Standards sì o no?

L'interessante punto di vista di Giovanni Pinna che alcuni anni fa commentava l'utilità dell'imposizione di norme o della standardizzazione anche delle professioni museali, soprattutto in relazione alle caratteristiche specifiche dei musei del nostro Paese.

Nel primo articolo di questo numero di Nuova Museologia, Maurizio Maggi contrappone due approcci al museo mutuati dalla biologia, un approccio riduzionista, che considera il museo immutabile e tende a identificare le regole che stanno alla base della sua natura e quindi del suo funzionamento, e un approccio che interpreta invece il museo come un sistema complesso, in equilibrio instabile poiché in continua interazione con l’ambiente. Il favore di Maggi va al museo inteso come struttura complessa, ed egli ne deriva da un lato la convinzione che sia più utile chiedersi “non cosa sia un museo ma cosa faccia un museo”, dall’altro l’inutilità di predeterminare meccanicisticamente il suo futuro con l’imposizione di norme, quali standard museali e codificazioni delle professioni.
Io ho più volte espresso l’idea che i rapporti complessi esistenti fra il museo, il territorio sociale, la pluralità di forze intellettuali interne all’istituzione fanno sì che ogni museo sia strutturalmente e culturalmente diverso da ogni altro museo e che non possa dunque esistere un modello standard di museo. Inoltre ho sempre sostenuto che anche la professione museale non è standardizzabile, non può cioè essere insegnata a priori, e che la professionalità viene acquisita all’interno del museo, nei rapporti quotidiani con le collezioni, con i colleghi e con il pubblico. È dunque naturale che io condivida l’approccio non riduzionista al museo di Maggi e che sia portato a minimizzare l’importanza di documenti, quali le norme di indirizzo e la recente carta delle professioni prodotta dalle associazioni museologiche nazionali, il cui pericolo consiste nella loro applicazione acritica, cosa che ho già visto apparire qua e là nel mondo delle amministrazioni pubbliche.
La carta delle professioni in particolare mi induce ad alcune riflessioni. L’ICOM Italia e alcune altre associazioni professionali hanno prodotto una proposta indubbiamente completa, costata fatica e applicazione, ma non priva di alcune debolezze di fondo, prima fra tutte il fatto che essa non è il risultato di una riflessione sulla specificità della realtà museale italiana, ma il tentativo di applicare ai nostri musei il modello anglosassone. Ciò porta all’inapplicabilità quantitativa e qualitativa: in Italia non esistono infatti strutture museali complesse che necessitino di una estrema separazione dei compiti come quella ipotizzata dalla proposta; la nostra realtà è invece fatta di musei di medie dimensioni – inoltre tradizionalmente carenti di personale – nei quali le diverse professionalità museali devono assumere in se stesse una pluralità di compiti. L’analisi dei compiti previsti per le 20 diverse figure professionali proposte rende evidente che la carta non è la summa di esperienze dirette nella gestione di musei complessi pluridisciplinari ma il prodotto di una compilazione teorica, e che non ha alla sua base una verifica sperimentale. Non si spiegherebbe altrimenti l’esistenza di figure professionali le cui responsabilità si accavallano e possono generare così conflitti di competenza.
Il lavoro museale è un lavoro articolato che prevede azioni importanti, quali tutela delle collezioni, creazione del patrimonio culturale e comunicazione dei suoi significati, azioni che non possono essere suddivise fra personalità professionali diverse senza andare incontro al rischio di una frammentazione dell’azione complessiva del museo: la grandezza culturale del modello italiano e di altri Paesi dell’Europa continentale risiedeva proprio nella riunione di tutte le funzioni principali del museo nell’unica figura del conservatore, cui si vuole ora sostituire la frammentazione del modello anglosassone. Se il fine è l’abdicazione dei nostri modelli, allora si vada fino in fondo: nella carta nazionale delle professioni museali manca l’ethics adviser, che nel museo è colui che veglia affinché la manipolazione dei resti umani e degli oggetti di culto sia conforme alle regole morali delle diverse confessioni ed etnie.
G. Pinna, "Il dio della museologia genera mostri" in Nuova Museologia, n°14, giugno 2006

Musée-Oh!

Claire Casedas, autrice del seguitissimo blog francese Musée-Oh! ha pubblicato il mio articolo "Libre de photographier mais pas de "participer", dandomi l'opportunità di continuare il confronto tra la situazione italiana e quella francese su questo tema.
"Questa è la prima volta" - scrive Claire -  "che il blog pubblica un contributo esterno. L'opportunità non si era ancora presentata! Grazie a Caterina Pisu per questa bella iniziativa e per questo articolo molto istruttivo sull'annoso dibattito: le foto al museo, in questo caso con riferimento soprattutto all'Italia".
In fondo al mio scritto, Claire ha inserito il link a un articolo di Marlèn Duretz, "Clics et déclic photographiques", pubblicato su Le Monde lo scorso 10 luglio.
Si tratta di un tema che inizia a diventare "caldo": lo scorso luglio Salvatore Settis scrive a questo proposito il suo articolo "Se troppo successo fa male al museo", Nina Simon lo ha fatto dal suo blog, Museum 2.0. Il dibattito è ancora aperto e sicuramente si avrà l'opportunità di tornare ancora sull'argomento.
Foto Le Monde

Musées (em)portables: musei nel cellulare.

Anche nel 2015 si svolgerà il concorso Musées (em)portables organizzato dalla società francese museumexperts sas .
Come ricordato già in occasione delle due edizioni precedenti che hanno avuto come partner l'Associazione Nazionale Piccoli Musei, si tratta di un concorso creativo rivolto sia a chi opera nell'ambito dei musei sia ai visitatori, in forma individuale o in gruppo (classi scolastiche, ecc.). La particolarità di questo concorso è che i filmati devono essere realizzati con un cellulare o con altri dispositivi di ripresa non professionali. La durata non deve essere maggiore di tre minuti. I soggetti possono essere vari purché riguardino i musei oppure le attività che si svolgono all'interno dei musei, i "dietro le quinte" etc.; inoltre possono essere "seri" o "divertenti", senza limitazioni alla fantasia o al senso dell'arte di ciascuno.



L'aspetto che più mi piace di questo concorso è che invita a "pensare", non è la solita foto davanti all'opera d'arte ma è un lavoro in cui è necessario esprimere creatività e senso artistico. Può essere un modo per lanciare un messaggio oppure per mostrare il proprio modo di vedere i musei.
C'è chi ha realizzato perfino dei veri film per il cinema con un cellulare, perciò si vuole anche dimostrare che non sono le tecnologie sofisticate quelle che fanno un bel film, ma è l'idea che c'è dietro. In tre minuti si possono dire tante cose. Chi vuole cimentarsi in questa prova, ha l'occasione per farlo!
I premi, che consisteranno in piccole somme in denaro ma soprattutto nella soddisfazione di aver presentato una bella creazione, saranno assegnati alle opere selezionate da una giuria di vari esperti che operano nell'ambito della cultura, in particolare dei musei, e della comunicazione. La premiazione è prevista a Parigi, presso il Carrousel du Louvre, mercoledì 4 febbraio 2015, alle 12.00.
Per altre informazioni è possibile visionare il regolamento del concorso. Ricordo che il termine ultimo per l'invio dei filmati è il 12 dicembre. Spero che la partecipazione italiana sia notevole anche quest'anno e che possa portare all'assegnazione di un premio a un concorrente italiano come l'anno scorso, con il premio come "miglior film straniero" (ricorda tanto gli Oscar!) a Raffaele Gentiluomo per il suo bellissimo video sul Museo Archeologico Virtuale di Ercolano, Vesuvius Making of.
I filmati devono essere inviati su CD o DVD o chiavetta USB in formato .avi al seguente indirizzo:
Museumexperts / musei (em) Portable
18 rue de la Michodière - 75002 Parigi
unitamente ai moduli che è possibile scaricare a questo link .

Grazie per i piccoli musei!


In questi giorni mi sono soffermata su una breve nota di Frederick A. Johnsen, già direttore dell'Air Force Flight Test Museum, pubblicato sul sito Museumerica, che mi ha molto colpito per il suo pensiero così vicino a noi che studiamo i piccoli musei e che ne mettiamo in evidenza i punti di forza oltre, ovviamente, alle problematicità.
E' chiaro che chi lavora con passione ed entusiasmo trasmette gli stessi sentimenti alle altre persone con cui entra in contatto; succede in qualsiasi altro mestiere o professione. Talmente logico che, fa notare Johnsen, non c'è niente di più semplice di questo.
Senza nulla togliere ai musei che utilizzano tecnologie avanzatissime o altri effetti spettacolari, non posso non essere d'accordo sul fatto che un piccolo museo può trasmetterci altrettanta bellezza e può farci meravigliare allo stesso modo, se non per un dinosauro che improvvisamente prende vita, per la gioia contagiosa di chi ci sta raccontando la propria storia per pura passione.
Vi riporto, di seguito, uno stralcio dello scritto di Frederick A. Johnsen, dal titolo " Grazie per i piccoli musei come il Baker Heritage Museum".


Durante un recente viaggio, tra un museo e l'altro, mi sono fermato presso il Baker Heritage Museum a Baker City, nell’Oregon. Situato all’interno dell’ex piscina comunale del 1921, il museo è il risultato di un restauro veloce effettuato nel 1970 dalla Baker County Historical Society per salvare la struttura, destinata alla demolizione.

Spesso l'utilizzo di un impianto già esistente è una necessità finanziaria, più che una scelta, per un museo. La città ha affittato l’ex piscina alla società storica senza alcun costo, in cambio dell’impegno della società a fondarvi e a gestirvi essi stessi un museo. Il progetto museale cui hanno dato vita è una serie di collezioni che spaziano dai minerali alle diligenze d'epoca locali, diorami della fauna selvatica, e reperti archeologici della zona.

Due cose mi hanno colpito durante la mia visita: il piccolo staff che gestisce il museo e la squadra di volontari che con passione ed entusiasmo raccontano ai visitatori la storia della regione, e che, soprattutto, lo fanno senza utilizzare nessun tipo di tecnologia o costosi apparati espositivi.

Il Baker Heritage Museum esemplifica la gioia dei musei, puri e semplici. Le sua esposizioni e i diorami sono la prova che apprendimento e divertimento si possono trovare anche nei piccoli musei delle più piccole comunità. La mia visita mi ha ricordato di non trascurare musei come questo durante i miei viaggi attraverso il Paese.

Il Baker Heritage Museum è sostenuto da una fondazione senza scopo di lucro. In una brochure del museo si legge: «La creazione, il sostegno e il continuo sforzo dei volontari a favore di questo museo dimostra la dedizione e la determinazione dal popolo di Baker City affinché la propria storia sia condivisa per sempre con i visitatori». Un concetto profondamente semplice e semplicemente profondo: l’obiettivo apertamente dichiarato del museo è “per sempre” e si lavora per questo.

(…)
Foto tratta da http://www.woodallscm.com/wp-content/uploads/2012/02/Wally_Byam_Display_Baker_Heritage_Museum_Baker_City_OR_r-2-copy-copy-300x199.png
Foto tratta da
http://sierranevadaairstreams.org/destinations/oregon/eastern-oregon/2011jul02-sat-p1000374-museumdisplay.jpg



Un mio contributo al blog francese Option Culture

http://www.option-culture.com/?p=6864

Option Culture, il blog di Jean Michel Tobelem, docente dell'École du Louvre, ha accolto un mio contributo che tenta di analizzare la contraddizione del momento attuale in materia di fruizione dei musei: da un lato si aboliscono finalmente alcuni divieti, come quello di fotografare, e si cerca di attrarre il maggior numero di visitatori in poche occasioni speciali; dall'altra, molti musei continuano ad essere luoghi isolati, lontani dalla comunità, capaci di ravvivarsi solo per un giorno, per una Notte al Museo o per una Invasione Digitali, in qualche modo "imposta" dall'esterno o dettata dalle "mode". Come fare affinché i musei possano diventare davvero "democratici", propositivi e aperti alla società, per usare un'espressione di David Fleming?

Bebè al museo

Foto: http://www.toledomuseum.org/learn/babytours/
In un post di alcuni mesi fa, "Lavorare con i bambini di età inferiore ai cinque anni" si era fatto cenno ai musei che hanno introdotto nei loro programmi alcune speciali attività didattiche per bambini molto piccoli, solitamente tra i due e i cinque anni; tuttavia, ci sono musei che non tralasciano di occuparsi anche dei neonati.


Infatti, i musei, in particolare i musei d'arte, sono una ricca fonte di stimolazione visiva per i bambini; portarli in questi ambienti fin dai primi mesi di vita aiuta a sviluppare la loro mente.  

I musei, allora, si organizzano per accogliere i genitori con neonati: il Louvre Lens, per esempio, organizza alcune speciali iniziative dedicate a bambini anche di soli nove mesi, con l'aiuto di un mediatore. Sono state programmate tre visite di mezz'ora (10.30-11.00): la prima si è già svolta domenica 14 settembre e le prossime sono previste le domeniche del 12 ottobre e del 9 novembre. Durante questo tempo i genitori potranno osservare le reazioni dei propri bambini davanti a una grande opera colorata. I bambini, infatti, si sottolinea nel sito del museo francese, già a tre mesi sono in grado di distinguere perfettamente i colori e di apprezzare i contrasti.


Oltre al Louvre Lens, oltreoceano, negli Stati Uniti, il Toledo Museum of Art  svolge visite molto simili e della durata, anche in questo caso, di trenta minuti, da 0 a 18 mesi. Nel sito del museo è possibile osservare una serie di immagini relative a queste attività. 

Forse, se si inizierà a frequentare i musei in così tenera età, si imparerà ad amarli e a considerarli ambienti familiari anche per il resto della vita! 



Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...