Fine del processo contro Marion True

Nessuna condanna per l’ex curatore del Paul Getty Museum: dopo cinque anni scadono i termini di prescrizione



Dopo cinque anni si conclude per decorrenza dei termini il processo a carico di Marion True, curatrice delle antichità del Paul Getty Museum di Los Angeles dal 1987 al 2005, accusata di associazione per delinquere, ricettazione e traffico illecito di beni archeologici. Il processo italiano contro la True, incentrato principalmente sull’acquisizione illegale di circa 35 manufatti acquisiti dal museo di Los Angeles tra il 1986 e la fine degli anni ‘90, era iniziato nel 2005; negli anni successivi il procedimento era stato portato avanti con molta lentezza finchè lo scorso 13 ottobre il giudice Gustavo Barbalinardo ha dovuto chiuderlo definitivamente per intervenuta scadenza dei termini di legge. Dalla sua residenza francese, la True avrebbe dichiarato di essere felice per la fine del processo, dicendosi «sollevata che sia passato il tornado che le ha distrutto la vita».



Il processo prosegue, invece, per il commerciante svizzero Robert Hecht, incriminato insieme alla True, a Giacomo Medici e ad altri trafficanti, ma la scadenza dei termini, luglio 2011, è ormai vicina anche per  questo processo.



Sia la True che Hecht hanno sempre negato ogni imputazione, ma il Pubblico Ministero Paolo Giorgio Ferri e i periti della Soprintendenza per i Beni Archeologici per l'Etruria meridionale, Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini, che hanno collaborato con il PM insieme al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, sono riusciti a ricostruire con estrema precisione e accuratezza, in tanti anni di indagini e di meticolose perizie, la provenienza illecita di tantissimi reperti archeologici acquistati dal Getty Museum.



Nonostante la mancata condanna della True, il bilancio di questi anni di lavoro del PM Ferri e del suo team è altamente positivo: innanzitutto la True è stata il primo curatore di museo americano ad essere stata sottoposta a procedimento penale all'estero per un’accusa di commercio illecito di antichità, e questo è già un risultato senza precedenti. Dalle testimonianze ascoltate durante il processo è emerso con chiarezza che Marion True era consapevole di acquistare le antichità attraverso canali non regolari. La sua incriminazione ha obbligato il mondo museale americano ad una profonda autocritica e a rivedere le proprie regole di acquisizione di nuove collezioni. Ora è sicuramente molto più difficile che un museo statunitense possa esporre una qualunque opera d’arte o un reperto archeologico senza essere in grado di dimostrarne la provenienza legale. Lo Stato italiano, da parte sua, ha incentivato la restituzione di reperti in cambio di prestiti a più lungo termine di quanto non si sia fatto finora. Ciò permetterà, quindi, ai musei americani di poter arricchire le proprie esposizioni in maniera lecita, sotto forma di prestito temporaneo.



Il secondo risultato importante è stato il colpo inferto alle organizzazioni criminali, tombaroli e trafficanti d’arte che in tanti decenni hanno imperversato nel nostro Paese saccheggiandone in modo illimitato l’inestimabile patrimonio archeologico. La difficoltà di poter avere, i grandi musei stranieri come principali committenti, come invece accadeva fino a poco tempo fa, produrrà sicuramente un contenimento dei traffici illeciti, sebbene restino ancora aperti altri canali, come quelli del collezionismo privato.



L’obiettivo principale del PM Ferri e del suo team, in ogni caso, è stato soprattutto quello di ottenere la restituzione dei reperti archeologici trafugati all’Italia. Già durante la gestione della True, prima dell’inizio del processo a suo carico, furono restituiti circa 3500 oggetti provenienti dal sito di Francavilla Marittima e la famosa kylix greca di Onesimos ed Euphronios. Successivamente, durante i cinque anni del processo, sono stati restituiti più di cento reperti in possesso non solo del Getty Museum ma anche di altri musei statunitensi, tra cui il Metropolitan Museum of Art di New York e il Boston Museum of Fine Arts. Tra tutti si ricorda il celebre cratere di Euphronios, vaso attico a figure rosse datato intorno al 510 a.C., ora esposto nel Museo Etrusco di Villa Giulia, il vaso di Asteas, un cratere a calice a figure rosse del 340 a.C. proveniente da scavi clandestini in Campania, gli acroliti di Demetra e Kore, risalenti al V secolo a.C. e provenienti da scavi clandestini a Morgantina, ora esposti nel Museo Archeologico di Aidone, mentre si attende nel 2011 la restituzione della Venere di Morgantina.



E’ ancora battaglia, invece, per l’atleta di Lisippo, tuttora reclamato dall’Italia, nonostante l’attuale responsabile della collezione Getty, Stephen Clark, abbia prodotto documenti sulla presunta buona fede del museo nell’acquisizione della statua bronzea. Circa un anno fa il gip Lorena Mussoni ha comunque deciso per la confisca, cui è seguito il ricorso in Cassazione della Fondazione Getty che, tuttavia, non sarà sospensivo della rogatoria né dell’azione civilistica, in quanto la confisca è una misura di sicurezza immediatamente esecutiva. Si spera, ora, in trattative diplomatiche tra Italia e USA che consentano il ritorno della statua in Italia ma, intanto, la Regione Marche, da cui proviene il prezioso reperto, è intenzionata a dare battaglia per ottenerne al più presto la restituzione.



Come ha scritto recentemente Fabio Isman su “Il Giornale dell’Arte”, non si può ignorare che la “brutta abitudine” di acquistare oggetti antichi di dubbia provenienza non appartiene soltanto ai musei d’oltreoceano ma anche ad importanti musei europei. Il caso più recente è proprio quello del Museo Archeologico Nazionale di Madrid che nel 1999 ha comprato una collezione privata in cui i già citati archeologi Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini hanno riconosciuto ben ventidue oggetti provenienti da scavi clandestini in Italia. Mi unisco a Isman nella speranza che lo Stato Italiano chieda al più presto la restituzione anche di questi reperti e che, con altrettanta urgenza, si favorisca la collaborazione internazionale, tenendo conto di passi importanti già fatti, come la Convenzione Unidroit (Convention on Stolen or Illegally Exported Cultural Objects), ratificata a Roma il 24 giugno 1995: essa è una soluzione di compromesso tra i vari sistemi giuridici del mondo intero ed è il risultato di dieci anni di lavori, cui hanno partecipato due organizzazioni internazionali, l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato (Unidroit) e l’UNESCO, oltre a numerosi esperti. Purtroppo, soltanto undici stati hanno ratificato la Convenzione Unidroit, mentre dodici si sono limitati alla semplice adesione. La Convenzione è stata ratificata dall'Italia con legge 7 giugno 1999, n. 213, ed è entrata in vigore il 1 aprile 2000. E’ ora assolutamente necessario impegnarsi per rafforzare ed estendere il più possibile la Convenzione Unidroit in altri Paesi, avviando trattative internazionali e pretendendo un impegno concreto per combattere la piaga del traffico illecito di beni culturali. E’ importante non abbassare la guardia perché se oggi la Svizzera sta perdendo il suo ruolo di snodo internazionale del traffico di reperti archeologici, grazie anche all’adozione di proprie leggi, molto più severe rispetto al passato, nel contempo si sono già consolidati altri percorsi di transito dei trafficanti e delle merci, diretti soprattutto verso l’estremo Oriente. A livello mondiale, infatti, il traffico di beni culturali saccheggiati continua ad essere tuttora il più cospicuo subito dopo il traffico di droga e di armi.



Caterina Pisu (ArcheoNews novembre 2010)

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