Rispondo qui alla replica del collega Alessandro D'Amore al mio articolo "Muoia Sansone con tutti i Filistei". Il post di Alessandro può essere letto nel suo interessantissimo blog Le parole in archeologia.
Caro Alessandro, ho appena letto
il tuo intervento, molto articolato, e che necessita, quindi, di una altrettanto
compiuta risposta, anche per chiarire alcuni concetti che, soprattutto nel mio
articolo pubblicato su ArcheoNews lo scorso autunno, citato nel mio precedente post, credo di aver in parte già focalizzato.
Io non ho
mai negato che possa esserci un impiego improprio del volontariato, e proprio
perché il problema esiste, in occasione del IX Congresso Internazionale degli
Amici dei Musei, tenutosi a Oaxaca, in Messico, dal 21 al 25 ottobre 1996 si
evidenziò con particolare attenzione questo rischio: “Evitare
sovrapposizioni. Gli amici e i volontari possono trovare negli ambiti
d’intervento non affidati al personale permanente del museo un terreno
privilegiato in cui esercitare le loro iniziative e devono prestare attenzione
onde evitare che le loro attività non si sovrappongano a quelle esercitate dal personale
responsabile”.
Nel caso in cui questa clausola non venga
rispettata, allora si è in pieno diritto di protestare e di esigere l’adempienza
delle norme che regolano il lavoro dei volontari.
Ora, il fatto che il MiBAC si
sia appellato ai volontari per aiutare a tenere aperti i musei il 18 maggio,
fornendo assistenza ai visitatori, significa invadere qualche specifico campo
professionale?
Si tratta di una funzione da archeologo o da storico dell’arte o
da museologo o da antropologo? Non mi sembra.
Il fatto, come tu dici, che nell’ultimo concorso MiBAC per assistenti
alla vigilanza, il 90% dei partecipanti alla selezione fossero “archeologi specializzati, dottori di
ricerca, parlanti fluentemente due o tre lingue”, non significa che quello
sia diventato all’improvviso un lavoro da archeologo.
E' la necessità di
lavorare che costringe le persone non solo ad accontentarsi di fare i custodi nei
musei, ma anche di fare i commessi nei supermercati o i venditori porta a porta, ma nessuno direbbe che quelli sono lavori che devono fare gli archeologi, e il fatto che il lavoro di custode si svolga in un museo non modifica questa realtà. In un museo si lavora anche nelle caffetterie o si fanno le pulizie o si gestisce il bookshop. Ma l'archeologia è un'altra cosa.
Perciò, bisogna assolutamente evitare, innanzitutto, di creare confusione tra i
vari ruoli, e i primi a farlo dobbiamo essere noi se non vogliamo che la nostra
professione sia considerata inferiore ad altre che sono ritenute
indispensabili per la società, e quindi molto più rispettate.
Noi siamo
archeologi, non custodi di museo, questo è il primo punto da mettere bene in
chiaro. Quanto al significato del termine “volontario” rispetto all'altro termine “reclutato”, scusami, ma è una sottigliezza che non comprendo: i
volontari devono essere informati della necessità del
loro servizio e mi sembra che utilizzare i social networks sia un modo per
raggiungere rapidamente un’ampia platea di persone. Niente di più, niente di
meno.
L’unico appunto che si può fare
al MiBAC è che, forse, impauriti dalla reazione dei professionisti al loro
appello, non sono riusciti a mantenere la lucidità necessaria per fornire le
corrette giustificazioni e hanno dato l’impressione di “annaspare” in acque
agitate.
Il vostro errore, invece, a mio
parere, è stato quello di organizzare una protesta che si fonda su argomentazioni
sbagliate, perché in realtà la Notte dei Musei non c’entra proprio niente con i
nostri problemi, che non sono certo legati all’impiego dei volontari in questa
circostanza.
C’è il rischio, come ho già detto, di creare confusione e
contrapposizioni che non saranno comprese, perché è inutile che lo si neghi, ma
se lanciamo un hashtag #no18maggio, significa che non vogliamo la Notte dei
Musei perché il lavoro dei volontari abbiamo diritto di farlo noi!
Questo è il
messaggio che stiamo dando. E poi pretendiamo che la gente capisca che cos’è l’archeologia?
Perché non fare una protesta
altrettanto vigorosa quando un concorso di dottorato si rivela non molto “trasparente” o quando in un concorso universitario per una docenza, la scelta cade sul candidato
meno preparato? Perché si tace quando talvolta si viene trattati da “piccoli servitori”
da alcuni docenti che sfruttano anche il nostro lavoro durante un dottorato?
Io
penso che tutto ciò sia molto grave, molto più grave di un volontario che viene
chiamato a fare il custode in aiuto del personale strutturato. Eppure non si
muovono le folle per questo tipo di ingiustizie che costringono tanti a
lasciare la professione o a emigrare all’estero.
Ma certo, se noi, dopo tanto studio e tanti sacrifici,
ci accontentiamo di contendere il lavoro di custode nei musei ai volontari,
allora vuol dire che forse noi stessi non abbiamo capito bene quali sono i reali problemi
della professione.
Caterina Pisu
Cara Caterina, sono completamente d'accordo con te: anche a me la protesta montata su questo caso era sembrata un autogol e completamente fuori obiettivo, mostrando le rivendicazioni degli archeologi e dei professionisti della cultura come una difesa corporativa, invece che come una difesa della cultura.
RispondiEliminaQuello che ho cercato di far capire è proprio questo: siamo fuori obiettivo e questo danneggia battaglie ben più importanti!
EliminaCaterina, grazie per la celere contro-risposta al mio intervento. Sono convinto che ogni sana discussione possa e debba giovarsi dei punti di vista diversi (non per forza contrastanti) per crescere, maturare e prendere forma.
RispondiEliminaApro queste mie considerazioni ribadendo di nuovo che non sono assolutamente contrario al volontariato e all’azione dei volontari nel settore culturale, così come l’hashtag #no18maggio non si oppone alla manifestazione perché i volontari “ci rubano il lavoro”, ma nel modo in cui l’iniziativa (e la sua organizzazione) è stata gestita dal MiBAC.
“La protesta dei professionisti precari dei beni culturali, sacrosanta, nei confronti non dei volontari in quanto tali, ma dell’ennesima dimostrazione di arroganza miope di un Ministero incapace di ribellarsi alla propria conclamata irrilevanza politica” (Maria Pia Guermandi su "Nessun dorma" de l’Unità - http://nessundorma.comunita.unita.it/2013/05/15/la-notte-del-mibac/).
Poi riflettevo su un altro punto (e spero di spiegarmi bene utilizzando le parole giuste perché ho un gran ‘minestrone’ in testa): in un mercato del lavoro (nel settore culturale) come quello che abbiamo di fronte oggi e in una società ‘liquida’ – espressione cara al sociologo polacco Zygmunt Bauman – come quella moderna, c’è davvero spazio per le funzioni lavorative come compartimenti stagni? Perché se l’archeologo può lavorare solo come direttore di museo, curatore di una sezione archeologica, docente universitario, ricercatore universitario o archeologo professionista, si salvi chi può! Cinque sbocchi professionali per centinaia di migliaia di laureati.
Se il Ministero in un concorso pubblico esige dai suoi candidati un profilo professionale altamente specializzato, perché io archeologo specializzato e conforme a quel profilo non posso svolgere quella funzione? Lo so, non è quello per cui ho studiato, non è quello che un archeologo faceva 15 anni fa, ma è una possibilità, uno sbocco lavorativo nel settore professionale che mi sono scelto.
Con questo non voglio dire – come giustamente notavi tu – che qualsiasi lavoro o funzione svolta in un museo debba essere rivendicata da noi archeologi. Ritorniamo sempre allo stesso punto: se il MiBAC per l’assunzione degli assistenti alla vigilanza avesse inserito come unico requisito il diploma di studi superiori, nessuno si sarebbe lamentato o rivoltato in quest’occasione. Ma se tu Ministero mi vuoi così altamente specializzato, allora quello – per me archeologo altamente specializzato – diventa uno sbocco lavorativo.
Certo, noi siamo archeologi. Vorremo fare quello per cui abbiamo studiato per tanti anni. Ma, in definitiva, cosa fa un archeologo oggi? Perché l’unica cosa che vorrei evitare – ma che invece sembra stia avvicinandosi inesorabilmente – è che tutti possano fare il lavoro dell’archeologo ma che l’archeologo debba fare solo il suo lavoro.
RispondiEliminaRifacendomi a quello che scrivevi tu, è proprio al MiBAC che la protesta ha voluto rivolgere il suo indirizzo, alla sua gestione dell’iniziativa e alla sua goffa ‘reazione’ di fronte alle proteste in aumento.
Ma ora veniamo alle ammissioni.
Hai ragione, ci sono state occasioni molto più eclatanti e riprovevoli per far nascere una protesta di questo tipo, per scatenare un putiferio degno di questo nome. Però – come la storia a volte ci insegna – non si può decidere quando le cose devono accadere, a volte accadono e basta. Forse questo era il momento per scatenare la frustrazione e la ‘disperazione’ di una fetta molto ampia dei professionisti dei beni culturali che ha visto in questa reazione del Ministero un ennesimo smacco (non il più grave, ma l’ennesimo) dopo cui non ha voluto più tacere.
Certo, gli episodi che citavi tu sono sicuramente molto più gravi di quello di cui stiamo discutendo in questi giorni, ma se fossimo rimasti in silenzio anche questa volta quale altra avventata iniziativa ci saremmo dovuti aspettare? Come avremmo potuto avere il diritto di protestare contro lo stato del settore culturale italiano?
Per concludere, non penso che la maggior parte di noi non abbia chiaro quali siano i problemi della professione; anzi, li conosce fin troppo bene ed è per questo – non per ‘accontentarsi’ – che vista la situazione e la condizione del comparto della cultura in Italia faccia di tutto (anche il custode) affinché possa vivere di cultura.
Sperando di avere alimentato positivamente la discussione ed il confronto, ti saluto caramente.
Alessandro
“[...] non stiamo solo rivendicando il diritto al lavoro “per noi” ma vogliamo soprattutto che con noi e attraverso le nostre richieste il Paese si riappropri della sua Storia e anche del Valore economico che questo, di fatto, costituisce per restituirli ai Cittadini tutti” – P. Romi, commenti a “Le parole in Archeologia”.
Qui la replica: http://museumsnewspaper.blogspot.it/2013/05/ancora-proposito-di-no18maggio.html
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