Quando diciamo che i musei
possono essere luoghi di incontro e di superamento dei contrasti, delle
differenze e delle esclusioni, non siamo utopisti. Lo si comprende quando si
leggono notizie come questa, pubblicata sul sito del Museo del Genocidio Armeno riguardo la visita di
una delegazione composta da 50 intellettuali turchi, tra docenti e studenti
universitari, ai quali il direttore del Museo, Hayk Demoyan, ha illustrato la
storia del genocidio armeno. Gli ospiti hanno anche visitato il monumento che
ricorda le vittime, dove hanno deposto una corona di fiori.
Foto tratta dal sito: http://online-books.openu.ac.il/english/genocide/images/page%2029_fmt.jpeg |
E’ interessante notare che
dall'aprile 2015 ad oggi il museo è stato visitato da più di trecento cittadini
turchi. Nonostante la posizione rigida del governo turco riguardo l’ammissione
dell’avvenuto genocidio che ha provocato accese polemiche proprio pochi mesi
fa, il popolo turco evidentemente è cosciente della realtà dei fatti.
Foto tratta dal sito http://heifer12x12.com/2012/09/18/barev-armenia/woman-at-genocide/ |
Il Museo del genocidio degli
Armeni è stato inaugurato nel 1995, in occasione dell’80° anniversario del
genocidio del popolo armeno, avvenuto nel 1915. Sorge sull’altura di Tsitsernakaberd,
dove è stato collocato un monumento commemorativo alle vittime del genocidio.
Conserva una vasta documentazione su questo dramma troppo a lungo ignorato,
molte fotografie e documenti che illustrano ogni aspetto della realtà storica
dei fatti. Il Museo dispone anche di una biblioteca, di una sala conferenze e
di altri ambienti destinati allo studio e alla ricerca.
Una piccola nota personale: ho conosciuto la storia del genocidio degli
Armeni fin piccola per una circostanza particolare, in quanto sono stata
cresimata da un vescovo cattolico armeno, Mons. Cirillo Giovanni Zohrabian, ora
Servo di Dio in attesa di beatificazione. Mons. Zohrabian si salvò dallo
sterminio solo perché, durante la Prima Guerra mondiale, essendo già frate
cappuccino, ricevette l’ordine dei suoi superiori di lasciare l’Armenia per
trasferirsi a Costantinopoli. Si legge nel sito dei Frati Cappuccini che “dal
1916 al 1920 aiutò in tutti i modi i greci del Ponto e dell'Anatolia,
perseguitati e angariati: quattro anni di missione nel silenzio dei campi di
concentramento turchi, dove c'erano anche molti prigionieri italiani. Il 7
marzo 1923, fu catturato dalla polizia turca, dopo una messa clandestina in una
baracca. Qui termina la sua opera in favore dei fratelli perseguitati e
incomincia la sua propria testimonianza. Il tribunale di Trebisonda lo condannò
a morte per impiccagione. Fu condotto nelle carceri di Costantinopoli sotto
scorta armata dove l'11 e il 12 marzo 1923 soffrí la terribile tortura turca
del "palahán": cinque volte sessanta colpi di verga sulle piante dei
piedi. Poi la sentenza di morte fu commutata in quella di esilio perpetuo”.
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