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Ripartire dalla cultura: firmiamo l'appello



MAB MUSEI ARCHIVI BIBLIOTECHE - AIB ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE - ANAI ASSOCIAZIONE NAZIONALE ARCHIVISTICA ITALIANA - ICOM ITALIA INTERNATIONAL COUNCIL OF MUSEUMS - ASSOCIAZIONE RANUCCIO BIANCHI BANDINELLI - FAI FONDO AMBIENTALE ITALIANO - FEDERCULTURE - ITALIA NOSTRA - LEGAMBIENTE - COMITATO PER LA BELLEZZA


hanno promosso la raccolta di firme "Ripartire dalla cultura".

Per firmare accedere al seguente link: http://www.ripartiredallacultura.it/

Di seguito il testo dell'appello:


I promotori e i firmatari del presente appello chiedono a chi si candida a governare l’Italia impegni programmatici per il rilancio della cultura intesa come promozione della produzione creativa e della fruizione culturale, tutela e valorizzazione del patrimonio, sostegno all'istruzione, all'educazione permanente, alla ricerca scientifica, centralità della conoscenza, valorizzazione delle capacità e delle competenze.
La crisi economica e la conseguente riduzione dei finanziamenti stanno mettendo a dura prova l’esistenza di molte istituzioni culturali, con gravi conseguenze sui servizi resi ai cittadini, sulle condizioni di lavoro e sul futuro di molti giovani specificamente preparati ma senza possibilità di riconoscimento professionale. Questa situazione congiunturale è aggravata dalla crisi di consenso che colpisce la cultura, che una parte notevole della classe dirigente – pur dichiarando il contrario – di fatto considera un orpello inattuale, non elemento essenziale di una coscienza civica fondata sui valori della partecipazione informata, dell’approfondimento, del pensiero critico.
Noi rifiutiamo l’idea che la cultura sia un costo improduttivo da tagliare in nome di un malinteso concetto di risparmio. Al contrario, crediamo fermamente che il futuro dell’Italia dipenda dalla centralità accordata all'investimento culturale, da concretizzare attraverso strategie di ampio respiro accompagnate da interventi di modernizzazione e semplificazione burocratica. La nostra identità nazionale si fonda indissolubilmente su un’eredità culturale unica al mondo, che non appartiene a un passato da celebrare ma è un elemento essenziale per vivere il presente e preparare un futuro di prosperità economica e sociale, fondato sulla capacità di produrre nuova conoscenza e innovazione più che sullo sfruttamento del turismo culturale.
Ripartire dalla cultura significa creare le condizioni per una reale sussidiarietà fra stato e autonomie locali, fra settore pubblico e terzo settore, fra investimento pubblico e intervento privato. Guardare al futuro significa credere nel valore pubblico della cultura, nella sua capacità di produrre senso e comprensione del presente per l’avvio di un radicale disegno di modernizzazione del nostro Paese.
Per queste ragioni chiediamo che l’azione del Governo e del Parlamento nella prossima legislatura, quale che sia la maggioranza decisa dagli elettori, si orienti all'attuazione delle seguenti priorità.

-Puntare sulla centralità delle competenze
-Promuovere e riconoscere il lavoro giovanile nella cultura
-Investire sugli istituti culturali, sulla creatività e sull'innovazione
-Modernizzare la gestione dei beni culturali
-Avviare politiche fiscali a sostegno dell’attività culturale

I promotori e i firmatari del presente appello chiedono di accogliere nei programmi elettorali queste priorità e di sottoscrivere i dieci obiettivi seguenti, che dovranno caratterizzare il lavoro del prossimo Parlamento e l’azione del prossimo Governo. Il nostro sostegno, durante e dopo la campagna elettorale, dipenderà dall'adesione ad essi e dalla loro realizzazione.

Riportare i finanziamenti per le attività e per gli istituti culturali, per il sistema dell’educazione e della ricerca ai livelli della media comunitaria in rapporto al PIL.
Dare vita a una strategia nazionale per la lettura che valorizzi il ruolo della produzione editoriale di qualità, della scuola, delle biblioteche, delle librerie indipendenti, sviluppando azioni specifiche per ridurre il divario fra nord e sud d’Italia.
Incrementare i processi di valutazione della qualità della ricerca e della didattica in ogni ordine scolastico, riconoscendo il merito e sanzionando l’incompetenza, l’inefficienza e le pratiche clientelari.
Promuovere sgravi fiscali per le assunzioni di giovani laureati in ambito culturale e creare un sistema di accreditamento e di qualificazione professionale che eviti l’immissione nei ruoli di personale non in possesso di specifici requisiti di competenza. Salvaguardare la competenza scientifica nei diversi ambiti di intervento, garantendo organici adeguati allo svolgimento delle attività delle istituzioni culturali, come nei paesi europei più avanzati.
Promuovere la creazione di istituzioni culturali permanenti anche nelle aree del paese che ne sono prive – in particolare nelle regioni meridionali, dove permane un grave svantaggio di opportunità – attraverso programmi strutturali di finanziamento che mettano pienamente a frutto le risorse comunitarie; incentivare formule innovative per la loro gestione attraverso il sostegno all'imprenditoria giovanile.
Realizzare la cooperazione, favorire il coordinamento funzionale e la progettualità integrata fra livelli istituzionali che hanno giurisdizione sui beni culturali, riportando le attività culturali fra le funzioni fondamentali dei Comuni e inserendo fra le funzioni proprie delle Province la competenza sulle reti culturali di area vasta.
Ripensare le funzioni del MiBAC individuando quelle realmente “nazionali”, cioè indispensabili al funzionamento del complesso sistema della produzione, della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, per concentrare su di esse le risorse disponibili. Riorganizzare e snellire la struttura burocratica del ministero, rafforzando le funzioni di indirizzo scientifico-metodologico e gli organi di tutela e conservazione, garantendone l’efficienza, l’efficacia e una più razionale distribuzione territoriale.
Inserire la digitalizzazione del patrimonio culturale fra gli obiettivi dell’agenda digitale italiana e promuovere la diffusione del patrimonio culturale in rete e l’accesso libero dei risultati della ricerca finanziata con risorse pubbliche.
Riconoscere l’insegnamento delle discipline artistiche e musicali tra le materie curriculari dell’insegnamento scolastico nelle primarie e secondarie e sviluppare un sistema nazionale di orchestre e cori giovanili e infantili.
Prevedere una fiscalità di vantaggio, compreso forme di tax credit, per l’investimento privato e per l’attività del volontariato organizzato e del settore non profit a sostegno della cultura, con norme di particolare favore per il sostegno al funzionamento ordinario degli istituti culturali. Sostenere la fruizione culturale attraverso la detraibilità delle spese per alcuni consumi (acquisto di libri, visite a musei e partecipazione a concerti, corsi di avviamento alla pratica artistica); uniformare l’aliquota IVA sui libri elettronici a quella per l’editoria libraria (4%); prevedere forme di tutela e di sostegno per le librerie indipendenti.

Aurélie Filippetti: la cultura è libertà


Madame Culture, il nuovo ministro francese della Cultura e delle Comunicazioni, porta una ventata di rinnovamento e nuove energie per superare il difficile momento della cultura in Francia

di Caterina Pisu


La Francia di Hollande saprà dare nuovo impulso alla cultura nazionale? Non è ancora possibile saperlo con certezza ma la scelta del nuovo ministro della cultura, la giovane Aurélie Filippetti, sembra indicare un orientamento verso lo svecchiamento e l’innovazione, sempre che si riescano a superare le difficoltà di budget che limiteranno sicuramente i grandi progetti culturali anche in Francia (sono previsti consistenti tagli al settore cultura). La buona dose di entusiasmo e di combattività della giovane Filippetti, nipote di un immigrato italiano di Gualdo Tadino, potrà essere la ricetta giusta. Laureata all’École normale supérieure de Fontenay-Saint-Cloud, la Madame Culture francese è stata insegnante di Lettere classiche prima di dedicarsi alla politica. Per lei, come ha dichiarato in una recente intervista a L’Unità, «la cultura è un investimento e non una spesa» in quanto, continua, «la cultura, le arti, lo spettacolo possono essere creatori di ricchezza. La crescita, poi, non può essere misurata solo su parametri economici»; ma non solo, la cultura deve essere considerata soprattutto per la sua valenza etico/sociale: «la cultura è libertà collettiva», afferma.
Stupisce l’età del ministro: appena 39 anni. Se pensiamo all’età media dei nostri ministri della cultura, non solo ora che ci siamo affidati ad un governo tecnico, ma anche in precedenza (fatta eccezione per Giovanna Melandri che però non ha lasciato un segno indelebile nella politica culturale italiana), è scoraggiante constatare che la politica culturale del nostro paese è sempre stata guidata da politici “anziani”, forse non solo in senso anagrafico ma anche per la mancanza di un “fervore” più tangibile che conducesse a reali e coraggiosi cambiamenti. Certo, a parte la scelta della Filippetti, non tutte le idee di inizio insediamento di Hollande sono state eccezionali e per fortuna è stato scongiurato il progetto di unione dei ministeri dell’istruzione e della cultura che probabilmente avrebbe rischiato di appesantire tutto il sistema culturale francese. E’ ancora presto, in ogni caso, sia per poter esprimere un giudizio sul governo Hollande sia sul ministro della cultura. Alcuni passi fatti finora sembrano non deludere, specialmente la proposta che la Storia dell’Arte sia insegnata dall’”asilo all’università” perché, secondo la Filippetti, bisogna superare quella barriera psicologica che separa la gente dall’arte, soprattutto dall’arte contemporanea. In tal senso anche la sua politica museale prevederà strategie volte a richiamare l’interesse dei visitatori verso i musei, in collaborazione con le associazioni culturali e gli enti locali. L’obiettivo è attirare tutti i pubblici, perché per Aurélie non basta che i musei siano gratuiti dai 18 ai 25 anni (disposizione in vigore dal 2009), è necessario fare di più.  La nuova ministra  è preoccupata anche per il degrado dei beni culturali, causato dai tagli ai finanziamenti degli ultimi anni. C’è bisogno di nuovi investimenti ma un ostacolo non facile da superare è già sulla strada della Filippetti: è proprio dei giorni scorsi la notizia di una sua opposizione al progetto di ridimensionamento del meccanismo fiscale a favore delle sponsorizzazioni alla cultura; la riduzione del beneficio fiscale porterebbe automaticamente, secondo la Filippetti, a «una drammatica interruzione del finanziamento di associazioni, musei, ricerca». Sarebbe un passo falso per la cultura francese ma speriamo che la giovane Aurélie abbia l’energia e l’influenza necessaria per scongiurarlo.
tratto da ArcheoNews, luglio/agosto 2012

Patrimonio museale da valorizzare

di Antonello Cherchi

tratto da Il Sole 24Ore


Non sarà il 70% rispetto a quello mondiale – dato mai verificato, ma che continua a essere citato – ma di certo l'Italia è tra i Paesi più ricchi di beni storici e artistici. A questa ricchezza non corrisponde, però, la capacità di metterla a frutto, di – ormai si può dirlo tranquillamente senza incorrere nelle ire dei puristi, perché la questione è stata ampiamente sdoganata – produrre reddito.
Ma è una questione più ampia, decisiva, strategica: proprio com'è auspicata nei cinque punti per una "costituente" che riattivi il circolo virtuoso tra conoscenza, ricerca, arte, tutela e occupazione, lanciata dalla Domenica del Sole 24 Ore.
Che abbiamo tesori straordinari nei nostri territori – poco valorizzati - è indubbio. Basta consultare lo studio predisposto da Banca Intesa e università Bocconi, presentato lo scorso autunno e da cui si evince che il fatturato commerciale dei luoghi d'arte italiani vale quello di un solo grande museo Usa. Tradotto in cifre: negli ultimi anni i musei statali nostrani hanno incassato dai servizi aggiuntivi (ristorazione, bookshop, merchandising, strutture di accoglienza) 40 milioni, quanto è riuscito a fatturare da solo il MoMa, quasi la metà di quanto guadagnato dall'altro grande museo di New York, il Metropolitan (72 milioni di euro), e un terzo dei soldi prodotti dallo Smithsonian di Washington (132 milioni).
E non è un problema di visitatori, perché i musei d'oltreoceano raggiungono quelle cifre con numeri assai minori, anche perché relativi a una sola struttura. La questione è che i 5 milioni di visitatori del British museum non "valgono" le stesse presenze del Colosseo, perché a Londra a fine anno si ritrovano con in cassa 21 milioni provenienti dai servizi collaterali, mentre a Roma ne contano solo 6.
È ovvio che la spesa pro-capite dei turisti sia più bassa nei musei italiani rispetto a quanto avviene nei grandi luoghi d'arte stranieri. Ma perché? Uno dei motivi è – come spiega sempre il rapporto di Banca Intesa – di natura strutturale: da una ricerca su 128 musei statunitensi si capisce che la superficie media dei punti vendita è di 145 metri quadrati, mentre in Italia non arriva a 45. È, ovviamente, soltanto un aspetto del divario che ci separa dal resto del mondo. Ma esemplificativo, perché vuol dire che dalle altre parti sulle attività di contorno, in grado (insieme alla vendita dei biglietti) di produrre reddito, ci hanno creduto e investito. Senza nessuna pretesa – elemento anche questo ormai consolidato – di voler finanziare per intero le attività culturali, perché nessun museo riuscirà mai a camminare sulle proprie gambe. Occorrerà sempre un'iniezione di risorse esterne, siano esse di provenienza statale o privata.

Erogazioni liberali ai musei: l’urgenza di una riforma fiscale

 di Caterina Pisu

Mentre nel mondo anglosassone le risorse private costituiscono una voce importante nel budget delle istituzioni culturali, in Italia l’apporto dei privati stenta ancora a crescere, se si esclude il caso del Colosseo che sarà restaurato dall’imprenditore Diego Della Valle con un finanziamento di 25 milioni di Euro. Secondo i dati delle più recenti statistiche, nel 2010 il British Museum, per esempio, ha ricevuto 14,7 milioni di sterline da donatori privati, sponsor, trust e fondazioni; il MoMa di New York nello stesso anno è stato sostenuto da ben 135.000 donatori, e così molti altri musei, soprattutto negli Stati Uniti, dove si favoriscono le donazioni grazie alla detassazione. Altrove si ricorre ad espedienti pubblicitari, come in Francia, in cui la situazione è abbastanza simile a quella italiana, con la differenza che non sono stati effettuati gli stessi drastici tagli alle sovvenzioni dello Stato, come purtroppo invece è avvenuto in Italia; inoltre, in Francia le donazioni sono deducibili fino al 66 %. Nonostante ciò, gli introiti non sono ugualmente sufficienti per cui il Musée d’Orsay, per esempio, ha affittato a Chanel la facciata del museo, su cui è stato apposto un gigantesco flacone di Chanel numero 5. In Italia la maggior parte delle erogazioni liberali delle imprese, pari a circa 31 milioni di euro annui, sono destinati per lo più al settore dello spettacolo, ma l’iter burocratico resta, comunque, eccessivamente intricato. Ai donatori, inoltre, spesso non viene dato il giusto risalto, e non sempre essi possono scegliere direttamente a quali istituzioni culturali indirizzare le proprie erogazioni, tranne nel caso in cui queste siano in possesso di personalità giuridica (per esempio le fondazioni); perciò solitamente le risorse vengono incamerate dal Ministero delle Finanze che poi le trasferisce al Mibac, il quale destina i fondi soltanto agli istituti culturali che non hanno autonomia amministrativa. Il meccanismo complicato, la scarsa visibilità dei donatori, unitamente alla normativa fiscale poco vantaggiosa (con una detrazione pari al 19%) hanno quindi l’effetto di scoraggiare l’investimento dei nostri imprenditori nel settore della cultura (argomento trattato anche in ArcheoNews gennaio 2011, “Mecenati in soccorso alla cultura”). La riforma delle normative che riguardano le erogazioni liberali deve essere attuata urgentemente perché ormai l’impoverimento delle risorse statali non è più sufficiente a mantenere in vita le migliaia di musei italiani e il ricorso ai finanziamenti privati non è più soltanto un’opzione. E’ necessario arrivare alla deduzione individuale al 100%, come nei paesi anglosassoni, ed anche all’autonomia amministrativa dei musei. Per ora, infatti, ci sono solo alcune iniziative, come in Toscana, per esempio, dove è stata avanzata una proposta di legge che dovrà essere approvata dalla Giunta regionale della Toscana prima della fine dell’estate e che prevede sgravi fiscali per privati e imprese che decideranno di investire in cultura. Si potrà detrarre il 20% di ciascuna donazione e, inoltre, sono previsti sconti sull’addizionale Irpef e, nel caso di aziende, sull’imposta per le attività produttive (Irap). Le riforme, tuttavia, dovranno essere ben più radicali e risolutive se si vorrà salvare veramente il patrimonio culturale nazionale.

Tratto da ArcheoNews, anno VIII, n. XCI, agosto 2011

I mecenati in soccorso della cultura

In Italia il mecenatismo è un fenomeno in crescita da una decina d’anni, ma è diventato un tema di scottante attualità soprattutto in questi ultimi tempi, alla luce dei continui tagli al settore della cultura: a questo punto sembra inevitabile il ricorso sempre più massiccio a queste nuove fonti di sostegno economico privato. Quale potrà essere, allora, lo scenario futuro per la cultura italiana? Innanzi tutto è necessario fare una distinzione tra le elargizioni di mecenati che decidono di finanziare l’arte e la cultura per motivi puramente filantropici, e gli investimenti di privati (soprattutto aziende) allo scopo di ottenere degli utili. E’ quest’ultimo aspetto, soprattutto, che desta qualche perplessità. Da una parte, infatti, c’è chi teme che l’ingerenza dei privati possa snaturare la missione e l’essenza stessa della cultura, dall’altra si arriva all’esatto opposto, ritenendo che in determinate circostanze sia giusto affidare interamente ai privati la gestione del patrimonio culturale per alleggerire lo Stato da un impegno economico troppo oneroso.
La prima posizione è ben rappresentata dal noto studioso e direttore della Scuola Normale di Pisa, Salvatore Settis, il quale, soprattutto nel sul libro “Italia S.p.A. - L’assalto al patrimonio culturale”, ha denunciato le recenti norme che hanno offerto ai privati la gestione di parchi e musei e reso possibile la cessione del patrimonio dello Stato italiano. La seconda posizione è quella espressa, fra gli altri, da Confindustria. Ci soffermeremo in particolare su quest’ultimo punto di vista per valutarne l’eventuale apporto di novità.
Le proposte di Confindustria
Recentemente, Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, ha lanciato alcune proposte in materia di tutela, valorizzazione  e messa a reddito del patrimonio culturale, artistico e museale italiano. In primo luogo ha ribadito, e su questo punto si può senz’altro concordare, che le “le risorse pubbliche non vanno più date a pioggia alle centinaia di soggetti pubblici protagonisti dell’offerta culturale inefficiente. Bisogna spostare l’allocazione delle risorse spostandole su criteri che tengano conto della domanda, e premino la migliore offerta”. In particolare la Marcegaglia si riferisce ai processi di matching grants, cioè a quei co-finanziamenti che sono commisurati ad una percentuale della spesa sostenuta a livello pubblico locale e che intervengono solo quando il contributo pubblico affianca quello privato, purché sia stato possibile reperirlo in maniera ad esso equivalente. Si tratta di un ausilio finanziario intelligente, perché non solo promuove la ricerca di risorse private, ma nello stesso tempo responsabilizza gli enti, conservando la loro partecipazione diretta ai progetti di fund raising. La seconda proposta della Marcegaglia riguarda in modo specifico i musei. Tenendo conto dell’alto numero di musei presenti sul territorio italiano e delle difficoltà che lo Stato incontra nel loro mantenimento, si ritiene che possa essere utile “affidare a privati in totale concessione sperimentale alcuni musei italiani, superando i limiti molto stretti posti dall’attuale ordinamento che affida ai privati solo la gestione di alcuni servizi”. A questo punto, quindi, i privati avrebbero anche la possibilità di gestire l’organizzazione del personale, per esempio, ma anche di intervenire sui progetti di didattica museale e sulla gestione delle collezioni, compresi i prestiti, le mostre, etc., ed è questo il punto dolente che lascia aperti molti interrogativi e su cui si è discusso a lungo in questi ultimi anni. La terza proposta della Marcegaglia si basa sulla possibilità di “estendere alle sponsorship delle imprese private in progetti culturali la disciplina del credito d’imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico (…) Serve una forte agevolazione fiscale per il rapporto di sponsorizzazione, che viene incredibilmente ristretto dall’articolo 120 del Codice dei Beni Culturali. E’ la sponsorizzazione che consente alle imprese un pieno e legittimo ritorno dell’investimento, a vantaggio del proprio marchio, immagine  e prodotto, e realizza altresì un più pieno coinvolgimento del privato nelle modalità di fruizione del patrimonio culturale”. Infine, sempre in materia fiscale, la quarta proposta della Marcegaglia è relativa alla possibilità di elevare dal 19% attuale ad almeno il 30% l’aliquota da portare in detrazione fiscale quando le erogazioni culturali siano effettuate da persone fisiche”.
Il caso della Francia
Di vantaggi fiscali si è discusso anche nell’ambito di Florens 2010, il Forum sui beni culturali di Firenze, conclusosi lo scorso 20 novembre: sebbene sia stato ancora una volta evidenziato il primato della cultura italiana, sono emersi, però, anche i molti problemi del Paese. E questo, nonostante la cultura sia una potenziale, ottima fonte di reddito che gioverebbe non poco all’economia italiana in generale. Una recente ricerca condotta dallo Studio Ambrosetti, infatti, ha rimarcato che 100 euro di Prodotto interno lordo generati nei comparti creativi si moltiplicano in 249 euro di Pil totale e che 3 occupati attivati nel settore culturale determinano 2 occupati al fuori del settore. Nonostante ciò la nostra cultura non è mai stata in condizioni economiche più difficili: mancano totalmente i fondi, i musei e i teatri chiudono o rischiano la chiusura. Si è portato ad esempio, allora, il caso della Francia, dove la legge sui mecenats introdotta nel 2003 ha sviluppato un sistema di fundraising privato di successo, tanto che il ministro Frédéric Mitterrand molto probabilmente eleverà ulteriormente la soglia di deduzione fiscale delle persone fisiche, nel caso di donazioni alla cultura, alla educazione e alle organizzazioni umanitarie, portandola ben al 60% dell' imposta.
Le attuali agevolazioni fiscali
Attualmente in Italia, come già accennato, è prevista una detrazione Irpef del 19% sulle erogazioni liberali in denaro destinate a enti pubblici, fondazioni, associazioni senza scopo di lucro legalmente riconosciute, etc., che svolgano attività in campo artistico e culturale di studio, ricerca, documentazione, catalogazione, acquisto, manutenzione, protezione e restauro di beni culturali, organizzazione di mostre in Italia e all’estero, pubblicazioni, etc.. Le imprese, invece, posso dedurre integralmente dal proprio reddito i contributi destinati al settore artistico-culturale. In particolare, quando si tratta dei finanziamenti a enti che svolgono attività di studio, ricerca, documentazione finalizzate all’acquisto, la manutenzione, la protezione e il restauro di beni artistici. Sia le persone fisiche sia i soggetti Ires (società ed enti commerciali e non commerciali), inoltre, possono scegliere di dedurre dal reddito dichiarato, nel limite del 10% di quello complessivo e comunque non oltre i 70mila euro annui, l’importo delle erogazioni in denaro o natura erogate dal 15 maggio 2005.
Prospettive future
Alla luce del quadro fin qui delineato, è chiara la necessità di lavorare celermente e bene ad un miglioramento dei vantaggi fiscali in materia di donazioni alla cultura. Bisognerà rilanciare l’Italia anche dal punto di vista degli investimenti esteri, tenendo conto che nel 2007 l’Italia è risultata il ventitreesimo paese al Mondo e il penultimo paese nell’UE per attrazione di investimenti. Anche per quanto riguarda il turismo, le cui risorse sono strettamente legate all’ambito culturale, se nel 1970 eravamo il primo Paese al mondo per numero di turisti stranieri, ora siamo piombati al quinto posto, dietro Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina, e probabilmente retrocederemo ancora. Anche questo è un campanello d’allarme che indica lo stato di emergenza in cui versa il nostro patrimonio culturale, sempre meno allettante anche per il mercato estero. Se si dovrà intervenire, pertanto, bisognerà farlo con la massima urgenza ma anche con oculatezza, con l’apporto di tutti i soggetti interessati anche in termini di confronto e di dibattito. 

Caterina Pisu (ArcheoNews, gennaio 2011)

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