Piccoli e accoglienti, ecco la strategia vincente dei piccoli musei

"I musei accoglienti: una nuova cultura gestionale per i piccoli musei" è un convegno svoltosi lo scorso anno presso il MUV - Museo della civiltà Villanoviana, promosso dall’Assessorato alla cultura del Comune di Castenaso (BO) in collaborazione con l’Università di Perugia, ed ha avuto il pregio di focalizzare l’attenzione su quella che è una realtà imponente del patrimonio museale italiano: i piccoli musei. Questi, infatti, pur rappresentando la gran parte dei nostri istituti museali, ben il 90%, non hanno mai avuto una specifica cultura gestionale e di marketing che tenesse conto delle loro caratteristiche ed effettive esigenze. Ieri come oggi si continua erroneamente ad applicare a queste realtà le stesse regole messe a punto per i musei di grande dimensione. In realtà, come ha ribadito nel corso del convegno Giancarlo Dall’Ara, docente di marketing nel turismo presso l'Università di Perugia, i piccoli Musei non dovrebbero mai essere visti come “una versione ridotta dei grandi e anzi proprio l’idea che i “piccoli” siano dei “grandi incompiuti” è il peccato originale che ha impedito a molti di loro di riuscire ad avere un legame più forte con il territorio di appartenenza, di sviluppare un maggior numero di visitatori, ed in ultima analisi di poter svolgere la loro funzione”. Ma quale può essere la strategia più indicata affinché un piccolo museo possa mantenere inalterata nel tempo la sua capacità di attrarre visitatori? Ciò che è emerso da questo convegno è che il tema su cui è necessario incentrare l’attenzione è quello dell’accoglienza. E se quest’ultima può essere talvolta l’elemento più critico per i musei di grandi dimensioni, costretti a confrontarsi con un numero molto elevato di visitatori che rende necessario il ricorso a procedure standardizzate che penalizzano un rapporto più diretto ed immediato con le singole persone, essa può essere, invece, la carta vincente dei piccoli musei. Uno studio effettuato da Giampaolo Proni, Responsabile dell'Unità di Ricerca “La semiotica per il design dei beni culturali: i nuovi linguaggi dei media interattivi per il progetto di forme innovative di comunicazione dei beni culturali” (Università di Bologna), e da Davide Gasperi di Alba Pratalia (progetti e sviluppo di sistemi di comunicazione telematica e multimediale), ha dimostrato che in un grande museo, per esempio il Louvre, la visione di una grande opera come la Monna Lisa di Leonardo da Vinci si svolge in condizioni tali che la fruizione da parte del visitatore, per vicinanza, per durata e per intimità della situazione, resta un'esperienza molto parziale, addirittura inutile, tanto che questa visita può essere definita soltanto un “rito sociale”. In un piccolo museo, affermano Proni e Gasperi, avviene esattamente il contrario:  mentre al Louvre “sei uno tra i 25.000 visitatori quotidiani, da noi puoi conoscere gli altri e chiacchierare con loro. Al Louvre puoi vedere la Gioconda da 5 metri di distanza per 5 secondi, da noi puoi sedere di fronte alle opere e ammirarle senza fretta. Al Louvre hai a disposizione 6 caffé, 2 self service e un ristorante, da noi puoi scegliere qualsiasi bar del paese, o una delle tante trattorie. E il caffè lo offriamo noi...”. Parlare di accoglienza, però, è cosa ben diversa che trasformare i musei in parchi di divertimento come vorrebbero fare i sostenitori di un certo tipo di marketing. Lungi da noi questa prospettiva, perché il museo è e deve rimanere un luogo di cultura con la c maiuscola, ma questo non significa che debba essere scomodo, freddo e distante dalla comunità. Si tratta di individuare una giusta, unica strategia, ma anche metodi personalizzati che si adattino alle specifiche caratteristiche e risorse di ciascun museo. Piccoli fino in fondo è stato, in qualche modo, lo “slogan” del convegno, cioè “puntare sulla cura dei dettagli, instaurare relazioni calde con la comunità e con i visitatori”. Anche l’arredo, l’organizzazione degli spazi e dei servizi, ha spiegato Dall’Ara, ha la sua importanza. Per esempio, si dovrebbe cercare di rendere più piacevole il primo impatto con l’ambiente museo, sfuggendo l'effetto "biglietteria". Meglio evitare anche il sovraffollamento di oggetti esposti, preferendo esporne pochi alla volta, mutando periodicamente l’allestimento. Questo è molto più facile proprio in un piccolo museo ma, purtroppo, è una pratica ancora non molto diffusa, nonostante sia uno degli elementi fondamentali per mantenere sempre viva l’attenzione dei visitatori. Un luogo piccolo non deve essere privo, inoltre, di spazi destinati alla sosta e al riposo. Se il museo deve presentarsi come una sorta di “salotto” che accoglie i propri ospiti, non si può immaginare che sia privo di un qualunque tipo di “sedute”, come spesso accade, e non solo nei piccoli musei. Immaginiamo di essere invitati a casa di amici e di essere costretti a rimanere in piedi! Il rapporto con la comunità locale, poi, è quello che ha la maggiore rilevanza strategica; per questo motivo si suggeriscono alcune accortezze che favoriscano il pubblico residente, per esempio l’ingresso gratuito o altre iniziative specificamente rivolte ad esso. Questi sono solo alcuni dei consigli esposti nel corso del convegno, durante il quale sono state presentate anche alcune proposte, come il “manifesto dei musei accoglienti” e la “giornata nazionale del piccolo museo”, un appuntamento nazionale che mantenga sempre viva l’attenzione degli “addetti ai lavori”, dei media e del pubblico su questa importante realtà culturale del nostro Paese.



Caterina Pisu (ArcheoNews, febbraio 2011)

Fine del processo contro Marion True

Nessuna condanna per l’ex curatore del Paul Getty Museum: dopo cinque anni scadono i termini di prescrizione



Dopo cinque anni si conclude per decorrenza dei termini il processo a carico di Marion True, curatrice delle antichità del Paul Getty Museum di Los Angeles dal 1987 al 2005, accusata di associazione per delinquere, ricettazione e traffico illecito di beni archeologici. Il processo italiano contro la True, incentrato principalmente sull’acquisizione illegale di circa 35 manufatti acquisiti dal museo di Los Angeles tra il 1986 e la fine degli anni ‘90, era iniziato nel 2005; negli anni successivi il procedimento era stato portato avanti con molta lentezza finchè lo scorso 13 ottobre il giudice Gustavo Barbalinardo ha dovuto chiuderlo definitivamente per intervenuta scadenza dei termini di legge. Dalla sua residenza francese, la True avrebbe dichiarato di essere felice per la fine del processo, dicendosi «sollevata che sia passato il tornado che le ha distrutto la vita».



Il processo prosegue, invece, per il commerciante svizzero Robert Hecht, incriminato insieme alla True, a Giacomo Medici e ad altri trafficanti, ma la scadenza dei termini, luglio 2011, è ormai vicina anche per  questo processo.



Sia la True che Hecht hanno sempre negato ogni imputazione, ma il Pubblico Ministero Paolo Giorgio Ferri e i periti della Soprintendenza per i Beni Archeologici per l'Etruria meridionale, Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini, che hanno collaborato con il PM insieme al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, sono riusciti a ricostruire con estrema precisione e accuratezza, in tanti anni di indagini e di meticolose perizie, la provenienza illecita di tantissimi reperti archeologici acquistati dal Getty Museum.



Nonostante la mancata condanna della True, il bilancio di questi anni di lavoro del PM Ferri e del suo team è altamente positivo: innanzitutto la True è stata il primo curatore di museo americano ad essere stata sottoposta a procedimento penale all'estero per un’accusa di commercio illecito di antichità, e questo è già un risultato senza precedenti. Dalle testimonianze ascoltate durante il processo è emerso con chiarezza che Marion True era consapevole di acquistare le antichità attraverso canali non regolari. La sua incriminazione ha obbligato il mondo museale americano ad una profonda autocritica e a rivedere le proprie regole di acquisizione di nuove collezioni. Ora è sicuramente molto più difficile che un museo statunitense possa esporre una qualunque opera d’arte o un reperto archeologico senza essere in grado di dimostrarne la provenienza legale. Lo Stato italiano, da parte sua, ha incentivato la restituzione di reperti in cambio di prestiti a più lungo termine di quanto non si sia fatto finora. Ciò permetterà, quindi, ai musei americani di poter arricchire le proprie esposizioni in maniera lecita, sotto forma di prestito temporaneo.



Il secondo risultato importante è stato il colpo inferto alle organizzazioni criminali, tombaroli e trafficanti d’arte che in tanti decenni hanno imperversato nel nostro Paese saccheggiandone in modo illimitato l’inestimabile patrimonio archeologico. La difficoltà di poter avere, i grandi musei stranieri come principali committenti, come invece accadeva fino a poco tempo fa, produrrà sicuramente un contenimento dei traffici illeciti, sebbene restino ancora aperti altri canali, come quelli del collezionismo privato.



L’obiettivo principale del PM Ferri e del suo team, in ogni caso, è stato soprattutto quello di ottenere la restituzione dei reperti archeologici trafugati all’Italia. Già durante la gestione della True, prima dell’inizio del processo a suo carico, furono restituiti circa 3500 oggetti provenienti dal sito di Francavilla Marittima e la famosa kylix greca di Onesimos ed Euphronios. Successivamente, durante i cinque anni del processo, sono stati restituiti più di cento reperti in possesso non solo del Getty Museum ma anche di altri musei statunitensi, tra cui il Metropolitan Museum of Art di New York e il Boston Museum of Fine Arts. Tra tutti si ricorda il celebre cratere di Euphronios, vaso attico a figure rosse datato intorno al 510 a.C., ora esposto nel Museo Etrusco di Villa Giulia, il vaso di Asteas, un cratere a calice a figure rosse del 340 a.C. proveniente da scavi clandestini in Campania, gli acroliti di Demetra e Kore, risalenti al V secolo a.C. e provenienti da scavi clandestini a Morgantina, ora esposti nel Museo Archeologico di Aidone, mentre si attende nel 2011 la restituzione della Venere di Morgantina.



E’ ancora battaglia, invece, per l’atleta di Lisippo, tuttora reclamato dall’Italia, nonostante l’attuale responsabile della collezione Getty, Stephen Clark, abbia prodotto documenti sulla presunta buona fede del museo nell’acquisizione della statua bronzea. Circa un anno fa il gip Lorena Mussoni ha comunque deciso per la confisca, cui è seguito il ricorso in Cassazione della Fondazione Getty che, tuttavia, non sarà sospensivo della rogatoria né dell’azione civilistica, in quanto la confisca è una misura di sicurezza immediatamente esecutiva. Si spera, ora, in trattative diplomatiche tra Italia e USA che consentano il ritorno della statua in Italia ma, intanto, la Regione Marche, da cui proviene il prezioso reperto, è intenzionata a dare battaglia per ottenerne al più presto la restituzione.



Come ha scritto recentemente Fabio Isman su “Il Giornale dell’Arte”, non si può ignorare che la “brutta abitudine” di acquistare oggetti antichi di dubbia provenienza non appartiene soltanto ai musei d’oltreoceano ma anche ad importanti musei europei. Il caso più recente è proprio quello del Museo Archeologico Nazionale di Madrid che nel 1999 ha comprato una collezione privata in cui i già citati archeologi Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini hanno riconosciuto ben ventidue oggetti provenienti da scavi clandestini in Italia. Mi unisco a Isman nella speranza che lo Stato Italiano chieda al più presto la restituzione anche di questi reperti e che, con altrettanta urgenza, si favorisca la collaborazione internazionale, tenendo conto di passi importanti già fatti, come la Convenzione Unidroit (Convention on Stolen or Illegally Exported Cultural Objects), ratificata a Roma il 24 giugno 1995: essa è una soluzione di compromesso tra i vari sistemi giuridici del mondo intero ed è il risultato di dieci anni di lavori, cui hanno partecipato due organizzazioni internazionali, l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato (Unidroit) e l’UNESCO, oltre a numerosi esperti. Purtroppo, soltanto undici stati hanno ratificato la Convenzione Unidroit, mentre dodici si sono limitati alla semplice adesione. La Convenzione è stata ratificata dall'Italia con legge 7 giugno 1999, n. 213, ed è entrata in vigore il 1 aprile 2000. E’ ora assolutamente necessario impegnarsi per rafforzare ed estendere il più possibile la Convenzione Unidroit in altri Paesi, avviando trattative internazionali e pretendendo un impegno concreto per combattere la piaga del traffico illecito di beni culturali. E’ importante non abbassare la guardia perché se oggi la Svizzera sta perdendo il suo ruolo di snodo internazionale del traffico di reperti archeologici, grazie anche all’adozione di proprie leggi, molto più severe rispetto al passato, nel contempo si sono già consolidati altri percorsi di transito dei trafficanti e delle merci, diretti soprattutto verso l’estremo Oriente. A livello mondiale, infatti, il traffico di beni culturali saccheggiati continua ad essere tuttora il più cospicuo subito dopo il traffico di droga e di armi.



Caterina Pisu (ArcheoNews novembre 2010)

I musei si aprono al territorio


Gli ecomusei come “radici del futuro” per la valorizzazione del patrimonio culturale e lo sviluppo dell’economia locale

Negli ultimi trent’anni il concetto di museo si è gradualmente trasformato, allontanandosi dal modello di museo statico, racchiuso entro le mura di un edificio, per avvicinarsi al concetto di un museo dinamico, espanso, legato al territorio e all’identità culturale locale: gli ecomusei.

Antesignana della creazione degli ecomusei in Europa è stata la Francia, grazie a un’idea dei museologi francesi Georges-Henri Rivière e Hugues de Varine tra gli anni ’50 e ’60, nell’ambito delle teorie che animavano la Nouvelle Muséologie e che tendevano, appunto, ad un museo aperto all’esterno, non più legato esclusivamente al recupero del passato ma attento ad “incrementare il senso del presente” (Francesca Muzzillo).

In seguito, durante gli anni ’70, gli eco-musei si sono estesi, oltre che sul territorio francese, anche in molti altri paesi europei ed extraeuropei.

La Carta Internazionale degli Ecomusei definisce l’ecomuseo “un’istituzione culturale che assicura in forma permanente, su un determinato territorio e con la partecipazione della popolazione, le funzioni di ricerca, conservazione, valorizzazione di un insieme di beni naturali e culturali, rappresentativi di un ambiente e dei modi di vita che vi si sono succeduti”. Lo stesso Hugues de Varine ha specificato ancora meglio il concetto, evidenziando il ruolo fondamentale della comunità e slegando definitivamente il patrimonio culturale dall’idea di museo-contenitore: l’ecomuseo “è un’azione portata avanti da una comunità, a partire dal suo patrimonio, per il suo sviluppo. L’ecomuseo è quindi un progetto sociale, poi ha un contenuto culturale e infine s’appoggia su delle culture popolari e sulle conoscenze scientifiche. Quello che non è: una collezione, una trappola per turisti, una struttura aristocratica, un museo delle belle arti etc. Un ecomuseo che sviluppa una collezione importante e ne fa il suo obbiettivo non è più un ecomuseo, poiché diventa schiavo della sua collezione” (“Piccolo dialogo con Hugues de Varine sugli ecomusei”, http://terraceleste.wordpress.com/).

Questa definizione esprime la vera rivoluzione introdotta dagli ecomusei che, se ben disciplinata, può portare enormi vantaggi non solo per la valorizzazione del patrimonio archeologico, etnografico, artistico, architettonico e naturalistico, ma anche per l’economia di un territorio, a partire dal turismo, dalla salvaguardia dell’artigianato e delle tradizioni locali, per arrivare alla rivalutazione degli stessi musei locali di tipo tradizionale, inseriti nel sistema degli ecomusei, e alla valorizzazione delle aree archeologiche e naturalistiche, dei musei all’aperto e di ogni altra forma di musealizzazione del patrimonio locale.

A differenza degli enti museali con una gestione “centralizzata”, in certo qual modo gli ecomusei partono dal basso, cioè sono creati dalla stessa comunità di appartenenza e mostrano una forte connotazione identitaria. Secondo Hugues de Varine gli ecomusei rappresentano le “radici del futuro”, ovvero le possibilità di sviluppo per le nuove generazioni, legate alla vita e alla ricchezza collettiva. La cultura, le tradizioni, il paesaggio, diventano, così,  un’importante fonte di progresso per la comunità.

Il concetto di ecomuseo è strettamente collegato a quello del paesaggio. Se giuridicamente l’accezione della valenza del paesaggio quale realtà etico-culturale non è usuale, se ne trova una descrizione puntuale nella Convenzione Europea del Paesaggio, sottoscritta il 20 ottobre del 2000, a Firenze, da un Comitato di Ministri della Cultura e dell’Ambiente di ventisette Stati europei. Nel documento si delinea il concetto di paesaggio, inteso come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle persone, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (Convenzione Europea del Paesaggio, traduzione non ufficiale, Articolo 1). Nel preambolo, inoltre, si legge che “il paesaggio coopera all'elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell'Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell'identità europea”. L’Art. 5 esprime l’impegno a “riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità”. E’ ben chiaro, quindi, il riferimento al paesaggio come facente parte del patrimonio culturale e, pertanto, tornando alla definizione di ecomuseo inizialmente formulata, si può affermare che l’ecomuseo rappresenta uno strumento essenziale per attuare quanto espresso e raccomandato dalla Convenzione Europea del Paesaggio.

Una ricerca del 1999 di Peter Davis ha calcolato non meno di 166 ecomusei in 25 paesi. Oggi,  l’Osservatorio degli Ecomusei (osservatorioecomusei.net), che dispone dell’archivio on-line più completo del mondo, ne ha recensiti 400 fra operativi e in cantiere. In Italia, la concentrazione maggiore si registra in Lombardia e in Piemonte. Possiamo dire che oggi il nostro Paese è all’avanguardia in questo settore con una organizzazione ampia e riconosciuta a livello regionale e provinciale; fenomeno, per esempio, non  riscontrabile in Francia che, pur essendo terra di origine degli ecomusei, tende ancora a privilegiare e a consolidare i musei di tipo tradizionale.

Certamente l’Italia, rispetto ad altri paesi, può vantare un’incredibile ricchezza e varietà di testimonianze culturali profondamente radicate nei territori e distribuite in modo così capillare da dare impulso quasi spontaneamente a questa forma di musealizzazione. Ciò spiega il notevole incremento degli ecomusei registrato in Italia questi ultimi anni, molti dei quali sono anche già in rete (una lista completa degli ecomusei e dei siti web loro dedicati può essere consultata su www.ecomusei.net).

La possibilità di creare un collegamento tra  le varie manifestazioni della cultura locale, cioè l’attuazione di un sistema di raccordo che ne faciliti la conoscenza e la fruizione, prospetta un modello di investimento nel proprio territorio che coinvolge molti soggetti: regioni, province, enti locali, associazioni, fondazioni. Il gestore dell’ecomuseo, infatti, può essere non solo un soggetto pubblico ma anche un soggetto privato; sono poi le varie leggi regionali che specificano quale conformazione giuridica può essere prevista per il soggetto gestore. Un’apertura al privato in questo caso non sarebbe in alcun modo negativa, in quanto faciliterebbe il contributo diretto di soggetti non pubblici in una logica di effettiva cultura della partecipazione. Oltre alle associazioni e alle fondazioni, negli ultimi anni si sta considerando una terza forma giuridica, rappresentata dalle Fondazioni di partecipazione. Si tratta di un istituto senza scopo di lucro, a metà tra l’associazione e la fondazione, cui è possibile iscriversi sia contribuendo finanziariamente o con la donazione di beni materiali, sia mettendo a disposizione professionalità o servizi. A differenza delle fondazioni, possono entrare nuovi membri anche successivamente alla sua costituzione e ciò la rende uno strumento molto più flessibile e più simile alle associazioni. In pratica la Fondazione di partecipazione è il frutto dell’interpretazione giuridica tesa ad innestare l’impianto della fondazione nella dinamicità associativa. Tale soluzione permetterebbe meglio di altre la collaborazione tra pubblico e privato, introducendo alcuni importanti vantaggi nella gestione, come l’autonomia (soprattutto da eventi di natura politica che spesso condizionano le pubbliche amministrazioni) e l’efficienza operativa, dato il concorso di varie professionalità. Chiaramente, il rapporto tra la comunità locale di riferimento e la Regione/Provincia autonoma, rappresenta sempre il livello organizzativo principale, mentre il rapporto tra gli enti pubblici ed il gestore del progetto costituisce il secondo livello. 

Il rapporto tra Regione/Provincia autonoma e soggetto gestore è di norma regolato da un accordo o da una convenzione. Quasi sempre è richiesta espressamente la presenza di un soggetto responsabile del progetto e l’utilizzo di personale competente. Notevole importanza è data alla figura del Direttore dell’ecomuseo che dovrà essere in possesso di requisiti tecnici adeguati allo svolgimento del suo ruolo, in grado di coordinare e dirigere tutti i soggetti di diritto pubblico e privato che partecipano al progetto (dal 2004 la Regione Toscana considera la figura del direttore obbligatoria nei musei anche per accedere ai contributi regionali e statali).

Per il resto è garantita l’autonomia dei soggetti partecipanti, data l’eterogeneità dei progetti ecomuseali, legati a realtà culturali e territoriali molto diverse tra loro, difficili da ricondurre a ben definiti modelli standardizzati, anche se una proposta di classificazione, in realtà, è stata avanzata da Andrea Del Duca in occasione dell’Incontro Nazionale Ecomusei, (Biella 9-12 ottobre 2003); essa si basa sulla suddivisione degli ecomusei in quattro principali modelli organizzativi a seconda che gli ecomusei siano più o meno strutturati oppure che siano a carattere spontaneistico e, inoltre, a seconda che siano dotati di personale specifico per il progetto ecomuseale, con una organizzazione autonoma che coinvolga varie realtà culturali locali o, invece, di personale già impiegato per altri compiti.

In ogni caso, qualunque siano le caratteristiche dell’ecomuseo, è fondamentale che la sua realizzazione e la sua gestione prevedano sempre “la partecipazione della popolazione che trova in esso uno strumento di presa di coscienza ed espressione del suo patrimonio culturale e del suo sviluppo…” (Georges Henri Rivière).

Le modalità di questa partecipazione si potranno definire di volta in volta in base alle esigenze e alle peculiarità del territorio, per esempio anche attraverso il prezioso apporto del  volontariato che in Italia vanta una tradizione esistente dalla fine del XIX secolo. Fra le varie organizzazioni sono da citare il Gruppo Archeologico Romano (GAR, 1963), l’Archeoclub d’Italia (1971), il Fondo Ambiente Italiano (FAI, 1975), l’Associazione dimore storiche (1977), gli Amici dei Musei (FIDAM, 1975), Italia Nostra (1955), Legambiente (1980), WWF (1966) e Touring Club (1894) che da molti anni operano con successo in tutto il territorio nazionale e il cui ruolo come supporto nella gestione degli ecomusei  potrà essere sempre più significativo.

Caterina Pisu, ArcheoNews (settembre 2010)

BENI CULTURALI: GALAN, CRESCE DEL 29,31% PUBBLICO 'NOTTE DEI MUSEI'

(ASCA) - Roma, 16 mag - ''Grande successo per la III edizione della Notte dei Musei''. E' quanto ha dichiarato il Ministro per i Beni e le Attivita' Culturali, Giancarlo Galan secondo il quale, stando ai primi dati, ha visto protagonisti oltre 110.000 visitatori nei musei e nei siti archeologici statali aperti gratuitamente al pubblico in orario serale e notturno per l'occasione, con un incremento straordinario dell'29,31% rispetto al 2010.


Di particolare rilevanza sono i risultati ottenuti al MAXXI, di recente inaugurazione (6.878 presenze); al Barberini che entro il 2013 verra' integralmente restaurato (3.280 presenze); alla Galleria degli Uffizi e Corridoio Vasariano (+62,61%); alla Galleria dell'Accademia di Firenze (+38,10%); al Museo di Capodimonte (+35,95%); al Museo di Palazzo Ducale (+46,77%); alla Galleria Nazionale delle Marche (+159,28%); alla Galleria Sabauda (+18,06%); al Castello Svevo (+12,78%).


''Questi dati - ha detto Galan - confermano quanto sia amato il nostro patrimonio culturale e al contempo incoraggia noi tutti nella scrupolosa opera di tutela della straordinaria eredita' storico artistica del nostro Paese''.


com-gc/

I musei in Russia: presente e futuro

Intervista a Vladimir Ilytch Tolstoj nell’anno della Cultura e Lingua Russa in Italia e della Cultura e Lingua Italiana in Russia


Il 2011 è dedicato alla Cultura e Lingua Russa in Italia e viceversa. In Italia il primo evento è quello che si è aperto a Firenze, presso la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, lo scorso 8 febbraio, e che durerà fino al 30 aprile, dal titolo “Dall’icona a Malevich. Capolavori dal Museo Russo di San Pietroburgo”. E’ con grande piacere, quindi, che ho rivolto alcune domande a Vladimir Ilytch Tolstoj, presidente dell’ICOM-Russia e direttore della casa-museo di Lev Nikolaevich Tolstoj, a Jasnaja Poljana, il quale ha concesso questa intervista in esclusiva per ArcheoNews.


- Dott. Tolstoj, in occasione dell’apertura dell’anno della cultura Italia-Russia, è avvenuto l’incontro tra il Ministro della Cultura italiana, Sandro Bondi, e il Ministro della Cultura della Federazione Russa, Alexander Avdeev. In questa occasione, Avdeev ha ricordato gli stretti rapporti tra le nostre due culture e, in particolare, il ruolo degli architetti italiani negli edifici di prestigio delle principali città russe. Secondo lei, in che modo l’Italia, ancora oggi, è presente nella cultura russa?


E’ un tema vastissimo perché la cultura italiana si intreccia con quella russa da secoli, anzi, possiamo dire che è parte di essa. Se parliamo dell’architettura di Mosca e di San Pietroburgo, noi russi la percepiamo assolutamente come nostra anche se sappiamo benissimo che gli autori di questi capolavori sono di origine italiana.  Lo stesso si può dire sia per la musica classica, soprattutto per l’opera - nessun russo colto può immaginare la sua vita senza Verdi, Rossini, Puccini, etc. -  che per la pittura italiana - la quale annovera grandi personaggi come Leonardo da Vinci, Michelangelo – e infine per la letteratura italiana, pensiamo a Dante, Boccaccio etc. La cultura italiana è una parte importante della cultura mondiale e pertanto essa è percepita come la propria da ogni popolo. Oltre alla cultura nazionale, infatti, esiste anche una cultura più ampia, che supera tali confini ed è altrettanto importante per ciascuno di noi. Tornando al caso specifico della Russia, così come abbiamo detto che la cultura italiana ha avuto una particolare influenza sull’arte russa e su altri aspetti del patrimonio culturale russo, d’altra parte ci auguriamo che personaggi russi come Tolstoj, Dostoevskij, Čechov, Čajkovskij, abbiano influito ugualmente sulla cultura italiana, immaginando, in tal modo, un’originale forma di reciproca interconnessione. Ora, quando è stato dato avvio all’anno degli scambi tra le culture russe e italiane, sono sorti numerosissimi progetti interessanti che hanno coinvolto, tra gli altri, anche la tenuta di Jasnaja Poljana (la casa del grande scrittore russo Leo Nikolaevich Tolstoj), e ciò mi ha fatto molto piacere. La mostra Tolstoj e Leopardi”, che è uno di questi progetti, si svolgerà in entrambi i Paesi - prima in Italia, dopo in Russia, proprio a Jasnaja Poljana. Giacomo Leopardi forse non è una figura molto presente nella coscienza culturale russa, così come lo sono sicuramente Dante e Boccaccio, ma scoprire una personalità così brillante sarà senza dubbio interessante per noi Russi e produrrà sviluppi affascinanti: già sono emersi paralleli straordinari con le vite di scrittori russi come, per esempio, Puškin. Siamo molto lieti, pertanto, di aver promosso tale progetto e ci auguriamo che gli italiani, ai quali porteremo, invece, gli oggetti appartenuti a Tolstoj, lo trovino ugualmente interessante. Oltre a questo, realizzeremo insieme agli italiani anche altri progetti: per esempio, abbiamo proposto di organizzare due mostre di pittori italiani contemporanei a Jasnaja Poljana.


- Il patrimonio museale russo è immenso e lei, in qualità di Presidente dell’ICOM-Russia, può illustrarci l’attuale situazione. In Italia, come in tutta Europa, i musei stanno attraversando un momento di crisi legato soprattutto alla mancanza di risorse economiche. In che misura i musei russi stanno vivendo questo problema, se esiste anche nel vostro Paese e, in questo caso, quali soluzioni avete adottato per garantire il buon funzionamento dei vostri musei?


La domanda è molto attuale perché in tutto il mondo i processi di trasformazione delle istituzioni museali, nel corso degli ultimi decenni, hanno raggiunto anche la Russia e, oggi, si può parlare di difficoltà comuni sebbene permangano le peculiarità che distinguono i vari Paesi. Generalmente il problema, anche per noi, riguarda i finanziamenti: lo Stato taglia i fondi alla cultura e, in particolare, al settore museale, “spingendo” sempre di più i musei verso attività concorrenziali tipiche del mercato libero e verso il settore dei servizi, ma non verso la conservazione dei beni culturali. Anche noi, in questo senso, soffriamo la pressione dello Stato, il quale si allontana sempre di più dalle sue precise responsabilità di tutela del patrimonio culturale. Nonostante ciò i musei russi stanno cercando di reagire. L’unione dei musei russi, l’ICOM-Russia, sta cercando di rafforzare le sue posizioni per contrastare i cambiamenti giuridici in atto. A differenza di quanto avviene in Europa, però, un problema tipicamente russo è la questione che riguarda il patrimonio culturale di carattere religioso, il quale, in base alle nuove leggi previste, dovrà essere restituito alle organizzazioni religiose. Si tratta di una situazione senza precedenti che fa sì che lo Stato, attuale proprietario dei beni immobili - edifici e dei monumenti - e dei beni mobili – collezioni museali - perderà la proprietà di tale patrimonio (per ora si parla solo dei beni immobili), denazionalizzandolo e trasformandolo in proprietà privata delle organizzazioni religiose, in primis della Chiesa ortodossa russa. Ciò sta avvenendo massicciamente e non si tratta di singoli casi ma di una disposizione generale fondata su una base normativa e realizzata secondo la legge. Per ora è stato possibile salvare soltanto la proprietà mobile, inoltre il patrimonio museale conservato nei depositi della Federazione Russa non è soggetto alla restituzione, ma non sono sicuro che tale situazione resterà immutata. Quando la Chiesa chiede di riavere le icone che fanno parte delle collezioni museali, a volte si possono trovare dei compromessi, mediante cessioni temporanee, ma oltre alle icone, le collezioni a carattere religioso comprendono anche gli abiti sacri ed altri oggetti di culto. Ciò rappresenta un grande problema per alcuni musei perché non di rado le collezioni sono composte esclusivamente da oggetti di carattere religioso, come i musei storici della religione, per esempio il Museo Etnografico di San Pietroburgo, il Museo Statale di Storia a Mosca e il Museo del Cremlino. Possiamo dire, infatti, che la storia della cultura russa ha molto spesso origini religiose. Per esempio, è difficile stabilire se le icone di Andrej Rublev sono da considerarsi solo opere d’arte oppure anche oggetti sacri ai quali spetta un posto all’interno di una chiesa. Forse per i colleghi italiani è più facile comprendere tale problema se si fa un paragone con le opere di tanti maestri rinascimentali che sono tuttora conservati nelle vostre chiese. Mentre in Russia la questione si sta risolvendo a favore delle organizzazioni religiose, sarebbe difficile immaginare che la Chiesa cattolica richiederà mai indietro le opere a carattere religioso che sono nei musei italiani. Un altro problema dei musei russi riguarda la conservazione del patrimonio museale: non sempre i musei sono adeguati allo svolgimento di questa funzione - a parte i musei più grandi, come l’Ermitage – ma, in generale, la situazione da noi è allarmante e, purtroppo, non sono adeguate anche le soluzioni adottate dal Ministero della Cultura, dal Ministero delle Finanze e dal Ministero dello Sviluppo Economico. Mi riferisco, in particolare, al progetto di creazione di grandi depositi centralizzati nei quali saranno concentrate tutte le opere d’arte che attualmente sono collocate nei magazzini dei singoli musei. Il piano prevede l’allestimento di otto grandi depositi, uno per ciascuna delle otto regioni federali nelle quali è divisa la Federazione Russa. La costruzione di ogni deposito costerà un miliardo di rubli. Immaginate la situazione in cui si verrà a trovare Novosibirsk, il capoluogo del distretto federale della Siberia, in cui saranno raccolti i fondi museali di  tutte le altre città della propria regione, Irkutsk, Krasnojarsk, Omsk, Tomsk, Kemerovo, etc., per non parlare dei piccoli musei, in cui resteranno soltanto le esposizioni permanenti. Tutto sarà concentrato in questi moderni depositi, i quali, però sono anche difficilmente accessibili: ciò significherà privare del proprio patrimonio culturale la popolazione di vastissime regioni. Inoltre, per trasportare, accompagnare, salvaguardare, assicurare e organizzare il personale che dovrà spedire e ricevere gli oggetti dai musei a questi magazzini, saranno necessari altri miliardi di rubli. Ritengo, pertanto, che l’idea sia disastrosa.  Il problema è, a mio avviso, così serio che vorrei tentare di organizzare un incontro dell’Icom-Russia con il Presidente russo Dmitri Medvedev per chiedergli di bloccare l’attuazione di tali decisioni. C’è anche da dire che per tanti russi – soprattutto per gli abitanti delle piccole città – i musei locali sono notevolmente più importanti dei musei della capitale. La maggior parte della gente, infatti, non può permettersi di muoversi all’interno del paese, di viaggiare dalla Siberia e dal lontano Oriente per raggiungere i musei di San Pietroburgo o di Mosca – solo  pochi possono superare distanze così lunghe. Inoltre non tutti sono attrezzati all’uso di internet e quindi non possono accedere ai siti web dei musei per vedere le collezioni museali – considerando sempre che, comunque, questo tipo di “visita” ha caratteristiche differenti da una visita reale. Noi, pertanto, cercheremo di contrastare in ogni modo l’applicazione di questi provvedimenti. I finanziamenti stanziati potrebbero essere distribuiti non tra le sole otto regioni ma, almeno, tra tutti i musei federali che esistono all’interno della Federazione Russa e, in questo modo, potranno essere costruiti non otto, ma ottanta depositi adeguati. I governatori, infatti, non potranno che essere d’accordo: è assurdo che il governatore di Krasnojarsk, per esempio, sia favorevole all’invio a Novosibirsk dei fondi museali dei propri magazzini. Eppure è questo il provvedimento stabilito dalle proposte di legge, ed esistono lobbies molto potenti che trovano la loro convenienza in questa operazione. Prima di tutto ne avrebbero dei vantaggi i collezionisti privati di Mosca, di San Pietroburgo e di altre grande città, i quali hanno investito grosse somme per acquistare le opere d’arte e per questa ragione non possono e non vogliono conservarli a casa. Per loro questa è una soluzione ideale perché tali depositi saranno costruiti a carico dello Stato e in essi si permetterà di collocare anche le collezioni private in base a precisi accordi.  Ciò è conveniente anche ad alcuni funzionari di stato per vari motivi, tra cui la corruzione e l’avidità. Sarà molto difficile contrastare tale stato di cose. Comunque, le associazioni museali russe sono abbastanza forti. L’autorità dell’ICOM-Russia è notevole; abbiamo non solo il diritto di esprimerci, ma le nostre opinioni hanno il loro peso sia a livello del Ministero della Cultura sia a livello governativo. In ogni caso, non è possibile non considerare che i musei russi stanno attraversando un periodo di transizione che includerà vari cambiamenti normativi, indirizzati soprattutto alla riduzione degli oneri da parte dello Stato. Riguardo i piccoli musei municipali, lo Stato è orientato a garantire loro un minimo finanziamento, ma nello stesso tempo essi saranno privati della propria creatività e della possibilità di agire liberamente. Ai musei più grandi, invece, che devono necessariamente essere attivi, si propongono due modalità, dal finanziamento preventivo, assicurato dallo Stato, al finanziamento tramite un sistema dei sussidi e sovvenzioni, dove lo Stato stesso stabilisce quale parte finanziare. Per ogni altra necessità i musei dovranno provvedere a sé stessi autonomamente.


- In base alle vostre indagini sul tipo di visitatori che frequentano abitualmente i musei russi, mi può dire qual è il profilo del “visitatore tipo”? La visita al museo è una prassi diffusa presso tutte la categorie sociali oppure vi è una prevalenza di determinate categorie? In che modo cercate di promuovere i vostri musei?


Come in ogni società, anche noi abbiamo alcune categorie di persone che non s’interessano dei musei e che non li hanno mai frequentati nella loro vita. Ovviamente i nostri visitatori sono costituiti, prima di tutto, dall’intellighenzia, cioè da persone che sono coinvolte in attività culturali, laureati, insegnanti, etc., ed anche da persone semplicemente attratte dalla cultura. Tra le fasce di età più giovane sono presenti sia gli adolescenti che i bambini più piccoli, di età pre-scolastica, ma la  percentuale più alta è rappresentata dal pubblico liceale e universitario.  Se ci riferiamo più specificatamente al nostro museo, abbiamo registrato un aumento del numero di visitatori dall’estero. E’ abbastanza difficoltoso lavorare con gruppi specifici di visitatori – noi cerchiamo semplicemente di essere sempre interessanti per tutti. Il nostro museo, la tenuta storica di Jasnaja Poljana, ha il problema delle visite a numero chiuso ma senza tale limitazione sicuramente avremmo un maggior numero di visitatori.


- Qual è il rapporto tra i musei e le scuole russe? La didattica museale è una pratica educativa diffusa?


La didattica museale rappresenta una parte essenziale delle attività dei musei russi. Ci sono diversi programmi formativi nei vari musei ed esistono dipartimenti di didattica museale. Possiamo anche dire che da noi si svolge un’esperienza abbastanza interessante e in qualche modo unica, quella dell’asilo di Jasnaja Poljana. La nostra sezione di pedagogia museale ha una collaborazione fissa annuale con le scuole elementari, che permette ai bambini di venire a contatto con le tradizioni del podere e del villaggio russo. Per i ragazzi più grandi, invece, abbiamo il movimento “Fraternità delle formiche” entro la quale i giovani vengono a Jasnaja Poljana ogni anno e partecipano ai  campeggi estivi. La mia personale convinzione, non condivisa da tutti i miei colleghi, consiste nell’idea che alcuni musei siano in grado di gestire in modo indipendente anche delle vere e proprie scuole. Per esempio, presso il Museo Russo funziona un ottimo liceo. Si potrebbe anche far rinascere la tradizione del liceo di Carskoe Selo (palazzo imperiale a 25 km da San Pietroburgo), il quale diventerebbe una parte importante del museo. Esattamente come il ginnasio di Jasnaja Poljana, fondato dalla figlia di Leo Tolstoj, Alessandra – che secondo il mio parere potrebbe funzionare assai più efficientemente come istituzione formativa se facesse parte dell’intera struttura di Jasnaja Poljana. Non abbandono questa idea e sto tentando di trovare delle soluzioni per realizzarla. Purtroppo ciò si scontra con l’atteggiamento burocratico e la mentalità chiusa che ancora esiste nell’ambito della Federazione Russa, per la quale le istituzioni formative appartengono al Ministero e ai Dipartimenti dell’Istruzione, mentre i musei devono fare capo al Ministero e ai Dipartimenti della Cultura. Ci sono anche altri ostacoli e barriere connessi con i finanziamenti federali, con i rapporti con i soggetti burocratici della Federazione e con quelli dei municipi. Non sarà facile individuare il giusto sistema per unire i musei e le scuole, ma personalmente lo proporrò di nuovo, almeno come sperimentazione. Ciò permetterebbe di modificare permanentemente tutto il sistema della formazione russa dall’età prescolastica fino al livello universitario.


- Il problema dell’accessibilità dei musei oggi può essere in parte migliorato grazie alle moderne tecnologie. Come si stanno attrezzando i musei russi per venire incontro alle esigenze dei portatori di handicap?


Purtroppo la maggior parte dei nostri musei non è adeguata alle necessità dei portatori di handicap. Quando si costruiscono nuovi edifici museali, questo aspetto è preso in considerazione e, talvolta, anche le vecchie strutture vengono adattate a tali esigenze. I piccoli musei, invece, spesso risentono della mancanza di finanziamenti. Riguardo il nostro caso specifico, per le particolarità architettoniche e monumentali della casa di Tolstoj, i portatori di handicap non hanno la possibilità di visitare il secondo piano e nessuna innovazione tecnologica ci può aiutare. L’unica soluzione è la costruzione di edifici speciali dove esporre gli oggetti della casa; questi tipi di strutture possono e devono essere adeguate alle esigenze dei portatori di handicap. Riguardo alla tecnologia – se in ciò intendiamo i mezzi multimediali moderni - allora si può dire che i musei più avanzati tendono a rispondere alle esigenze del tempo. Tanti musei sono dotati di siti web di alta qualità, della possibilità di svolgere visite virtuali ed altre tecniche moderne. Certamente i musei russi sono più indietro rispetto ai musei cinesi o, generalmente, a quelli del Sud-Est asiatico, dove è assai diffuso l’impiego delle tecnologie moderne in ambito museale. Uno dei nostri obiettivi futuri è creare un catalogo digitale; sarà un lavoro lungo, ma stiamo cercando di superare il ritardo rispetto ad altri paesi.


- Durante l’anno della cultura Italia-Russia, dieci regioni russe saranno coinvolte negli scambi culturali con altrettante regioni italiane; in questa circostanza i giovani di entrambi i paesi, soprattutto giovani attori, pittori, poeti e scrittori potranno partecipare a stages formativi in cui esprimeranno la propria creatività. Gli italiani saranno accolti nella residenza del grande romanziere Lev Tolstoj, Jasnaja Poljana, la casa-museo da lei diretta. Lei è uno dei discendenti di Tolstoj. Che cosa rappresenta per lei questa importante eredità famigliare?


Sì, in realtà abbiamo pianificato qualcosa di simile alla scuola estiva per scrittori e traduttori italiani a Jasnaja Poljana – lo faremo insieme con il nuovo Istituto della Traduzione e all’Agenzia Federale dei Media e Comunicazione di Massa. Stiamo per organizzare diversi progetti di scambio e ne sono molto lieto. Come discendente di Lev Nikolaevich Tolstoj, tengo molto al fatto che negli ultimi decenni è stato possibile stringere definitivamente i contatti con i discendenti dello Scrittore abitanti in Italia. Sono molto felice che questi legami famigliari, per esempio, abbiano portato i discendenti di Tolstoj ad imparare la lingua russa. In questo periodo la pronipote di Tolstoj, Chiara Albertini, sta svolgendo un tirocinio annuale in Russia, a Jaroslavl’. Anche le generazioni più vecchie si stanno impegnando seriamente nell’apprendimento della lingua russa e, ovviamente, ciò non può che farci piacere.  Probabilmente, è proprio grazie a Jasnaja Poljana che la famiglia di Tolstoj non si è dissolta, e tutti noi lo apprezziamo molto.


- La ringrazio per la sua cortese disponibilità e mi congedo da lei augurandomi che i rapporti tra Italia e Russia siano sempre più stretti, amichevoli e proficui.


Senza dubbio, l’Italia è uno dei paesi più amati da me per tanti motivi. Mi piacciono molto le varie regioni del Paese, le diverse città, la gente. Ho contatti molto amichevoli con l’Italia, i quali si accrescono e si rafforzano ogni anno di più. Ho un rapporto molto piacevole con la regione Marche con la quale stiamo organizzando la mostra “Tolstoj e Leopardi” – però non vorrei offendere le altre splendide regioni. Per me, come per tante persone, l’Italia rappresenta un paese continuamente affascinante e meraviglioso. Amo tutto dell’Italia: la gente, la natura, la cultura, lo stile di vita, il carattere. Studiavo l’italiano all’università, ne capisco la lingua, la leggo, ma non so parlarla molto bene; però, quando sono in Italia per un certo periodo, sento che potrei anche iniziare a parlarla. A questo proposito, quando ho incominciato a lavorare a Jasnaja Poljana come direttore, organizzavamo brevi visite di gruppi di collaboratori museali nelle città e nei musei d’Italia. Purtroppo, abbiamo dovuto interrompere questa consuetudine, anche se ricomincerei molto volentieri.


Caterina Pisu, Konstantin Vekua (ArcheoNews, aprile 2011)

I Musei aziendali: l’incontro vincente tra industria e cultura

L’istituzione museale, attraverso un lungo e articolato processo di auto-analisi, è sempre più orientata verso una maggiore interazione con la collettività cui appartiene. I nuovi “pubblici” dei musei manifestano le stesse esigenze della società moderna; così, rispetto a cinquant’anni fa c’è ora una ricerca molto più incisiva di nuovi strumenti di comunicazione anche in ambito museale.

Uno delle effetti di questi cambiamenti è la nascita, negli ultimi decenni, di  più attuali modelli di museo che spesso si contraddistinguono proprio per una maggiore vocazione alla “comunicazione”: un caso interessante è quello dei musei aziendali o musei d’impresa, cioè di quei musei che raccontano la storia di un’azienda facendo conoscere i valori etici e imprenditoriali su cui essa si fonda e nel contempo salvaguardando importanti patrimoni documentali appartenenti alle imprese. I Musei aziendali rivestono, da questo punto di vista, una innegabile importanza come strumenti di ricostruzione storica del processo di industrializzazione nel nostro Paese.

Ci sono, poi, altri aspetti che rendono interessante questa categoria museale: per esempio la loro rapida diffusione, negli ultimi decenni, su tutto il territorio nazionale anche grazie al potenziamento del cosiddetto “turismo industriale”. Secondo Museimpresa, l’Associazione Italiana Archivi e Musei d’Impresa promossa da Assolombarda e Confindustria, in base al censimento più recente si calcolano, oggi, circa 250 musei aziendali; si tratta, però, di una cifra più bassa del reale in quanto una rilevazione statistica precisa delle presenze è molto difficile da attuare e inoltre bisogna considerare che in questo numero non sono compresi gli archivi e neppure i musei territoriali, volendo estendere la categoria dei musei aziendali anche a questi.

La maggior parte dei musei aziendali è nata tra gli anni ottanta e l’inizio degli novanta e la concentrazione maggiore è nel nord Italia, essendo questa l’area più industrializzata del Paese. I visitatori sono in prevalenza scolaresche e studenti universitari, ma in alcuni casi si registra un buon afflusso anche di turisti, specialmente se i musei aziendali entrano a far parte delle reti museali provinciali e regionali.

C’è anche da dire che questi musei potrebbero rappresentare sempre di più, in futuro, proprio per le potenzialità che presentano, anche una valida occasione di impiego per i professionisti museali. Monica Amari (I Musei delle aziende. La cultura della tecnica tra arte e storia, ultima edizione Milano 2007) riferisce che, sulla base di un questionario inviato a circa duecento aziende, è da rilevare la presenza di un curatore nel 73% dei musei, collezioni e archivi aziendali.  Già in un articolo del Corriere della Sera di undici anni fa (26 giugno 1998), Felice Fava prospettava una crescita delle opportunità di lavoro nel settore dei musei aziendali.

In realtà, a fronte del moltiplicarsi di corsi universitari e master rivolti alla formazione dei cosiddetti “manager culturali”, è bene sapere che le probabilità di inserimento in questo settore, così come in tutti gli ambiti che riguardano i Beni culturali, sono ancora molto basse. La speranza è che l’incremento di questi modelli di museo conduca prima o poi, date anche le finalità auto-promozionali, ad una competitività tra le aziende anche sul terreno dell’investimento in cultura, a vantaggio dei giovani esperti museali.

Intanto si moltiplicano le iniziative di studio e di dibattito sulla cultura d’impresa: è dello scorso novembre l’VIII Edizione della Settimana della Cultura d’Impresa promossa da Confindustria che ha visto un vasto programma di rassegne cinematografiche, workshop, laboratori creativi, visite guidate, convegni e dibattiti, tutti indirizzati a sottolineare l’impegno delle aziende nella conservazione e nella valorizzazione dei propri archivi e musei. Le stesse imprese, poi, propongono sempre più spesso mostre temporanee, incontri ed eventi di ogni tipo.

Per un approfondimento dell’argomento si consiglia la lettura del già citato volume di Monica Amari che presenta anche un accurato elenco delle collezioni e dei musei aziendali in Italia con relativa scheda e utili informazioni di contatto. Un riferimento importante è anche il sito web ufficiale di Museimpresa, www.museimpresa.com.



Caterina Pisu (ArcheoNews, dicembre 2009)

Il bersaglio di Herity

Nuovi metodi internazionali di valutazione dei musei

In questi ultimi anni sono state varie le iniziative volte a definire gli standard di funzionamento e la qualità dei servizi in ambito museale e, più in generale, in tutto il settore dei beni culturali. In questa direzione opera Herity, (Organismo Internazionale per la Gestione di Qualità del Patrimonio Culturale), organizzazione non governativa che nasce nel 2003 su iniziativa dell’Ente Interregionale Programmazione Culturale e Turistica (DRI) per venire incontro all’esigenza di amministrare nel modo più razionale possibile il capitale dei beni culturali. La finalità di Herity è la diffusione del sistema di certificazione denominato HGES (Herity Global Evaluation System), condiviso internazionalmente e di cui l’Italia è il paese pilota.

Il metodo, che consiste in una valutazione periodica (da ripetersi ogni tre anni) attraverso l’utilizzo di parametri scientificamente accettati, è applicabile a tutti i beni culturali: musei, biblioteche, archivi, siti archeologici, monumenti, chiese e palazzi storici, purché aperti al pubblico.

Il sistema rende disponibile per il pubblico un modello multidimensionale che indica lo stato di monumenti, siti archeologici, musei, biblioteche e archivi. Tale modello, di facile lettura, si presenta graficamente come un “bersaglio” suddiviso in quattro quadranti, ciascuno dei quali rappresenta la rilevanza percepita, lo stato di conservazione, la comunicazione trasmessa, i servizi offerti al pubblico. Il livello raggiunto dai singoli musei è espresso in una scala da 1 a 5. Il bersaglio viene quindi apposto sul luogo certificato e utilizzato anche nel materiale a stampa, reso disponibile per il pubblico, e in Internet.

Il “bersaglio” è solo il risultato finale di una lunga e complessa procedura di valutazione dei musei, durante la quale vengono prese in considerazione 3 fonti: l’autovalutazione dei responsabili dei beni culturali, una expertise internazionale (tre esperti internazionali) e l’opinione raccolta presso il pubblico.

Come ha dichiarato Maurizio Quagliolo, Coordinatore Generale di Herity, in un’intervista rilasciata a Fausto Natali per la rivista Siti (Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO):coinvolgere il pubblico nel processo significa avere una formidabile opportunità di successo. A sua volta il coinvolgimento del pubblico richiede accuratezza dell’informazione. L’accuratezza dell’informazione migliora la conoscenza dello stato di un monumento, anche da parte degli addetti ai lavori. E’ qui la differenza di Herity: nasce appositamente per il Patrimonio Culturale e raccoglie il meglio delle certificazioni ISO come dei sistemi di TQM o, cosiddetti, “Michelen Like”, quelli legati al gradimento dei visitatori, ma li supera. Infatti Herity è multi-dimensionale, in quanto analizza e descrive quattro differenti dimensioni di un bene culturale; multi-scopo in quanto orientato alle necessità del pubblico come dei responsabili del sito e degli altri stakeholders; multi-prospettiva, raggiungendo i suoi risultati grazie al contributo di fonti diverse: l’autovalutazione dei responsabili, una valutazione esterna e l’opinione del pubblico”.

Da una verifica effettuata da Herity, inoltre, è stato dimostrato che il 72% dei luoghi certificati ha potuto, grazie a questo procedimento, migliorare i servizi; il 61% del pubblico, invece, ha dichiarato di aver apprezzato mag­giormente la visita e di non aver avuto delusioni grazie alle informazioni avute preventivamente; il 42% degli stakehol­ders (finanziatori, fornitori, ecc.) ha riconosciuto di aver utilizzato i dati dichiarati come supporto alle proprie decisioni.

Herity sostiene il sistema di gestione di qualità del patrimonio culturale mediante un costante studio e monitoraggio dei risultati. Dal 2006 si sono susseguite due Conferenze Scientifiche Internazionali di Herity. La prima Conferenza del 2006 si è svolta sul tema “Qualità nella Gestione del Patrimonio Culturale: modelli e metodi di valutazione” ed ha fatto il punto della situazione sulle classificazioni esistenti per monumenti, musei, siti archeologici, biblioteche e archivi. La seconda Conferenza Internazionale Herity ha dato inizio ad una serie di edizioni che saranno incentrate, di volta in volta, su un tema rappresentato nel “bersaglio” Herity: la conferenza del 2008, infatti, ha già affrontato il tema del Valore, ovvero la rilevanza percepita. In particolare, durante la conferenza sono state esaminate le esperienze a livello internazionale sulle possibilità di misurare le differenti accezioni del Valore applicato ai beni culturali materiali aperti al pubblico, osservandole da differenti punti di vista.

Ad oggi sono stati certificati i primi 43 musei del Lazio distribuiti nelle cinque province, tra cui Castel S. Angelo, la Centrale Montemartini, la Galleria Doria Pamphili, i Musei Capitolini, il Museo Napoleonico, il Museo di Palazzo Venezia, il Planetario e il Museo Astronomico; mentre fuori dal Lazio sono stati certificati 30 ecomusei della provincia di Torino, per i quali è già partito il rinnovo della certificazione. Altre certificazioni sono in corso di applicazione in altre regioni.

Herity può offrire anche buone opportunità di formazione ai giovani laureandi e laureati; è possibile rivolgersi direttamente ad Herity sia per svolgere la propria tesi di laurea sull’attività di questo organo sia per svolgere stage al suo interno. Maggiori dettagli sono disponibili sul sito della Herity, www.herity.it.

Caterina Pisu (ArcheoNews, gennaio 2010)

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...