Una guida ai caffé dei musei di tutta Europa
"Un caffé al museo" è il libro di Maria Sole Pantanella che ci porta a conoscere le più belle caffetterie museali d'Europa. Il volume è del 2003 e si spera che la casa editrice Le Lettere pubblichi presto un'edizione aggiornata di questa interessante guida che ci fa conoscere il mondo dei musei attraverso una prospettiva diversa: quella del piacere dell'aggregazione e dell'incontro in un luogo dedicato all'arte e alla cultura cui unire l'altrettanto soddisfacente assaggio delle specialità gastronomiche che ognuno di questi raffinati locali è in grado di offrire. Un modo completamente nuovo di avvicinarsi al museo non solo attraverso la vista e l'udito ma attivando anche olfatto e gusto!
Ancora sulla colazione al museo...
Ricollegandomi al post di ieri, "Un caffé al museo", ho trovato un breve articolo del 2010 nel blog della Nutella, a conferma del successo riscosso dalle caffetterie museali. Lo riporto integralmente:
Colazione ad arte...nei grandi musei
Postato il 21 Settembre, 2010
alle 05:06 da La Redazione di Nutella.it
Capolavori d’arte e grandi mostre?
Non solo. Oggi i musei attirano nuovi visitatori prendendoli anche… per la
gola! Dopo la moda delle cene allestite tra le sale espositive, è arrivato il
momento della prima colazione gourmand, proposta da molte
caffetterie museali. Una formula originale che ha riscosso da subito un grande
successo.
A Parigi celebrità,
artisti e galleristi si danno appuntamento di primo mattino alla brasserie del
Palais de Tokyo o al sesto piano del Centre Pompidou, sulla
spettacolare terrazza della caffetteria del museo. A Londra la Tate Modern
accoglie i primi visitatori della giornata con un caffè da sorseggiare ai
tavolini allestiti accanto all’immensa vetrata con vista sul Tamigi,
mentre a New York l’ultimo grido è il breakfast al The Wright,
il nuovo bistrot del museo Guggenheim.
E in Italia? Vera antesignana è
stata la caffetteria del Mambo, il museo d’arte moderna di
Bologna, meta abituale fin dal primo mattino di studenti universitari e
professionisti, grazie a un’ottima colazione servita tra arredi vintage e
opere d’arte.
Con gli ultimi tepori autunnali,
il Caffè delle Arti della Galleria d’Arte Moderna è uno dei
luoghi più incantevoli di Roma, perfetto per sorseggiare un cappuccino. A
Milano il ritrovo chic prima dell’ufficio è tra i tavolini
allestiti con centotrenta diverse sedie d’autore al Triennale design caffè,
mentre a Venezia c’è un angolo nascosto alla folla dei
turisti: il caffè della fondazione Peggy Guggenheim, dove ordinare una
romantica colazione prima di iniziare la visita al museo.
Un caffé al museo
di Caterina Pisu
Navigando
su internet mi sono imbattuta in un blog che non aveva assolutamente niente a
che vedere con i musei (un blog di ricette di cucina), ma in cui si faceva
cenno al Caffé del Museo della Storia di Bologna. Quello che mi ha colpito è
leggere l'entusiasmo con cui l'autrice lo ha descritto, decidendo addirittura
di passarvi tutti i week-end dell'estate.
Il
bar, pur appartenendo alla struttura museale, consente l'ingresso
indipendentemente dalla visita al museo, ma sarebbe interessante sapere quante
persone hanno deciso o decideranno di entrare al museo solo perché attratte da
questo bellissimo Caffè. Così mi è venuto in mente un articolo che avevo letto
nel 2010 su corrieredellasera.it e che sono riuscita a ritrovare; l'articolo è
di Francesca Bonazzoli e l'autrice scrive, a proposito dei bar dei musei di
Roma: "Grazie alla dolcezza del clima, ai giardini lussureggianti e
alle terrazze dalla vista spettacolare, regalano l’ebbrezza di farti sentire
uno di quei turisti americani a Roma nei film degli anni Cinquanta, fra
camerieri in candida divisa bianca, palme, alberi di agrumi, arredi di bambù,
pianoforti a coda, chiacchericcio internazionale e tanto ghiaccio nei bicchieri".
Nell'articolo
ora citato si parla dei Caffé di alcuni dei musei più importanti di Roma: il
Caffé delle Arti della Galleria d'Arte Moderna, il Bar di Villa Medici al
Pincio, il bar ristorante Open Colonna del Palazzo delle Esposizioni e infine
il Bar dei Musei Capitolini. Non sappiamo esattamente se in tutti questi
casi, come pure in tanti altri luoghi di ristoro appartenenti a strutture
museali di tutta Italia, si sia raggiunto davvero uno degli obiettivi che ci si
era prefissati con la legge Ronchey, quello, cioè, di fare dei musei
statali dei luoghi di aggregazione, ispirandosi alle collaudate esperienze
straniere, in particolare nordamericane, e cercando così di "svecchiare"
il sistema dei servizi museali italiani.
Purtroppo
non sempre i risultati sono stati quelli voluti, soprattutto a causa di scelte
gestionali non molto lungimiranti. Abbiamo citato, in apertura, il Caffé del
Museo della Storia di Bologna che si presenta come un'area accessibile anche a
chi deciderà di non entrare in un museo: una strategia indiscutibilmente
intelligente. In un articolo comparso ne il Giornale del 2003, Camillo Langone
ricorda altri casi simili, fuori dall'Italia, molto noti, come il Guggenheim e
il Whitney Museum. All'opposto, ci sono musei che invece penalizzano la
fruizione delle caffetterie; a questo proposito Langone ne cita alcune,
note quasi solo agli addetti ai lavori, quasi "nascoste" dentro i
musei, che oltretutto obbligano non solo a pagare conti più salati rispetto a
un normale bar sulla strada, ma anche a caricarsi della spesa del biglietto
d'ingresso al museo. La doppia spesa, secondo Langone, allontanerebbe qualsiasi
persona che non sia decisamente un "art-maniaco"!
Non
entro nel merito della complessa analisi sulle politiche di privatizzazione dei
servizi museali, ma ciò che si è voluto evidenziare, molto semplicemente, è che
le caffetterie museali possono avere, come si è visto, un appeal particolare
sul pubblico, tale da renderli anche interessanti investimenti per le aziende
private. Ma secondo Confcultura, perché ciò avvenga sarebbe necessaria una
politica di incentivi che giovi anche al museo, per esempio con sconti in bassa
stagione e alle famiglie. Inoltre le imprese avrebbero bisogno di più autonomia
gestionale, senza dover rallentare il passo dietro il carro obsoleto del
Mibac: "la soluzione potrebbe essere affidare ai privati la
gestione diretta dei servizi museali, comprese le decisioni su marketing,
orari, personale, prezzi ecc. Naturalmente in accordo e con il controllo delle
Soprintendenze in una vera partnership" (Patrizia Asproni,
Confcultura). Non ci resta che attendere tempi più propizi, tra un caffé e una
brioche...
"...con the al Museo"
Giovedì 22 novembre 2012 alle ore 18, nella Sala Santa Caterina del Museo Diocesano “San Matteo” di Salerno, si inaugurerà la manifestazione “... con the al Museo”, organizzata dalla Soprintendenza per i BSAE di Salerno e Avellino, guidata da Maura Picciau, di concerto con la Direzione del Museo (gli appuntamenti continueranno fino al 7 febbraio).
Nel primo appuntamento verrà presentato alla cittadinanza il dipinto su tavola raffigurante La Madonna del Rosario e misteri, opera cinquecentesca, donata al Museo Diocesano dal prof. Dante Cianciaruso, di cui ricorre quest'anno il ventennale della scomparsa.
Docente di Storia dell'arte presso il Liceo Classico “De Santis”, cultore di tante branche del sapere, Dante Cianciaruso contribuì, con passione e con amore, alla conoscenza della musica antica. Grazie al suo contributo si formarono ensemble musicali tra cui il coro “Antica consonanza”. A lui si deve l'organizzazione del primo “Festival di Musica Antica”, oggi giunto alla XXIII edizione.
Parteciperanno all'incontro alcuni dei testimoni di quella stagione intensa e ricca di novità che Cianciaruso fece vivere alla città durante la sua permanenza a Salerno.
Interverrà, tra gli altri, il pittore Mario Carotenuto che lo ha raffigurato nel famoso Presepe Dipinto e che, con altrettanta generosità, lo ha imitato con la donazione al Comune di alcune delle sue opere.
L'incontro, che si svolge con la collaborazione dell’Ept di Salerno, sarà arricchito dalle note del coro “Estro Armonico”, diretto da Silvana Noschese e del coro del Liceo De Santis, diretto da Giuseppe Lazzazzera. Seguirà un momento di degustazione, con the e pasticcini.
Ringrazio la Dott.ssa Giuliana Sorgente, Ufficio Comunicazione della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed
Etnoantropologici per le province di Salerno e Avellino, che mi ha segnalato la notizia.
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Musei e multiculturalismo
di Caterina Pisu
Oggi in Italia, non solo le grandi città ma anche i più piccoli
centri devono confrontarsi con un multiculturalismo sempre più
crescente, determinato dalla presenza nelle comunità di gruppi di
immigrati di prima ma anche di seconda e terza generazione
che, talvolta, anche se nati nel nostro Paese, risentono della mancata
integrazione nel tessuto sociale autoctono dei loro genitori e nonni.
Quando ciò accade è probabile che non abbiano sentito "propria" o
comunque "vicina" la cultura locale e forse nessuno si è preoccupato di
mettere in rilevo, ai loro occhi, gli elementi di "vicinanza" piuttosto
che quelli di "distanza".
Valentina Andriani e Isabella Crespi, in un contributo del 2011 per
l'università di Macerata
(http://www2.unimc.it/dsef/working-papers/home/l2019appartenenza-alle-cerchie-sociali-e-la/filePaper),
citando il sociologo Georg Simmel scrivono: "Simmel, definisce lo
straniero come «colui che oggi viene e domani rimane» (Simmel 1998, 89).
Questa sua condizione lo pone in una posizione ben differente rispetto
al nomade o al viandante, nonostante non sia nato nel luogo in cui si
trova e non vi appartenga". Per Simmel, inoltre, lo "straniero" è "colui
che entra in contatto spaziale e sociale con il gruppo, che prima è
mobile e poi si fissa in un nuovo punto" ((Andriani, Crespi 2011, p. 81).
Molto spesso la condizione degli stranieri, ne abbiamo esperienza
nelle nostre comunità, è marginale, esclusa dai ruoli di maggiore
rilevanza sociale, con capacità relazionali ridotte, a volte, da diversi
ostacoli: linguistici, culturali, etici, religiosi. Ciò comporta un
fenomeno di ambivalenza, derivante dalla posizione contemporaneamente
interna ed esterna dello straniero rispetto alla comunità cui si riferisce:
interna, in quanto egli è fisicamente dentro la comunità, esterna perché
la sua condizione lo pone in una posizione estranea e antitetica
rispetto al gruppo sociale autoctono.
Eppure la figura dello straniero immigrato, proprio per le
caratteristiche appena descritte, contrariamente a quanto si possa
pensare può svolgere un ruolo sociale importante di compattazione della
comunità locale e di rafforzamento della sua iidentità, perché con la
sua stessa presenza, che introduce un elemento di alterità, promuove "la
coesione sociale del gruppo che si riconosce nei vincoli
simbolico-relazionali che lo costituiscono proprio contrapponendosi a un
elemento estraneo, che, pur condividendo lo spazio (abitativo e
esperienziale) ed essendo, dunque, incluso, si trova in una relazione
che è, al contempo esterna/frontale, rispetto al gruppo" (Andriani,
Crespi 2011, p. 83). Quando ciò non avviene, non è l'immigrazione la causa (pur tenendo presente i problemi legati all'immigrazione clandestina e il pericolo di affiliazione da parte di organizzazioni criminali, che possono causare grande malessere sociale), ma vuol dire che è già in atto un processo di disgregazione della comunità che non si identifica più nei suoi valori tradizionali.
Già da vari anni i musei si stanno ponendo il
problema di come declinare l'integrazione delle comunità di origine
immigrata con la salvaguardia e il rafforzamento delle identità locali.
E' del 2007, per esempio, il progetto europeo "Museums as Places for Intercultural Dialogue",
Da questo progetto sono scaturiti studi molto interessanti che sono
stati presentati in un convegno, a Bologna, il 10 giugno 2008. La
museologia, pertanto, si è dimostrata attenta ai cambiamenti sociali e
c'è la consapevolezza che i musei possano essere importanti, forse più
di altre istituzioni politiche, economiche e sociali, al raggiungimento
dell'armonia e dell'integrazione sociale.
Quali possono essere gli strumenti per attuare il dialogo
interculturale attraverso i musei? Il primo passo dovrebbe essere il
coinvolgimento diretto dei vari attori sociali. E' ciò che accade, per
esempio, al Metropolitan Museum di New York, una delle città più
multiculturali del mondo, in cui il Museo ha costituito un Comitato
multiculturale consultivo, composto da afro-americani, asiatici,
asiatico-americani, ispanici/latino-americani, americani, indiani, e,
dal punto di vista religioso, da esponenti della religione musulmana, e
da altri leader di organizzazioni interreligiose. Questi si incontrano
periodicamente con il personale del Museo cercando di focalizzare
obiettivi comuni. Il Comitato, quindi, predispone un programma che che
comprende varie attività di sensibilizzazione, tra cui:
- Ricevimenti, visite e conferenze che si ispirano alla diversità culturale rappresentata nelle collezioni del Museo.
- Il sostegno e la partecipazione a numerosi eventi culturali e civili che riguardano le comunità di New York.
- Collaborazioni con altre istituzioni e organizzazioni culturali di New York.
- Celebrazione annuale dei "mesi del patrimonio".
Le varie iniziative vengono poi adeguatamente propagate
attraverso i giornali locali, la radio e la televisione, avvisi
pubblicitari, comunicati stampa e media, soprattutto i social media.
Un programma di mediazione interculturale di questo tipo è adattabile
a qualunque museo e ad ogni comunità, anche la più piccola (un esempio:
il piccolo Comune di Brabarano Romano, in provincia di Viterbo, avente
una popolazione di circa 950 unità, ha anch'essa una sua comunità di
stranieri di 85 unità). Per attuare tale impegno, è importante svolgere
un'analisi preventiva della composizione della popolazione straniera
presente. Solitamente è possibile dedurre i dati molto facilmente
attraverso una ricerca nei siti comunali o provinciali o nei siti dei
principali enti di ricerca statistica (riferendomi ancora a Barabarano Romano si può sapere, per esempio, che la popolazione straniera è così suddivisa: Romania
27 unità, Polonia 20, Albania 6, Brasile 6, Filippine 4, Ucraina 3,
India 2, Nigeria 2, Regno Unito 2, Perù 2, Germania 2, Marocco 1, Stati
Uniti d'America 1, Bielorussia 1, Belgio 1, Cuba 1, Moldova 1, Kenya 1,
Mauritius 1, Bulgaria 1).
E' utile anche cercare una collaborazione con gli uffici di
mediazione interculturale che sono presenti presso gli enti locali e
nelle province, con i quali possono essere concordati progetti culturali
comuni che coinvolgano pienamente il museo.
Bisogna rilevare che in Italia si stanno moltiplicando i progetti di
mediazione interculturale. Il prossimo 19 novembre, per esempio, presso
la Fiera ABCD di Genova si svolgerà il Convegno "Musei e dialogo
interculturale. Esperienze e buone pratiche a sostegno della mediazione
culturale"
(http://www.vanninieditrice.it/agora_scheda.asp?ID=838&categoria=convegni,%20mostre,%20concorsi)
e in questa occasione ricercatori, esperti d’interculturalità e
operatori museali presenteranno progetti d’intercultura in ambito
museale.
Una buona occasione per fare il punto su queste problematiche così attuali, essendo indubitabile che l'avvio di un dialogo costruttivo tra gli individui e le comunità portatrici
di culture diverse è un compito che tutti i musei dovranno
necessariamente affrontare per continuare a svolgere un ruolo attivo e rilevante
nell'ambito delle proprie comunità di riferimento, contribuendo, così, all'armonizzazione sociale e ad un maggior senso di sicurezza e di fiducia reciproca.
Bibliografia e Sitografia:
V. Andriani, I. Crespi, "L’appartenenza alle cerchie sociali e la condizione di straniero in George Simmel", Università degli Studi di Macerata,
Dipartimento di Scienze dell‟Educazione e della Formazione, Working paper n. 5, Novembre 2011
Metropolitan Museum of Art, www.metmuseum.org
Museums as Places for Intercultural Dialogue, http://www.mapforid.it/
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