Il Brasile dei musei: una primavera di iniziative su tematiche sociali

Ogni anno, dal 2007, in Brasile viene lanciata la Primavera dos Museus, la “Primavera dei Musei”, coordinata dall’Ibram – Instituto Brasileiro de Museus con la collaborazione di tutte le istituzioni museali del Paese che vorranno aderire. Quest’anno si svolgerà la nona edizione (i musei potranno registrarsi fino a domani, 21 agosto). 
Durante questo periodo si svolgeranno seminari, mostre, laboratori, spettacoli, tavole rotonde, visite guidate, proiezioni di film. 
L’immagine utilizzata quest’anno per pubblicizzare la Primavera dos Museus raffigura lo sciamano Itsaltako dell’etnia Waura, dal villaggio di Wuará Piyulaga in Alta Xingu (MT), fotografato da Renato Soares nel 2013.



Nel corso delle otto edizioni precedenti, la partecipazione dei musei brasiliani ha avuto una crescita media del 18% l'anno, così come il numero di eventi registrati è aumentato del 21%. Già la prima edizione del 2007 riscosse un ottimo successo, registrando l’adesione di 300 musei e la segnalazione di 874 eventi.

Ogni anno, l’Ibram propone un tema diverso intorno al quale vengono progettate le attività dei musei. Quest’anno il tema sarà "Musei e Memorie indigene". Gli eventi avranno luogo tra il 21 e il 27 settembre.

L’obiettivo di questa iniziativa è promuovere, diffondere e valorizzare i musei brasiliani, aumentare la partecipazione del pubblico, migliorare il rapporto dei musei con la società.

Nell’ambito dei musei brasiliani c’è una particolare attenzione per le tematiche sociali. Il Paese, infatti, ha sempre convissuto con le problematiche legate alle enormi disuguaglianze sociali nella distribuzione della ricchezza e del territorio: penso, per esempio, alle condizioni di vita critica nella favelas sorte intorno ai grandi agglomerati urbani, ai meninos de rua o all’oppressione degli Indios. I programmi di inclusione sociale, quindi, permettono di creare migliori condizioni di vita, favorendo non solo un più facile accesso alla cultura ma anche la conservazione delle culture proprie delle minoranze e delle tradizioni locali, ponendo l’accento anche su temi difficili, come i diritti umani e la lotta alla povertà e alle discriminazioni. 
I musei possono svolgere un compito fondamentale per il raggiungimento di questo obiettivo in quanto, essendo ambienti educativi informali, possono aiutare più facilmente le persone ad avvicinarsi alla cultura e all’istruzione senza timore, primo passo per il riscatto sociale e per accendere la speranza di costruire un futuro migliore. (Vedi Guilherme Cordeiro da Graça de Oliveira , Cássia Curan Turci , Brunno Martins Teixeira , Ediléa Mendes de Andrade Silva , Ivie Soares Garrido and Rafael Silva Moraes , « Social inclusion through access to heritage culture and education in an informal environment », Field Actions Science Reports [Online], Special Issue 3 | 2011, Online since 19 April 2013, connection on 20 August 2015. URL : http://factsreports.revues.org/2534).

Già tra il 2003 e il 2006, Il Ministero della Cultura brasiliano aveva elaborato le prime iniziative concrete per una politica nazionale del settore dei musei orientata verso i temi sociali. Nel Maggio 2003 è stato presentato un dossier su “I Musei Nazionali, la Memoria e la Cittadinanza”.  Lo scopo di questa nuova politica dei musei era quello di “promuovere il riconoscimento, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale brasiliano”.  Oggi questo dossier è considerato uno dei più importanti strumenti per la promozione dell’inclusione sociale e della cittadinanza attraverso lo sviluppo e le rivitalizzazione delle istituzioni museali esistenti (Julio Francisco, “Brazilian Museology and the sustenable museum management, https://www.academia.edu/4956743/BRAZILIAN_MUSEOLOGY_AND_THE_SUSTENABLE_MUSEUM_MANAGEMENT).

Il tema che quest’anno è stato proposto ai musei partecipanti alla Primavera dos Museus continua su questa linea e spinge per l’integrazione delle fasce sociali più povere e per il rispetto delle minoranze.

Sono molto felice di poter avere l’occasione, a ottobre, di conoscere più da vicino un museo brasiliano molto interessante, il Museu de Favela – MUV, di Rio de Janeiro,  in occasione della prossima edizione di #smallmuseumtour, su Twitter, l’iniziativa che ho ideato nell’ambito dell’AssociazioneNazionale Piccoli Musei e che ho il piacere di coordinare insieme alla collega Ilenia Atzori. Sarà una preziosa occasione per dare seguito alle relazioni con i musei brasiliani, iniziate nel 2013, a seguito dell’incontro con José do Nascimento Jr., allora Presidente dell’Ibram, e proseguita lo scorso anno con la partecipazione al Quinto Convegno dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei della delegazione brasiliana composta dagli amici Vanessa De Britto, funzionaria dell’Ibram, Cinthia Maria Rodriguez Oliveira (responsabile del coordinamento di Museologia sociale ed educazione), e da Ricardo Alfredo de Carvalho Rosa (direttore del Museu do Ouro di Sabará). 

I nuovi direttori dei venti grandi musei italiani: dubbi e perplessità.

Un concorso è il modo più appropriato per scegliere i direttori dei grandi musei?

Il Ministro Dario Franceschini
Foto tratta da http://www.quicosenza.it/news/calabria/48385-musei-ecco-i-20-nomi-dei-nuovi-direttori-carmelo-malacrino-a-reggio-calabria

In Italia la procedura del concorso per l’accesso ai pubblici incarichi è talmente radicata che si potrebbe dire che siamo una repubblica fondata sui concorsi. Questi metodi di selezione, così cari a un sistema altamente burocratizzato, dovrebbero consentire la selezione dei candidati migliori in base al possesso di requisiti predefiniti, al superamento di varie prove e al giudizio finale di una commissione. Intorno ai concorsi, però, si scatenano spesso un’infinità di polemiche: sono sempre affidabili? Sono facilmente manovrabili?
Resta il fatto che, nonostante tutto, continua ad essere una procedura largamente diffusa e non si può sempre mettere in dubbio la sua efficacia come strumento di selezione.
In queste ore si è dato grande rilievo all’esito del concorso per la selezione dei direttori di venti grandi musei italiani. Il Ministro Dario Franceschini ha presentato la procedura come una “innovazione”, uno “svecchiamento” del precedente sistema. In realtà non è chiaro per quale motivo il fatto di aver scelto i direttori tramite un concorso pubblico e internazionale possa rivoluzionare i sistemi di gestione dei nostri musei. Inserire il “nuovo”, cioè i direttori di fresca nomina, in un sistema “vecchio”, a mio parere non sembra essere un’idea eccellente. Si può costruire una casa iniziando dal tetto? Impossibile. Eppure questo, in pratica, è ciò che si sta facendo.  
Ma ci sono altre ragioni per le quali ritengo che un concorso non sia il mezzo più adatto per l’affidamento della direzione di un grande museo. Questi musei fanno parte del patrimonio culturale della nazione e per tale ragione la loro gestione deve far capo a figure istituzionali alle quali dovrebbe spettare anche la responsabilità diretta della scelta dei direttori. 

E’ quanto avviene, per esempio, nei più grandi musei d’Europa: il direttore del British Museum, sovvenzionato dal Dipartimento della Cultura britannico, è gestito da un consiglio di amministrazione formato da 25 membri. In base al British Museum Act del 1963 i 25 fiduciari che gestiscono il museo sono nominati: uno da Sua Maestà, ben quindici dal Primo Ministro, quattro dal Segretario di Stato e cinque dagli Amministratori del British Museum. Il Consiglio è responsabile della gestione generale del museo e della nomina diretta del direttore con l’approvazione del Primo Ministro.
Analogamente al British Museum, anche il direttore del Louvre viene scelto dal Consiglio dei Ministri e così pure il direttore del Prado.

Sono d’accordo con Vittorio Sgarbi, pertanto, che ha dichiarato che “nomine di questo tipo e di questa importanza, un ministro dei Beni culturali le fa in prima persona, assumendosene la responsabilità”.  Inoltre - mi permetto di aggiungere - uno studioso di chiara fama non ha bisogno di superare un esame. Il suo prestigio è tale che nessuno può metterlo in discussione. Per questo ritengo che un concorso, in questo caso, sia inappropriato: non stiamo parlando di un impiego qualunque ma di un incarico di alta responsabilità che può essere affidato solo a professionisti la cui carriera sia di per sé garanzia di seria affidabilità.

Non è il curriculum dei direttori, quindi, che deve essere esaminato, dato che su quello non ci dovrebbero essere dubbi, ma il loro operato, quello sì, deve essere sottoposto periodicamente al vaglio di una commissione che analizzi accuratamente i risultati ottenuti, le difficoltà riscontrate e le cause che le hanno determinate. Se un professionista, per quanto valente studioso, non è riuscito a ottenere dei risultati concreti nell'arco di due o tre anni, sembra inutile continuare ad erogargli uno stipendio. Se, invece, si appurerà che le cause dell'insuccesso sono imputabili al sistema in cui è costretto ad operare, si cercherà di apportare le necessarie innovazioni e riorganizzazioni. Nel caso del recente concorso, invece, tutto ruota intorno ai curricula dei prescelti e nulla è stato ancora detto a proposito dei metodi di valutazione del loro futuro operato, anche se il Ministro Franceschini lo scorso anno aveva dichiarato di voler introdurre nuovi e più rigidi criteri di valutazione dell'operato dei musei che tengano conto non solo del numero dei visitatori (finalmente!) ma anche del lavoro e della ricerca svolti. 

Intanto, come accade in ogni concorso, fioccano le polemiche non solo sul reale prestigio internazionale dei nuovi incaricati ma, in alcuni casi, perfino sul possesso di adeguate competenze. Si è fatto notare che al Museo Archeologico Nazionale di Taranto è stata nominata una medievista, mentre a Reggio Calabria anziché un archeologo sarebbe stato scelto un architetto. Ci sono dubbi anche sull’esclusione di figure autorevoli: nel caso del Parco archeologico di Paestum sarebbe stata esclusa una delle candidate più qualificate, Maria Paola Guidobaldi, con al suo attivo una lunga esperienza negli scavi di Ercolano; ad essa è stato preferito il tedesco Gabriel Zuchtriegel, 34 anni, che a detta di alcuni non avrebbe ancora maturato, invece, un’adeguata esperienza.

Personalmente non posso giudicare le competenze e il prestigio professionale di questi studiosi, ma non resta che attenderli al banco di prova. Come ha affermato Philippe Daverio, “La complessità del sistema italiano richiede esperienza. E il successo di molti musei si basa sulla capacità di attrarre denaro. Un direttore non ha la facoltà di cambiare le leggi e, parlando dei dipendenti, deve riuscire a dialogare con il sindacato. Prendiamo Eike Schmidt, scelto per le Gallerie degli Uffizi: proprio in quella istituzione l'80% del lavoro di un direttore è di tipo amministrativo-burocratico e soltanto il 20% è creatività. Il ministero si rende conto di questo elemento?” Un bravo direttore può fare molto per rendere un museo più efficiente e più attrattivo nei confronti del pubblico, ma non può farlo da solo; c’è bisogno del supporto delle Istituzioni. Se il vecchio sistema continuerà ad esistere, difficilmente il cambiamento potrà realmente avvenire, ma non voglio essere pessimista fin dal principio. Vedremo ciò che avverrà già dai prossimi mesi. 


Concludo con l’amaro commento dell’ex direttore degli Uffizi di Firenze, Antonio Natali, ottimo professionista e valente studioso stimato a livello internazionale. E’ risultato tra i dieci ammessi agli orali (sì, esattamente come uno studente di primo pelo) ma è stato scelto, come già accennato, il tedesco Eike Schmidt, proveniente, negli ultimi anni, dal Dipartimento di sculture e arti decorative del J. Paul Getty Museum di Los Angeles e dal Sotheby’s di Londra dove ha svolto il ruolo di direttore e capo del dipartimento scultura e arti applicate europee.  
Ha dichiarato Natali: «Un Paese che dice di voler cambiare non poteva permettersi di dire che restava il vecchio direttore. L’amarezza l’ho avuta quando ho capito quale era il copione».

Selezionati i vincitori del bando per la direzione dei 20 principali musei italiani

Tutti i nomi dei nuovi direttori

Ringrazio Riccardo Calimani che mi aggiorna sulla procedura di selezione internazionale per i direttori dei 20 principali musei italiani prevista dalla riforma Franceschini. L’età media dei vincitori è di 50 anni. Su 20, 10 sono uomini e 10 sono donne. Gli stranieri, tutti cittadini UE, sono 7 (3 tedeschi, 2 austriaci, 1 britannico e 1 francese), gli italiani che tornano dall’estero sono 4 (Bagnoli, Gennari Santori e D’Agostino che rientrano dagli Stati Uniti e Degl’Innocenti dalla Francia). 
Quanto alle professioni: 14 storici dell’arte, 4 archeologi, 1 museologo/manager culturale e 1 manager culturale. Nominata anche un'interna del ministero.

Ecco i venti nuovi direttori dei principali musei italiani:

1) alla GALLERIA BORGHESE (ROMA)

Anna Coliva – 62 anni, storica dell’arte. Nata a Bologna, si è laureata con lode in storia dell’arte nel 1977 con Giulio Carlo Argan, alla Sapienza, dove ha anche concluso il Corso di perfezionamento in storia dell’arte. Dal 1980 è funzionario del Ministero dei beni culturali. Dal 1994 lavora come funzionario storico dell’arte alla Galleria Borghese, dapprima come direttore-coordinatore e, dal 2006, come direttore. Dal 1983 al 1991 è stata funzionario direttivo nella Soprintendenza per i beni artistici e storici di Roma e del Lazio, dove è stata responsabile delle collezioni del Palazzo del Quirinale. Dal 1981 al 1983 è stata funzionario direttivo nella Soprintendenza per i beni artistici e storici di Parma e Piacenza. Autrice di oltre cento pubblicazioni, con particolare riguardo a Bernini, Caravaggio, Domenichino, Parmigianino, Dosso Dossi e, in generale, alla pittura emiliana e romanadel Cinquecento e del Seicento. Tra i massimi esperti al mondo della Galleria Borghese e della sua collezione, hacurato numerose mostre di livello internazionale. Nel 2013 le è stata conferita la Légion d'Honneur dal Presidente della Repubblica Francese. 


2) alle GALLERIE DEGLI UFFIZI (FIRENZE)

Eike Schmidt – 47 anni, storico dell’arte. Tedesco, nato a Friburgo in Brisgovia, si è laureato in storia dell’arte medievale e moderna alla Ruprecht-Karls-Universität di Heidelberg nel 1994. Nella stessa università ha conseguito con lode, nel 2009, il dottorato di ricerca in storia dell’arte con una tesi su “La collezione medicea di sculture in avorio nel Cinque e Seicento”. Dal 2009 è curatore e capo del dipartimento di scultura, arti applicate e tessili del Minneapolis Institute of Arts. Ha lavorato e vissuto a lungo in Italia, in particolare a Firenze, dove dal 1994 al 2001 è stato borsista e ricercatore presso il Deutsches Kunstshistorisches Institut. Nel 1997 ha vinto il premio Nicoletta Quinto della Fondazione Premio internazionale Galileo Galilei di Pisa. Dal 2001 al 2006 è stato curatore e ricercatore nella National Gallery of Art di Washington. Dal 2006 al 2008 è stato curatore nel Dipartimento di sculture e arti decorative nel J. Paul Getty Museum di Los Angeles. Dal 2008 al 2009 ha lavorato a Londra da Sotheby’s come direttore e capo del dipartimento scultura e arti applicate europee. Esperto di arte fiorentina di fama internazionale, ha pubblicato svariate monografie e decine di saggi.

3) alla GALLERIA NAZIONALE DI ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA DI ROMA

Cristiana Collu – 46 anni, storica dell’arte. Nata a Cagliari, dove si è laureata in storia dell’arte medievale nel 1993, si è poi specializzata in Spagna, a Madrid, dove nel 1996 ha conseguito il dottorato in Museum studies. Dal 2012 al 2015 ha diretto 
il MART-Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e, nel 2014, ha vinto il premio Art Tribune come miglior direttore di museo. Dal 1996 al 2012 ha diretto il MAN-Museo d’arte della Provincia di Nuoro. Dal 2009 è curatrice del Premio Terna. Docente di museologia e storia dell’arte contemporanea in diverse università italiane, vanta decine di pubblicazioni in materia di arte contemporanea.

4) alle GALLERIE DELL’ACCADEMIA DI VENEZIA

Paola Marini – 63 anni, storica dell’arte. Nata a Verona, si è laureata con lode a Bologna nel 1975, dove si è poi specializzata in storia dell’arte medioevale e moderna. Dal 1994 dirige i Civici musei d’arte e monumenti del Comune di Verona, dove dal 2011 al 2013 ha anche diretto la Galleria d’Arte Moderna-Palazzo Forti. Ha curato numerose mostre di livello internazionale in collaborazione con istituzioni italiane e straniere, sia pubbliche che private. Dal 1998 insegna museografia e museologia nella Scuola di specializzazione in storia dell’arte dell’Università degli studi di Udine. È autrice di decine di pubblicazioni, con particolare riguardo all’arte veneta.

5) al MUSEO DI CAPODIMONTE (NAPOLI)

Sylvain Bellenger – 60 anni, storico dell’arte. Francese, nato a Valognes, in Normandia. Laureatosi a Paris X–Nanterre nel 1978 in filosofia, si è poi specializzato in storia dell’arte alla École du Louvree alla Sorbonne, dove ha conseguito anche il dottorato di ricerca. Dal 2012 è capo dipartimento di pittura e scultura europee medioevali e moderne all’Art Institute di Chicago. Dal 2005 al 2010 è stato curatore capo all’Institut National d’Histoire de l’Art (INHA) di Parigi. Dal 1999 al 2005 è stato curatore della pittura e scultura europea al Cleveland Museum of Art. Dal 1992 al 1999 ha lavorato come direttore e curatore capo del Château and Museums of Blois. Dal 1987 al 1991 è stato direttore dei Museums of Montargis, in Francia. Nel 1986 ha conseguito il titolo di 
Conservateur des Musées de France. Autore di numerose pubblicazioni, ha studiato e lavorato anche alla 
Getty Foundation, alla National Gallery of 
Art di Washington, a Yale e a Palazzo Farnese. Nel 2006 è stato insignito della Légion d’Honneur.


6) alla PINACOTECA DI BRERA (MILANO)

James Bradburne – 59 anni, museologo e manager culturale. Nato in Canada, ma di cittadinanza britannica, ha studiato architettura a Londra e si è poi formato in museologia ad Amsterdam e Los Angeles. Dal 2006 al 2015 è stato il direttore della Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze. Dal 2003 al 2006 ha diretto la Next generation Foundation nel Regno Unito. Dal 1999 al 2002 ha diretto il Museum für Angewandte Kunstdi Francoforte. Dal 1994 al 1998 è stato responsabile per il design, la formazione e la programmazione al new Metropolis science and technology centre diAmsterdam. Autore di numerose pubblicazioni, è docente di museologia in diverse istituzioni italiane e straniere.

7) alla REGGIA DI CASERTA

Mauro Felicori – 63 anni, manager culturale. Nato a Bologna, dove, laureatosi con lode in filosofia, si è poi specializzato in economia della cultura e politiche culturali. Dal 2011 è direttore del Dipartimento economia e promozione della Città del Comune di Bologna, dove è dirigente dal 1986 e, in precedenza, ha diretto, tra l’altro, l’Area Cultura, l’Istituzione Musei Civici, l’Istituzione Biblioteche civiche e il Settore Cultura e Rapporti con l’Università. Docente di gestione e organizzazione delle imprese culturali nell’Università di Bologna, è autore di numerose pubblicazioni in materia.


8) alla GALLERIA DELL’ACCADEMIA DI FIRENZE

Cecilie Hollberg – 48 anni, storica e manager culturale. Tedesca, nata a Soltau, nella Bassa Sassonia, ha compiuto i propri studi universitari in storia e scienze politiche a Roma, Göttingen, Monaco di Baviera, Venezia
e Trento. Nel 2001 ha conseguito il dottorato in storia Medievale a Göttingen.
 Dal 2010 è direttore delloStädtisches Museum di Brunswick. In precedenza, ha lavorato come curatrice e funzionario tecnico-scientifico nel settore museale a Lipsia, 
Dresda eBerlino. Insegna in università tedesche e svizzere ed è autrice di numerose pubblicazioni.

9) alla GALLERIA ESTENSE (MODENA)

Martina Bagnoli – 51 anni, storica dell’arte. Nata a Bolzano, si è laureata in storia dell’arte a Cambridge e nel 1999 ha conseguito il Ph.D. con lode alla Johns Hopkins University di Baltimora. Dal 2003 lavora presso il Walters Art Museum di Baltimora, dove attualmente è curatore capo di arte e manoscritti medioevali. Vanta una vasta esperienza in musei statunitensi, tra i quali la National Gallery of Art di Washington. Autrice di numerose pubblicazioni in materia di storia medioevale, ha tenuto lezioni e seminari in molte università.

10) alle GALLERIE NAZIONALI DI ARTE ANTICA (ROMA)

Flaminia Gennari Santori – 47 anni, storica dell’arte. Nata a Roma, dove si è laureata e poi specializzata con lode in storia dell’arte alla Sapienza, ha conseguito un Ph.D. in storia all’Istituto europeo di Firenze. Dal 2008 lavora presso il Vizcaya Museum and Gardensdi Miami Florida, dove è stata vice-direttore e curatore. In precedenza è stata research fellow al Metropolitan Museum of Art di New York e presso altre istituzioni museali statunitensi. Autrice di numerose pubblicazioni sulla storia del collezionismo, insegna anche “History of the Collecting and Display of Renaissance Art” nel Master in Renaissance Art della Syracuse University a Firenze. 

11) alla GALLERIA NAZIONALE DELLE MARCHE (URBINO)

Peter Aufreiter – 40 anni, storico dell’arte. Austriaco, nato a Linz, si è laureato a Vienna in storia dell’arte e filologia germanica. Dal 2010 è direttore del Dipartimento mostre, prestiti, depositi e dell’Artoteca del Museo Belvedere di Vienna, dove dal 2008 al 2010 ha diretto l’Ufficio mostre. Nella capitale austriaca ha in precedenza lavorato presso il Kunsthistorisches Museum e il Sigmund Freud Museum. Ha studiato e vissuto anche in Italia.

12) alla GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIA (PERUGIA)

Marco Pierini – 49 anni, storico dell’arte e filosofo. Nato a Siena, ha compiuto i propri studi universitari a Siena, dove si è laureato in estetica, ha conseguito il diploma di specializzazione in Archeologia e Storia dell’arte e poi anche il dottorato di ricerca in Estetica. Dal 2010 al 2014 ha diretto la Galleria civica di Modena. Dal 2002 al 2010 è stato direttore del Centro d’Arte Contemporanea Palazzo delle Papesse di Siena, divenuto – in seguito al trasferimento presso il complesso museale di Santa Maria della Scala, il 1 giugno 2008 – SMS Contemporanea. Dal 1998 al 2007 è stato direttore del Museo Diocesano di Pienza. Dal 2010 insegna Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Giornalista, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche.

13) al MUSEO NAZIONALE DEL BARGELLO (FIRENZE)

Paola D’Agostino – 43 anni, storica dell’arte. Nata a Napoli, dove si è laureata e ha conseguito il dottorato in storia dell’arte moderna, ha studiato a Londra, presso il Courtauld Institute of Arts e lo University College London. Dal 2013 è Nina and Lee Griggs Assistant Curator di arte europea nella Yale University Art Gallery. Dal 2009 al 2013 ha lavorato come Senior ResearchAssociate nel Dipartimento di sculture e arti decorative europee del Metropolitan Museum of Art di New York. Ha insegnato presso università italiane e straniere e nel 2014 ha conseguito l’abilitazione scientifica nazionale come professore di II fascia di storia dell’arte moderna. È autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e ha organizzato e co-curato svariate mostre nel Regno Unito e negli Stati Uniti.

14) al MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI

Paolo Giulierini – 46 anni, archeologo. Nato a Cortona, si è laureato in archeologia e specializzato in etruscologia nell’Università di Firenze. È direttore del Museo dell’Accademia Etrusca e della città di Cortona, dove lavora dal 2001. Autore di svariate pubblicazioni e relatore a numerosi convegni in Italia e all’estero, hamaturato una lunga esperienza nella direzione museale e nella gestione dei rapporti tra le diverse istituzioni pubbliche e private.

15) al MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI REGGIO CALABRIA

Carmelo Malacrino – 44 anni, archeologo e architetto. Nato a Catanzaro, si è laureato in architettura a Firenze e ha poi conseguito una specializzazione triennale in Archeologia e architettura antica presso la Scuola archeologica italiana di Atene. Dal 2010 è ricercatore di storia dell’architettura nel Dipartimento di architettura e territorio dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Nel 2005 ha conseguito un dottorato di ricerca di eccellenza (con borsa di studio) in Storia dell’architettura e della città, Scienze delle Arti, Restauro presso la Fondazione Scuola di Studi Avanzati di Venezia, con una tesi su Acqua e architettura nell’Asklepieion di Kos. Autore di quasi oltre settanta pubblicazioni, vanta numerosi esperienze nella gestione museale e di scavi archeologici.

16) al MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI TARANTO

Eva Degl’Innocenti – 39 anni, archeologa. Nata a Pistoia, si è laureata a Pisa in conservazione di beni culturali, indirizzo archeologico, dove ha frequentato anche la Scuola di Specializzazione di Archeologia; ha poi conseguito il dottorato di ricerca europeo presso l’Università degli studi di Siena in Storia, archeologia e archivi del Medioevo. Dal 2013 è Direttrice del Servizio dei beni culturali e del museo/centro d’interpretazione Coriosolis 
della Comunità dei Comuni Plancoët Plélan in Bretagna 
(ente locale di 18 comuni del dipartimento delle Côtes-d’Armor), dove lavora dal 2010. È stata Ricercatrice e project manager di progetto europeo presso il Museo Nazionale francese del Medioevo di Parigi. Dal 1995 al 2008 ha condotto scavi archeologici in Italia e in Tunisia. È autrice di numerose pubblicazioni e ha insegnato in diverse università italiane e francesi.

17) al PARCO ARCHEOLOGICO DI PAESTUM

Gabriel Zuchtriegel – 34 anni, archeologo. Tedesco, nato a Weingarten, nel Baden-Württemberg, si è laureato in Archeologia classica, preistoria e filologia greca alla Humboldt-Universität di Berlino e ha poi conseguito con lode il Dottorato di ricerca in Archeologia classica presso l’Università di Bonn. Ha condotto numerosi scavi archeologici in Italia e all’estero e ha collaborato con importanti istituzioni nazionali e straniere nel settore dell’archeologia, maturando anche esperienza nella gestione museale. Professore a contratto di Archeologia e storia dell'arte greca e romana nell’Università degli Studi della Basilicata, è autore di svariate pubblicazioni.

18) al PALAZZO DUCALE DI MANTOVA

Peter Assmann – 61 anni, storico dell’arte. Austriaco, nato a Zams, nel Tirolo, ha compiuto i propri studi universitari a Innsbruck, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in storia dell’arte. Ha studiato e lavorato anche a Firenze, presso il Deutsches Kunsthistorisches Institut. Dal 2002 al 2012 è stato Presidente della Associazione dei musei austriaci (Museumsbund Österreich). Ha diretto l’Oberösterreichischen Landenmuseen di Linz e il Museo Angerlehner in Thalheim bei Wels e ha curato numerose mostre di livello internazionale. Insegna alla Johannes Kepler Universität di Linz e alla Università di Vienna. Dal 2011 è nel Comitato scientifico del Museo del Castello del Buonconsiglio diTrento. 

19) Al PALAZZO REALE DI GENOVA

Serena Bertolucci – 48 anni, storica dell’arte. Nata a Camogli (Genova), si è laureata con lode presso la Facoltà di lettere dell'Università di Genova, indirizzo storico-artistico, per poi diplomarsi con lode presso la Scuola di Specializzazione in Storia dell’arte e delle arti minori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con una tesi in Museologia/Museografia. Dal 2010 è direttore di Villa Carlotta, Museo e Giardino Botanico sul lago di Como, dove lavora dal 2004. Ha studiato e lavorato in Germania e negli Stati Uniti. Dal 1997 al 2006 è stata incaricata dal Ministero tedesco per l’educazione, la ricerca scientifica e la tecnologia della catalogazione e conservazione delle raccolte d’arte del centro italo tedesco per l’eccellenza europea Villa Vigoni (Como). È autrice di numerose pubblicazioni.

20) al POLO REALE DI TORINO

Enrica Pagella – 58 anni, storica dell’arte. Nata a Ivrea, si è laureata in storia dell’arte a Torino e ha conseguito il dottorato di ricerca in storia e critica dei beni artistici e ambientali nell’Università degli studi di Milano. Attualmente lavora presso la Fondazione Torino Musei, dove dal 2003 è Direttore del Palazzo Madama e Borgo Medievale. Dal 1988 al 1999 ha diretto il Museo civico d’arte di Modena. Ha insegnato in diverse università italiane ed è autrice di numerose pubblicazioni. 

Per ulteriori informazioni:


Istruzione democratica: il successo dei MOOC

Considerazioni sui MOOC e su "Behind the scenes at the 21st century museum", il corso organizzato da Future Learn con la University of Leicester 

Museum of Liverpool

Ho avuto il piacere e la fortuna di prendere parte al MOOC (Massive Open Course on-line), "Behind the scenes at the 21st century museum", organizzato lo scorso giugno/luglio dalla University of Leicester grazie alla piattaforma Future Learn. L'esperienza è stata altamente positiva in quanto il corso è stato progettato in modo eccellente, con accuratezza e rigore, raggiungendo una qualità non inferiore a quella dei migliori corsi e master esistenti sul mercato della formazione. L’unica differenza è che, trattandosi di un MOOC, è totalmente gratuito, tranne un piccolo versamento di 29 sterline più spese postali per chi ha richiesto il certificato di partecipazione.

Dato il prestigio della School of Museum Studies della University of Leicester, la partecipazione è stata elevatissima. Nel blog della Scuola si legge che sono state oltre 11.000 le iscrizioni al corso. I commenti sono tati 43.500 in totale, il che vuol dire che gli organizzatori sono riusciti a creare grande interesse e coinvolgimento, risultato che non è mai scontato quando si organizzano non solo corsi on-line ma anche in presenza. Come hanno dichiarato gli organizzatori, l’intento era quello di raggiungere sia i professionisti museali che il grande pubblico, condividendo con tutti tematiche che solitamente sono discusse solo nello specifico settore di studi. Sono state presentate le principali ricerche condotte nell’ambito della School of Museum Studies di Leicester e dai loro partner, specialmente i Musei Nazionali di Liverpool. Varie le tematiche che sono state affrontate durante il corso: si è parlato di come i musei possono connettersi emotivamente con i visitatori, di come possono fidelizzare nuovo pubblico, di come si possono affrontare anche tematiche “difficili”, promuovendo la giustizia sociale e i diritti umani, oppure presentando al pubblico argomenti che riguardano la salute e il benessere fisico e psichico delle persone.
Raccontano gli organizzatori che il dibattito è stato intenso, talvolta perfino molto animato perché si è trattato di un confronto vero e non sempre tutti si sono dimostrati d’accordo con le opinioni espresse dai creatori del MOOC riguardo alcune tematiche. In particolare, ci sono state diverse interpretazioni sul ruolo che i musei devono avere nella società: per alcuni i musei devono avere un compito documentario e scientifico e non devono preoccuparsi di suscitare emozioni nei propri visitatori. Altri ancora hanno espresso dubbi riguardo la funzione sociale dei musei perché ritengono che questi compiti appartengano ad altre istituzioni ma non ai musei. Evidentemente, pur rispettando anche queste opinioni, c’è ancora una parte dei professionisti museali ma anche dei non specialisti che è rimasta legata ad una concezione “classica” del museo e che quindi guarda con diffidenza a queste idee che pure non sono affatto nuove, se pensiamo, per esempio, al ruolo sociale del “museo di quartiere” teorizzato e concretizzato da John Kinard e ai concetti simili che fanno parte della museologia sociale.
In generale, però, c’è stata apertura e approvazione e i commenti sono stati spesso molto positivi. 

Personalmente ho voluto cogliere immediatamente l’occasione, non molto frequente, di discutere temi che riguardano il ruolo sociale dei musei. L’aspetto più entusiasmante è stato sperimentare che i MOOC stessi hanno una loro importantissima funzione sociale: rendere l’istruzione di alto livello alla portata di tutti, favorire la circolazione delle idee, rendere veramente democratico il ruolo delle università. La formazione universitaria sta diventando sempre più elitaria, soprattutto per ragioni economiche, escludendo molti dai benefici e dalle opportunità che questa può offrire; nel contempo il mondo del lavoro continua a richiedere titoli che sono difficilmente ottenibili senza mezzi finanziari adeguati. Lo stesso aggiornamento, pure molto importante, per gli stessi motivi si è spesso costretti a compierlo in modo autonomo. 

Questa situazione rende la società più povera innanzitutto perché il futuro comune viene pianificato disponendo di un capitale umano ridotto, selezionato inizialmente non per meriti o per particolari capacità, ma essenzialmente per requisiti di censo. In secondo luogo, per le stesse ragioni si è obbligati a trascurare la formazione continua, indispensabile per migliorare e aggiornare le conoscenze a beneficio del singolo ma soprattutto di tutti coloro che poi usufruiranno delle prestazioni di quei tecnici e specialisti, qualsiasi sia la materia in questione.

Ben vengano quindi i MOOC che rappresentano la migliore attuazione dei principi di uguaglianza e libertà dei cittadini nel campo della formazione e che mi auguro possano avere, in futuro, un sempre maggiore impiego e un adeguato riconoscimento come strumento di aggiornamento dei professionisti, soprattutto se avranno la qualità del MOOC della University of Leicester.






Il riciclo che ispira l'arte

La mostra di David Booker, "Il gusto del recupero", presso il Museo Virgiliano, nel mantovano, dal 3 al 27 settembre



Il Museo Virgiliano è un piccolo museo inaugurato nel 1981, in occasione del bimillenario della morte del Poeta dell'Eneide, a Borgo Virgilio, provincia di Mantova, nella frazione di Pietole. Qui, dal 3 al 27 settembre, sarà possibile visitare la mostra "Il gusto del recupero", una selezione di opere su carta disegnate a matita da David Booker, artista australiano noto soprattutto per le sue opere monumentali in marmo.
La mostra avrà come protagonisti alcuni soggetti molto particolari: scatole vuote, imballaggi usati, pezzi di motore...ogni genere di rifiuti trasformati in opere d'arte.

La mostra è promossa dall'Assessorato alla cultura del Comune di Borgo Virgilio e sarà aperta grazie ai volontari della Pro Loco tutti i fine settimana, dal 3 al 27 di settembre, con orario dalle 16 alle 19. In particolare, il 3-4 e il 9-13 settembre sarà visitabile in concomitanza con il Festival Internazionale della Letteratura di Mantova. L'organizzazione è curata da Valeria Giovagnoli.

Un esempio interessante di come anche i piccoli musei possano produrre eventi di alto livello culturale in grado di coinvolgere intensamente la comunità. Lo sforzo compiuto dal Comune di Borgo Virgilio dimostra anche quanto sia importante che le Istituzioni locali abbiano la consapevolezza delle potenzialità offerte dai musei quali spazi culturali vivi e vivificanti delle nostre città.

L'inaugurazione della mostra avrà luogo giovedì 3 settembre alle 17.30 con ingresso gratuito. Sarà offerto un aperitivo dalle Cantine Giubertoni di San Biagio, un bel gesto di collaborazione alle iniziative culturali locali da parte di un'azienda del territorio. All'inaugurazione sarà presente David Booker che illustrerà personalmente il significato dell'esposizione.


Il pomeriggio del 6 settembre, inoltre, sarà in programma un laboratorio sensoriale didattico dedicato ai bambini, incentrato sulle eccellenze alimentari di questa zona del mantovano, collegando così l'evento alle iniziative di Expo Milano 2015. La partecipazione è libera.

Silvana Sperati illustra il metodo Bruno Munari

Riporto qui un’intervista a Silvana Sperati, presidente dell’Associazione Bruno Munari, pubblicata sulla rivista online La vita scolastica.Bruno Munari fu artista, designer e scrittore tra i maggiori del secolo scorso. Dedicò un interesse particolare al mondo dell’infanzia e dell’educazione. Alla scuola di oggi consegna una proposta assai attuale: il laboratorio come luogo della migliore educazione, la creatività come “ricerca sincera di varianti”, un metodo che risiede nel “creare relazioni tra gli elementi conosciuti”. L’Associazione Bruno Munari ne prosegue ufficialmente il metodo e la ricerca che indicò l’artista. Promuove seminari, laboratori, eventi, mostre in Italia e nel mondo ed è l'unica deputata alla formazione sul Metodo Munari. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.brunomunari.it.
Foto tratta da:
http://www.artribune.com/2014/03/munari-artista-politecnico-in-attesa-della-grande-mostra-a-milano/3-614/
  
Una sua intervista a Bruno Munari del 1997 si chiude con questa domanda: “Munari è per tutti o per pochi?”. E Munari risponde: “Mah, io direi per tutti”. Che cos’è oggi Munari per la scuola?

Intanto vorrei dire che, secondo me, questa risposta che diede Munari: “Mah, io direi per tutti” descrive in modo assolutamente chiaro il pensiero dell’artista. Ho motivo di credere che negli ultimi anni della sua vita Bruno Munari abbia riservato un’attenzione particolare al mondo dell’infanzia e all’educazione. Diceva lui stesso che quello che voleva restasse era il laboratorio. In questa sua affermazione, io riconoscevo l’accezione vera del laboratorio, come luogo, spazio, tempo, occasione per la costruzione della conoscenza a partire dalla sperimentazione. Lì, nel laboratorio, c’è Munari. E nel laboratorio c’è gran parte del futuro di tutti noi che si costruisce qui e ora attraverso la migliore educazione, proprio quella che ci venne insegnata da questo grande artista.
Pablo Picasso lo paragonò al genio di Leonardo da Vinci, perché si esprimeva con agilità in tanti settori (l’arte, la grafca, la scultura, la scrittura, la progettazione...) e per la tipologia di pensiero, così attenta alla conoscenza, che sempre espresse in tutti i campi. Nonostante questa poliedricità e intensità, Munari sente sempre, e lo ribadisce nell’intervista, di voler essere “per tutti”. Questo vuol dire che dalla lezione di Bruno Munari possiamo trarre anche delle indicazioni necessarie al mondo della scuola. Perché la scuola cos’è, se non il luogo deputato alla costruzione del sapere? Certo si va a scuola per imparare, ma soprattutto per scoprire, per aguzzare la curiosità, per conoscere. Ecco io credo che nell’approccio che Bruno Munari mostrò nei laboratori possiamo trovare indicazioni per portare in aula l’apprendimento, in senso pieno. E questo atteggiamento è quello richiesto proprio oggi dalla scuola, non solo italiana, ma anche europea, quando insiste su quello che viene defnito “imparare a imparare”: quindi fare in modo che l'individuo apprenda, fin da piccolo, a diventare fautore del proprio apprendimento.

Foto tratta dal sito http://www.labogattomeo.it/?page_id=279

L’Associazione di cui è presidente lavora per la comprensione e la diffusione del “metodo Munari”. Vuole illustrarlo ai nostri lettori?

Proverò, attingendo ai testi di Munari e in particolare al suo libro Fantasia (Universale Laterza, Bari, 1977). Qui Munari prova a defnire alcune parole molto spesso confuse tra di loro: fantasia, immaginazione, creatività, invenzione. Quando parla della fantasia, Munari dice che è la facoltà più importante di tutte, perché ci permette di fantasticare di cose e di oggetti che possono anche essere assolutamente irrealizzabili. Si parla di una fantasia che va a briglie sciolte, dunque, di una possibilità del pensiero in cui tutto può essere immaginato. Però, quando parla di fantasia, Munari dice anche che la fantasia usa lo stesso metodo, e sottolinea proprio la parola metodo, di altre facoltà: per esempio dell’invenzione, o della creatività. E dunque: che cos’è questo metodo? Questo metodo, dice Munari, risiede nel “creare relazioni tra gli elementi conosciuti”.
Dunque la persona, prima di tutto, è invitata a “costruirsi” delle informazioni attraverso la sperimentazione che avviene nel laboratorio e nel vissuto quotidiano. Nel laboratorio di Munari posso esplorare un materiale, una tecnica, per scoprire tutto quello che si può fare. Questo mi dà la possibilità di “costruirmi” delle informazioni. Ma se queste informazioni rimanessero ferme, non utilizzate in nessun progetto – Munari dice “come un magazzino di dati inerti” – non servirebbero a nulla. Dunque l’importante è creare una situazione, un'attività che inviti ciascuno a creare relazioni tra queste informazioni, relazioni che poi portano a progettare, costruire, immaginare un qualcosa di nuovo.
Questo “qualcosa di nuovo” non deve essere necessariamente finalizzato, perché può essere anche qualcosa di cui ancora non immaginiamo un uso possibile. Munari dice: quando un oggetto è così preciso, descritto, come un trompe-l’oeil, non stimola il soggetto come un’immagine che invece può essere tante cose, per esempio un ippopotamo o una cavalletta. Massima apertura, dunque, verso materiali “imperfetti”, semplici e più vari possibile, in modo che il bambino possa realizzare sperimentazioni diverse. A livello educativo, inoltre, occorre tempestività: se un bambino riceve un’educazione che lo invita a vedere quello che si può fare con le cose fin da piccolo, è verosimile che manterrà questa attitudine per sempre. Se, invece, già nei primi anni a un bambino si dice: “Stai attento, No!... Si deve fare così, si deve fare cosà!... Il cielo è sempre azzurro... Il pulcino è sempre giallo... La mela è sempre rossa...”, quel bambino avrà poche possibilità di emancipare i propri pensieri, di contemplare le infinite variabili, di costruire i propri apprendimenti...

Tornando all’intervista del 1997, Munari dice che la creatività è “ricerca sincera di varianti”. Come possiamo tradurre, anche per il mondo della scuola, questa definizione?

Questa frase sulla creatività è molto bella e mi permette di precisare la risposta sul metodo che ho dato prima, perché ogni parola della frase è un elemento di metodo. La parola “ricerca” ci porta all'approccio scientifco, così vicino all’attenzione di Munari, che ha sempre cercato di analizzare ogni aspetto, di non dare nulla per scontato. L’atteggiamento del ricercatore è l’atteggiamento di colui che con curiosità guarda a tutte le espressioni che il mondo gli presenta. E Bruno Munari aveva fatto suo questo atteggiamento, manifestato anche con la grande attenzione che ha sempre riservato al mondo della natura. Per tutta la vita Munari osservò la natura, i suoi processi, i suoi cambiamenti, le sue variabili e io credo che dalla lezione di Munari ci venga anche lo stimolo di tornare alla natura con uno sguardo di stupore per tutto quello che ci può insegnare.

Questa ricerca, dice Munari, deve essere “sincera”. Una ricerca sincera è una ricerca “vera”. Dal nido all’università proponiamo ricerche viziate, non vere ogni volta che si dà il risultato per scontato. Per esempio: se provo a fare un’esperienza di mescolamento dei colori, come il blu e il giallo, so bene che il risultato sarà il verde, ma non posso fermarmi lì. Infatti quante variabili ci possono essere in quell’esperienza, a partire dall’intensità e tipologia dei pigmenti, da quanto blu e quanto giallo metto, dal materiale su cui spalmo, spremo o stendo il colore? In questo senso la dimensione della ricerca deve essere “sincera”. Perché la dimensione della ricerca “sincera” coinvolge, appaga l’individuo e, soprattutto, diventa realmente generativa di nuovi saperi. La ricerca non deve essere millantata, su questo dobbiamo essere molto attenti. Come il laboratorio: deve essere il luogo della ricerca, non può essere il luogo del “facciamo finta che facciamo la ricerca”. Ormai anche intorno alla parola “laboratorio” è andato un po’ a perdersi questo elemento costitutivo della ricerca: dobbiamo rileggere il senso delle parole, ritornare al loro significato come definizione di azioni realmente congruenti. “Ricerca sincera di varianti”, dice Munari. Ecco, qui entriamo nell’orizzonte molto creativo del “quanti ce ne sono” e del “come sono”. Proviamo a immaginare delle domande: un sasso: quanti ce ne sono di sassi?; è rosso: quanti ce ne sono di rossi?; fino a quando questo materiale che è rosso è rosso, e quando invece da rosso diventa scuro scuro, e forse stiamo passando nel marrone? La ricerca delle varianti mi “apparecchia davanti” le possibilità del mondo, ma insieme mi descrive anche i suoi confini, portandomi in quel territorio dello “sfumato” dove posso descrivere un fenomeno con un’esattezza che non è solo mero dato, numero, definizione ma consapevolezza del mondo. Entrare in questo tipo di processo significa prendersi in mano il gusto, la gioia dell’apprendere. E sarà proprio ritornando a questa gioia che potremmo dare ai nostri studenti una grande chance. Si tratta di un movimento da compiere all’insegna del festina lente, dove l’investimento nell’educazione, oggi, è l’azione più importante che possiamo fare.

Casa Museo Stanze al Genio: mecenati, piccoli e grandi, cercasi.



Al via la campagna di crowdfunding #adottaunamaiolica per sostenere un progetto di ampliamento della Casa Museo Stanze al Genio, situata nel centro storico di Palermo, all'interno di Palazzo Torre-Piraino, dove il collezionista Pio Mellina ha raccolto, restaurato e salvato la preziosa collezione di maioliche. 

Tramite questa iniziativa di raccolta fondi chiunque lo desideri potrà adottare una mattonella in maiolica e gli introiti serviranno a finanziare il raddoppio dell'esposizione di una delle più grandi collezioni di maioliche al mondo: 5.000 pezzi per un excursus di 400 secoli della storia della ceramica italiana. 

L’attuale collezione, infatti, conta 2.648 pezzi ma più del doppio dei pezzi non sono ancora esposti e si attende il restauro di nuovi spazi per dare vita ad una delle più grandi collezioni aperte al pubblico di antiche mattonelle in maiolica italiane.

Per aderire alla campagna di crowdfunding ed effettuare una donazione, questo è il sito: https://www.indiegogo.com/projects/wearegenio#/story


A fronte di una donazione di qualsiasi importo il nome completo del donatore e la città di provenienza verranno riportati sul retro del supporto ligneo su cui è fissato il pezzo di maiolica che grazie a quell’aiuto potrà essere esposto. 


Quando i musei funzionano: una mente aperta e buoni amministratori possono fare miracoli!

Il caso del Museo Civico di Castelbuono

Laura Barreca

Spesso ci si chiede perché i musei non funzionano, perché sono vuoti, perché non riescono a suscitare interesse nonostante le opere d’arte o le collezioni di grande interesse che contengono. Talvolta il motivo è l’assenza di motivazioni in coloro che li dirigono. Quando, invece, oltre alle competenze ci sono passione, entusiasmo e voglia di sperimentare, i risultati non tardano ad arrivare. Lo dimostra il caso del Museo Civico di Castelbuono, nel Palermitano, guidato ora da una mente aperta e che, grazie anche alla sensibilità e alla collaborazione del Comune, è riuscita a far decollare questo museo in modo impressionante. I giornalisti lo definiscono “il piccolo miracolo”. Lei è la curatrice e critica palermitana Laura Barreca, rientrata in Sicilia dopo vent'anni di prestigiosi incarichi di ricerca e lavoro all'estero. 

In un articolo su Meridione News, ha dichiarato: «Abbiamo una struttura che ci permette di funzionare a pieno ritmo e di accogliere in ogni stagione i turisti provenienti dall'America come dal nord Europa. La comunità di Castelbuono recepisce positivamente il progetto che stiamo portando avanti in quanto è abituata a maneggiare la cultura nelle sue diverse forme. Attraverso un management culturale, cerchiamo anche di intrecciare legami con il territorio, lavoriamo con le professionalità locali e raccontiamo il territorio attraverso progetti comuni agli altri attori del sistema culturale locale, come i ragazzi di Ypsigrock». 

Grazie alla Barreca oggi il museo ha 40mila visitatori l'anno. Eppure anche lei ha avuto le sue esperienze negative: «Non c'è traccia di redenzione per questa terra» - afferma duramente - «Ho avuto a che fare con funzionari e amministratori trogloditi. Il gap generazionale è inaccettabile. I giovani hanno le capacità, una velocità e un'abilità che la generazione precedente non possiede». Trovare spazio in ambito culturale e mettere a frutto le proprie competenze è un sogno irraggiungibile per tanti giovani e spesso l'unica soluzione è trasferirsi all'estero.

Nel caso della città siciliana c’è anche un progetto preciso portato avanti dal sindaco Antonio Tumminello che ha voluto svincolare il museo dalla politica, scegliendo di affidarne la gestione a chi ha veramente le competenze per farlo e la voglia di far crescere il museo. «Finché i musei saranno avamposti di politicanti senza competenza si va verso una morte. Inoltre è sotto gli occhi di tutti l'inaccettabile gap generazionale. I giovani hanno le capacità, una velocità e un'abilità che la generazione precedente non possiede e non può inventarsi, rimanendo incastrata in logiche anacronistiche e di spreco. Finché la Sicilia non decide di intraprendere un percorso di rilancio sarà sempre peggio» - ha dichiarato la Barreca. 


Mi piace soprattutto l’impostazione in chiave sociale che la nuova direttrice ha voluto dare al museo, evidentemente forte delle esperienze di cui si è arricchita all’estero:  «Il museo deve avere una funzione sociale.» - ha affermato - «Nel corso dei laboratori didattici i bambini hanno ad esempio utilizzato materiali di riciclo per creare dei manufatti oggi esposti al Museo dei piccoli. Abbiamo pensato inoltre ad una pubblicità ecologica e facciamo la comunicazione con gli asinelli che a Castelbuono vengono utilizzati per la raccolta differenziata». Si è parlato anche di immigrazione. La giornalista Imma Vitelli è stata nostra ospite al liceo di Castelbuono insieme ad alcuni sopravvissuti agli sbarchi per raccontare ai ragazzi la drammatica esperienza dei migranti del Mediterraneo. Una conferenza che ha permesso ai ragazzi di ascoltare una storia vera e contemporanea che appartiene alla nostra identità. Bisogna avere consapevolezza delle richieste del territorio, essere glocal è determinante per programmare attività».

L'Uganda promuoverà il turismo internazionale attraverso i suoi musei

Negli anni scorsi mi sono occupata più volte della questione dell’Uganda National Museum che rischiava di essere abbattuto per fare posto ad un grattacielo. 
Ora sembra che l’Uganda abbia finalmente voltato pagina e si stia dedicando a valorizzare il patrimonio culturale, in particolare quello ancora poco conosciuto, proprio per mezzo dei propri musei. Anzi, se ne vorrebbero creare ancora altri con la convinzione che un maggior impulso al turismo culturale aiuterebbe non solo a preservare il patrimonio culturale ma anche a creare opportunità di sviluppo locale. La richiesta di costruire nuovi musei non è un’idea velleitaria, ma una necessità reale.
Attualmente, infatti, l'Uganda ha solamente quattro musei funzionanti: tre sono statali, l’Uganda National Museum, a Kampala, il Karamoja Museum di Moroto  e il Kabale Museum; uno è un museo privato, l’Igongo Museum a Mbarara Town.
Si ritiene che proprio la mancanza di musei sia la causa dei problemi legati alla conservazione del patrimonio culturale locale e della poca presenza attiva della comunità nel settore del turismo. Un altro problema importante, però, è la mancanza di personale qualificato nei musei dato che non esistono istituzioni preposte alla formazione e all’aggiornamento dei professionisti museali. E questo è un ostacolo da superare se si vorranno istituire altri musei. Si sta cercando, pertanto, di attivare delle collaborazioni internazionali, per esempio con il Museo Etnograficodell'Università di Zurigo che darà l’opportunità agli amministratori locali di interagire con gli esperti dei musei svizzeri.

Igongo Museum
Secondo Raphael Schwere dell’università di Zurigo, che collaborerà con l’Igongo Museum, si dovrà iniziare valorizzando le specificità locali. L’Uganda, forse non tutti ne sono al corrente, è un grande produttore di latte (ne produce più di un miliardo di litri all’anno) e dei suoi derivati, come il Ghee che è un latte fermentato tipico di queste zone. 

Il latte rappresenta una voce importante nell'economia ugandese 
Foto tratta da http://www.newvision.co.ug/newvision_cms/newsimages/file/Jesa-28.jpg

Esiste una ricca documentazione riguardo le tecniche di produzione del latte da parte dei mandriani ugandesi e tutto questo può rappresentare un motivo di interesse per quei musei che tratteranno questi argomenti, valorizzando le tipicità e le tradizioni locali.

Anche Miss Uganda, Leah Kalanguka, alle prese con la mungitura!
Foto tratta da 
http://modernfarmer.com/2014/11/miss-uganda-beauty-contest-demands-contestants-milk-cow/

“L'Uganda ha un vasto patrimonio culturale” – ha dichiarato Schwere – “ma non è conosciuto”. Le agenzie governative per il Turismo internazionale non dovrebbero concentrarsi solo sulla promozione delle più note bellezze naturalistiche, ma anche di quel patrimonio meno conosciuto che è situato in aree poco frequentate dal turismo internazionale e che necessitano di politiche adeguate. I musei potranno aiutare a farlo conoscere. 

 Cari amici, in questi anni in cui ho svolto l’incarico di direttore scientifico del Museo Civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, dal 2019 a...