Development as a Destroyer of Culture: Demolition of Uganda National Museum

By Mike van Graan

The Government of Uganda has decided that the Uganda National Museum - the country’s only national museum - will be demolished to make way for a 60-storey East Africa Trade Centre.

The proposed “ultramodern” building – which politicians suggest will take 3-5 years to complete but which will take closer to 30 years according to civil society activists and commentators familiar with such Ugandan projects - will house the Ministry of Tourism, Trade and Industry, commercial retail outlets and office space. Oh, and two floors will be allocated to a new national museum.


Established in 1908, the Museum is more than one-hundred years old and is thus itself a heritage site.

This is a classic case of “development” versus “culture”, in much the same way as “development” has often destroyed the natural environment in the name of economic growth and social progress. For those who advocate “culture as a vector of development”, this particular case presents a major challenge, both philosophically and strategically.

Increasingly, “culture as a vector of development” has come to mean the catalysing and support of the creative industries as economic drivers, as job-creation mechanisms, as generators of the financial resources that will be used to address major social and human development needs in the areas of health, education and the eradication of poverty, all important in the pursuit of the Millennium Development Goals.

This is particularly relevant to Uganda whose per capita income is a mere $460 and which is ranked a lowly 143 on the Human Development Index.

What the Ugandan government is saying is that the Ugandan National Museum – a national heritage site and the primary repository of the nation’s historical artefacts - is not a vector of development in that it is poorly attended by locals and tourists; it does not generate income; it serves no real economic purpose, and, if anything, it consumes limited public resources.

From their point of view then, it is a no-brainer to demolish the museum in favour of a building that will generate substantial income through more commercially viable uses, and which could then very well contribute to economic, social and human development in Uganda.

By the same logic, the Ugandan government can next make a move on the National Theatre. Why bother to have a National Theatre – even if it is better used than the National Museum – when the economy can benefit more from a shopping mall or prestigious office block or apartment building in its place?

Therein lies the philosophical challenge to the “culture as a vector of development” proponents i.e. by making the case for the arts primarily on the basis of their economic contribution, the corollary is that where cultural institutions or the arts do not make an economic contribution or make an economic contribution that is substantially less than another option, then politicians and bureaucrats feel justified in destroying culture in favour of a better “development” option.

And yet, the proposed 60-storey building does not simply represent the destruction of culture in the form of the possible demolition of the National Museum; in truth, it represents a culture that is different, even foreign to the one represented by the Museum. The 60-storey building represents a culture of materialism, an elitist culture of ostentation, a globalised culture with a building and the values that it represents that could be in any major city of the world.

The National Museum on the other hand – the one destined for destruction – is about Ugandan identity; unique Ugandan history; values, traditions and worldviews that are peculiar to Uganda, a building and content that celebrates cultural diversity as envisaged by UNESCO’s Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expressions.

Uganda is not a signatory to the Convention. Not yet anyway.

And herein lies the strategic challenge to proponents of “culture as a vector of development”: to mobilise an international movement to prevent the destruction of the National Ugandan Museum, thus preserving cultural diversity in a globalised world, and contributing to a richer understanding of the relationship between culture and social, human and economic development.

Mike van Graan is the Secretary General of Arterial Network, a continent-wide network of artists, activists and creative enterprises active in the African creative sector and its contribution to development, human rights and democracy on the continent. He is also the Executive Director of the African Arts Institute (AFAI), a South African NGO based in Cape Town that harnesses expertise, resources and markets in the service of Africa’s creative sector. He is considered to be one of his country’s leading contemporary playwrights.
For further information, see:


Continua la mobilitazione internazionale per salvare il Museo Nazionale dell'Uganda. Questo articolo è tratto da African Colours, la guida all'Arte africana contemporanea.

L'archeologo che difese il Museo di Baghdad

La recente scomparsa di Donny George Youkhanna, lo storico direttore del Museo Nazionale dell’Iraq

Lo scorso marzo, all’età di soli sessant’anni, è venuto a mancare Donny George Youkhanna, l’archeologo iracheno, assiriologo di fama internazionale, che durante la Guerra del Golfo del 2003 cercò di fermare il saccheggio del Museo Nazionale dell'Iraq riuscendo, negli anni successivi, ad ottenere il recupero di migliaia di reperti rubati in quella drammatica circostanza. Nato ad Habbaniyah, in Iraq, il 23 ottobre 1950, conseguì la laurea, il master e il diploma di dottorato in archeologia all'Università di Baghdad e subito dopo iniziò a lavorare per il Consiglio di Stato per le Antichità e il Patrimonio. Grazie al suo fluente inglese, essendo cresciuto nella vecchia base RAF di Habbaniyah, dove suo padre lavorava come contabile, fu inviato a numerose conferenze internazionali. Cristiano iracheno, divenne membro del partito Baath di Saddam, scelta obbligatoria per chiunque ricoprisse un incarico governativo, anche se lo studioso ammise che ogni qualvolta gli fu possibile, per potersi sottrarre alle riunioni di partito, si allontanava per lunghi periodi da Baghdad, dedicandosi alla direzione di importanti scavi archeologici. Quando le truppe statunitensi intervennero in Iraq, George Youkhanna in quel momento era il direttore del Consiglio di Stato per le Antichità e il Patrimonio. Lottò strenuamente, durante l’infuriare delle battaglie, per convincere le truppe americane a proteggere il Museo di Baghdad. In quella occasione furono rubati almeno 15.000 manufatti. Durante e dopo la Guerra del Golfo, Youkhanna fu incaricato della direzione del Museo, in cui già lavorava dal 1976, sostituendo il precedente direttore, cugino di Saddam Hussein. Denunciò non solo l’opera devastante dei tombaroli, ma anche l’indifferenza delle autorità civili e militari irachene e americane che non si preoccuparono né durante la guerra né successivamente di impedire la cancellazione dell’antico passato iracheno, patrimonio di tutta l’umanità. Nel Museo di Baghdad fu addirittura costretto a murare i reperti più preziosi per evitare che venissero razziati. Nel momento peggiore, quando infuriava la battaglia, cercò in tutti i modi di ottenere l’aiuto delle truppe americane affinché si cercasse di proteggere il museo, ma l’allora Segretario della Difesa americano, Donald Rumsfeld, gli rispose: "Cose che succedono". Intanto, il museo fu preso d’assalto da vere e proprie orde di saccheggiatori mentre Youkhanna, rischiando la vita, tentava di fermarli, incurante del pericolo. Riuscì a prendere in prestito un telefono satellitare da alcuni giornalisti stranieri e a chiamare il suo amico John Curtis del British Museum per chiedere aiuto. Si temeva che le bande potessero anche dare fuoco all’edificio. Purtroppo, nonostante l’intervento del direttore del British Museum, Neil MacGregor, che riuscì ad ottenere l’interessamento di Tony Blair, i carri armati arrivarono a proteggere il museo soltanto tre giorni dopo, quando ormai la depredazione era stata in gran parte compiuta. Dopo la fine della guerra, Youkhanna riuscì gradualmente a riallestire il museo, riparando anche le strutture danneggiate. Ottenne aiuto da vari Paesi, compresa l’Italia (proprio i tecnici italiani realizzarono l’allestimento della nuova sala assira) e fece in modo che venisse istituito un corpo di polizia specializzata nel difendere le aree archeologiche. Ma l’obiettivo prioritario era il recupero di tutto o almeno di una parte dei reperti trafugati. Con l’aiuto internazionale e il contributo anche del nostro Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico, alla fine si riuscì a recuperare circa la metà dei 15.000 beni trafugati, un risultato notevole.  Nel dicembre 2008, l’intervento di Youkhanna fu determinante per evitare la vendita all’asta da Christie’s degli orecchini neo-assiri provenienti dal famoso tesoro di Nimrud, rubati durante la guerra. Purtroppo, nonostante il successo della sua direzione, la collaborazione di Donny George con il nuovo governo post-bellico fu costellata di incomprensioni e difficoltà che resero sempre più difficile il suo lavoro finché si ritrovò isolato e anche oggetto di minacce da parte di oltranzisti islamici, rivolte sia a lui che alla sua famiglia. Per recarsi al lavoro fu costretto ad usare tre macchine diverse e a cambiare continuamente il percorso, tanto più che già altri suoi colleghi avevano perso la vita. La situazione precipitò quando, nel 2005, Muqtada al-Sadr, membro della fazione sciita radicale, fu nominato ministro del Turismo e delle Antichità. Questi, secondo Youkhanna, si preoccupava soltanto di salvaguardare l’arte islamica del Paese e non il patrimonio archeologico più antico, ostacolando così il suo lavoro e rendendolo, in pratica, impossibile. Quando uno dei suoi figli, appena diciassettenne, ricevette una busta contenente un proiettile e un messaggio che accusava il giovane di "maledire l'Islam e di prendere in giro le ragazze musulmane"  - e soprattutto, di avere un padre che collaborava con gli americani - Youkhanna capì che non poteva più continuare a vivere in Iraq. Nel 2006, pertanto, fu costretto a lasciare il suo Paese, recandosi dapprima in Siria e poi, nel 2007, negli Stati Uniti, dove divenne professore di antropologia e di studi asiatici presso la Stony Brook University di New York. Fu un uomo che amò profondamente la sua professione ma che ebbe anche molti altri interessi, primo fra tutti la musica. Suonava la batteria cimentandosi in pezzi dei Deep Purple e dei Pink Floyd. Per capire la sua personalità può essere utile ricordare anche un aneddoto raccontato dal suo amico, l’artista Michael Rakowitz: nel 1987, quando dirigeva gli scavi di Babilonia, Donny George Youkhanna ricevette la visita ufficiale di Saddam Hussein, cui fece da guida sia nello scavo archeologico sia nel museo. Qui erano esposte le traduzioni di un testo babilonese; in una di queste, re Nabucodonosor proclamava che uno degli dei lo aveva inviato a proteggere “la gente dalla testa nera”. Allora Saddam disse a Youkhanna che sarebbe stato opportuno modificare quella iscrizione, cambiando la frase “la gente dalla testa nera” con la formula “tutto il popolo”, ma Youkhanna rispose con un no deciso perché la traduzione doveva rispettare il testo antico. “Questa è scienza”, disse lo studioso a Saddam. Più tardi una delle guardie del corpo di Saddam lo prese da parte e gli disse: “Come puoi dire di no al Presidente?” E Youkhanna insistette risoluto: “E' la scienza”. Alla guardia del corpo non restò altro da fare che ritirarsi. Oggi l’archeologia ha perso un grande studioso ed un grande uomo. "Sono un cristiano assiro" diceva Donny George Youkhanna "e tutti i miei antenati sono vissuti in Mesopotamia, l’attuale Iraq, al tempo degli antichi Assiri, più di cinquemila anni fa. Ho dedicato tutta la mia vita al lavoro e a servire il mio popolo e il mio Paese con onore e fedeltà, perché questo è il mio Paese".
Caterina Pisu, ArcheoNews, giugno 2011



Ultime notizie sul Museo Nazionale dell'Uganda

Continuo ad occuparmi del caso del minacciato abbattimento del Museo Nazionale dell'Uganda  da parte del Ministero del Turismo, del Commercio e dell'Industria ugandese, grazie alle notizie che mi giungono direttamente dall'Uganda tramite Ellady Muyambi, direttore di Historic Resources Conservation Initiatives (HRCI) di Kampala (v. i precedenti articoli http://museumsnewspaper.blogspot.com/2011/05/salviamo-lo-storico-museo-nazionale.html    http://museumsnewspaper.blogspot.com/2011/05/uganda-chiudera-lunico-museo-nazionale.html). Nonostante il fatto che la demolizione del Museo per fare posto a un grattacielo contravvenga alla legge ugandese sui Monumenti Storici del 1967, e sia anche contraria alle Politiche Culturali dell'Uganda, definite nel 2006, alla Convenzione UNESCO del 1972 e alla Costituzione della Repubblica dell'Uganda del 1995, si continua a temere per le sorti del Museo. Contro il progetto di demolizione del Museo si sono espresse l'Assemblea legislativa dell'Africa orientale eda anche alcune importanti organizzazioni come appunto l'HRCI, diretto da Ellady Muyambi, la Bayimba Cultural Foundation, e l'Arterial Network. Attualmente la questione è stata portata davanti ai giudici e il 21 aprile scorso si è svolta la prima udienza. Una seconda udienza, che era prevista per il 29 giugno, non ha invece avuto luogo. Probabilmente bisognerà aspettare il mese di agosto.






ICCROM Survey: Help save endangered museum collections in storage worldwide!

Museum collections are at serious risk! An estimated 60% of the world's collections in storage are inaccessible and deteriorating rapidly.

You can help us! ICCROM needs your help to collect more information on this topic.
  • If you work in a museum, take 10 minutes to answer this survey for the chance to win a one-year subscription to UNESCO's MUSEUM International magazine (answers are confidential).
  • If you don’t work in a museum, help us by forwarding this survey throughout your network.
We need a maximum number of answers! Thank you in advance for your help.

(tratto da re-org.info)

Si ritiene che in tutto il mondo, il 60% delle collezioni museali immagazzinate nei depositi sono inaccessibili e si deteriorano rapidamente.
Se lavori in un museo, compila questo sondaggio in 10 minuti; potresti vincere un abbonamento di un anno alla rivista dell'UNESCO MUSEUM International.
La versione italiana del questionario è in home-page sul sito ufficiale dell'ICOM

Raccomandazione di ICOM Italia sulla direzione dei Musei Civici

ICOM Italia ha inviato a ANCI e UPI nazionali una raccomandazione rivolta alle amministrazioni locali in merito alla direzione dei musei civici. Il Comitato nazionale italiano di ICOM è pienamente cosciente delle difficoltà e dei limiti operativi in cui si colloca l’azione degli enti locali e si impegnerà ad offrire il suo contributo, in tutte le forme ritenute utili, alle Amministrazioni proprietarie di musei affinché riescano a garantire il miglior funzionamento possibile dei musei civici.
Ecco il testo del documento:

Nel corso degli ultimi vent’anni, riforme delle pubbliche amministrazioni, riduzioni della spesa pubblica, manovre finanziarie hanno costretto gli Enti Locali a concentrare e ridurre la propria struttura dirigenziale.
Queste ristrutturazioni interne, fatte salve poche eccezioni, hanno fortemente limitato l'autonomia dei Musei Civici che sono stati accorpati nella gestione di più ampi settori/uffici amministrativi.
Anche in conseguenza di ciò, i Musei Civici, che rappresentano circa la metà dei musei italiani, stanno subendo una forte riduzione e persino la scomparsa (di numero e di ruolo) delle direzioni scientifiche. I ruoli di direzione scientifica, caso unico in Europa, sono oramai quasi sempre attribuiti a dirigenti amministrativi ai quali vengono attribuite anche tutte le competenze e le responsabilità, anche quelle squisitamente scientifiche e museologiche riguardanti la ricerca, la didattica, lo studio, la proposta dei programmi annuali e pluriennali di attività museali e più in generale tutte le funzioni e le finalità istituzionali del museo definite dall’art. 101 del d.l. 42/2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio
. Dove sopravvivono direttori con competenze scientifiche, questi sono nominati pro tempore dai dirigenti amministrativi sovraordinati che spesso mantengono la piena titolarità sui programmi, sull’affidamento delle collezioni, sui finanziamenti, sulla didattica e su tutte le altre attività relative alla vita del museo. Quando il direttore è nominato titolare di una posizione organizzativa ciò corrisponde spesso all’assunzione di una troppo limitata autonomia e responsabilità sia nei confronti del museo sia all’interno dell’apparato comunale.
In questo contesto è molto positivo che alcune Regioni siano intervenute fissando precisi standard per il funzionamento e l'accreditamento dei Musei Civici, fra cui è determinante la presenza di un direttore pienamente responsabile dello sviluppo e dell'attuazione del progetto culturale e scientifico del museo stesso, della sua gestione complessiva, della conservazione, valorizzazione, promozione e godimento pubblico dei culturali in esso contenuti e della ricerca scientifica ad essi connessa. I requisiti necessari per affrontare correttamente i complessi compiti di Direttore di Museo sono stati individuati dalla Carta nazionale delle professioni museali (allegata e parte integrante della presente Raccomandazione, preparata da ICOM e dalla Conferenza permanente delle Associazioni museali italiame, discussa nella I Conferenza nazionale dei musei d'Italia tenutasi a Milano il 24 ottobre 2005 e approvata definitivamente dalla II Conferenza nazionale dei musei d'Italia tenutasi a Roma il 2 ottobre 2006. In particolare, nella carta sono individuate Responsabilità, ambiti e compiti del Direttore del museo, i Requisiti per l'accesso all'incarico e le Modalità d'incarico che la comunità professionale unanimemente considera necessarie.
Pertanto
ICOM Italia, il Comitato nazionale italiano dell’International Council of Museums,
Raccomanda

 - che le Amministrazioni proprietarie di Musei Civici si impegnino a richiedere e a verificare come condizione imprescindibile per l’accesso all’incarico di Direttore quanto previsto dalla Carta Nazionale delle professioni museali.

- che il Direttore di Museo Civico sia pienamente responsabile dello sviluppo e dell’attuazione del progetto culturale e scientifico del museo stesso, della sua gestione complessiva, della conservazione, valorizzazione, promozione e godimento pubblico dei beni culturali in esso contenuti e della ricerca e della divulgazione scientifica ad essi connessa.
- che ai Musei Civici sia garantita dallo Statuto e dai Regolamenti degli Enti, la più ampia autonomia scientifica, didattica e gestionale, riconoscendone il ruolo di Istituti della Cultura permanenti che, senza scopo di lucro, sono al servizio della società e del suo sviluppo, sono dedicati alla ricerca delle testimonianze materiali e immateriali della Comunità di riferimento e del suo ambiente; che acquisiscono, conservano, comunicano, espongono a fini di studio, educazione e diletto.
- che le attribuzioni delle dirigenze amministrative non siano di norma estese anche alla governance della ricerca, della conservazione e della didattica, in tutte le loro forme, missioni essenziali dei Musei Civici, se non nel coordinamento di tali funzioni.
- che ANCI e UPI si impegnino a diffondere questa raccomandazione ai loro iscritti.
ICOM Italia, cosciente delle difficoltà e dei limiti operativi in cui si colloca l’azione degli Enti locali, si impegna ad offrie il proprio contributo in tutte le forme ritenute utili, alle Amministrazioni proprietarie di Musei al fine di garantire il miglior funzionamento possibile dei musei civici, la loro autonomia scientifica e gestionale, la professionalità, il ruolo e la responsabilità dei loro direttorei e del loro personale scientifico, così come previsto dal Codice etico ICOM per i musei e dalla Carta nazionale delle Professioni museali di ICOM.

Approvata dal Consiglio direttivo di ICOM Italia riunitosi a Palermo in data 5 giugno 2011


Interviste Musei su Il Blog di Comuni-Italiani.it

I comuni presentati attraverso la dimensione affascinante dei musei. Reperti, documenti e immagini diventano un efficace strumento per conoscere, strumenti, usi e costumi del passato, con un occhio alle iniziative messe in campo per valorizzare il patrimonio custodito.  http://rete.comuni-italiani.it/blog/cat/interviste/musei

Musei, i nuovi mecenati sono le banche

tratto da Il Giornale.it

Nel Rinascimento erano i prìncipi e i duchi, come Ludovico il Moro e Lorenzo il Magnifico, a sostenere il peso della cultura e delle nuove arti. Oggi i mecenati sono soprattutto loro, banchieri e «post-banchieri», i presidenti delle grandi fondazioni che recano ancora il nome degli istituti di credito, ma la cui mission è tutta nell’investimento per la tutela e la promozione del patrimonio artistico. Oggi come allora. Ma con una differenza fondamentale rispetto al passato: i nuovi mecenati non si limitano a ospitare e finanziare grandi opere: preferiscono operare in prima persona.
Un’importante conferma è arrivata ieri alla cerimonia di presentazione del «Progetto Cultura» di Intesa Sanpaolo. Una giornata straordinaria, l’ha definita Giovanni Bazoli, presidente consiglio di sorveglianza, e il ministro della Cultura Giancarlo Galan è stato lieto di sottoscrivere. «Un dono alla città di Milano» lo ha definito il neosindaco Pisapia. E che dono. Ad autunno un complesso museale sorgerà nei palazzi storici tra via Manzoni e piazza Scala che fino a oggi hanno ospitato gli uffici dell’istituto di credito. All’interno degli 8300 metri quadrati in fase restauro e allestiti dall’architetto Michele De Lucchi sarà aperta al pubblico una parte dell’immensa collezione d’arte di proprietà di Banca Intesa a cui si aggiunge un importante nucleo di opere offerte in comodato da Fondazione Cariplo. Le «gallerie di Milano», questo il nome del polo che collega il settecentesco Palazzo Anguissola, l’ottocentesco palazzo Canonica, palazzo Brentani e il monumentale palazzo Beltrami, sono in realtà solo il cuore di un progetto che comprende le gallerie di Palazzo Leoni Montanari a Vicenza, la galleria di Palazzo Zevallos Stigliano a Napoli e, in futuro, la sede di Torino.
I palazzi milanesi, eleganti e prestigiosi, ospiteranno due musei: il primo, che verrà inaugurato a settembre, è dedicato all’Ottocento e vedrà esposte 200 opere della stagione romantica che ebbe come capitale proprio Milano: Francesco Hayez, Gerolamo Induno, Sebastiano De Albertis, Mosè Bianchi, Giovanni Segantini, per fare qualche nome. Nei saloni di palazzo Beltrami, entro il 2012 nascerà un «museo del Novecento» che raccoglie capolavori del periodo tra le due guerre (Balla, Carrà, Depero, De Pisis, Rosai e altri) fino all’ultima fase del secolo, dall’Informale di Burri al Movimento d’Arte Concreta di Munari. In totale, saranno oltre un migliaio le opere esposte per la prima volta al pubblico, a cui si aggiunge un progetto di riqualificazione della Casa del Manzoni. Infine, il piano triennale del Progetto Cultura ha messo in cantiere anche un’«Officina delle idee», ovvero spazi espositivi dedicati ai giovani artisti. Non da meno, le Gallerie del seicentesco Palazzo Montanari di Vicenza mettono già a disposizione del pubblico la splendida collezione di 130 icone russe di proprietà della Banca, oltre a una preziosa raccolta di vedute venete, dal Canaletto al Guardi al Carlevarijs. Nel museo napoletano invece, oltre al celebre Martirio di Sant’Orsola del Caravaggio, sono esposte opere del Sei e Settecento (da Van Vittel a Luca Giordano) oltre a una collezione di 522 ceramiche e reperti magnogreci.
Un grande progetto, dunque, quasi una svolta che mette i banchieri italiani sulla scia dei grandi progetti museali internazionali che vedono in prima linea la svizzera Ubs, Deutsche Bank, la spagnola Caixa, il Banco do Brasil. Da anni anche in Italia abbiamo assistito a segnali importanti che hanno visto operare istituti di sportello o banche d’affari: da Unicredit, che proprio a Milano offre la propria sede a progetti espositivi nell’arte contemporanea, a Banca Generali, che da anni organizza serate esclusive nei maggiori musei italiani e durante le mostre più importanti; alla milanese Banca Akros diretta da Francesco Cosmelli che dedica un intero piano dell’istituto di private banking a mostre contemporanee, alla svizzera Vontobel che recentemente ha promosso una provocatoria operazione artistica «contro» piazza Affari firmata dall’austriaco Eudard Winklhofer.

LA FABBRICA DEI MUSEI di Francesco Poli (tratto da "la rivista del manifesto")

Nel corso degli ultimi decenni il numero dei musei d'arte contemporanea è aumentato in misura notevolissima in Europa, America, Giappone, così come in altri paesi. Questa crescita può essere vista come una conseguenza e, allo stesso tempo, come uno dei motori dello sviluppo del mercato artistico e dell'interesse culturale del grande pubblico. Ma non va dimenticato, anche, il fatto che uno dei motivi principali di questa corsa alla costruzione di nuovi musei (o al rinnovamento di quelli vecchi) è legato alla loro funzione di status symbol del prestigio delle città, regioni o Stati. Non a caso i musei sono ormai definiti come nuove cattedrali. L'esempio più recente e spettacolare è quello di Bilbao, dove, a spese dell'amministrazione pubblica, è stata costruita l'enorme sede spagnola del Guggenheim di New York, su progetto di Frank Gehry. Un museo di mole esagerata, gestito direttamente dagli americani, il cui ruolo per la regione basca è più che altro d'ordine ideologico nazionalistico (contro Madrid e Barcellona, dove si trovano musei prestigiosi, ma meno grandiosi).
Ma chi dirige oggi queste "cattedrali" e qual è la loro funzione nel sistema complessivo dell'arte contemporanea? Sono solo degli specialisti culturalmente preparati, oppure si tratta ormai di manager e strateghi del mercato?
In passato, il compito fondamentale dei responsabili dei musei era quello di conservare, accrescere ed esporre nel modo migliore possibile (anche con finalità educative) il patrimonio di opere a loro affidato, oltre che eventualmente organizzare mostre temporanee di non contestabile importanza culturale. Si trattava, dunque, di una funzione strettamente connessa alla funzione della storicizzazione e "sacralizzazione" dell'arte contemporanea considerata culturalmente determinante: una funzione che non poteva che svilupparsi in tempi lunghi, con gran cautela critica nei riguardi della produzione più recente. Naturalmente tutto ciò è ancora parte integrante del lavoro del direttore, ma lo scarto fra i tempi del museo e quelli del sistema di produzione e valorizzazione delle gallerie private è andato sempre più accorciandosi, fino praticamente ad annullarsi. L'intervento dei musei nell'attualità si è fatto via via più pressante (e di cruciale importanza nella dialettica concorrenziale del sistema), innescando processi di legittimazione, quando non di vera e propria storicizzazione anticipata, sempre più accelerati, per quello che riguarda i nuovi valori.
Tanto che si è arrivati in questo senso a un'interazione organica (non senza, a volte, una certa competitività) fra l'azione dei direttori e quella degli altri protagonisti del sistema dell'arte contemporanea: grandi mercanti e grandi collezionisti. Una volta, le mostre nei musei erano un punto d'arrivo per la carriera di un artista, oggi sono l'indispensabile punto di partenza per poter decollare verso i livelli alti del mercato internazionale. Di conseguenza, per i direttori e curatori di musei, l'impegno da critici storici dell'arte tende a essere subordinato all'esigenza pressante di avere sempre un'informazione, la più aggiornata possibile, su quanto sta avvenendo (o sta per avvenire) nel contesto artistico internazionale, attraverso una frequentazione continua di mostre, il rapporto stretto con galleristi, collezionisti e altri direttori, e un'attenzione speciale per gli artisti famosi e per quelli emergenti. È un lavoro da critico "militante", insomma, che si deve coniugare strettamente con quello di manager dell'arte.
Il ruolo dei direttori dei musei nel sistema artistico è così forte perché incide, allo stesso tempo, sul piano culturale e su quello del mercato, in misura proporzionale al budget a disposizione per gli acquisti finalizzati allo sviluppo delle collezioni permanenti. Negli Stati Uniti, dove i musei possono anche vendere le loro opere (per fare altri acquisti), i direttori possono agire sul mercato anche dalla parte dell'offerta, in concorrenza con i mercanti, oltre che con i collezionisti.
I direttori dei musei, ha scritto la sociologa Raymonde Moulin, si situano all'incrocio di due universi: "Da una parte, contribuiscono alla definizione dei valori estetici e alla formazione dei palmares degli artisti. Dall'altra, costituiscono una parte (variabile nei vari paesi) della domanda e concorrono, secondo i tipi di opere, a ratificare la quotazione di mercato o a crearne artificialmente una".
Insieme ai principali mercanti e collezionisti, i direttori più importanti, sono i "gatekeepers" che controllano il numero degli artisti che possono accedere al circuito di élite, una quantità sempre molto ristretta, funzionale a ben studiate strategie di mercato. I direttori di minore importanza o si adeguano a queste scelte, come per lo più succede, oppure rischiano di rimanere al margine. In effetti, un'accusa che viene spesso rivolta ai direttori di musei è di essere troppo conformisti, tanto che troppi musei nel mondo risultano eccessivamente simili fra loro. Tutto ciò tende a impedire una caratterizzazione più originale dei singoli musei, e un'eventuale valorizzazione di altri artisti di qualità meno noti. In ogni caso, il successo di un direttore di museo non dipende solo dall'efficacia della sua azione all'interno del sistema dell'arte, ma anche dal gradimento che gli è attribuito dagli amministratori (pubblici e/o privati) da cui dipende, e dal favore del pubblico. Gli amministratori vogliono che l'istituzione museale si presenti come un'azienda efficiente sul piano dei valori funzionali alla loro visione ideologica della cultura: deve, cioè, essere una struttura che dia prestigio a chi la finanzia e che sia la più produttiva possibile sul piano del consenso allargato.
Il direttore di musei deve essere oggi, quindi, non tanto uno specialista nel campo dell'arte, quanto piuttosto un manager capace di gestire al meglio il budget a sua disposizione (e di arricchirlo, eventualmente, attraverso la ricerca di nuovi sponsor), abile nelle relazioni pubbliche e anche nei rapporti politici, impegnato costantemente nella promozione dell'immagine del proprio museo e delle sue mostre. L'esempio oggi più potente e dinamico di direttore manager è, probabilmente, quello di Thomas Krens, direttore del Guggenheim Museum, impegnato nel creare una vera e propria multinazionale: oltre alle due sedi di New York, sono già attive quella di Venezia e quella di Bilbao, e fra poco anche quella di Berlino.
Attualmente c'è un ampio dibattito su quelle che dovrebbero essere le caratteristiche ottimali di un direttore, in quanto manager culturale: figura professionale che dovrebbe essere il risultato di una formazione ibrida, legata allo stesso tempo alla cultura umanistica e a quella aziendale. Anche nel settore così delicato della gestione e della produzione di cultura artistica, tende ad affermarsi il mito efficientista del manager, che "pianifica, organizza, coordina, controlla, promuove". Ma nel caso dei musei d'arte contemporanea, degni di questo nome, non è possibile misurare i risultati semplicemente in termini quantitativi, dato che, per definizione, si tratta di istituzioni non profit, la cui logica di funzionamento e le cui finalità hanno un carattere del tutto peculiare.
Le conseguenze di questa "managerializzazione" spinta dei musei sono ben chiarite da una considerazione un po' sarcastica di Hans Haacke, uno dei migliori artisti attuali di livello internazionale: "Il mondo dell'arte nel suo insieme, e i musei in particolare, appartengono a quello che è stato definito giustamente (da Hans Magnus Enzensberger) "industria della coscienza". Come Enzensberger, io credo che l'uso del termine "industria" per l'intera rete delle attività di quelli che sono impegnati stabilmente, o come free lance, nel campo dell'arte, ha un effetto salutare. In un solo colpo, questo termine spazza via le nuvole romantiche che avvolgono le nozioni spesso mitiche e ingannevoli utilizzate ampiamente per quello che riguarda produzione, distribuzione e consumo dell'arte".
Un'altra opinione che vale la pena citare, per concludere, è la seguente, del critico Albert Parr: "Nei musei, assegnare il ruolo direttivo ad un amministratore non specializzato nelle discipline del museo porta sempre a risultati disastrosi nel lungo periodo, se non adddirittura nel breve".

Al Planetario di Roma il certificato di qualità Herity

Il Planetario di Roma è il primo museo scientifico della Capitale a ricevere il “bersaglio” della Herity, la certificazione di qualità dei beni culturali attribuita da una commissione internazionale. Erede diretto dello storico planetario della Sala della Minerva, nel 2004 il nuovo Planetario si è trasferito al Museo della Civiltà Romana all’Eur. Sotto una cupola di 14 metri un proiettore ottico appositamente progettato da una ditta francese, oltre a molti altri strumenti automatizzati, concorrono al complesso meccanismo di ricostruzione della volta celeste. Il valore percepito, lo stato di conservazione, la comunicazione e i servizi offerti  sono i quattro parametri di valutazione considerati nella certificazione internazionale HERITY rivolta a biblioteche, musei, archivi, monumenti (inclusi edifici religiosi) e siti archeologici, pubblici o privati, di tutto il mondo, purché aperti al pubblico. Oltre all’opinione di esperti di settore viene preso in considerazione anche il gradimento dei visitatori. La Capitale vanta già 23 luoghi certificati HERITY fra i quali il Pantheon, Santa Maria in Ara Coeli, i Musei Capitolini, il Palazzo del Quirinale e Castel Sant’Angelo. Per quanto riguarda il circuito museale del Comune di Roma è attualmente in corso la certificazione dell’Ara Pacis ( tratto da PRIMAPRESS).

http://www.primapress.it/news/122/ARTICLE/8442/2011-06-10.html

Il Giro d'Italia in 80 musei: una nuova iniziativa per l'estate di Insoliti Musei

Insoliti Musei è il sito che raccoglie i musei più curiosi e inaspettati d'Italia. Ed ecco che a Milano, nella lussuosa via Montenapoleone potremo anmmirare la collezione di rasoi Lorenzi che conserva i rasoi appartenuti anche a grandi personaggi, come Gabriele D'Annunzio, Guglielmo Marconi, Trilussa. A Roma, invece, possiamo trovare il Museo delle auto della Polizia, a Firenze il Museo dell'Oscuro medioevo fiorentino o il Museo delle streghe a Bidonì in provincia di Oristano. E poi ancora il Museo dei lucchetti in provincia di Parma o il Museo del rubinetto in provincia di Novara. Tutti i musei sono archiviati nel sito web per categoria e ciascuno è corredato da una breve scheda descrittiva e da utili informazioni per poterli visitare.
Insoliti Musei ha anche una pagina Facebook e per far conoscere meglio queste piccole realtà propone per l'estate il Giro d'Italia in 80 Musei: basta clicare su www.facebook.com/Insolitimusei e ogni giorno si potrà conoscere un museo insolito tramite post/foto/video.

Un progetto didattico museale per la Scuola Elementare Ellera di Viterbo.


Si è concluso ieri, martedì 31 maggio, il progetto didattico da me organizzato con la Scuola Elementare “Ellera” di Viterbo in collaborazione con la Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria Meridionale e la supervisione di Maurizio Pellegrini, responsabile del Laboratorio di didattica e promozione visuale della Soprintendenza. Il progetto didattico è stato articolato in tre distinti percorsi incentrati sui temi:


-         Gli oggetti degli Etruschi


-         Il cibo degli Etruschi


-         Come scrivevano gli Etruschi (l’alfabeto e gli strumenti di scrittura)


Il primo percorso, “Gli oggetti degli Etruschi”, è stata incentrato sul metodo del confronto tra gli oggetti antichi, utilizzati dagli Etruschi, e altri oggetti, più familiari agli alunni, utilizzati quotidianamente in ambito domestico.  


Stimolando i ragazzi all'individuazione di uguaglianze o diversità tra gli oggetti,  confrontandoli sia rispetto alla loro  collocazione cronologica (passato/presente) sia alla loro specifica funzione (oggetti per bere, per contenere, per cuocere i cibi, ecc.), si è cercato di sviluppare la loro attenzione “selettiva” e quindi la capacità di osservare le cose in maniera analitica, classificandole in modo ordinato e acquisendo nel contempo i termini specifici relativi ai tipi vascolari e agli strumenti di uso domestico di epoca etrusca.


Dopo una lezione preliminare in classe, dove il confronto tra gli oggetti è stato effettuato portando all’osservazione diretta alcuni oggetti moderni in plastica, come brocche, piatti, bicchieri, colini, imbuti, etc. e i corrispondenti oggetti antichi, rappresentati da copie di reperti per uso didattico, le classi sono state condotte al museo per esaminare gli oggetti esposti e riconoscerne le forme, le funzioni e i nomi.


Il secondo percorso, “Il cibo degli Etruschi” è stato dedicato all’analisi dei cibi e delle abitudini alimentari degli Etruschi. Gli alunni hanno confrontato l’alimentazione moderna con quella antica, cercando analogie e diversità, scoprendo i cibi che ancora oggi utilizziamo e quelli che ancora non esistevano all’epoca degli Etruschi.


Nel Museo Nazionale Etrusco, Rocca Albornoz, è stato possibile osservare l’allestimento di una cucina e  di un triclinio, ricostruiti nella sezione “Architettura etrusca nel Viterbese” (piano terreno del Museo di Viterbo).


L’ultima proposta, “Come scrivevano gli Etruschi”, è stata particolarmente interessante perché ha permesso ai ragazzi di riconoscere i segni grafici dell’alfabeto etrusco, di leggerli e di riprodurli, componendo anche una semplice frase. Durante la visita al museo, gli alunni hanno individuato scritte etrusche su vasi e sarcofagi.


Al termine dei tre percorsi didattici, i ragazzi hanno realizzato a scuola alcuni cartelloni con disegni e fotografie che hanno riassunto quanto appreso e alcuni modellini di vasi etruschi realizzati con materiali di riciclo e decorati con la tecnica del decoupage. Tutti i lavori sono stati quindi trasportati al Museo Nazionale Etrusco di Viterbo dove è stata allestita una piccola mostra aperta al pubblico.


Hanno partecipato al progetto i bravissimi alunni delle sezioni A, B, C, D della Va classe della Scuola Elementare “Ellera” di Viterbo. Un ringraziamento particolare alle insegnanti della Scuola e alla Dirigente scolastica, la Dott.ssa Anna Maria Cori.


Durante l’inaugurazione della Mostra, la direttrice  del Museo, funzionario archeologo della Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria Meridionale, Dott.ssa Valeria D’Atri, e Maurizio Pellegrini, hanno consegnato un attestato di partecipazione a ciascuna classe in ricordo dell’esperienza trascorsa. La Mostra dei ragazzi resterà aperta al pubblico fino al 5 giugno.














 Cari amici, in questi anni in cui ho svolto l’incarico di direttore scientifico del Museo Civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, dal 2019 a...