Amalfi, 5-6 novembre 2012)

La ricerca ha lo scopo non solo di raccogliere dei dati sulla presenza dei musei italiani nei social network, ma anche quello di dare impulso alla presenza dei musei italiani in rete, in particolare dei piccoli musei o dei musei locali in genere.

Una lettera aperta al direttore del Museo che non punta al sociale

di Jim Richardson

tratto dal blog di MuseumNext  il sito dedicato alla grande conferenza europea sui social e digital media nel settore dei musei (Barcelona on May 23 - 25 2012).

‘Io non sono su Facebook e non credo che dovremmo sprecare tempo e denaro per questo genere di cose’, questo era il messaggio di un direttore di museo al termine di una mia presentazione su come le loro istituzioni dovrebbero usare i social media.
Avevo già sentito prima questo genere di commenti, e spesso ricevo email da persone che lavorano in musei con direttori o manager che hanno una simile mentalità, qualcuno cioè che non capisce il potere dei social media.
Per tutti coloro che lavorano nei musei che pensano che i social media non sono importanti per il nostro settore, ecco u elenco dei motivi per cui si sbagliano.
1. Solo perché non sei su Facebook non significa che i tuoi visitatori non ci siano, per esempio la ricerca mostra come nel Regno Unito il 79% delle persone sono attive sui siti web di social media. L’unico modo per sapere se Facebook, Twitter, YouTube o anche il tuo sito web sono importanti per il tuo pubblico è quello di chiederglielo.
2. Se si perde un po di tempo a guardare questi siti, si scopre che la gente sta parlando proprio del tuo museo. Ignorando questi spazi di social media, ignori i pareri del pubblico locale, la possibilità di reagire e migliorare in base ai loro pensieri.
3. I Social Media possono essere un ottimo strumento di marketing. Sappiamo che il TATE fa una ampia pubblicità, e Facebook è la seconda più grande fonte di traffico per il loro sito web. E’ anche più economico di una campagna pubblicitaria nella metropolitana di Londra.
4. Il Social Media non dovrebbero essere solo visti come uno strumento di marketing. Questi siti e servizi web hanno il potenziale per aiutare i musei in diversi modi, compresa la ricerca, raccolta fondi, co-creazione di contenuti ed educazione.
5. I siti di Social media come Facebook e Twitter creano delle comunità intorno a marchi, interessi e luoghi. Questa può essere una piattaforma molto potente attraverso la quale il museo coinvolge la sua comunità.
6. Molti professionisti museali usano Twitter; questa piattaforma di social media offre l’opportunità di connettersi con gli altri professionisti del settore, dando la possibilità, inoltre, di scoprire ciò che le altre istituzioni stanno facendo.
7. I social media offrono anche alla più piccola istituzione l’opportunità di lavorare con altri operatori del settore per aumentare la visibilità dei musei e promuovere ciò che offriamo. Cerca # temidicultura per scoprire che cosa la comunità dei musei sta facendo sui social media questo mese.
8. I social media consentono di portare il pubblico dietro le quinte, collegando i membri del pubblico con gli appassionati esperti che lavorano nel vostro istituto. Nel settembre 2011 un evento chiamato “Chiedi a un Curatore” ha generato oltre 10.000 messaggi su Twitter, la maggioranza di coloro che hanno posto delle domande ha detto che intendevano visitare le istituzioni che avevano avuto il tempo di rispondere alle loro domande.
9. innumerevoli musei e gallerie d’arte stanno facendo uso di questi siti web di grande effetto; chiedi ai tuoi colleghi come i social media stanno cambiando il modo in cui lavorano oppure osserva il modo in cui stanno usando Twitter, Facebook, YouTube e Flickr.
10. Basta provare i social media, non ci vuole molto per farlo, e molto probabilmente troverai che la vibrante comunità di nicchia presente su questi siti ti sarà di ispirazione.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...