IL MUSEO STA CON I GIOVANI


Strategie per attrarre i giovani nei musei: il progetto Junction del Museo di Londra

di Caterina Pisu (pubblicato su ArcheoNews, maggio 2012) 


«Se vivi con i giovani, dovrai diventare anche tu giovane». Chi non ricorda questa frase del famoso discorso di Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del 2000, pronunciato al campus dell’Università di Tor Vergata? In effetti, ogni ambito della società non può fare a meno dell’apporto delle giovani generazioni, pena il rischio di perdere la capacità di rinnovarsi continuamente, di attingere a nuove idee e, soprattutto, di distaccarsi dal mondo reale. Un’indagine pilota su “I giovani e il Museo”, realizzata nel 1998 dall’Ufficio Studi del Ministero per i Beni e le attività Culturali (condotta su giovani di 19-30 anni di età, residenti in Campania e in Veneto), ha prodotto alcuni dati interessanti anche se, ovviamente, in attesa di ulteriori ricerche, questi non possono essere estesi a tutto il territorio nazionale. Da questa indagine è emerso che, al momento dell’intervista, i giovani che negli ultimi dodici mesi avevano visitato un luogo culturale in Veneto erano il 46% e in Campania, il 42%, mentre i giovani frequentatori sia abituali (cioè da tre a sei volte l’anno o più di sei volte l’anno) che occasionali (da una a tre volte l’anno) superavano di poco il 50% in entrambe le regioni. Certamente le scelte dei giovani sono dettate da vari fattori, culturali, sociali ed economici che condizionano anche la gestione del tempo libero. Quali possono essere, allora, le strategie per attrarre l’interesse dei giovani nei confronti dei musei? Una risposta ci viene da Junction, un progetto per i giovani promosso dal Museo di Londra che non si limita a fare ricerche sui giovani ma dà loro voce affinché siano essi stessi a spiegare quali sono le loro aspettative e le loro esigenze. Secondo i giovani londinesi, gli adulti hanno molti preconcetti su di loro, di conseguenza anche i musei, in quanto specchio della società, possono talvolta essere soggetti a questi stereotipi. In realtà i giovani non vogliono essere “classificati” e l’unico modo per non cadere in questo errore è dialogare. I giovani di Junction, quindi, sono diventati i “consulenti” del museo. Si tratta di ragazzi di età compresa tra i 16 e i 21 anni, cui è affidato il compito di creare progetti, mostre ed eventi per i loro coetanei. I giovani, infatti, amano imparare da soli, a modo loro e con i loro tempi. Il modo migliore per attrarre i giovani verso i musei è quello di far sì che siano altri giovani a portarceli. Per ottenere ciò è necessario che il gruppo che dovrà fare da “traino” sia coinvolto al massimo e che tragga un effettivo beneficio dall’esperienza museale. Nel caso del progetto Junction, il clou sarà la mostra Londinium 2012, un’esposizione la cui inaugurazione è prevista in concomitanza con la prossima apertura dei Giochi olimpici, in cui ai giovani consulenti sarà affidata la rivisitazione di spazi importanti del Museo di Londra, compresa la Galleria di Antichità romane. Secondo gli stessi giovani di Junction, i musei sono spazi in cui si possono cambiare gli stereotipi, ci si può mettere in discussione e si può anche sperimentare. Ecco, allora, come è nata l’idea semplice e, nello stesso tempo, molto intuitiva, che è alla base di Londinium 2012: individuare il significato che ogni oggetto aveva nella società romana cercando di capire se questo, oggi, avrebbe una qualche importanza anche nella vita di un giovane londinese moderno. I musei, infatti, secondo i ragazzi, dovrebbero preoccuparsi non solo del passato ma anche di ciò che sta succedendo ora, cercando di capire quali sono gli argomenti cui i giovani sono realmente interessati. Non ci può essere niente di appassionante da apprendere dal passato se questo non ha nulla a che fare con il nostro presente. Se i musei si sintonizzassero maggiormente sui problemi della società moderna, la gente potrebbe trovare nuove chiavi di lettura per capire il mondo che li circonda. Londinium 2012, per esempio, include alcuni filmati realizzati dai giovani che hanno cercato di capire l'importanza dell’anfiteatro dell’antica Londra e attraverso ciò hanno sviluppato delle riflessioni sulla violenza. Rintracciando le forme di violenza nella cultura romana, i giovani hanno così parlato anche della violenza che essi stessi sperimentano, oggi, nei loro quartieri. Ma i giovani non si sono limitati a mostrare con molta chiarezza il loro modo di concepire il museo, hanno anche fatto conoscere le loro esigenze con altrettanta concretezza: - «c’è un maggiore incentivo a vivere un’esperienza in un museo se non ci sono costi. Le spese per uscire a divertirci sono già abbastanza. Alla fine, se dobbiamo decidere se andare a una mostra o andare a prendere un caffè con un amico, che cosa saremo più propensi a scegliere?». Anche questo è un aspetto importante di cui tenere conto, senza scandalizzarsi se i giovani, posti di fronte a una scelta di questo tipo, probabilmente non preferiranno il museo.

Patrimonio museale da valorizzare

di Antonello Cherchi

tratto da Il Sole 24Ore


Non sarà il 70% rispetto a quello mondiale – dato mai verificato, ma che continua a essere citato – ma di certo l'Italia è tra i Paesi più ricchi di beni storici e artistici. A questa ricchezza non corrisponde, però, la capacità di metterla a frutto, di – ormai si può dirlo tranquillamente senza incorrere nelle ire dei puristi, perché la questione è stata ampiamente sdoganata – produrre reddito.
Ma è una questione più ampia, decisiva, strategica: proprio com'è auspicata nei cinque punti per una "costituente" che riattivi il circolo virtuoso tra conoscenza, ricerca, arte, tutela e occupazione, lanciata dalla Domenica del Sole 24 Ore.
Che abbiamo tesori straordinari nei nostri territori – poco valorizzati - è indubbio. Basta consultare lo studio predisposto da Banca Intesa e università Bocconi, presentato lo scorso autunno e da cui si evince che il fatturato commerciale dei luoghi d'arte italiani vale quello di un solo grande museo Usa. Tradotto in cifre: negli ultimi anni i musei statali nostrani hanno incassato dai servizi aggiuntivi (ristorazione, bookshop, merchandising, strutture di accoglienza) 40 milioni, quanto è riuscito a fatturare da solo il MoMa, quasi la metà di quanto guadagnato dall'altro grande museo di New York, il Metropolitan (72 milioni di euro), e un terzo dei soldi prodotti dallo Smithsonian di Washington (132 milioni).
E non è un problema di visitatori, perché i musei d'oltreoceano raggiungono quelle cifre con numeri assai minori, anche perché relativi a una sola struttura. La questione è che i 5 milioni di visitatori del British museum non "valgono" le stesse presenze del Colosseo, perché a Londra a fine anno si ritrovano con in cassa 21 milioni provenienti dai servizi collaterali, mentre a Roma ne contano solo 6.
È ovvio che la spesa pro-capite dei turisti sia più bassa nei musei italiani rispetto a quanto avviene nei grandi luoghi d'arte stranieri. Ma perché? Uno dei motivi è – come spiega sempre il rapporto di Banca Intesa – di natura strutturale: da una ricerca su 128 musei statunitensi si capisce che la superficie media dei punti vendita è di 145 metri quadrati, mentre in Italia non arriva a 45. È, ovviamente, soltanto un aspetto del divario che ci separa dal resto del mondo. Ma esemplificativo, perché vuol dire che dalle altre parti sulle attività di contorno, in grado (insieme alla vendita dei biglietti) di produrre reddito, ci hanno creduto e investito. Senza nessuna pretesa – elemento anche questo ormai consolidato – di voler finanziare per intero le attività culturali, perché nessun museo riuscirà mai a camminare sulle proprie gambe. Occorrerà sempre un'iniezione di risorse esterne, siano esse di provenienza statale o privata.

Campagna per la presenza dei musei italiani nei social networks.

di Caterina Pisu



Partendo da una ricerca statistica condotta da Jim Richardson (@ sumojim) su Google Docs, Sean Redmond (Litot-es) ha tratto un elenco di musei di tutto il mondo che utilizzano tre importanti social network, Facebook, Twitter e Klout. Ne risulta che tra i primi dodici musei più attivi in rete, ci sono i seguenti:

  1. MoMA The Museum of Modern Art 
  2. The Metropolitan Museum of Art, New York 
  3. Musée du Louvre 
  4. Tate 
  5. Solomon R. Guggenheim Museuem 
  6. Saatchi Gallery 
  7. Centre Pompidou 
  8. Moca Taipei 
  9. British Museum 
  10. MoMA PS1 
  11. Design Museum 
  12. Museo Nacional del Prado


Per i dati rimando a Litot-es. Notiamo che fra i primi 50 non ci sono musei italiani. Bisogna arrivare all'85° posto per trovare Musei in Comune di Roma. E' evidente, quindi, che i musei italiani non utilizzano ancora tutte le potenzialità offerte dai social network e che gli utenti che seguono e partecipano attivamente alla vita dei musei attraverso questi strumenti di comunicazione, sono pochi. E' necessario, allora, da una parte promuovere la presenza dei musei italiani sui social network e, dall'altra, coinvolgere più pubblico possibile, diversificato per età, grado di istruzione, sesso, interessi specifici. Si tratta di un impegno doveroso per essere al passo con i tempi e con il resto del mondo. L'uso dei social network sta cambiando modi e funzioni della comunicazione museale e sta creando nuovi stimoli di ricerca e di studio anche nel campo della museologia. E' importante, allora, dare inizio ad una vera e propria campagna di sensibilizzazione all'uso dei social network da parte dei musei. 
Tali considerazioni hanno spinto l'Associazione Nazionale Piccoli Musei (www.piccolimusei.com) a promuovere una ricerca a livello nazionale che si svolgerà attraverso queste fasi:

  • creazione di un questionario (http://www.scribd.com/doc/96031044/Questionario-musei)
  • invio del questionario ad un campione di musei italiani
  • analisi dei dati raccolti
  • pubblicazione in rete dei risultati
  • presentazione dei risultati durante il 3° Convegno Nazionale dei Piccoli Musei (Amalfi, 5-6 novembre 2012)

La ricerca ha lo scopo non solo di raccogliere dei dati sulla presenza dei musei italiani nei social network, ma anche quello di dare impulso alla presenza dei musei italiani in rete, in particolare dei piccoli musei o dei musei locali in genere.

CALL FOR ENTRIES FOR EMYA 2013







European Museum Forum opens call for Applications for the 2013 European Museum of the Year Award and the Council of Europe Museum Prize.
The EMYA goes to a museum which contributes most directly to attracting audiences and satisfying its visitors with unique atmosphere, imaginative interpretation and presentation, a creative approach to education and social responsibility. 
The EMYA Judging Panel is looking for enterprise and innovation that enhances the public quality of the museum. The judges seek to identify new developments which are likely to have a significant influence in the national and international museum field.



The EMYA 2013 Application Form should be submitted no later than 31 May 2012.

European Museum Forum apre il bando per il premio European Museum of the Year Award – EMYA 2013. 

Il premio EMYA andrà al museo che avrà ottenuto un maggior riscontro tra i visitatori sia per l'originalità, la bellezza e la comprensibilità delle proprie collezioni, sia per la responsabilità educativa e sociale dimostrata.
La scadenza è il 31 maggio 2012. Questi i documenti da scaricare per partecipare alla selezione: 


Cattive notizie dall'Uganda

di Caterina Pisu

Mi sono appena giunte cattive notizie dall'Uganda, riguardo il caso del rischio di abbattimento dell'unico Museo Nazionale del paese, situato a Kampala, a causa di un'incomprensibile decisione del governo ugandese (su questo blog potete trovare altri articoli). Questa è la lettera che mi è giunta dal Dott. Ellady Muyambi, Executive Director dell'Historic Resources Conservation Initiatives (HRCI):


Dear Caterina,
Just as I had earlier predicted in my last e-mail where I updated you on the Uganda National Museum court case, I do hereby extend to you sad news that the same case has been dismissed. The case has been dismissed on a technical ground that our lawyer did not issue a statutory notice to the government before filing the case. Our lawyer tried to raise some exceptions over this issue but it seems it could not help. He was suggesting of appealing but we believe this may not help us. We are looking at options of filling the case a fresh. We will meet him tomorrow to discuss the way forward.
Best regards,
Ellady Muyambi

Speriamo che si possa trovare presto un'altra soluzione ma a mio parere ci sarebbe bisogno di un maggior supporto internazionale.

Io adotto un museo!

di Caterina Pisu 

Jenni Fuchs


Vorrei presentare l'idea di un blog, denominato Museum140, che sta proponendo molti progetti interessanti sui musei e il settore dei beni culturali, basati sui social media. 
L'idea che è stata lanciata dalla scozzese Jenni Fuchs (museologa professionista, appassionata di media e fotografa dilettante recentemente trasferitasi da Edimburgo a Berlino) si chiama "Adotta un museo". Il nome potrebbe far pensare ad una campagna di adozione finalizzata alla raccolta di fondi o qualcosa di simile. Niente di tutto ciò. In questo caso, nessun esborso, nessun tipo di sponsor.
Solitamente - ha notato l'ideatrice del blog - su internet circolano molte "classifiche" di musei: i più interessanti, i più visitati, i più attivi, ecc. ecc., ma si tratta quasi sempre dei "soliti noti". Di tanti bellissimi ma poco pubblicizzati musei, invece, nessuno ne parla. Jenni Fuchs li definisce "gli eroi non celebrati del mondo dei musei".

L'iniziativa Adotta un Museo consiste, quindi, nell'invitare la gente ad "adottare" un museo, cioè a farlo conoscere affinché altri desiderino visitarlo. Ogni settimana, il blog Adopt-a-Museum presenta una nuova "adozione" proposta dai lettori. L'importante è che la candidatura del museo non sia avanzata da chi ci lavora e che il museo sia stato realmente visitato almeno una volta. I lettori, perciò, rispondono ad un breve questionario che viene inviato loro dagli amministratori del blog ed esprimono liberamente la loro impressione sul museo.  
Un'idea semplice ma molto utile. Sto pensando di proporla anche nel mio blog!

Un manifesto dei musei del premio nobel turco Orhan Pamuk: più piccoli e più umani


I grandi musei non rappresentano i singoli individui. I musei dovrebbero diventare sempre più piccoli e locali.

Riporto, di seguito, il pensiero dello scrittore turco, premio Nobel per la letteratura nel 2006 e fondatore del Museo dell’Innocenza, a Istanbul.

Orhan Pamuk


Amo i musei, e non sono l'unico a pensare che ogni giorno che passa mi fanno più felice. Io prendo i musei sul serio e questo a volte mi porta ad arrabbiarmi, ma io non sono una persona che può parlare con rabbia. Quando ero un bambino, a Istanbul, c’erano pochissimi musei: c’erano monumenti storici che si erano conservati oppure, cosa che è abbastanza rara al di fuori del mondo occidentale, musei che avevano un aspetto da uffici governativi. Più tardi, i piccoli musei che ho incontrato nelle strade delle città europee mi hanno portato a rendermi conto che (così come i romanzi) i musei possono anche parlare delle persone. Questo non significa sminuire l'importanza del Louvre, del Metropolitan, del Palazzo Topkapi, del British Museum o del Prado, che sono tutti veri tesori della specie umana. Ma io sono contro il fatto che queste preziose istituzioni monumentali siano utilizzate come modelli per costruire i futuri musei. I musei devono esplorare e scoprire l'universo ma anche l’uomo nuovo e moderno che emerge soprattutto dalle nazioni non-occidentali, sempre più ricche.
Lo scopo delle grandi sponsorizzazioni degli Stati ai musei, invece, è ottenere la rappresentazione dello stesso Stato. Questo obiettivo non è né buono né innocente. 

Vorrei delineare, ora, i miei pensieri al riguardo in maniera ordinata:

1 I grandi musei nazionali come il Louvre e il Museo dell'Ermitage hanno preso forma e si sono votati a finalità essenzialmente turistiche, quando i palazzi reali e imperiali sono stati aperti al pubblico. Queste istituzioni, ora simboli nazionali, presentano la storia di una nazione (cioè la storia) come qualcosa di molto più importante degli stessi individui. Questo è un peccato: le storie delle persone esprimono molto più profondamente la nostra umanità.

2. È facile vedere che la transizione dal palazzo d'epoca al museo nazionale è un processo parallelo a quello dalla narrazione epica al romanzo. L'epica è paragonabile ai palazzi e parla delle gesta eroiche degli antichi re. I musei nazionali, allora, dovrebbero essere come i romanzi, ma non lo sono.

3. Siamo stanchi di musei che cercano di assemblare le narrazioni storiche di una società, di una comunità, di una squadra, di una nazione, di popoli, società o specie. Sappiamo tutti che le storie di vita quotidiana e quelle ordinarie degli individui, sono più ricche, più umane e molto più gioiose rispetto alle storie delle grandi culture.

4 Dimostrare la ricchezza della storia e della cultura cinese o indiana o messicana o iraniana o turca, non è un problema; è necessario farlo, naturalmente, ma non è una cosa difficile da fare. La vera sfida consiste nell'utilizzare i musei per raccontare le storie dei singoli esseri umani che vivono in quei paesi con la stessa luminosità, profondità e intensità.

5. La misura del successo di un museo non dovrebbe essere la sua capacità di rappresentare uno stato, una nazione, una società o un determinato periodo storico. Dovrebbe essere, piuttosto, la sua capacità di rivelare l'umanità degli individui.

6 E’ un imperativo che i musei divengano più piccoli, più individualisti e meno costosi. Questo è l'unico modo che un giorno ci permetterà di raccontare storie a misura d’uomo. I grandi musei, con le porte ad ala di gabbiano, si dimenticano della nostra umanità per abbracciare, invece, lo Stato e accomunare tutti gli uomini in una massa umana indistinta. Ecco perché milioni di persone, al di fuori del mondo occidentale, hanno paura di entrare nei musei.

7. L'obiettivo dei musei presenti e futuri non dovrebbe essere quello di rappresentare lo Stato, ma quello di ricreare il passato dei singoli esseri umani; gli stessi esseri umani che hanno lottato sotto un’oppressione implacabile per centinaia di anni.

8. Le risorse destinate alla creazione di musei monumentali e simbolici dovrebbero essere piuttosto destinati a musei più piccoli che raccontano la storia degli individui. Quelle risorse dovrebbero essere dedicate anche a incoraggiare e sostenere le persone in modo che esse convertano le loro piccole case in spazi espositivi.

9. Se gli oggetti non vengono sradicati dai loro ambienti e dalle loro strade, ma sono collocati con cura e ingegnosità nella propria casa naturale, essi stanno già esprimendo le proprie storie.

10 Gli edifici monumentali che dominano la città e i quartieri non mettono in evidenza la nostra umanità; al contrario, la soffocano. È più umano essere in grado di immaginare modesti musei che trasformino i quartieri, le strade, le case e i negozi intorno, in elementi che fanno parte di una esposizione.

11. Il futuro dei musei è dentro le nostre case.

Il quadro, in realtà, è semplice:

Epica/Romanzo
Rappresentazione/Espressione
Monumenti/Case
Storia/storie
Nazioni/Persone
Gruppi,società/individui
Grande e costoso/Piccolo ed economico

(traduzione di C. Pisu)

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...