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Il Centre George Pompidou visto da Roberto Rossellini


Scrive Luca Caminati in "Roberto Rossellini documentarista. Una cultura della realtà" (2012):

"Possiamo invece affermare che, a conclusione della sua attività, si riaccende un lampo propriamente documentaristico nelle due sue ultimissime opere: Concerto per Michelangelo (1977) e Le Centre Georges Pompidou (1977). Entrambi i film sono riflessioni su due "macchine artistiche", luoghi istituzionali di esibizione dell'arte. Il primo, commissionato dalla RAI e dal Vaticano per il Sabato Santo pasquale, è interessante, oltre che per l'autoritratto forse involontario che diventa per lui Michelangelo, come esperimento: l'unico in cui Rossellini intrecci cinema e video, o meglio ripresa elettronica in diretta; il secondo è, invece, un tentativo esemplare in una direzione nuova: quella della "constatazione" documentaristica. Avvolta dai radi suoni dei visitatori, in assenza di voce over, la macchina da presa si aggira fra il "contenitore" - l'architettura ultramoderna di Renzo Piano e altri - e il "contenuto" - le opere d'arte esposte - con una curiosità descrittiva che non nasconde un velato scetticismo di fondo (siamo ben lontani da qualsiasi "celebrazione"). Da una parte Rossellini riflette sul rapporto classico fra arte e Chiesa, dall'altra su quello moderno fra arte e istituzione laica. In entrambi i casi identifica l'arte come processo di produzione, al di là o prima dei suoi risultati espressivi.
Come non vedere in queste opere involontariamente una riflessione di Rossellini sulla propria arte? Intreccio di politica, di economia, di tecnica, di documentario e di finzione, nei cui limiti, ma influenzato anche dagli stimoli di tali limiti, egli si esprime".

#MuseumWeek: l'analisi de La Magnética

Dopo l'intensa settimana di #MuseumWeek, dal 24 al 30 marzo, la società spagnola di marketing e comunicazione La Magnética ha condotto un’analisi molto approfondita sui numeri che hanno caratterizzato questa manifestazione. Più di 180,000 i tweets, più di 40,000 gli utenti e 600 i musei che hanno preso parte al grande evento.
La Magnética ha preso in considerazione tutti quei profili che hanno twittato con l’hashtag #museumweek e le varie interrelazioni che si sono create tra gli utenti. La rete risultante è la seguente e prende in considerazione i quattro paesi europei che hanno aderito all’iniziativa: Regno Unito, Francia, Spagna e Italia.



Gli utenti più attivi sono al centro delle varie reti. I colori rappresentano la struttura della comunità, cioè quei gruppi che hanno mostrato una forte interazione fra i propri membri e si vede che questi gruppi coincidono quasi perfettamente con le quattro nazioni partecipanti.

La grandezza dei cerchi è proporzionale alle menzioni inviate e ricevute. I musei con maggiore rilevanza tra i quattro paesi europei già citati sono dunque: Palazzo Madama da Torino (@palazzomadamato), l’Associazione Nazionale Piccoli Musei (@PiccoliMusei) da Roma e il Centre Pompidou da Parigi (@centrepompidou).


Qui sotto un dettaglio della comunità italiana che vede Palazzo Madama e l’Associazione Nazionale Piccoli Musei come i due centri più attivi della rete italiana. 



Qui il report completo de La Magnética.

La battaglia di François Cachin

Il ricordo della grande museologa e storica dell’arte recentemente scomparsa e le sue preoccupazioni per il futuro dei musei francesi

Lo scorso 4 febbraio la Francia ha perso una figura di spicco dell’ambito museale, Madame François Cachin, spentasi a Parigi dopo una lunga malattia. Nata nel 1936, il nonno paterno era Marcel Cachin (fondatore, nel 1920, del Partito Comunista Francese e direttore dell’organo di stampa del partito, L'Humanité, dal 1918 al 1958), mentre il nonno materno, da cui ereditò l’interesse per l’arte, era il pittore Paul Signac (il creatore con George Seurat del movimento pittorico del Puntinismo e del Divisionismo). Allieva del grande storico dell’arte André Chastel, la Cachin iniziò la sua carriera nei più importanti musei di Parigi, diventando curatrice del Musée national d'Art Moderne, del Palais de Tokyo e del Centre Georges Pompidou. Successivamente lavorò alla progettazione e all’allestimento del Musée d'Orsay, dal 1978 al 1986, di cui fu anche manager fino al 1994. Dopo aver organizzato importanti mostre su Van Gogh, Gauguin, Seurat e altri artisti, e curato cataloghi che sono diventati pietre miliari della storia dell’arte, fu nominata Direttore dei Musei di Francia, prima donna a ricoprire tale carica e che mantenne fino al 2001, anno del suo pensionamento. Nonostante avesse ormai lasciato il suo incarico al Ministero della Cultura, non rimase inattiva e la morte l’ha colta mentre preparava una mostra dedicata a Manet, uno dei suoi artisti preferiti, che sarà inaugurata in aprile presso il Musée d'Orsay (Manet, inventore del Moderno, 5 aprile – 3 luglio 2011). Il ministro della Cultura, Renaud Donnedieu de Vabres, la estromise dalla Commissione per gli acquisti dei musei nazionali e dalla presidenza di Frame (French Regional & American Museum Exchange) a causa delle sue nette prese di posizione contro la politica culturale del governo francese. Questa esclusione le procurò un grande dolore. Tradizionalista inflessibile, la Cachin, infatti, contrastò apertamente la mercificazione del patrimonio museale, e fu co-autrice, nel dicembre del 2006, di un articolo pubblicato su Le Monde, insieme agli illustri storici dell’arte Jean Clair e Roland Recht, “Les musées ne sont pas à vendre (contro il progetto di apertura del Louvre di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, e del Louvre di Atlanta, in Georgia), un vero e proprio articolo-manifesto che rappresenta, ora, oltre che il punto di vista di buona parte della comunità dei professionisti museali francesi, anche una sorta di testamento intellettuale della Cachin. In quell’articolo del 2006, si ribadiva l’importanza che i musei francesi continuassero a ricevere il supporto finanziario dello Stato e degli enti locali, a garanzia di una gestione libera e avulsa da pressioni di tipo commerciale. Cachin, Clair e Recht in quel discusso articolo posero l’accento sulla differenza tra il sistema museale statunitense, fondato quasi interamente sul finanziamento privato (tranne il museo nazionale di Washington) e il sistema museale francese, nel quale, nonostante l’approvazione delle recenti norme a favore del mecenatismo (favorito da sgravi fiscali concessi alle aziende e ai privati che finanziano i musei per l’acquisto di nuove opere d’arte o che fanno donazioni), il ruolo di servizio pubblico dei musei è ancora centrale.  Rispetto agli americani, pionieri delle esportazioni a pagamento delle proprie collezioni museali in tutto il mondo e che si vantano della loro politica di "entertainment business", il mondo museale europeo può vantare, invece, una lunga tradizione nella valorizzazione e nella cura delle proprie collezioni e nella promozione del ruolo educativo delle istituzioni museali; esso, inoltre – ribadiscono Cachin, Clair e Recht - si è autoregolamentato, assumendo un proprio codice etico formulato e ufficializzato dall’ICOM (International Council of Museums). Anche negli Stati Uniti, però, non è mancato il dibattito su questo tema e già nel settembre del 2003, ricordano i tre autori francesi, Philippe de Montebello, direttore del Metropolitan Museum di New York, aveva messo in guardia circa la commercializzazione dilagante del patrimonio culturale pubblico, criticando, in particolare, il sistema dei "loan fees" (prestiti a pagamento), nonché la tendenza di alcuni musei di diventare "mercati culturali" e "parchi di divertimento". “In tal modo rischiano”, rimarcava de Montebello, "di perdere la loro anima." Cachin, Clair e Recht, pur precisando di non essere completamenti chiusi ad un uso ragionevole delle sponsorizzazioni, ribadiscono che certamente non si può nascondere una viva preoccupazione per il sopraggiungere di rapidi cambiamenti di cui non si è ancora in grado di prevedere e valutare gli sviluppi futuri, i quali potrebbero causare irreversibili trasformazioni nella gestione, cura e fruizione delle collezioni museali. Tutto ciò senza che sia stata data la possibilità di un dibattito all’interno della comunità dei professionisti museali per preparare nel modo migliore le innovazioni più utili ed eticamente corrette. “Il peggio deve ancora venire”, denunciano i tre autori; lo dimostra il progetto di Abu Dhabi, un paese di soli 700.000 abitanti, ma dotato di grandi risorse finanziarie, in cui si vorrebbe creare, per fini turistici, un “distretto culturale” che includerà le “filiali” di alcuni musei europei, come il Gugenheim e il Louvre, un Museo del Mare, una sede della New York University ed un centro di arti performative. Il progetto si basa su un contratto che impegnerà le istituzioni europee e americane a “vendere” la propria “griffe” alle succursali negli Emirati, e a fornire collezioni, singole importanti opere d’arte e competenze; il tutto in cambio del versamento di svariate centinaia di milioni di euro per i prossimi trent’anni. Il Louvre sarà obbligato, pertanto, alla cessione di prestiti di opere d’arte a lungo termine, privandone i propri visitatori, i quali forse per molto tempo non troveranno più “La Gioconda” a Parigi, ma dovranno recarsi negli Emirati Arabi Uniti per poterla ammirare!  N'est-ce pas cela vendre son âme?” è il grido d’allarme lanciato da Cachin, Clair e Recht.
Caterina Pisu (ArcheoNews, marzo 2011)

 Cari amici, in questi anni in cui ho svolto l’incarico di direttore scientifico del Museo Civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, dal 2019 a...