Musei accoglienti verso i disabili

Uno sguardo oltreoceano: dal Met ai piccoli musei del North Carolina e della Florida
Di seguito riporto la traduzione di un articolo pubblicato nell'ottobre del 2013 sul New York Times. E' interessante scoprire che l'attenzione per i visitatori disabili per alcuni musei americani è una tradizione che dura ormai da un secolo. Inoltre non solo i grandi musei, ma anche i piccoli musei sono attenti a rivolgersi a tutto il pubblico, sia ai disabili che possono recarsi in visita al museo ma anche a coloro che non possono farlo, raggiungendoli con attività di outreach.  
In un recente venerdì sera, il Metropolitan Museum of Art di New York ha organizzato la sua prima mostra pubblica di opere originali create nell’ambito del progetto «Seeing ThroughDrawing». I partecipanti, tutti ciechi o ipovedenti, hanno creato le opere ispirandosi agli oggetti della collezione del museo che sono stati descritti loro da istruttori vedenti e che sono anche stati autorizzati a toccare.
Annie Leist, left, a volunteer at Boston’s Museum of Fine Arts, 
guides Mercedes Austin, 17.
     (Photo Bryce Vickmark for The New York Times)
In un’altra galleria, un tour nel linguaggio dei segni è stato seguito da un gruppo di visitatori non udenti. E in certi venerdì, le nuove “installazioni multisensoriali” accolgono tutti i visitatori, compresi quelli con vari tipi di disabilità – per sperimentare le mostre attraverso l’olfatto, il tatto, la musica, le immagini verbali o la descrizione degli oggetti da parte di persone con disabilità visiva.
Il Met ha una lunga storia di attenzione e cura verso le persone con disabilità ", ha detto Rebecca McGinnis, che supervisiona i programmi di accesso e di comunità. Già nel 1908, il museo forniva una "sedia a rotelle" alle persone con problemi di mobilità, e nel 1913 teneva lezioni per i bambini non vedenti delle scuole pubbliche.
Students at the Metropolitan Museum in New York in 1922.
(Photo Metropolitan Museum of Art).        
Oggi il Met organizza programmi per persone con disabilità quasi ogni giorno.
Non solo il Met, ma in generale sono in notevole aumento i musei che si sforzano di orientare i propri programmi culturali verso questa direzione. Nel 2010, circa 56,7 milioni di persone, ovvero il 18,7 per cento della popolazione, è stata colpita da disabilità di gravità variabile, secondo il Census Bureau. E il numero di disabili americani dovrebbe aumentare nei prossimi anni a causa dell'invecchiamento della popolazione e quindi della maggiore longevità, cui si deve aggiungere un certo numero di casi con difficoltà nell’apprendimento – è stato specificato dall'organizzazione di Open Doors, un gruppo no-profit di Chicago al servizio delle persone disabili.
"Anche i progettisti dei musei usano grande fantasia, molto più di quanto richiesto dalla normativa, e realizzano cose notevoli", ha detto Lex Frieden, professore presso l'Università del Texas Health Science Center di Houston e direttore di uno dei centri regionali che favorisce la conformità dei progetti con l'Americans with Disabilities Act del 1990.
Frieden, che nel 1967 ha subito una lesione al midollo spinale dopo un incidente stradale che lo ha reso tetraplegico, ha detto che i musei si sono assunti l’impegno a favorire l'accessibilità dei disabili ancora prima della legge americana del 1990 e della legislazione federale. “La Smithsonian Institution è da tempo leader nel settore; le sue linee guida per l’accessibilità degli allestimenti museali sono utilizzate a livello globale” - ha affermato Frieden.
“I primi espedienti per far superare le barriere della disabilità agli ipovedenti sono stati gli specchi sul soffitto, gli schermi video a varie altezze e l’abbassamento dei piedistalli per favorire una migliore visione per tutti gli utenti, compresi gli utenti su sedia a rotelle” - ha detto Beth Ziebarth, direttore dei programmi di accessibilità dello Smithsonian. Ma l’innovazione continua. Un nuovo programma permette alle famiglie con bambini autistici e altre disabilità cognitive di arrivare prima degli orari di apertura e di ricevere i materiali in anticipo per prendere confidenza con l'edificio e le mostre.
Lo scorso anno, grazie ad una iniziativa di crowdsourcing, la Smithsonian ha invitato i visitatori a fornire descrizioni audio su dispositivi mobili dei circa 137 milioni di oggetti della sua collezione - un esempio di come le misure adottate in primo luogo per aiutare le persone con disabilità spesso permettono a tutto il pubblico di ottenere dei benefici.
Il Museum of Fine Arts di Boston, per esempio, quando pochi anni fa ha aperto l’ala “Art of Americas”, ha adottato un approccio universale, per disabili e non disabili, nella sua guida multimediale mobile. Hannah Goodwin, il manager per l’accessibilità, ha spiegato che, in tal modo, se una persona con disabilità della vista o dell'udito è in visita al museo con un amico non disabile "entrambi utilizzano gli stessi dispositivi e accedono agli stessi contenuti".
A Manhattan, il Whitney Museum of American Art ha recentemente introdotto il Vlog Project (Whitney Video Blogs), i cui video sono registrati da collaboratori sordi nella lingua dei segni americana. Ma dal momento che sono anche sottotitolati in inglese, i Vlogs sono diventati popolari anche tra le persone senza disabilità uditive.
"C’è un nuovo mondo coraggioso là fuori", ha affermato Larry Goldberg, direttore del National Center for Accessible Media, un dipartimento di ricerca e sviluppo del Public Broadcasting di Boston. "Ora ci sono molte nuove tecnologie e anche i musei ne stanno approfittando."
Per esempio, l'Art Institute diChicago prevede di sperimentare con la stampa 3-D la riproduzione di opere d'arte e di permettere ai visitatori, come quelli affetti da Alzheimer, di esplorare la consistenza, le dimensioni e altri elementi sensoriali degli oggetti con strumenti che prima non sarebbero stati possibili.
Le applicazioni mobili del Guggenheim include sottotitoli per i video; possibilità di ingrandire il testo, descrizioni sonore del tour e tecnologie avanzate di screen-reader che consentono la navigazione completa attraverso il tatto e la descrizione vocale in ogni parte dello schermo.
Nei musei stanno arrivando anche servizi di navigazione interna – ha spiegato Goldberg - che sono l'ideale per le persone con disabilità visive. Ad esempio, il software ByteLight traduce i segnali di localizzazione dalle luci a LED modificate alle smartphone apps per aiutare i visitatori a interpretare le mostre o navigare all'interno del museo.
Il Museo della Scienza di Boston prevede di ampliare la sua sperimentazione nell’ambito della tecnologia ByteLight nei prossimi mesi. "Come tecnologia di localizzazione interna è la più promettente", ha detto Marc Check, il direttore del museo di informazioni e tecnologia interattiva. "Le tecnologie come il GPS, invece, sono efficaci al di fuori, ma molto meno precise all’interno."
Il museo sta anche sperimentando la tecnologia touch-screen interattiva. Ha costruito un grande tavolo touch screen, come un iPad gigante, che permetterà alle persone con disabilità visive e motorie di accedere ai contenuti con movimenti di scorrimenti o semplici gesti. Un prototipo, ha spiegato Marc Check, dovrebbe essere collocato in una mostra nei prossimi mesi.
Anche i musei più piccoli offrono servizi per i disabili. In estate il Norton Museum of Art di West Palm Beach, in Florida, in accordo con le strutture locali per la cura delle malattie mentali, ha dato vita ad un programma per adulti con problemi per l’abuso di sostanze o per deficit mentali. Il North Carolina Museum of Art di Raleigh ha recentemente acquisito nove sculture in bronzo di Rodin per le visite sensoriali. Il Samuel P. Harn Museum of Art presso l'Università della Florida conduce programmi off-site per i residenti delle case di cura e per gli ospiti dei centri anziai che non possono muoversi per visitare il museo.
La direzione per lo scambio tra Arte e Disabilità presso il John F. Kennedy Center for Performing Arts di Washington, DC, assiste nell’allestimento di mostre o varie performances nei musei o in altri luoghi di cultura, consigliando, per esempio, sistemi di ascolto assistito o rappresentazioni sensoriali. Quando, diversi anni fa, Eric Lipp, direttore esecutivo di Open Doors, ha deciso di migliorare l'accessibilità alle istituzioni culturali di Chicago attraverso il suo "Inclusive Art and Culture Program" diversi anni fa, si è rivolto al John F. Kennedy Center.
Da allora, la compagnia teatrale Steppenwolf di Chicago ha migliorato i suoi servizi e i programmi di outreach. Le descrizioni audio dal vivo e le traduzioni nel linguaggio dei segni durante le rappresentazioni sono migliorate in qualità e sono state offerte durante un maggior numero di performances. Sono stati introdotti nuovi servizi, come visite guidate tattili che consentono agli ospiti non vedenti e ipovedenti di salire sul palco, prima dello spettacolo per familiarizzare con l’ambiente.
"Lo Steppenwolf e tutti gli altri intendono continuare così e andare anche oltre” - ha dichiarato Eric Lipp, che è parzialmente paralizzato. "E lo fanno con nessun altra finalità se non quella di produrre dei benefici per la società".
Ringrazio l'amica e collega Ilenia Atzori che mi suggerito la lettura di questo articolo.

Sceneggiare i musei: esercizi di creatività

I video vincitori della quarta edizione del festival Musèes (em)portables


di Caterina Pisu












Lo scorso 4 febbraio presso lo spazio espositivo del Carrousel du Louvre, a Parigi, è avvenuta la premiazione degli short film che hanno partecipato alla quarta edizione di Musées(em)portables, il festival ideato dalla società Museumexperts, presieduta da Jean-François Grunfeld.

L’idea di base è quella di trasmettere un’emozione, un messaggio, una semplice riflessione, nello spazio di tre minuti di un video realizzato in un museo o avente come filo conduttore un tema legato ai musei. Bisogna riconoscere che in questi tre anni sono stati presentati anche dei veri e propri mini-film, con delle belle immagini e sceneggiature, anche quando erano realizzati da non professionisti o dagli studenti delle scuole (per i quali è previsto un apposito premio).












Da due anni faccio parte della commissione giudicatrice in rappresentanza dell’ Associazione Nazionale Piccoli Musei, unica giurata non francese, il che mi rende particolarmente orgogliosa, soprattutto quando mi capita di consegnare un premio a un mini-film italiano come è successo l’anno scorso con “Vesuvius making of” di Raffaele Gentiluomo, MAV-MuseoArcheologico Virtuale di Ercolano (ma non dimentico anche gli altri video italiani che sono stati preselezionati, come “La vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia” di Maria Grazia Mangiullo, Museo Cavoti di Galatina, ma anche quello dei ragazzi del Liceo “Michele Laporta” che hanno presentato un video realizzato da Simona Cataldo, “Entre histoire et modernité”, sempre nel Museo Cavoti di Galatina).

Quest’anno, purtroppo, non ho avuto questo piacere perché non sono pervenuti video dall’Italia, ma posso dire che la qualità generale dei film è stata davvero molto alta. Insieme agli altri membri della giuria di Musées (em)portables, abbiamo selezionato tre film, ma sarebbe stato giusto assegnare qualche altro premio perché altri si sono dimostrati meritevoli.

Il film che ha ottenuto il Grand Prix è  heART” di Marine Dupe, realizzato nel Bristish Museum. Un bel connubio di immagini e parole in cui la visitatrice ci comunica le sue riflessioni, le sue domande, le sue curiosità. Il video inizia con la ragazza che dice che le piace togliere gli occhiali quando è nel museo, "così la bellezza si raddoppia" (problemi di vista, a quanto pare!). Poi si chiede come è possibile passare delle ore nel museo quando non si può stare fermi in un posto per più di venti minuti: "senz'altro per avere l'aria di essere intelligenti". Prova a leggere tutti i pannelli che nessuno legge mai. È sicura che per solidarietà gli autori di questi pannelli leggono quelli scritti dai loro colleghi in altri musei. “La gente preferisce le audio-guide.” – afferma la ragazza – “E’ come se gli stessero raccontando una storia all'orecchio”. La ragazza si preoccupa anche degli aspetti pratici legati al museo, soprattutto quando passa di fronte alla vetrina di libri antichi; forse le stesse domande che tutti noi ci poniamo quando visitiamo un museo: - “Chi fa le pulizie? Ci vuole un diploma speciale per spolverare le opere?”. "I musei sono meglio dei siti d’incontro", pensa tra sé e sé. Il British Museum è uno dei più grandi musei del mondo, è enorme, come trovare qualcosa che non si sa cosa sia? "Sì, trovare un'opera è facile, basta utilizzare una piantina, come una caccia al tesoro, ma il British ha sei milioni di oggetti. Tutti vanno a vedere le stesse cose, soprattutto le cose già viste in foto. La maggior parte della gente viene al museo non per scoprire ma per riconoscere. La gente intellettualizza troppo l'arte, cerca di comprendere e non capisce che l'essenziale è la bellezza. Come nell'amore". “È incredibile quante cose hanno in comune l'arte e l'amore”, conclude la ragazza.

Il premio speciale della Giuria è stato assegnato al film “Êtrange Musée” di  Benoit Batard, ambientato nel Musée Robert Tatin. Anche in questo caso nel video si uniscono le immagini a un commento vocale che esprime delle impressioni interiori, uno stato d’animo. Inizia descrivendo il luogo, uno spazio espositivo che esiste solo dal XIX secolo e che prima era un luogo di studio consacrato ai libri. “Quando si parla di artisti” – “afferma la voce narrante - si parla di ispirazione, ma si dovrebbe anche parlare di respirazione. Respirare è vita”.


Qui, di seguito, le immagini della premiazione di Benoit Batard, effettuata dalla sottoscritta:













Quest’anno, a seguito dei tragici fatti relativi alla strage nella redazione parigina del giornale satirico Charlie Hebdo, Museumexperts ha deciso di intitolare un premio a Charlie. Il Prix Charlie è stato assegnato al video di Laurence Vauthier “Video13”, realizzato presso gli Champs libres di Rennes (un progetto culturale molto interessante della città di Rennes, in Bretagna, formato da una biblioteca dallo Spazio delle Scienze e dal Museo di Bretagna). Il video lascia piuttosto sconcertati perché è composto da una sola scena: una ragazza entra nella sala di un museo, prende il vaso collocato su un sostegno e lo scaglia a terra, riducendolo in mille pezzi. Un gesto liberatorio e provocatorio, qualcosa che rompe le consuetudini e l’ordine prestabilito. Quale filmato poteva adattarsi meglio al ricordo di Charlie?


Infine la sezione giovani con due video premiati: “Le secret de l’Apothicairerie”, Musées de Troyes, realizzato dal Lycée Saint François de Salles, e il video delle giovani Zoe Cassaveti, Johanna Salazar, Camille Lubin e Barbara Tamayo dedicato alla mostra di Niki de Saint Phalle al Grand Palais.



 

Concludo con qualche considerazione sul SimeSitem, la manifestazione all’interno della quale si svolge ogni anno la premiazione dei filmati partecipanti a Museés (em)portables. Si tratta di una delle maggiori esposizioni d’Europa dedicate alle nuove tecnologie, ai servizi, alla conservazione e a molte altre tematiche relative al settore dei musei, degli archivi, delle biblioteche e degli altri luoghi di cultura. Circa 140 gli espositori (http://www.museumexperts.com/exposants/2014/) e tra questi anche un paio di aziende italiane. Ho avuto l’opportunità di scambiare qualche parola con i rappresentanti di Asteria, azienda specializzata in progetti multimediali per musei, imprese e istituzioni internazionali che da circa due anni si sta affermando anche in Francia. E’ stato interessante parlare con loro delle differenze tra il panorama italiano e quello francese in questo settore: in Francia le aziende solitamente sono specializzate nella fornitura di singole prestazioni, mentre in Italia si tende ad offrire servizi completi che, nel caso dei musei di nuovo allestimento, per esempio, accompagnano il committente dal brainstorming all'apertura del museo. Questo, secondo Asteria, è un punto di forza delle aziende italiane.








Nel complesso, ho constatato un notevole aumento delle aziende che si occupano di applicazioni per smartphone e tablet, di interattività ed anche di gestione informatizzata delle collezioni. I musei si stanno orientando sempre di più verso le nuove tecnologie o, almeno, si cerca di portare i musei verso questa direzione. Vedremo quali saranno gli sviluppi futuri.

Rivolgo un ringraziamento particolare al Presidente di Museumexperts, Jean-François Grunfeld, che ha voluto instaurare questa collaborazione tra l'Associazione Nazionale Piccoli Musei e la società da lui presieduta, e Antonio Ca' Zorzi, fondatore di Blue Lion, che mi ha generosamente assistito nei colloqui in francese durante la premiazione.

Ilenia Atzori ci racconta #smallmuseumtour


Chi ancora non conosce #smallmuseumtour potrà leggere la bella intervista che Ilenia Atzori, coordinatrice regionale Sardegna dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei, ha rilasciato a Zebrart.it. Il secondo ciclo di incontri virtuali con i musei presenti su Twitter terminerà il 27 febbraio, ma siamo già al lavoro per preparare il terzo ciclo, durante l'estate. I musei che sono interessati possono contattarci via mail a piccolimusei@hotmail.com.

Torna #MuseumWeek dal 23 al 29 marzo 2015



Dal 23 al 29 marzo 2015, le istituzioni culturali e i musei di tutto il mondo sono invitati a celebrare la cultura su Twitter. Professionisti della cultura, scoprite come funziona la #MuseumWeek 2015, iscrivetevi e preparatevi a partecipare!

Storia e obiettivi
Promossa da una dozzina di community manager di musei e istituzioni culturali francesi in collaborazione con i team di Twitter, la #MuseumWeek 2014 ha conquistato 630 musei di tutta Europa. Per il 2015 ci si è prefissato un duplice obiettivo: dare un’eco mondiale a questo evento dedicato alla celebrazione dei musei e attirare un numero di visitatori ancora più ampio, in modo ludico e partecipativo.

Principi della seconda edizione

Ecco di seguito alcuni dei punti che struttureranno l’agenda della #MuseumWeek  2015: ● 7 giorni, 7 temi da condividere con tutti i partecipanti di ogni parte del mondo; ● Ogni tema pu  essere esteso a tutti i campi in cui sono specializzate le vostre istituzioni (arte, scienza, storia, etnografia...) ed è sufficientemente ampio per raggiungere qualsiasi tipo di pubblico; ● Nei giorni feriali i vari temi incoraggeranno la comunicazione online, mentre nel week-end si darà maggiore risalto alla partecipazione attiva dei visitatori in loco; ● Saranno promosse le interazioni fra istituzioni, comprese quelle all’estero, e quelle con il pubblico in visita al museo. 

Lunedì 23 marzo
#secretsMW
Lunedì fate scoprire al pubblico la vita quotidiana delle vostre istituzioni, il “dietro le quinte” e magari anche qualche segreto ben custodito.

Martedì 24 marzo
#souvenirsMW
Martedì invitate il vostro pubblico a condividere i ricordi che hanno di una loro visita al museo, ad esempio attraverso un oggetto (foto, magnete, mug, libro, cartolina) o un incontro o un momento che ha lasciato il segno. Per i bookshop interni sarà l’occasione ideale per presentare i propri prodotti di punta.

Mercoledì 25 marzo
#architectureMW
Mercoledì raccontate la storia del vostro edificio, dei suoi giardini, del suo quartiere e dei suoi luoghi emblematici. Un modo per presentare la vostra istituzione da un’altra prospettiva.

Giovedì 26 marzo
#inspirationMW
Giovedì invitate il pubblico a catturare, intorno a sé, dei contenuti correlati alle specializzazioni delle vostre istituzioni! L'arte, la scienza, la storia, l’etnografia... sono dappertutto intorno a noi. E con gli smartphone ormai tutti noi possiamo inventare e creare.

Venerdì 27 marzo
#familyMW
Venerdì presentate al pubblico tutto ci  che offre la vostra istituzione per rendere una visita in famiglia o con la scuola un’esperienza indimenticabile: in loco (contenuti online, aree dedicate, audioguide, laboratori, visite guidate…) o online (materiale didattico, opuscoli, giochi). E incoraggiate il pubblico a condividere la sua esperienza.

Sabato 28 marzo
#favMW
Sabato sarà il giorno dei colpi di fulmine! Incoraggiate i visitatori a condividere - con una foto, un video o un Vine - ci  che hanno amato di più del museo. Approfittatene per mettere in evidenza i fiori all’occhiello delle vostre istituzioni (opere, dispositivi, spazi…) e utilizzate Twitter come strumento per orientare la visita!

Domenica 29 marzo
#poseMW
Domenica invitate i vostri visitatori a considerare il museo come un set e a mettersi al centro della scena. Pose, memi, selfie, … lasciate che il pubblico occupi lo spazio a modo suo. Stimolate la partecipazione con l’aiuto del personale dell’istituzione!

Consigli generali

● Preparate fin d’ora l’evento affinando le vostre competenze di utenti di Twitter. Non avete ancora un account Twitter ? Non è mai troppo tardi per aprirne uno! ● La partecipazione all’evento è indipendente dalle dimensioni di un’istituzione o dalle risorse che si possiedono. Per partecipare è sufficiente 1 tweet al giorno. Ma vi accorgerete presto che i tweet sono come le ciliegie : uno tira l’altro... ● Mobilitate le vostre forze attive: personale, visitatori, artisti… Durante l’evento, tutti possono cogliere l’occasione per dimostrare il loro entusiasmo nei confronti della vostra istituzione e della cultura in generale. ● Invitate a partecipare attori del vostro ecosistema (scuole specializzate, appassionati, blogger influenti) e/o celebrità locali o nazionali. ● Individuate le istituzioni francesi e internazionali su Twitter, e riflettete su attività comuni o interdisciplinari da realizzare durante l’evento.

Per iscriversi Iscrivetevi oggi stesso su www.MuseumWeek.org e invitate altre istituzioni a seguire il vostro esempio ritwittando @MuseumWeek.

Parliamo di pasta!

Come ogni anno, gli amici del Museo Nazionale delle Paste Alimentari di Roma, indice un concorso suddiviso per varie categorie (studenti delle scuole di ogni ordine e grado, giornalisti e pubblicisti, studenti universitari). Il tema dei lavori è: "La pasta italiana come bene culturale". Qui si possono trovare tutte le indicazioni: http://museodellapasta.it/wp/wp-content/uploads/2015/01/bandi-XX-italiano-biennale.pdf

L’Historium di Bruges: feel the experience

Ilenia Atzori, in questo articolo tratto dal suo blog Wunderkammer ci descrive l'esperienza vissuta a Bruges, in Belgio, dove ha visitato un museo molto particolare: l'Historium.
Definire l’Historium un Museo è riduttivo: ciò che si vive al suo interno è un’esperienza multisensoriale; aperto al pubblico dall’autunno 2012, dopo sette anni di lavoro ed un investimento di circa dieci milioni di Euro, è il risultato di una fusione tra moderne tecnologie e pannelli classici, storytelling e rievocazione storica.



L’esperienza di visita si divide in due parti: nella prima, facciamo la conoscenza di Jacob, giovane apprendista del Maestro Jan Van Eyck, che visse e lavorò a Bruges nel XV secolo. Assistiamo al racconto di una storia che ruota intorno al dipinto Madonna con Bambino e il Canonico van der Paele, realizzato a Bruges da Van Eyck intorno al 1434-1436. Si parte con l’arrivo della modella Anna e del pappagallo Frederico, che Jacob dovrà accogliere ed accompagnare all’atelier del Maestro; tuttavia, entrambi spariranno, costringendo il ragazzo a girare l’intera città per ritrovarli. Con questo stratagemma, attraversiamo la città insieme a lui.

Il viaggio è “reale” anche per noi: ci spostiamo fisicamente tra le varie stanze, sentiamo i profumi che sente Jacob, avvertiamo il vento, ed il rumore dell’acqua. Alla fine del film, e del percorso, inizia la parte interattiva del museo, quella, cioè, in cui possiamo mettere alla prova le nostre conoscenze (con quiz e giochi, non solo digitali), curiosare tra le notizie storiche, vedere com’è cambiata nei secoli la città, attraverso pannelli basculanti.
Se vi state chiedendo come sia possibile seguire il film, la risposta è molto semplice: all’ingresso, comprese nel prezzo del biglietto (11 €), vi verranno consegnate delle audioguide in 9 lingue, tra cui italiano, cinese e giapponese. Vi dirò di più: almeno uno dei ragazzi all’accoglienza parla italiano; quando gli abbiamo detto da quale Paese provenissimo, ci ha subito informati, nella nostra lingua, sul fatto che l’audioguida fosse disponibile anche in italiano. Per quanto riguarda le didascalie nella seconda parte del museo, anch’esse sono tradotte nelle lingue dell’audioguida: inglese, francese, nederlandese, tedesco, spagnolo, portoghese, giapponese, italiano, cinese. Si tratta di testi brevi, ma efficaci, oppure inviti a sentire i profumi, toccare i tessuti ecc.
Dovendo esprimere un’opinione, in generale, sul concept dell’Historium, il mio sarebbe un giudizio estremamente positivo: grazie alla narrazione del film, agli accurati studi sulla ricostruzione degli ambienti, gli studi sui personaggi e la storia, il visitatore impara molto sulla Bruges del XV secolo. E può misurare quanto appreso direttamente nella seconda parte della visita, attraverso i quiz. Prevale, in sostanza, il concetto di imparare divertendosi e mettersi alla prova attraverso il gioco: storytelling e gamification inseme, per dirla con termini più moderni. Entrambi i concetti, però, vengono portati ad un livello superiore, coinvolgendo tutti i sensi, e trasformando la visita in una vera e propria esperienza. Di fatto, ciò che il claim dell’Historium promette è di riportare in vita il Medioevo, e di condurci in un viaggio indietro nel tempo.


Se volessimo anche analizzare le scelte relative al marketing del museo, troveremmo anche qui idee particolarmente efficaci ma, soprattutto, una linea coerente.

La prima cosa che noteremo sarà il logo: un personaggio femminile vestito di rosso, che compare nelle brochure, nelle mappe che indicano l’ubicazione dell’Historium, sul biglietto, sullo shopper, sugli scontrini… E persino in forma tridimensionale (e gigantesca) all’interno dell’edificio, nella hall. Dopo aver vissuto l’esperienza di visita, capiremo la stretta relazione tra quell’immagine ed il film realizzato per l’Historium. Il merchandising comprende portachiavi, matite, cartoline, segnalibro ed altro materiale con l’immagine del logo, ma non solo: si trovano anche “piume” di Frederico, portachiavi di Frederico, cartoline con la sua immagine, ed altri personaggi o scene tratte dal film. E poi, magneti, cartoline, cartelle ed altro materiale con l’immagine della Madonna con Bambino e il Canonico van der Paele, oppure con singoli personaggi del dipinto. Persino lo shopper riporta al film!
Cosa ne penso dell’esperienza di visita? Personalmente, ritengo che la tecnologia debba essere uno strumento a supporto della fruizione di un museo, ma non debba rappresentare LA visita. Credo debba esserci un equilibrio, tra l’uso delle tecnologie e l’esperienza personale, che deve restare un qualcosa di intimo, e debba riuscire ad emozionarti a prescindere dalle tecnologie utilizzate. Nel caso dell’Historium, forse, il confine è molto labile. Tuttavia, di ciò che viene raccontato, il visitatore ricorda molto (tranne il video del making of, esclusivamente in nederlandese, sottotitolato in inglese e francese; il difetto maggiore, tuttavia, sta’ nella lunghezza…), ed impara molto sulla città, la sua storia e la sua arte. Credo che in questo caso si tratti di una struttura che abbia volutamente scelto di “confezionare” un’esperienza ad hoc, perché mancava qualcosa che introducesse i visitatori alla città nel suo complesso: c’è il museo d’arte (in realtà, i musei d’arte, in città, sono almeno 4), ci sono le mappe che agevolano la visita del centro storico, ci sono i musei etnografico e del merletto per raccontarne le tradizioni, ma non c’era qualcosa che desse una visione d’insieme sull’importanza della città, e di tutti i suoi elementi costitutivi, nel periodo del suo massimo splendore. Perciò, a mio avviso, investire nell’Historium è stata una buona scelta, ai fini della promozione e della presentazione della città. Se, oltre allo sconto offerto presso un locale convenzionato, fossero stati creati anche menù a tema, nei vari ristoranti della Markt Platz, sulla quale si affaccia l’Historium, probabilmente l’avrei inserito in un’ideale top 5 tra i migliori esempi di promozione/esperienza turistica cui abbia assistito quest’anno. Ecco, forse possiamo giudicarlo un’esperienza turistica, più che un museo. Un’esperienza che vale davvero la pena fare…
Se volete saperne di più sull’Historium, e su come nasca, ho trovato un interessantissimo articolo a questo link:
theculturetrip.com/europe/belgium/articles/bringing-the-middle-ages-to-life-bruges-historium-museum/

Due musei romani ricchi di storia: il fascino dei musei "piccoli"


Ho avuto il piacere di visitare, a poca distanza di tempo l’uno dall’altro, due piccoli musei di Roma, poco conosciuti al grande pubblico: il Museo della Radio Vaticana e il Parco Museo Ferroviario dell’Atac.
Il primo è ubicato all’interno del Vaticano ed è dedicato non solo alla storia della Radio Vaticana ma, più in generale, ai progressi della tecnica della radiocomunicazione, conservando al suo interno preziose apparecchiature e strumenti originali, alcuni di grande rarità. L’edificio in cui si trova il museo è la Palazzina Marconi che è la prima sede storica della Radio Vaticana, inaugurata il 12 febbraio 1931. Vi si conserva ancora il microfono utilizzato da Pio XI per la prima trasmissione radio, avvenuta alla presenza dello stesso Guglielmo Marconi! Nel sito del museo è possibile effettuare una “visita virtuale” attraverso un video che descrive molto bene il museo, la sua storia e i suoi contenuti. Sono centinaia i materiali conservati anche nei magazzini e altrettanto vasta è la documentazione che fa parte della collezione museale. Un dettagliato catalogo di tutti gli oggetti è a disposizione del pubblico nel sito del museo. Al momento il museo è visitabile solo per appuntamento telefonando al numero 06-69883995 oppure inviando una e-mail a museo_rv@vaticanradio.org.
Foto tratta dal sito http://www.radio54.altervista.org/articoli_rvaticana.html
Il Parco Museo Ferroviario dell’Atac è un'esposizione permanente di locomotori e tram storici tutti restaurati nel rispetto dei materiali e dei colori originali. Rappresentano la storia del trasporto pubblico di Roma degli ultimi cento anni, comprendendo non solo gli itinerari urbani ma anche quelli extra-urbani che conducevano al mare, ai Castelli Romani, a Fiuggi e a Viterbo. E’ stato emozionante salire sulla “Carrozza del Cinema”, lo storico 404 che collegava Termini a Cinecittà,  su cui salirono i grandi nomi del cinema italiano del passato, ma anche sul locomotore ECD 21, il “treno della Tuscia” del 1931, che conduceva a Viterbo, forse l’unico percorso superstite tra i tanti che, mi auguro, che sopravviva e che possibilmente sia valorizzato anche dal punto di vista turistico proprio per il suo valore storico. Il Parco Museo Ferroviario conserva ancora anche la vecchia biglietteria storica che veniva utilizzata durante il periodo estivo, quando tutti i romani si recavano al mare con il treno per il Lido. Qualcuno ricorderà il film “Domenica d’Agosto” di Luciano Emmer, del 1950: in questo film si possono vedere alcune scene riprese proprio alla stazione Roma Lido con l’”assalto” dei gitanti alla biglietteria e al treno! Il trailer originale del film riporta alcune di quelle scene.
Il museo si trova proprio all’interno della stazione, a pochissima distanza dalla Piramide Cestia ma anche da altre mete turistiche importanti della Capitale, come il Museo della Liberazione di Porta San Paolo e il Museo Montemartini. Il Parco Museo Ferroviario possiede anche un Archivio Storico, posto sotto tutela della Sovrintendenza. L’ingresso è libero e le visite si possono effettuare dal lunedì al giovedì, dalle 9:00 alle 16:00, il venerdì dalle 9:00 alle 13:00. Per informazioni e per prenotare una visita guidata (consigliabile!) è possibile contattare la segreteria ai numeri  06/46958207 - 06/46957974 , oppure inviare un fax allo 06/46958136 o una e mail all'indirizzo polo.museale@atac.roma.it
Immagine tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/Parco_museo_ferroviario_Met.Ro_Roma_Porta_San_Paolo
Ciò che più mi ha colpito di questi due piccoli musei – piccoli solo nelle dimensioni ma non nella sostanza – è non soltanto la ricchezza e l’importanza delle collezioni da essi conservate, davvero straordinarie, ma soprattutto la passione e l’entusiasmo di chi li cura: in particolare Stefano Sparro, responsabile supporto tecnico presso la Radio Vaticana, e Caterina Isabella, divisione servizi per la mobilità, Nuovi Servizi - Polo Museale dell’Atac. Entrambi, insieme ai rispettivi staff dei due musei, stanno lavorando per valorizzarli; impresa non facile in una grande città come Roma dove l’offerta turistica e culturale è estremamente ampia e diversificata. Eppure posso assicurare che queste realtà “minori” sono in grado di offrire un’esperienza indimenticabile, molto diversa da quella che ci può dare una grande struttura museale. Per questo motivo vi invito a visitarli e a farli conoscere! Quasi un obbligo per i Romani, una bella opportunità per chi è di passaggio nella città eterna.
Ringrazio Maurizio Pellegrini, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale, Responsabile del Laboratorio Didattica e Promozione visuale, che ha cortesemente accettato il mio invito a prendere parte alle due visite qui descritte.

#smallmuseumtour, mercoledì 10 dicembre: MuMeLoc, Museo della Memoria Locale di Cerreto Guidi.


Continuano gli appuntamenti con i musei, su Twitter, organizzati dall'Associazione Nazionale Piccoli Musei.
Una descrizione del MuMeLoc, della storia, dei contenuti e delle attività, per prepararci all’incontro di domani, alle 15, con il Sindaco di Cerreto Guidi, Prof.ssa Simona Rossetti, che ci illustrerà il Museo. La Dott.ssa Ilenia Atzori coadiuverà la Prof.ssa Rossetti nel corso della “visita virtuale”.
Come sempre, l’hashtag per seguire l’incontro è #smallmuseumtour; gli account da tenere sotto controllo in questa occasione sono i seguenti: @MuMeLocMuseo, @PiccoliMusei2.
Tutti possono partecipare semplicemente accedendo a Twitter (creando un proprio account se non lo si possiede). Sarà possibile twittare con noi durante lo #smallmuseumtour e rivolgere domande direttamente alla Prof.ssa Simona Rossetti.
Il Museo
Il MuMeLoc – Museo della Memoria Locale di Cerreto Guidi viene inaugurato nel dicembre del 2011 e nasce in seguito a un lungo periodo di studi e ricerche incentrati su un doloroso evento storico che ebbe luogo in quest’area il 23 agosto 1944: L’Eccidio del Padule di Fucecchio.

Il Museo si trova nel cuore del centro storico di Cerreto Guidi, a due passi dalla Villa Medicea che domina il paese. E’ collocato alle spalle del Palazzo Comunale e di fianco alla Biblioteca con la quale opera in perfetta sinergia attraverso iniziative congiunte. Il Museo e la Biblioteca sono due istituzioni pienamente inserite nel tessuto sociale, educativo e culturale del paese. Il Museo, in particolare, fa parte di un sistema museale territoriale denominato Terre del Rinascimento che conta fra i Musei che ne fanno parte: il Museo Leonardiano e la Casa Natale di Leonardo a Vinci, il Museo di Fucecchio, la Fondazione Montanelli Bassi di Fucecchio, il Museo della Collegiata di Sant’Andrea di Empoli, il Museo del Vetro di Empoli, la Villa Medicea di Cerreto Guidi, il Museo della Ceramica di Montelupo Fiorentino.
L'inizio del percorso
Il percorso museale non si articola in sale ma in un lungo corridoio continuo che offre un viaggio nell’ambiente e nella storia e che ruota intorno al cuore centrale del museo dedicato alla rievocazione dell’Eccidio del Padule di Fucecchio. La scelta cromatica del verde del pavimento è volta a rievocare il ricordo dei canali navigabili del padule, la linea ondulata che ritma la parte centrale vuole ricordare il logo del museo con il “me” di MuMeLoc che evidenziato rappresenta l’io che si fa comunità, ma richiama anche il movimento del vento e il flusso del ricordo. Il visitatore, attraverso l’uso dei touch screen può costruirsi il proprio viaggio personale nella memoria della comunità vivendo un’esperienza che consente di unire le modalità narrative del film all’immersione fisica in un ambiente interattivo.

Mentre il percorso più esterno conduce che visita il museo per mano nell’ambiente che caratterizza Cerreto, il Padule, le colline del Montalbano fornendo la contestualizzazione del territorio, la parte centrale del museo diviene vero e proprio nucleo emotivo all’interno del quale, attraverso una proiezione del forte impatto, viene rievocata la ferita lasciata dall’Eccidio del Padule nel quale persero la vita 175 persone soprattutto donne e bambini.

All’uscita del Nucleo le testimonianze filmate dei superstiti e dei parenti delle vittime.
La sala didattica
Il Museo svolge un’intensa attività didattica che richiama il contesto ambientale e storico e artistico nel quale opera, affiancando le visite guidate tradizionali a percorsi che prevedono uscite nell’area del Padule di Fucecchio, visite guidate alla Villa Medicea, alle colline del Montalbano e al centro Storico di Cerreto Guidi.

Interlocutore privilegiato è il mondo della scuola con una offerta didattica che si articola in ben 18 percorsi che spaziano dalla storia della Seconda Guerra Mondiale ai percorsi naturalistici e poi ancora: visite guidate e incontri con artigiani. Il Museo è aperto alla progettualità condivisa con le scuole.

Accanto a questo tipo di attività si svolgono, inoltre, “visite teatralizzate” che ricostruiscono, in un linguaggio forse più coinvolgente, gli eventi tragici della seconda guerra mondiale, specificamente l’Eccidio del Padule, ma anche la vita contadina.

Community engagement: un'analisi recente

Riporto qui un brano dell'articolo "COMMUNITY ENGAGEMENT NEI MUSEI PUBBLICI LOCALI" di Francesco Giaccari, Francesca Imperiale e Valentina Terlizzi, pubblicato in MANAGEMENT ARTI E CULTURE Resoconto del primo anno del GSA Accademia Italiana Economia Aziendale, a cura di Luigi Maria Sicca e Luca Zan, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014. Gli autori analizzano la situazione italiana in riferimento all'effettiva attuazione di pratiche di coinvolgimento della comunità nella gestione del museo.
In base alle informazioni raccolte attraverso la consultazione dei siti web di 262 musei pubblici locali è possibile affermare come nella maggior parte dei casi l’apertura ai temi del community engagement abbia interessato solo le modalità di comunicazione esterna, specificamente la predisposizione di un’immagine più viva e aperta e l’adozione di strumenti online di interazione con gli utenti (email, social network, newsletter, etc.). Inoltre, nel 19% dei casi esaminati sono state riscontrate dichiarazioni di mission attente ai temi dell’inclusione del pubblico, alle quali tuttavia non sembrano corrispondere, in base alle informazioni pubblicate, pratiche concrete di coinvolgimento di cittadini e/o loro gruppi. Diversa è la situazione emergente dai sei casi di studio approfonditi mediante somministrazione ai direttori dei musei coinvolti di apposito questionario. In tutti e sei i casi esaminati, si tratta di musei che perseguono e programmano annualmente (5/6) chiari obiettivi di inclusione del pubblico, per esigenze legate a:
1.      condivisione di conoscenze e contenuti culturali (6/6);
2.      ampliamento del numero dei visitatori (5/6);
3.      promozione della diversità culturale (5/6);
4.      promozione della cittadinanza attiva e della coesione sociale (6/6);
5.      «miglioramento della qualità del programma di attività includendo le competenze e le energie del pubblico» (intervista C. Collu, Direttore MART).
Ognuno di questi musei include nelle proposte culturali i cittadini residenti nel proprio territorio oltre a rivolgersi, a seconda delle attività, a target specifici di utenza come gli studiosi, i turisti, le scuole, i disabili. Il museo di Rovereto ha dichiarato di programmare, ultimamente, attività finalizzate all’inclusione di minoranze etniche, il museo di Saluzzo di coinvolgere maggiormente le famiglie, quello di La Spezia di lavorare anche con le comunità religiose, e infine il museo del Finale di rivolgere parte della sua programmazione a disabili psichici. Interessante è però evidenziare anche “come” questi musei si attivano per includere il pubblico nelle proposte culturali: ben quattro musei su sei si limitano a fornire informazioni adeguate. Soltanto i musei di Rovereto e del Finale consultano il pubblico per ottenere dei feedback per la formazione delle proposte culturali, lo coinvolgono nel processo di formulazione al fine di conoscere e considerare le esigenze e le aspettative del pubblico. Il museo di Rovereto ha aggiunto inoltre di «modificare le proprie policy in risposta ad esigenze del pubblico» (intervista C. Collu, Direttore MART). I musei che attivano una relazione solo in termini di trasferimento di informazioni adeguate (4/6): • sono soliti raccogliere anche le opinioni del pubblico tramite la somministrazione di questionari e l’analisi dei commenti pubblicati dagli utenti sui social media attivati dal museo; • non consentono al pubblico di partecipare alle decisioni del museo, sebbene talvolta le stesse sono influenzate dalle preferenze ed opinioni espresse; • instaurano un rapporto di tipo collaborativo con alcuni target della comunità di riferimento, affinché si sentano partecipi fruendo di specifiche proposte culturali pianificate dal museo; • dichiarano, sulla base di una specifica attività di monitoraggio, che le attività di coinvolgimento del pubblico poste in essere hanno determinato un incremento dei visitatori, specificamente di target specifici e, a livello territoriale, un considerevole aumento della partecipazione ad attività culturali da parte di categorie sociali emarginate. In tali casi, non essendo ravvisabile alcun trasferimento di potere decisionale, si può dire che i musei hanno posto in essere un’attività di comunicazione con cittadini e gruppi sociali specifici, raggiungendo migliori performance in termini di incremento del numero dei visitatori ed aumento dell’inclusione sociale a livello territoriale. Diversa è la situazione per il MART di Rovereto e il Museo del Finale, per i quali si configurano rapporti rispettivamente di tipo diverso. Il Museo del Finale pone in essere un’attività di co-creazione con cittadini e target specifici (scuole e disabili psichici), di tipo informativo e consultivo sul piano dei processi decisionali, ma maggiormente coinvolgente sul piano dell’attuazione delle proposte pianificate, giacché il museo fa sì che il suo pubblico partecipi attivamente alla realizzazione delle proposte e si senta a proprio agio nel perseguire i propri interessi ed obiettivi utilizzando il museo. Si tratta tuttavia di un’apertura in senso ospitale e di mutuo scambio di risorse nel rispetto delle regole del museo, e non in senso deliberativo, poiché non influente sulla politica culturale e sulle relative attività attuative, che rimangono in capo al museo. In termini di risultati e impatti raggiunti, si aggiungono, rispetto alle situazioni precedenti, un aumento della soddisfazione del pubblico e la sostenibilità delle proposte attivate dopo sei mesi dalla loro conclusione.
In tale situazione, il museo ha attuato di fatto un trasferimento di potere operativo. Il MART di Rovereto aggiunge un ulteriore tassello alla discussione del tema oggetto di indagine, poiché instaura un rapporto con le comunità di riferimento più pregnante sul piano dei processi decisionali di governo. Nello specifico l’attività di coinvolgimento di cittadini e gruppi sociali specifici può dirsi di tipo deliberativo poiché: • consulta il pubblico utilizzando apposite tecniche di facilitazione (workshop deliberativi) e modifica le proprie policy in risposta ad esigenze del pubblico; • il pubblico partecipa alle decisioni del museo attraverso un rappresentante con diritto di voto negli organi decisionali del museo; • il museo elabora e diffonde al pubblico un report annuale sulle attività svolte. È interessante osservare come le attività di coinvolgimento del pubblico poste in essere dal MART abbiano consentito il raggiungimento di ulteriori risultati. Non solo un incremento del numero dei visitatori e della relativa soddisfazione, ma anche l’acquisizione di nuove collezioni e l’incremento delle risorse finanziarie del museo. In termini di impatto territoriale, invece, si rileva in aggiunta un aumento dell’iniziativa culturale dei cittadini, la nascita di nuove reti sociali, lo sviluppo di nuove idee, servizi e modelli per affrontare meglio le questioni sociali. Il MART ha dunque optato per un trasferimento di potere di governo e la condivisione della responsabilità culturale. Infine, ad eccezione di un caso, si può osservare come il principale cambiamento attuato dai musei esaminati rispetto ai propri assetti di management abbia riguardato l’inserimento di figure professionali specializzate in mediazione culturale. Rispetto al dibattito internazionale sul tema, il contesto esaminato consente di giungere a conclusioni già rilevate in altri contesti, ovvero che: il community engagement non possa considerarsi una pratica omogenea; sono identificabili tre possibili archetipi di comportamento strategico, in relazione al ruolo di cliente, fornitore o imprenditore riconosciuto dall’istituto museale al suo interlocutore, in termini di tipologia di potere decisionale posto in relazione; le pratiche poste in essere producono benefici anche per chi le attua. In relazione a tale ultimo aspetto, il contesto esaminato consente di osservare in aggiunta una certa relazione di tipo incrementale tra risultati e intensità della relazione. Rispetto al dibattito nazionale sui temi del management dei beni culturali pubblici, i risultati dello studio aprono nuove prospettive in tema di assetti di governance partecipata dei musei locali, allargando il novero dei soggetti da coinvolgere nella gestione a coloro che idealmente sono proprietari e fruitori dei beni culturali musealizzati, ciò in coerenza con la genesi della loro istituzione a livello locale e tenuto conto dei potenziali effetti in termini di risultati aziendali.

Volontari o stagisti?

MiBAC e Ministero del Lavoro stipulano un protocollo d'intesa per l'impiego di 2.000 "volontari" in servizio civile nazionale nelle attività di tutela, di fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale
Poveri professionisti della cultura!
Sempre meno le prospettive per il futuro...

(immagine tratta da 
http://napoleonlive.info/what-i-think/help-the-homeless/)
 
Il Ministero dei beni e delle attività culturali e il Ministero del Lavoro hanno stipulato un protocollo d'intesa per l'impiego di 2.000 volontari in servizio civile nazionale nelle attività di tutela, di fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale. “Si tratta del primo protocollo interistituzionale" – ha dichiarato il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini - "che inaugura un percorso di sperimentazione di progetti di servizio civile nazionale innovativi, capaci di coniugare lo spirito proprio del servizio civile, esperienza di formazione e arricchimento sia per i giovani che per la società, con la necessità di agevolare l’ingresso di giovani professionalità nel mondo del lavoro”. L'operazione costerà complessivamente circa 11 milioni di euro per il 2014/2015, ed è destinata, nella metà dei casi, a giovani che si trovino in condizioni di disoccupati o inoccupati e nel contempo, non risultino essere inseriti in un percorso di  istruzione  e  di formazione. L'altra metà dei "volontari" che beneficeranno del finanziamento del MiBACT "verranno impegnati in progetti dedicati alla tutela del patrimonio culturale di musei, archivi e biblioteche, con particolare attenzione alla diffusione della cultura tra le giovani generazioni".

C'è qualcosa che non funziona in questo protocollo d'intesa. Il primo dubbio, il più rilevante, riguarda la preparazione di questi giovani che verranno impiegati in tutte le funzioni più importanti svolte dagli enti culturali: si parla di tutela, di fruizione, di valorizzazione! Ma quali sono i requisiti che si richiedono? Quale tipo di preparazione? Sembrerebbe superfluo ribadire che la cura del patrimonio culturale richiede competenze altamente specialistiche in ogni singolo settore di intervento e che i professionisti della cultura sono laureati, specializzati e dottori di ricerca che hanno dedicato anni della loro vita e risorse per raggiungere questa preparazione. Evidentemente questo sembra un aspetto trascurabile per chi ha potere decisionale.

Il secondo dubbio riguarda l'uso del termine "volontari". Chi sono i volontari? C'è una ricca letteratura in proposito, ci sono normative, definizioni universali. Il testo della Legge quadro sul volontariato 266/91 recita all’art. 2:

1. Ai fini della presente legge per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.

2. L’attività del volontariato non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.

3. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte.

L’art 2, quindi, già smentisce l’interpretazione del termine da parte dei due Ministeri: si parla di attività svolte a titolo completamente gratuito, invece in questo caso chi svolge il servizio civile riceve una retribuzione, seppur minima. Ma c'è un altro aspetto da non sottovalutare e che riguarda la libertà di partecipazione: tutti dovrebbero poter contribuire con le proprie competenze e capacità alle attività di volontariato, quando questo è correttamente inteso come partecipazione spontanea dei cittadini ad attività di vario tipo, nell’interesse di tutta la collettività. Nel caso in questione, invece, il servizio civile è riservato a giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni, aventi cittadinanza italiana. Quindi una categoria di persone ben definita che ne esclude molte altre. In questo caso, dunque, non si può parlare di partecipazione attiva e spontanea della cittadinanza, ma di risposta di alcuni ad una ricerca di persone con determinati requisiti di età e di condizione occupazionale.

Quali sono le conclusioni? Il dato di fatto è che si tratta dell’ennesimo affronto al mondo dei professionisti culturali italiani. Dopo l’operazione “The Hidden Treasure of Rome” - l’accordo tra Enel, Comune di Roma e Musei Capitolini che prevede la cessione temporanea all’estero, per fini di studio e di ricerca, di centinaia di reperti archeologici, scavalcando, di fatto, a piè pari, tutto il mondo della ricerca, degli accademici e dell’archeologia italiana in generale - ecco che ora, evidentemente nella convinzione che il patrimonio culturale possa essere gestito da chiunque, senza bisogno di preparazione specifica, si ricorre al servizio civile per supplire alla necessità di personale, ormai cronica, nell’ambito dei beni culturali. I giovani che saranno impiegati in questa circostanza non sono volontari, forse possono essere definiti “stagisti”, ma in ogni caso il loro impiego, con le modalità che sono state descritte, appare improprio e, soprattutto, ingiusto. Infatti, in questo caso, non si tratta di tenere aperti i musei durante una giornata speciale come avvenuto lo scorso anno, quando difesi le decisioni del MiBAC. Ora la circostanza è completamente diversa e si danneggiano non solo i professionisti culturali ma anche i volontari veri che, ancora una volta, si trovano al centro di discussioni che rischiano di creare fraintendimenti riguardo la natura effettiva del volontariato, il quale, mi piace sempre sottolinearlo, consente a tutti i cittadini di partecipare alle attività della comunità di appartenenza, senza mai sostituirsi ai lavoratori retribuiti.


 Cari amici, in questi anni in cui ho svolto l’incarico di direttore scientifico del Museo Civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, dal 2019 a...