Nel corso degli ultimi decenni il numero dei musei d'arte contemporanea è aumentato in misura notevolissima in Europa, America, Giappone, così come in altri paesi. Questa crescita può essere vista come una conseguenza e, allo stesso tempo, come uno dei motori dello sviluppo del mercato artistico e dell'interesse culturale del grande pubblico. Ma non va dimenticato, anche, il fatto che uno dei motivi principali di questa corsa alla costruzione di nuovi musei (o al rinnovamento di quelli vecchi) è legato alla loro funzione di status symbol del prestigio delle città, regioni o Stati. Non a caso i musei sono ormai definiti come nuove cattedrali. L'esempio più recente e spettacolare è quello di Bilbao, dove, a spese dell'amministrazione pubblica, è stata costruita l'enorme sede spagnola del Guggenheim di New York, su progetto di Frank Gehry. Un museo di mole esagerata, gestito direttamente dagli americani, il cui ruolo per la regione basca è più che altro d'ordine ideologico nazionalistico (contro Madrid e Barcellona, dove si trovano musei prestigiosi, ma meno grandiosi).
Ma chi dirige oggi queste "cattedrali" e qual è la loro funzione nel sistema complessivo dell'arte contemporanea? Sono solo degli specialisti culturalmente preparati, oppure si tratta ormai di manager e strateghi del mercato?
In passato, il compito fondamentale dei responsabili dei musei era quello di conservare, accrescere ed esporre nel modo migliore possibile (anche con finalità educative) il patrimonio di opere a loro affidato, oltre che eventualmente organizzare mostre temporanee di non contestabile importanza culturale. Si trattava, dunque, di una funzione strettamente connessa alla funzione della storicizzazione e "sacralizzazione" dell'arte contemporanea considerata culturalmente determinante: una funzione che non poteva che svilupparsi in tempi lunghi, con gran cautela critica nei riguardi della produzione più recente. Naturalmente tutto ciò è ancora parte integrante del lavoro del direttore, ma lo scarto fra i tempi del museo e quelli del sistema di produzione e valorizzazione delle gallerie private è andato sempre più accorciandosi, fino praticamente ad annullarsi. L'intervento dei musei nell'attualità si è fatto via via più pressante (e di cruciale importanza nella dialettica concorrenziale del sistema), innescando processi di legittimazione, quando non di vera e propria storicizzazione anticipata, sempre più accelerati, per quello che riguarda i nuovi valori.
Tanto che si è arrivati in questo senso a un'interazione organica (non senza, a volte, una certa competitività) fra l'azione dei direttori e quella degli altri protagonisti del sistema dell'arte contemporanea: grandi mercanti e grandi collezionisti. Una volta, le mostre nei musei erano un punto d'arrivo per la carriera di un artista, oggi sono l'indispensabile punto di partenza per poter decollare verso i livelli alti del mercato internazionale. Di conseguenza, per i direttori e curatori di musei, l'impegno da critici storici dell'arte tende a essere subordinato all'esigenza pressante di avere sempre un'informazione, la più aggiornata possibile, su quanto sta avvenendo (o sta per avvenire) nel contesto artistico internazionale, attraverso una frequentazione continua di mostre, il rapporto stretto con galleristi, collezionisti e altri direttori, e un'attenzione speciale per gli artisti famosi e per quelli emergenti. È un lavoro da critico "militante", insomma, che si deve coniugare strettamente con quello di manager dell'arte.
Il ruolo dei direttori dei musei nel sistema artistico è così forte perché incide, allo stesso tempo, sul piano culturale e su quello del mercato, in misura proporzionale al budget a disposizione per gli acquisti finalizzati allo sviluppo delle collezioni permanenti. Negli Stati Uniti, dove i musei possono anche vendere le loro opere (per fare altri acquisti), i direttori possono agire sul mercato anche dalla parte dell'offerta, in concorrenza con i mercanti, oltre che con i collezionisti.
I direttori dei musei, ha scritto la sociologa Raymonde Moulin, si situano all'incrocio di due universi: "Da una parte, contribuiscono alla definizione dei valori estetici e alla formazione dei palmares degli artisti. Dall'altra, costituiscono una parte (variabile nei vari paesi) della domanda e concorrono, secondo i tipi di opere, a ratificare la quotazione di mercato o a crearne artificialmente una".
Insieme ai principali mercanti e collezionisti, i direttori più importanti, sono i "gatekeepers" che controllano il numero degli artisti che possono accedere al circuito di élite, una quantità sempre molto ristretta, funzionale a ben studiate strategie di mercato. I direttori di minore importanza o si adeguano a queste scelte, come per lo più succede, oppure rischiano di rimanere al margine. In effetti, un'accusa che viene spesso rivolta ai direttori di musei è di essere troppo conformisti, tanto che troppi musei nel mondo risultano eccessivamente simili fra loro. Tutto ciò tende a impedire una caratterizzazione più originale dei singoli musei, e un'eventuale valorizzazione di altri artisti di qualità meno noti. In ogni caso, il successo di un direttore di museo non dipende solo dall'efficacia della sua azione all'interno del sistema dell'arte, ma anche dal gradimento che gli è attribuito dagli amministratori (pubblici e/o privati) da cui dipende, e dal favore del pubblico. Gli amministratori vogliono che l'istituzione museale si presenti come un'azienda efficiente sul piano dei valori funzionali alla loro visione ideologica della cultura: deve, cioè, essere una struttura che dia prestigio a chi la finanzia e che sia la più produttiva possibile sul piano del consenso allargato.
Il direttore di musei deve essere oggi, quindi, non tanto uno specialista nel campo dell'arte, quanto piuttosto un manager capace di gestire al meglio il budget a sua disposizione (e di arricchirlo, eventualmente, attraverso la ricerca di nuovi sponsor), abile nelle relazioni pubbliche e anche nei rapporti politici, impegnato costantemente nella promozione dell'immagine del proprio museo e delle sue mostre. L'esempio oggi più potente e dinamico di direttore manager è, probabilmente, quello di Thomas Krens, direttore del Guggenheim Museum, impegnato nel creare una vera e propria multinazionale: oltre alle due sedi di New York, sono già attive quella di Venezia e quella di Bilbao, e fra poco anche quella di Berlino.
Attualmente c'è un ampio dibattito su quelle che dovrebbero essere le caratteristiche ottimali di un direttore, in quanto manager culturale: figura professionale che dovrebbe essere il risultato di una formazione ibrida, legata allo stesso tempo alla cultura umanistica e a quella aziendale. Anche nel settore così delicato della gestione e della produzione di cultura artistica, tende ad affermarsi il mito efficientista del manager, che "pianifica, organizza, coordina, controlla, promuove". Ma nel caso dei musei d'arte contemporanea, degni di questo nome, non è possibile misurare i risultati semplicemente in termini quantitativi, dato che, per definizione, si tratta di istituzioni non profit, la cui logica di funzionamento e le cui finalità hanno un carattere del tutto peculiare.
Le conseguenze di questa "managerializzazione" spinta dei musei sono ben chiarite da una considerazione un po' sarcastica di Hans Haacke, uno dei migliori artisti attuali di livello internazionale: "Il mondo dell'arte nel suo insieme, e i musei in particolare, appartengono a quello che è stato definito giustamente (da Hans Magnus Enzensberger) "industria della coscienza". Come Enzensberger, io credo che l'uso del termine "industria" per l'intera rete delle attività di quelli che sono impegnati stabilmente, o come free lance, nel campo dell'arte, ha un effetto salutare. In un solo colpo, questo termine spazza via le nuvole romantiche che avvolgono le nozioni spesso mitiche e ingannevoli utilizzate ampiamente per quello che riguarda produzione, distribuzione e consumo dell'arte".
Un'altra opinione che vale la pena citare, per concludere, è la seguente, del critico Albert Parr: "Nei musei, assegnare il ruolo direttivo ad un amministratore non specializzato nelle discipline del museo porta sempre a risultati disastrosi nel lungo periodo, se non adddirittura nel breve".
Ma chi dirige oggi queste "cattedrali" e qual è la loro funzione nel sistema complessivo dell'arte contemporanea? Sono solo degli specialisti culturalmente preparati, oppure si tratta ormai di manager e strateghi del mercato?
In passato, il compito fondamentale dei responsabili dei musei era quello di conservare, accrescere ed esporre nel modo migliore possibile (anche con finalità educative) il patrimonio di opere a loro affidato, oltre che eventualmente organizzare mostre temporanee di non contestabile importanza culturale. Si trattava, dunque, di una funzione strettamente connessa alla funzione della storicizzazione e "sacralizzazione" dell'arte contemporanea considerata culturalmente determinante: una funzione che non poteva che svilupparsi in tempi lunghi, con gran cautela critica nei riguardi della produzione più recente. Naturalmente tutto ciò è ancora parte integrante del lavoro del direttore, ma lo scarto fra i tempi del museo e quelli del sistema di produzione e valorizzazione delle gallerie private è andato sempre più accorciandosi, fino praticamente ad annullarsi. L'intervento dei musei nell'attualità si è fatto via via più pressante (e di cruciale importanza nella dialettica concorrenziale del sistema), innescando processi di legittimazione, quando non di vera e propria storicizzazione anticipata, sempre più accelerati, per quello che riguarda i nuovi valori.
Tanto che si è arrivati in questo senso a un'interazione organica (non senza, a volte, una certa competitività) fra l'azione dei direttori e quella degli altri protagonisti del sistema dell'arte contemporanea: grandi mercanti e grandi collezionisti. Una volta, le mostre nei musei erano un punto d'arrivo per la carriera di un artista, oggi sono l'indispensabile punto di partenza per poter decollare verso i livelli alti del mercato internazionale. Di conseguenza, per i direttori e curatori di musei, l'impegno da critici storici dell'arte tende a essere subordinato all'esigenza pressante di avere sempre un'informazione, la più aggiornata possibile, su quanto sta avvenendo (o sta per avvenire) nel contesto artistico internazionale, attraverso una frequentazione continua di mostre, il rapporto stretto con galleristi, collezionisti e altri direttori, e un'attenzione speciale per gli artisti famosi e per quelli emergenti. È un lavoro da critico "militante", insomma, che si deve coniugare strettamente con quello di manager dell'arte.
Il ruolo dei direttori dei musei nel sistema artistico è così forte perché incide, allo stesso tempo, sul piano culturale e su quello del mercato, in misura proporzionale al budget a disposizione per gli acquisti finalizzati allo sviluppo delle collezioni permanenti. Negli Stati Uniti, dove i musei possono anche vendere le loro opere (per fare altri acquisti), i direttori possono agire sul mercato anche dalla parte dell'offerta, in concorrenza con i mercanti, oltre che con i collezionisti.
I direttori dei musei, ha scritto la sociologa Raymonde Moulin, si situano all'incrocio di due universi: "Da una parte, contribuiscono alla definizione dei valori estetici e alla formazione dei palmares degli artisti. Dall'altra, costituiscono una parte (variabile nei vari paesi) della domanda e concorrono, secondo i tipi di opere, a ratificare la quotazione di mercato o a crearne artificialmente una".
Insieme ai principali mercanti e collezionisti, i direttori più importanti, sono i "gatekeepers" che controllano il numero degli artisti che possono accedere al circuito di élite, una quantità sempre molto ristretta, funzionale a ben studiate strategie di mercato. I direttori di minore importanza o si adeguano a queste scelte, come per lo più succede, oppure rischiano di rimanere al margine. In effetti, un'accusa che viene spesso rivolta ai direttori di musei è di essere troppo conformisti, tanto che troppi musei nel mondo risultano eccessivamente simili fra loro. Tutto ciò tende a impedire una caratterizzazione più originale dei singoli musei, e un'eventuale valorizzazione di altri artisti di qualità meno noti. In ogni caso, il successo di un direttore di museo non dipende solo dall'efficacia della sua azione all'interno del sistema dell'arte, ma anche dal gradimento che gli è attribuito dagli amministratori (pubblici e/o privati) da cui dipende, e dal favore del pubblico. Gli amministratori vogliono che l'istituzione museale si presenti come un'azienda efficiente sul piano dei valori funzionali alla loro visione ideologica della cultura: deve, cioè, essere una struttura che dia prestigio a chi la finanzia e che sia la più produttiva possibile sul piano del consenso allargato.
Il direttore di musei deve essere oggi, quindi, non tanto uno specialista nel campo dell'arte, quanto piuttosto un manager capace di gestire al meglio il budget a sua disposizione (e di arricchirlo, eventualmente, attraverso la ricerca di nuovi sponsor), abile nelle relazioni pubbliche e anche nei rapporti politici, impegnato costantemente nella promozione dell'immagine del proprio museo e delle sue mostre. L'esempio oggi più potente e dinamico di direttore manager è, probabilmente, quello di Thomas Krens, direttore del Guggenheim Museum, impegnato nel creare una vera e propria multinazionale: oltre alle due sedi di New York, sono già attive quella di Venezia e quella di Bilbao, e fra poco anche quella di Berlino.
Attualmente c'è un ampio dibattito su quelle che dovrebbero essere le caratteristiche ottimali di un direttore, in quanto manager culturale: figura professionale che dovrebbe essere il risultato di una formazione ibrida, legata allo stesso tempo alla cultura umanistica e a quella aziendale. Anche nel settore così delicato della gestione e della produzione di cultura artistica, tende ad affermarsi il mito efficientista del manager, che "pianifica, organizza, coordina, controlla, promuove". Ma nel caso dei musei d'arte contemporanea, degni di questo nome, non è possibile misurare i risultati semplicemente in termini quantitativi, dato che, per definizione, si tratta di istituzioni non profit, la cui logica di funzionamento e le cui finalità hanno un carattere del tutto peculiare.
Le conseguenze di questa "managerializzazione" spinta dei musei sono ben chiarite da una considerazione un po' sarcastica di Hans Haacke, uno dei migliori artisti attuali di livello internazionale: "Il mondo dell'arte nel suo insieme, e i musei in particolare, appartengono a quello che è stato definito giustamente (da Hans Magnus Enzensberger) "industria della coscienza". Come Enzensberger, io credo che l'uso del termine "industria" per l'intera rete delle attività di quelli che sono impegnati stabilmente, o come free lance, nel campo dell'arte, ha un effetto salutare. In un solo colpo, questo termine spazza via le nuvole romantiche che avvolgono le nozioni spesso mitiche e ingannevoli utilizzate ampiamente per quello che riguarda produzione, distribuzione e consumo dell'arte".
Un'altra opinione che vale la pena citare, per concludere, è la seguente, del critico Albert Parr: "Nei musei, assegnare il ruolo direttivo ad un amministratore non specializzato nelle discipline del museo porta sempre a risultati disastrosi nel lungo periodo, se non adddirittura nel breve".
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver commentato questo post.