Red Location Museum: un museo tra passato e futuro



Il Red Location Museum, a New Brighton, Port Elizabeth, in Sudafrica - è stato progettato dall’architetto Joe Noero per essere sia un monumento alla battaglia del Sudafrica contro l'apartheid sia una parte integrante della vita comunitaria in un quartiere di periferia che è stato protagonista di questa lotta.
Il museo si trova nella baraccopoli della Red Location, il quartiere più antico di New Brighton, teatro di uno dei primi atti pubblici di sfida contro l'apartheid quando, nel 1952, i lavoratori neri delle ferrovie sfidarono le leggi che impedivano l’accesso dei neri nelle zone riservate ai bianchi.
In questa zona vivono circa 40.000 persone, con un tasso di disoccupazione che arriva all’80% e circa il 30% della popolazione sieropositivo. E proprio nel bel mezzo di questa baraccopoli è stato creato un museo-simbolo, con il sostegno del governo sudafricano.

Il museo, aperto al pubblico nel novembre 2006, ha vinto tre importanti premi internazionali. Nel giugno 2006 è stato insignito del Royal Institute of British Architects inaugural Lubetkin Prize "per l'opera architettonica più straordinaria che sia stata costruita al di fuori del Regno Unito e dell’Europa da un membro del Royal Institute" - battendo la concorrenza agguerrita da parte del Canadian War Museum di Ottawa e del The Terrence Donnelly Centre di Toronto. Nel 2005 Il Red Location Museum ha ottenuto anche il World Leadership Award per l'architettura e l'ingegneria civile, il Nelson Mandela Bay Municipality e il Dedalo Minosse International Prize.
"Costruire un museo sull’era dell'apartheid nel bel mezzo di una periferia che è stata un focolaio della ribellione è un risultato straordinario" - hanno dichiarato i giudici del Premio Lubetkin - "Il Red Location Museum ha superato brillantemente la sfida, utilizzando la perizia architettonica per produrre un'esperienza indimenticabile, visceralmente e intellettualmente in movimento."

Il museo come parte della comunità circostante



Il complesso museale, concepito non solo come attrazione turistica, ma anche come parte integrante della comunità circostante, comprende una galleria d'arte specializzata nel lavoro di artisti dell’Eastern Cape e ospiterà anche un mercato, un laboratorio artistico, una biblioteca e un centro di alfabetizzazione degli adulti, e un centro conferenze.

Nella zona intorno al museo sono state costruite centinaia di nuove case a basso costo grazie ad una sovvenzione dello Stato.
Il museo si integra nel quartiere preesistente di ex vittime dell'apartheid come una parte senza soluzione di continuità della loro vita quotidiana. "In questo modo, l'orrore dell'apartheid diventa più evidente semplicemente con la sua presenza perché il lato monumentale del museo è associato ad una comunità viva e attiva", afferma l'architetto Jo Noero.

"Scatole della memoria"

Il design del museo è progettato intorno al concetto di memoria per mostrare gli orrori del razzismo istituzionalizzato e per mettere in forte evidenza gli sforzi eroici del movimento anti-apartheid.




Le "scatole della memoria" - che i lavoratori migranti delle miniere del Sudafrica realizzavano per ricordare le loro case originarie - costituiscono la base dell’edificio del museo che è di per sé una enorme “scatola della memoria”. Si tratta, in pratica, di un contenitore di contenitori. Anche i materiali con i quali è stato costruito il museo sono familiari perché evocano i vicini capannoni delle fabbriche, il metallo ondulato e arrugginito delle case, le palificazioni in legno, i massetti in calcestruzzo e le casse di imballaggio del porto. Il portico d'ingresso, che crea un filtro tra l’interno e l’esterno del museo, permette di ospitare eventi informali di arte pubblica che fungono da collegamento tra il museo e la comunità. 

Una app per i piccoli musei

Chertsey Museum

Lo scorso anno, dei 48 piccoli musei locali che hanno partecipato al Museums Association’s Mobile Survey 2013, il 48% aveva già un'offerta di applicazioni per smartphone e tablet; il 17% non l’aveva, ma prevedeva di introdurla nei prossimi 12 mesi; infine, il 35% non aveva mai introdotto alcun tipo di applicazione e non prevedeva di crearne alcuna.
Il Chertsey Museum, nel Surrey, sud-est dell’Inghilterra, è un esempio di piccolo museo locale che ha recentemente iniziato ad offrire contenuti mobili ai suoi visitatori. Nel mese di giugno, ha lanciato Right App Your Street, un’applicazione gratuita che permette ai visitatori di accedere a fotografie storiche di negozi della città e a localizzarli su una mappa per smartphone e tablet. L'applicazione utilizza il GPS e una mappa interattiva per consentire agli utenti di visitare e conoscere i luoghi storici e i negozi della città.  Piuttosto che creare una app che ripeteva le informazioni già disponibili sul sito, il museo ha deciso di creare qualcosa che portasse la collezione del museo fuori, nella città, creando una forte correlazione tra il museo e il tessuto urbano. In questo caso, dunque, il piccolo museo assume anche il ruolo di promotore turistico.
Emma Warren, curatore del Chertsey Museum, ritiene che "questo tipo di tecnologia sia perfetta per aiutare i musei a far conoscere le proprie collezioni al pubblico. È anche  un modo divertente per far conoscere la storia della propria città ai residenti". L’applicazione è stata finanziata grazie al contributo di 8.800 sterline della Heritage Lottery Fund. Il Museo di Chertsey ha installato anche una connessione Wi-Fi gratuita nelle proprie gallerie.

Una foto storica di Chertsey del 1900

I contenuti della app possono  essere gestiti attraverso un Content Management System dal sito del museo, il che rende relativamente facile adattarlo e aggiornarlo. 
Io l'ho appena scaricata da Play Store. 

Tratto da Museum Practice, “Case study: small museums and mobile” 14/10/2013

Piccoli Musei: Sistemiamoci! I musei della provincia di Viterbo, ...

Piccoli Musei: Sistemiamoci! I musei della provincia di Viterbo, ...: Riporto qui il link all'articolo di Francesca Ceci, apparso su La Loggetta nel mese di dicembre 2013.

Un grande premio per un piccolo museo irlandese, ma in Italia ci si dimentica dei piccoli musei



The Little Museum of Dublin ha ottenuto, quest'anno, il David Manley Emerging Entrepreneur Award, premio sponsorizzato dalla Camera di Commercio di Dublino. Il museo, fondato da circa tre anni dallo scrittore Trevor White e dal compositore Simon O'Connor, dispone di una collezione di 5.000 oggetti, tutti frutto di donazioni. Lo scorso anno è stato visitato da 45.000 visitatori e si sta affermando anche a livello internazionale grazie ad una politica particolarmente lungimirante e razionale dei propri fondatori e amministratori, la quale prevede visite guidate ogni ora, lezioni di educazione civica "I love Dublino" per gli scolari delle scuole primarie e post-primarie, una serie di conferenze mensili e l'ingresso gratuito, previsto in alcuni giorni. Il museo, inoltre, incoraggia attivamente i visitatori a raccontare le loro storie, cercando di allacciare uno stretto rapporto con la comunità. Il quotidiano australiano The Sidney Morning Herald ha scritto a proposito di questo museo: "La cosa migliore da fare nel tempo libero, in Europa".
Devo dire che il mio pensiero è corso subito ad alcuni nostri eccellenti piccoli musei, e vorrei qui citare, in rappresentanza di tutti, il Museo del Bottone di Santarcangelo di Romagna, fondato e diretto da Giorgio Gallavotti. Lo abbiamo già scritto varie volte su queste pagine: il piccolo Museo del Bottone, conosciuto anche a livello internazionale, ormai un punto di riferimento per gli studiosi e i collezionisti di questo accessorio così comune, ha avuto, nel 2013, oltre 25.000 visitatori, ma il problema è che qui in Italia questi risultati sembrano passare inosservati. Sarebbe bello se ci si accorgesse che la realtà dei piccoli musei è un motore importante per il Paese, prima di tutto perché il 90% dei musei italiani è di piccola e piccolissima dimensione, come ci ripete Giancarlo Dall'Ara, fondatore e presidente dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei, e quindi salvaguardare, promuovere e valorizzare i piccoli musei significa amare la nostra cultura e conservarla nella sua interezza per le generazioni future. Ma vorrei anche aggiungere che i riconoscimenti, i premi, le targhe, hanno la loro utilità: servono a incentivare le buone pratiche, a incoraggiare coloro che, spesso senza alcun riscontro economico ma solo per pura passione e per uno straordinario spirito di dedizione, si impegnano quotidianamente per salvare questo patrimonio comune. Ogni tanto non sarebbe sbagliato ricordarsi di loro.

Sime Sitem: un premio all'Italia

Dal blog dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei



Piccoli Musei: Sime Sitem: Un premio all'Italia: Un museo italiano vince il premio al Sime Sitem di Parigi. Nell'ambito della importante manifestazione Sime Sitem la nostra Associazi...

Tutti insieme appassionatamente…un giorno dedicato ai musei su Twitter: Follow a Museum Day

Torna il Follow a Museum Day, domani 1 febbraio tutti sintonizzati su twitter con l’hashtag #followamuseum




Basta esserci, usare l’hashtag e tutti possiamo promuovere il nostro museo preferito, oppure i musei possono auto-promuoversi, dire qualcosa sulle loro iniziative o sulle loro collezioni.  Domani 1 febbraio sarà l’occasione giusta per essere tutti insieme su Twitter, non mancate! Soprattutto voi, piccoli musei, o voi che amate i piccoli musei!

Che cos’è il Follow a Museum Day 


L’idea è di Jim Richardson e lo scopo è quello di favorire la comunicazione dei musei attraverso i social network, in particolare Twitter. Pensiamo, afferma Richardson, che oltre un milione di persone seguono i musei su Twitter. Ognuna di queste persone può, a sua volta, attrarre altri seguaci per il museo solo con il passaparola. Che cosa potrebbe succedere se qualcuno che non visita i musei da anni, si sentisse improvvisamente ispirato da Twitter a scrivere qualcosa sui musei? E che cosa potrebbe succedere se più persone usassero Twitter per raccontare che cosa ne pensano dei musei che visitano e delle loro mostre? Dati i numeri di Twitter, non è difficile immaginare che il contagio sarebbe imponente! Con questo stratagemma, dunque, una iniziativa sociale di grande impatto mediatico, Richardson si propone di dimostrare che l’utilizzo di Twitter può fare molto bene al mondo dei musei. Provare per credere! 

Musei in video



In attesa di conoscere i vincitori del concorso Musées (em)portables che quest'anno vede una cospicua presenza italiana (lasciamo un po' di suspense fino al 29 gennaio), vorrei sottolineare quanto in questi giorni a livello internazionale il mezzo visivo sia diventato un argomento di grande interesse. Oltre alla Francia e al suo Musées (em)portables, anche la rivista specialistica inglese Museum Practice ha dedicato un intero speciale a questo tema. Il mezzo cinematografico viene usato spesso in ambito museale e per differenti motivi: per esempio per offrire una interpretazione di una mostra o di una collezione museale; per creare esperienze immersive; come esperienza di apprendimento; infine, soprattutto nei paesi anglosassoni, ciò avviene anche per scopi di marketing o di raccolta fondi. Grazie al mezzo cinematografico in connubio con l'impiego delle realtà virtuali e delle realtà aumentate, poi, è possibile riportare alla vita le antiche civiltà, ricreando esperienze sensoriali che non potrebbero essere ottenute senza l'impiego di queste tecniche. Il cinema può essere anche un mezzo ideale per far vivere esperienze di apprendimento soprattutto se si coinvolgono direttamente i ragazzi (o anche gli adulti) nella realizzazione di video all’interno del museo. Non sono necessari grandi investimenti: bastano una piccola telecamera, un cavalletto e un microfono; ma, in ogni caso, i costi di produzione molto bassi, sostenibili dalla maggior parte delle scuole, sono ricompensati dal valore di un’esperienza molto costruttiva basata sull'impegno e sulla creatività. Non è difficile ed è a costo zero creare un canale You Tube del museo in cui si possono caricare anche i video creati dai propri visitatori: può essere semplicemente il racconto della propria visita oppure il museo può suggerire dei temi, per esempio in determinate occasioni che riguardano o il museo stesso o altri avvenimenti culturali di portata nazionale o locale, invitando a contribuire, usando liberamente la propria creatività.
Diverso è il caso in cui i musei decidano di investire in produzioni video create da professionisti per promuovere il museo o una specifica mostra. Questo può creare timori nei responsabili dei musei perché si teme che i costi necessari possano non produrre i benefici sperati. Uno dei problemi è cercare di creare dei video che possano durare nel tempo, ovvero fare in modo che l’investimento sia anche a lungo termine. Secondo gli esperti, come regola generale i film creati per il web o proiettati lungo il percorso espositivo dovrebbero avere una durata ottimale di tre minuti. Apparentemente si tratta di un tempo molto ridotto in cui può sembrare difficile raccontare molte cose (ma all'occorrenza si possono creare vari film ciascuno di tre minuti). In realtà in tre minuti si possono ottenere dei veri e propri mini-fim (basta andare a visionare i filmati dei musei che hanno partecipato in questi anni a Musées (em)portables); in secondo luogo, è una buona strategia fare in modo che il pubblico abbia voglia di saperne di pù; terzo, se è vero che in tre minuti non si possono raccontare storie complicate, è possibile, però, riuscire a suscitare emozioni e a stimolare il pensiero degli spettatori in modo efficace. E questo, forse, è l'aspetto più importante e che rende utile un investimento di questo tipo.



Dans le yeux de Mona Lisa, 
il film vincitore della edizione 2013 di Musées (em)portables.



Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...