Storia
un vino, di archeologia sperimentale, di musei e di un legame
indissolubile con una terra antica. Intervista a Francesco Mondini e a Maurizio Pellegrini
Synaulia e Il Centro del Suono hanno organizzato
centinaia di banchetti in moltissimi musei ed aree archeologiche italiane ed
europee (il Prahistorische Staatssamlung Museum di Monaco, l’ArchaologischerPark Regionalmuseum di Xanten, Germania, il Parco Archeologico di Baratti ePopulonia, il Museo Guarnacci di Volterra, solo per citarne alcuni), si sono
occupati di rievocazioni di archeologia sperimentale svolte nei musei e negli
anfiteatri di Monaco, Trier, Xanten, Aalen, Bonn, Bad Gogging, Mainz, Rosenheim
e a Berlino nell'Altes Museum, oltre ad aver collaborato a numerosi
documentari, programmi scientifici e film, soprattutto nelle scene di
banchetto, per esempio in Sogno di una notte di mezza estate di Michael Hoffman,
Il Gladiatore di Ridley Scott, Nativity di Catherine Hardwicke, Empire di Kim Manners.
Nei loro banchetti, però, c’era un
problema: il vino. I vini prodotti con metodi moderni non erano certamente
adatti per riprodurre in modo perfetto un banchetto ispirato all’epoca etrusca
e romana, studiato in ogni minimo dettaglio e con l’attenta lettura delle fonti
antiche.
E’ così che inizia la collaborazione con
Francesco Mondini (Azienda agricola Tarazona Miriam), il quale, resosi conto
che il vino servito durante i banchetti non era all’altezza della cucina di Egidio
Forasassi, decide di dare vita ad una produzione sperimentale di vino prodotto
nel modo più fedele possibile con il metodo in uso presso gli Etruschi.
In Italia, ormai da molti anni si stanno
portando avanti ricerche storiche, archeologiche e botaniche sulle viti e sulla
vinificazione delle origini. Questa branca di studi presenta aspetti interessanti
anche sotto l’aspetto dello sviluppo economico locale e il progetto realizzato
da Francesco Mondini nella campagna aretina, congiunge imprenditoria e cultura.
Gli studi e le sperimentazioni di Mondini sono iniziate ben 15 anni fa e solo
da poco ha finalmente visto la luce il Vinum Nerum, un rosso che Francesco ama definire una “spremuta d’uva”, in quanto non contiene solfiti, né
alcun altro tipo di conservante. Nei quindici anni di test sono stati
consultati storici, archeologi, dottori in agraria, geologi e mastri cocciai per
ricreare le giare che servivano per la conservazione del vino.
Maurizio Pellegrini, in particolare, ha
seguito da vicino il progetto avendone intuito le potenzialità anche dal punto
di vista educativo e divulgativo. Grazie a lui, sono entrata in contatto con
Francesco Mondini e sono stata invitata, insieme a Laura Patara (tour operator)
e a Francesca Pontani (archeologa, redattrice web e membro del consiglio scientifico del Museo
Archeologico delle Necropoli Rupestri di Barbarano Romano) a visitare l’azienda
e a conoscere il metodo di vinificazione del vino Nerone e del vino Nerum.
La bellissima Azienda Tarazona ha
vitigni di circa 80-90 anni che sono di Sangiovese, Canaiolo, Ciliegiolo,
Albana, Trebbiano, Malvasia, che vengono sapientemente uniti in percentuali 85%
uve rosse e 15% uve bianche. La vigna viene trattata con sistema biologico
certificato e biodinamico, cioè concimata con trinciature e tenuta a prato con
escrementi animali. Appena raccolta, l’uva viene pigiata una parte a mano e una
parte messa in graspugliatrice (molto lenta) e poi una volta riunita, fatta
fermentare in cantina in orci di terracotta per 12-15 giorni, follandola
manualmente, specie i primi giorni, almeno 4-5 volte al giorno.
|
La "collina degli orci" presso l'azienda Tarazona di Arezzo |
|
La "collina degli orci" vista dal basso |
|
Francesco Mondini accanto agli orci interrati. |
Avvenuta la
totale trasformazione degli zuccheri in alcool, il mosto viene portato nella
collina degli orci, dove sono posizionati sia gli orci coibentati con resine e
cere da dove poi uscirà il Nerum, sia gli orci vetrificati da dove uscirà il
Nerone (che ho avuto il piacere di assaggiare durante il banchetto magistralmente
preparato da Egidio Forasassi).
|
I vitigni |
Il Nerone viene messo sotto terra senza
utilizzo di pompe, dove la temperatura costante, la quasi completa assenza di
ossigeno, il buio e l’interscambio con la terra lo rendono un vino unico nei
colori, nei profumi, nei sapori e nei retrogusti, veramente senza paragoni.
Dopo 18 mesi verrà imbottigliato in magnum e tenuto altri 6 mesi in cantina
prima di essere messo sul mercato.
|
Un magnifico panorama del vigneto |
Nel novembre 2013, l’Unesco ha
dichiarato Intangible Cultural Heritage la vinificazione in orci in Georgia, uno
Paese che vinifica ancora come 5000 anni fa, e pertanto anche l’Azienda Tarazona ha
potuto ricevere i permessi per poter commercializzare l’unico vino al mondo
fatto con il metodo Mondini, che unisce storia e tecnologia.
|
Francesco Mondini videointervistato da Francesca Pontani |
Per illustrare nel modo migliore il
progetto Vinum Nerum, ho rivolto alcune domande a Francesco Mondini e a
Maurizio Pellegrini.
Francesco
Mondini, come è nata l’idea di riprodurre il vino etrusco?
Nel
2000 fui invitato ad un convivio etrusco-romano a Populonia da un caro amico
che oltre che cucinare suona anche con i Synaulia (www.soundcenter.it). Alla
fine della splendida serata con cena e musica nella necropoli, mi avvicinai al
mio amico e obbiettai sulla veridicità del vino servito durante il convivio; ne
nacque una bella discussione alla fine della quale decisi di dedicare una parte
della vinificazione del nostro vino a esperimenti per arrivare a produrre un
vino il più possibile simile a quello che bevevano i nostri avi. La totale
assenza di aggiunte chimiche portava ad un gran numero di problemi che con il
passare degli anni grazie oltre che ai nostri studi anche alla collaborazione
con archeologi, dottori in agraria, geologi, enologi sono stati felicemente
superati.
|
L'ingresso alla "cantina etrusca" |
Come
avviene il processso di vinificazione nelle giare?
Qui in Toscana il vino “Nerum”, dopo
essere stato spremuto in cantina, riposa per almeno 1 anno in orci realizzati a
mano da mastri cocciai, coibentati a mano con resine e cera, completamente
interrati a 3 mt di profondità per poi tornare negli orci in cantina per almeno
6 mesi. Nel 2015, dopo 25 secoli, potremo gustare un vino vinificato con il metodo
antico, quindi quello che ad oggi si può supporre si avvicini di più al vino di
quell'epoca, di questa zona, sulla base del percorso di archeologia
sperimentale da noi effettuato. I sapori e i profumi derivati dall’interscambio
con la terra e con la coibentazione lo rendono un vino totalmente unico e la
gradazione può arrivare fino a 15 gradi.
|
I grandi orci per la conservazione del vino. |
Il
vino è completamente naturale in quanto non contiene solfiti aggiunti, quanto è
difficile ottenere questo risultato?
E'
molto difficile e dopo anni di aceto, grazie ai vitigni che donano un uva già
ben strutturata, grazie alla collaborazione di enologi, geologi e dottori in
agraria siamo riusciti con grande igiene in cantina in primis e poi con l'aiuto
di azoto e argon che eliminano l'aria e sopratutto i travasi in tempi
ridottissimi, ad ottenere un prodotto con solforosa bassissima. La longevità di
questo vino la stiamo studiando ma abbiamo campioni di 13 anni rimasti
inalterati nel tempo.
Il
vino prodotto è attualmente un rosso. Avete in programma anche la produzione di
un bianco?
Come
dicono alcuni archeologi il primo vino è stato il bianco, non so quale sia
stato veramente il primo ma quest'anno abbiamo sperimentato il metodo Mondini
anche sulle nostre uve bianche. Vista l'annata fantastica, un mix di albana,
trebbiano e malvasia ed un vitigno sconosciuto porteranno nel 2017 ad
assaporare il nostro primo vino bianco, sperimentato già nel 2003 e nel 2005.
|
L'interno della "cantina etrusca" |
I
vitigni sono quelli di suo nonno e risalgono quindi circa a 80 anni fa. E’
previsto per il futuro un’ulteriore fase del progetto che preveda anche
l'utilizzo di vitigni più antichi?
Siamo
in una costante fase di ricerca con archeologi come Maurizio Pellegrini ed
anche con la comunità montana e l'istituto per la selvicoltura di vitigni antichi.
Poiché i pochi esperimenti fatti non sono in vendita, per ora cerchiamo di
apprendere i modi di riproduzione ed i vari innesti usati. Siamo in contatto
anche con due aziende che in maremma producono l'ansonica o insulia che è un
vitigno addirittura portato dai greci. Pensiamo il prossimo anno di usarla e
fare un esperimento al posto della nostra bianca locale. L'obbiettivo sarà
riprodurre il Nerum anche con vitigni antichi.
Quali
saranno i canali per la distribuzione commerciale del vino? Dove si potra'
reperire?
Ci
stiamo preparando alla prima uscita, per cui tanta curiosità specialmente
dall'estero con contatti dal Giappone dall'Inghilterra, da Singapore, dalla
Germania e tanti altri posti, stiamo valutando tutte le richieste che ci
arrivano. Noi abbiamo solo 170 Anfore di Nerum e circa 150 magum di Nerone, per
cui visto la modesta quantità per noi sarebbe un grande onore partire con
vendite alle aste dirette a collezionisti o amatori non solo del vino ma anche
della storia che il vino ci tramanda. Siamo stati contattati anche da un
distributore locale per il vino Nerone, ma comunque per ora si può reperirlo
direttamente in azienda.
|
La sigillatura dell'orcio |
Maurizio
Pellegrini, a che epoca risalgono le prime tracce della produzione del vino in
Italia?
Negli
ultimi anni le ricerche nel campo della paleobotanica sono effettivamente
aumentate e rincorrerle, anche per i diretti interessati, è abbastanza
complesso.
La
cultura classica da sempre ha attribuito ai Fenici, che colonizzarono l'Italia
attorno all'800 a.C., e successivamente a Greci e Romani, il merito di aver
introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale e la recente scoperta
di un vitigno coltivato circa tremila anni fa (1300 - 1100 a. C.) dalla civiltà
Nuragica finalmente contraddice con valide prove tale teoria. Infatti presso un
nuraghe nelle vicinanze di Cabras, presso Oristano, sono stati scoperti alcuni
semi di vitigni di vite domestica probabilmente di origine locale o, forse,
importata più anticamente. A suffragio di questa ipotesi, il gruppo di ricerca
sta raccogliendo materiali in tutto il Mediterraneo cercando tracce per
verificare possibili "parentele" tra le diverse specie di vitigni. I
semi, di vernaccia e malvasia ritrovati in un "pozzo dispensa", sono
stati datati con l'esame del carbonio 14 dagli studiosi dell'equipe
archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità dell'Università di
Cagliari e fanno ritenere che la coltura della vite nell'Isola fosse conosciuta
sin dall'età del bronzo. Grazie alla prova del Carbonio 14 i semi sono stati
datati intorno a 3000 anni fa, età del bronzo medio e periodo di massimo
splendore della civiltà Nuragica".
Invece
alcune tracce di Vitis sylvestris, con forme di embrionale coltivazione, sono
stati trovate anche nei siti della "Marmotta" sul lago di Bracciano
datate fra il 5750 e il 5260 a.C. e di Sammardenchia-Cûeis, in provincia di
Udine, un sito datato tra il 5600 e il 4500 a.C. circa.
Altri
resti di vite selvatica sono stati rinvenuti nei siti di Piancada (Udine) e
Lugo di Romagna (Ravenna), entrambi risalenti al Neolitico antico.
Nella
direzione di una origine indigena della viticoltura in Italia vanno anche le
ricerche praticate nell'ambito del "Progetto Vinum" mediante lo
studio degli aspetti legati all’origine e all’evoluzione della viticoltura, al
processo di produzione del vino nell’antichità e con le analisi dei genotipi
delle viti autoctone campionate in prossimità dei siti etruschi e romani.
|
La preziosa anforetta del Nerum |
La
sperimentazione condotta dall’Azienda Tarazona di Francesco Mondini è un
interessante esempio di connessione tra nuove forme di imprenditoria e cultura.
Quali potrebbero essere gli sviluppi futuri? Penso, per esempio, al turismo
culturale o alla possibilità di realizzare esperienze didattiche all’interno
dell’azienda.
L'esperienza
portata avanti dall’Azienda Tarazona apre veramente nuove prospettive; per
prima cosa la vinificazione praticata dagli amici Francesco Mondini ed Egidio
Forasassi demitizza finalmente la convinzione comune che il cibo dell'antichità
non possa essere gradito anche ai giorni nostri. Effettivamente gran parte del
vino antico aveva una gradazione alquanto elevata, questo perché in questo modo
poteva essere conservato più a lungo e per questo motivo doveva essere diluito
ed aromatizzato. Ma, sono certo, che in condizioni ottimali e sempre legate al
ceto, il vino doveva essere anche molto buono. Quindi bere oggi un vino che si
avvicini alla vinificazione antica ma che abbia anche un gusto
"moderno" non può che essere considerato un azione culturale ed
avvicinarci di più alla nostra storia come apprezzare un affresco in un sito o
un antico vaso nella vetrina di un museo.
Un futuro sviluppo può essere senz'altro quello del turismo culturale da
effettuarsi nelle aziende che seguiranno questo impulso ed esperienze
didattiche accompagneranno indubbiamente questa nuova prospettiva
imprenditoriale.
I
musei, le aree archeologiche, le istituzioni culturali che sono interessate
alla realizzazione di eventi con Synaulia e con l’Azienda Agricola Tarazona
possono utilizzare i seguenti contatti: