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#UNITE4HERITAGE

Ieri, venerdì 15 maggio, un drappo nero in segno di lutto è stato posto su molti luoghi di interesse storico, artistico e archeologico del nostro Paese, rispondendo all'appello dell'UNESCO. L'iniziativa ha avuto lo scopo di testimoniare lo sconcerto e lo sgomento conseguente alla sistematica e brutale distruzione di beni storico-culturali in Medio Oriente – molti dei quali peraltro inclusi nella Lista del Patrimonio dell’Umanità – ad opera delle falangi armate dell’Isis.
In Italia l'iniziativa è sostenuta e promossa dall’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO che ha voluto così rendere pubblico il cordoglio per le vittime civili e lo sdegno per lo scempio dei cimeli artistici, invitando gli associati a manifestare la propria partecipazione a questa simbolica ma significativa protesta, designando un  monumento di particolare valore storico a simbolo del dolore che unisce la comunità internazionale di fronte a questa incivile e insensata barbarie.
Intanto in Medio Oriente, dopo le antiche città assire di Nimrud, Hatra e Ninive in Iraq, anche le rovine romane di Palmira, in Siria, rischiano di essere distrutte dall'Isis. Protestiamo contro questa barbarie che colpisce non solo i luoghi fisici ma soprattutto le radici storiche e l'anima profonda della storia di tutta l'umanità.

L'Arena di Verona con il drappo nero per UNITE4HERITAGE



L'archeologo che difese il Museo di Baghdad

La recente scomparsa di Donny George Youkhanna, lo storico direttore del Museo Nazionale dell’Iraq

Lo scorso marzo, all’età di soli sessant’anni, è venuto a mancare Donny George Youkhanna, l’archeologo iracheno, assiriologo di fama internazionale, che durante la Guerra del Golfo del 2003 cercò di fermare il saccheggio del Museo Nazionale dell'Iraq riuscendo, negli anni successivi, ad ottenere il recupero di migliaia di reperti rubati in quella drammatica circostanza. Nato ad Habbaniyah, in Iraq, il 23 ottobre 1950, conseguì la laurea, il master e il diploma di dottorato in archeologia all'Università di Baghdad e subito dopo iniziò a lavorare per il Consiglio di Stato per le Antichità e il Patrimonio. Grazie al suo fluente inglese, essendo cresciuto nella vecchia base RAF di Habbaniyah, dove suo padre lavorava come contabile, fu inviato a numerose conferenze internazionali. Cristiano iracheno, divenne membro del partito Baath di Saddam, scelta obbligatoria per chiunque ricoprisse un incarico governativo, anche se lo studioso ammise che ogni qualvolta gli fu possibile, per potersi sottrarre alle riunioni di partito, si allontanava per lunghi periodi da Baghdad, dedicandosi alla direzione di importanti scavi archeologici. Quando le truppe statunitensi intervennero in Iraq, George Youkhanna in quel momento era il direttore del Consiglio di Stato per le Antichità e il Patrimonio. Lottò strenuamente, durante l’infuriare delle battaglie, per convincere le truppe americane a proteggere il Museo di Baghdad. In quella occasione furono rubati almeno 15.000 manufatti. Durante e dopo la Guerra del Golfo, Youkhanna fu incaricato della direzione del Museo, in cui già lavorava dal 1976, sostituendo il precedente direttore, cugino di Saddam Hussein. Denunciò non solo l’opera devastante dei tombaroli, ma anche l’indifferenza delle autorità civili e militari irachene e americane che non si preoccuparono né durante la guerra né successivamente di impedire la cancellazione dell’antico passato iracheno, patrimonio di tutta l’umanità. Nel Museo di Baghdad fu addirittura costretto a murare i reperti più preziosi per evitare che venissero razziati. Nel momento peggiore, quando infuriava la battaglia, cercò in tutti i modi di ottenere l’aiuto delle truppe americane affinché si cercasse di proteggere il museo, ma l’allora Segretario della Difesa americano, Donald Rumsfeld, gli rispose: "Cose che succedono". Intanto, il museo fu preso d’assalto da vere e proprie orde di saccheggiatori mentre Youkhanna, rischiando la vita, tentava di fermarli, incurante del pericolo. Riuscì a prendere in prestito un telefono satellitare da alcuni giornalisti stranieri e a chiamare il suo amico John Curtis del British Museum per chiedere aiuto. Si temeva che le bande potessero anche dare fuoco all’edificio. Purtroppo, nonostante l’intervento del direttore del British Museum, Neil MacGregor, che riuscì ad ottenere l’interessamento di Tony Blair, i carri armati arrivarono a proteggere il museo soltanto tre giorni dopo, quando ormai la depredazione era stata in gran parte compiuta. Dopo la fine della guerra, Youkhanna riuscì gradualmente a riallestire il museo, riparando anche le strutture danneggiate. Ottenne aiuto da vari Paesi, compresa l’Italia (proprio i tecnici italiani realizzarono l’allestimento della nuova sala assira) e fece in modo che venisse istituito un corpo di polizia specializzata nel difendere le aree archeologiche. Ma l’obiettivo prioritario era il recupero di tutto o almeno di una parte dei reperti trafugati. Con l’aiuto internazionale e il contributo anche del nostro Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico, alla fine si riuscì a recuperare circa la metà dei 15.000 beni trafugati, un risultato notevole.  Nel dicembre 2008, l’intervento di Youkhanna fu determinante per evitare la vendita all’asta da Christie’s degli orecchini neo-assiri provenienti dal famoso tesoro di Nimrud, rubati durante la guerra. Purtroppo, nonostante il successo della sua direzione, la collaborazione di Donny George con il nuovo governo post-bellico fu costellata di incomprensioni e difficoltà che resero sempre più difficile il suo lavoro finché si ritrovò isolato e anche oggetto di minacce da parte di oltranzisti islamici, rivolte sia a lui che alla sua famiglia. Per recarsi al lavoro fu costretto ad usare tre macchine diverse e a cambiare continuamente il percorso, tanto più che già altri suoi colleghi avevano perso la vita. La situazione precipitò quando, nel 2005, Muqtada al-Sadr, membro della fazione sciita radicale, fu nominato ministro del Turismo e delle Antichità. Questi, secondo Youkhanna, si preoccupava soltanto di salvaguardare l’arte islamica del Paese e non il patrimonio archeologico più antico, ostacolando così il suo lavoro e rendendolo, in pratica, impossibile. Quando uno dei suoi figli, appena diciassettenne, ricevette una busta contenente un proiettile e un messaggio che accusava il giovane di "maledire l'Islam e di prendere in giro le ragazze musulmane"  - e soprattutto, di avere un padre che collaborava con gli americani - Youkhanna capì che non poteva più continuare a vivere in Iraq. Nel 2006, pertanto, fu costretto a lasciare il suo Paese, recandosi dapprima in Siria e poi, nel 2007, negli Stati Uniti, dove divenne professore di antropologia e di studi asiatici presso la Stony Brook University di New York. Fu un uomo che amò profondamente la sua professione ma che ebbe anche molti altri interessi, primo fra tutti la musica. Suonava la batteria cimentandosi in pezzi dei Deep Purple e dei Pink Floyd. Per capire la sua personalità può essere utile ricordare anche un aneddoto raccontato dal suo amico, l’artista Michael Rakowitz: nel 1987, quando dirigeva gli scavi di Babilonia, Donny George Youkhanna ricevette la visita ufficiale di Saddam Hussein, cui fece da guida sia nello scavo archeologico sia nel museo. Qui erano esposte le traduzioni di un testo babilonese; in una di queste, re Nabucodonosor proclamava che uno degli dei lo aveva inviato a proteggere “la gente dalla testa nera”. Allora Saddam disse a Youkhanna che sarebbe stato opportuno modificare quella iscrizione, cambiando la frase “la gente dalla testa nera” con la formula “tutto il popolo”, ma Youkhanna rispose con un no deciso perché la traduzione doveva rispettare il testo antico. “Questa è scienza”, disse lo studioso a Saddam. Più tardi una delle guardie del corpo di Saddam lo prese da parte e gli disse: “Come puoi dire di no al Presidente?” E Youkhanna insistette risoluto: “E' la scienza”. Alla guardia del corpo non restò altro da fare che ritirarsi. Oggi l’archeologia ha perso un grande studioso ed un grande uomo. "Sono un cristiano assiro" diceva Donny George Youkhanna "e tutti i miei antenati sono vissuti in Mesopotamia, l’attuale Iraq, al tempo degli antichi Assiri, più di cinquemila anni fa. Ho dedicato tutta la mia vita al lavoro e a servire il mio popolo e il mio Paese con onore e fedeltà, perché questo è il mio Paese".
Caterina Pisu, ArcheoNews, giugno 2011



 Cari amici, in questi anni in cui ho svolto l’incarico di direttore scientifico del Museo Civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, dal 2019 a...