"I musei" di Vittorio Falletti e Maurizio Maggi

Recensione di Caterina Pisu





Un testo che non può mancare nella biblioteca del museologo è "I musei" di Vittorio Falletti e Maurizio Maggi, edito nel maggio 2012 da Il Mulino nella collana Universale Paperbacks.
Il volume offre una vasta e completa panoramica dei dibattiti, delle problematiche e delle contraddizioni che hanno animato la scena museologica negli ultimi anni. I sette capitoli spaziano dalla definizione di museo (tratteggiata mediante un’analisi storica, etica e funzionale che lascia aperte varie possibilità) alla storia del museo (in un percorso cronologico che incominciando dal primo museo moderno giunge ai musei contemporanei), dalla descrizione delle funzioni, dei ruoli e della natura giuridica dei musei, fino ai temi più scottanti che riguardano le politiche e le sfide del futuro.
Il libro di Falletti e Maggi è il frutto di una ricerca sull’innovazione museale, svolta a partire dal 1998, per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e che ha portato i due autori a girare il mondo per cercare verifiche e confronti con i professionisti museali di altri Paesi. I risultati di tale ricerca ci permettono, quindi, attraverso le comparazioni che ci vengono offerte di volta in volta, di uscire da una visione a volte troppo localistica delle problematiche museali per proiettarci in un ambito europeo ed extra-europeo.
Ciò che emerge da queste pagine con molta chiarezza è la convinzione che il museo sia un organismo ancora vitale e che sia in grado di cogliere le metamorfosi delle società, adattandosi ad esse ma riuscendo anche a non snaturarsi: questo è il problema di fondo che i museologi si sono posti e che continuano a porsi, cercando di rispondere alle sfide attuali, economiche ma anche etiche che stanno coinvolgendo il mondo museale. Il momento attuale rappresenta il punto di svolta forse più importante nella storia dei musei: la crisi economica mondiale ha fatto crollare molte certezze e nello stesso tempo ha aperto la strada all'innovazione. In questo volume ha uno spazio importante di approfondimento la questione del marketing le cui regole sono state spesso accettate con molta riluttanza dai museologi ma che ha cominciato a trovare maggiori consensi quando al centro dell’attenzione è stato posto non il prodotto, ma l’utilizzatore, cioè il visitatore, nel caso dei musei. Il museo si muove lungo una linea che ha come traguardo il raggiungimento dei propri obiettivi e che cerca di mantenersi in equilibrio tra quadratura dei conti, conservazione, esposizione, studio e richiamo dell’interesse del pubblico. Come affermano i due autori nell’introduzione al libro, “sotto i cambiamenti superficiali che interessano i musei si muovono correnti profonde. Sono lente e forti e non si curano dell’interesse contingente dei media, non si fanno condizionare dalle liste di priorità della politica, sembrano segnate dalle singole specificità nazionali ma hanno invece molto in comune tra loro, ovunque avvengano”. Nel futuro potremo fare assegnamento, quindi, nelle radici forti e sane su cui poggia il concetto stesso di museo moderno, il quale potrà continuare ad evolversi restando sempre al servizio della comunità e rispondendo alle sue esigenze. 

Gli autori

Vittorio Falletti insegna Economia dell’Arte all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. È socio fondatore dell’Associazione Italiana di Studi Museologici e membro dell’Icom Italia. Tra le sue pubblicazioni si ricorda: «Ecomusei: cosa sono e cosa possono diventare», scrito con M. Maggi ed edito da Allemandi nel 2001.

Maurizio Maggi è dirigente di ricerca all’Ires, ente di ricerca della Regione Piemonte, e membro dell’Icom Italia. Una delle sue pubblicazioni è «Musei alla frontiera» edito nel 2009 da Jaca Book.

Aggiornamento sul progetto di ricerca "Musei e social networks"

di Caterina Pisu




A meno di un mese dall'inizio del progetto di ricerca "Musei e social networks", promosso dall'Associazione Nazionale Piccoli Musei (Vedi http://museumsnewspaper.blogspot.it/2012/07/di-caterina-pisu-cari-amici-e-colleghi.html, su questo blog), ci sono già pervenuti i primi 50 questionari da parte dei musei contattati. E' iniziata anche l'elaborazione dei dati e, nel contempo, si proseguirà con l'invio dei questionari da compilare ai musei di ogni categoria, stato giuridico e dimensione. 
Ricordo che l'obiettivo della ricerca è avere un quadro il più possibile preciso della presenza dei musei nei social networks, cercando di evidenziare anche le caratteristiche dei musei che sentono l'esigenza di comunicare con il proprio pubblico attraverso i nuovi strumenti del web 2.0. 
I musei che desiderano partecipare al progetto di ricerca possono reperire il questionario in questo sito: http://www.scribd.com/doc/99580974/Questionario-musei.
Il questionario, compilato in tutte le sue parti, potrà essere inviato all'indirizzo di posta elettronica caterinapisu@alice.it.

Nella culla dell’Europa



Intervista a David Lordkipanidze, direttore del Museo Nazionale della Georgia e scopritore dell’Homo georgicus

di Caterina Pisu e Konstantin Vekua




La Georgia, culla della civiltà occidentale, nel cui remoto passato sono radicati alcuni dei più affascinanti miti e leggende del mondo antico - Prometeo, gli Argonauti, le Amazzoni, per citarne alcuni – è, ora, una terra quasi completamente da riscoprire anche se in questi ultimi anni l’interesse generale per le preziose testimonianze storiche di questo paese si è notevolmente accresciuto. L’archeologia georgiana è una miniera di scoperte e numerose missioni internazionali, anche italiane, sono impegnate da anni in scavi e ricerche in varie parti del Paese: l’Università Ca’ Foscari di Venezia conduce scavi dal 2009 nella provincia georgiana di Shida-Kartli, nell’ambito di un progetto di ricerca su siti del IV e del III millennio a. C., in collaborazione con il Museo Nazionale della Georgia, il quale partecipa anche alla missione archeologica coordinata dall’Università di Firenze che ha in corso lo scavo del sito paleoantropologico di Dmanisi. La recente esposizione Il vello d’oro. Antichi tesori della Georgia, a Roma, nel Museo dei Fori Imperiali ai Mercati di Traiano, ha contribuito notevolmente a far conoscere al più vasto pubblico il patrimonio archeologico georgiano. I reperti in mostra provenivano dal Museo Nazionale della Georgia. A questo museo, il più importante del Paese, e al suo direttore, il Prof. David Lordkipanidze, si deve il notevole impulso dato in questi anni alla conoscenza della storia e della cultura georgiana. Lordkipanidze, antropologo e archeologo di fama internazionale, é l’autore delle ricerche che hanno condotto alla scoperta dell’Homo georgicus, precursore dell’Homo erectus; dal 2007 è membro della United States National Academy of Sciences e Fellow della World Academy of Art and Science. Il Prof. David Lordkipanidze ha gentilmente concesso ad ArcheoNews una breve intervista che riportiamo qui di seguito.

Prof. Lordkipanidze, lei dirige il Museo Nazionale della Georgia dal 2004. In  questi otto anni di gestione, a quali obiettivi, tra i vari che si è posto, ha voluto dare maggiore priorità?
I cambiamenti si stanno muovendo in tutte le direzioni. Prima di tutto ci siamo preoccupati di migliorare le condizioni di conservazione delle collezioni museali; inoltre abbiamo dato ampio impulso alla realizzazione di mostre; sono stati completamente rinnovati il Museo Storico, la Galleria nazionale ed il museo di Signaghi (città nella regione di Kakheti, Georgia orientale). E’ stato aperto il museo dell’area archeologica di Dmanisi (città al sud della Georgia con i suoi scavi paleontologici e non solo). In questo momento si stanno ristrutturando anche i musei di Svaneti (la regione più alta dell’Europa al nord della Georgia) e di Akhaltsikhe (città al sud della Georgia). Nel contempo si stanno progettando e realizzando alcuni progetti scientifici sia a livello nazionale che mondiale.

In campo educativo, quali strategie ha adottato il museo per avvicinare e coinvolgere il pubblico più giovane?
E’ stato creato un polo didattico che sta collaborando intensamente con le scuole. Sono stati elaborati progetti per le scuole superiori anche in collaborazione con le università di Firenze e di Ferrara. Vorrei evidenziare che nel museo dell’area archeologica di Dmanisi funziona la scuola estiva internazionale, i cui crediti sono riconosciuti nelle università degli Stati Uniti.

A suo parere, quali aspetti del sistema museale del suo Paese potrebbero essere migliorati?
Probabilmente sarebbe necessaria più partecipazione da parte della società.

Il Museo Nazionale della Georgia collabora con l’Italia e con altri Paesi esteri alla conduzione di varie missioni archeologiche. E’ previsto un proseguimento e un incremento di queste attività di scavo e di ricerca?
Ad alcuni progetti parteciperanno ancora sia studiosi italiani che di altri paesi; una missione archeologica georgiana è al momento attiva con successo in Kuwait.

Prof. Lordkipanidze, la ringraziamo per la disponibilità con cui ha accettato di rispondere alle nostre domande e le auguriamo un buon lavoro.

(ArcheoNews, marzo 2012)

IL PRINCIPE E IL MUSEO


Il progetto del Museo di Totò nel Rione Sanità di Napoli: un esempio di museo al servizio della gente del quartiere.

di Caterina Pisu 


E’ nuovamente slittata l’apertura del Museo di Totò, il museo che i napoletani aspettano da ben 15 anni e la cui ultima promessa di inaugurazione risale allo scorso dicembre. Il museo dovrebbe sorgere in uno dei quartieri più tipici di Napoli dove nacque lo stesso Totò: il Rione Sanità, una luogo ricchissimo di storia dove sono ubicate le antiche necropoli di Neapolis e le Catacombe di San Gennaro, di San Severo e di San Gaudioso. La sede del museo sarà il Palazzo dello Spagnolo, splendido esempio di barocco napoletano, concesso dalla Regione Campania e già sistemato grazie ai Fondi Europei destinati al progetto Urban. In questa dimora il museo disporrà di una superficie di ben quattromila metri quadrati, distribuiti su tre livelli. L’importanza di questo progetto non si limita alla creazione di un museo tradizionale o alla celebrazione di un personaggio famoso, ma avrà anche una rilevante utilità sociale che si collega alla nota filantropia del grande attore. Il museo nasce soprattutto per dare una speranza ai giovani e per allontanarli dai pericoli della strada, coinvolgendoli in attività e in laboratori. Si tratta di un modello museale che - sebbene nel caso specifico provenga, probabilmente, soprattutto da un’esigenza endemica - trova il suo antecedente e il suo presupposto teorico nei cosiddetti “musei di quartiere” (neighborhood museums) o “musei intermediari”, la cui missione è offrire un servizio alla popolazione che vive nella zona in cui essi hanno sede. Il primo esempio nasce negli Stati Uniti nel 1967, l’Anacostia Neighborhood Museum, a Washington, un museo di storia e cultura afro-americana, estensione della Smithsonian Institution. La filosofia di base di questi musei è la mediazione tra il messaggio di cui è portatore il museo e la comunità. Il museo, conformemente al pensiero fondante, si fa portavoce della gente del quartiere, se ne assume problematiche e aspettative future, si identifica con la stessa collettività. La storia dei neri americani, raccontata nel museo, diventa un’opportunità per proiettare nel futuro la società locale. Si tratta di un tipo di relazione museo/pubblico (ma l’espressione “pubblico” diventa inadeguata in questa situazione) che ovviamente assume forme e gradi diversi a seconda del tipo di museo, in quanto non interesserà solamente i musei etnografici, antropologici o storici. In linea di principio è sempre possibile creare un sistema di relazioni dirette con la comunità nel contesto in cui opera qualunque museo; anzi, ciò é auspicabile al fine di superare definitivamente il modello di “museo-tempio” che è destinato a dissolversi. Il Museo di Totò sarà innanzitutto il museo del Rione Sanità, i cui residenti potranno avere accesso libero e gratuito, ma non sarà oneroso neppure per gli altri visitatori che giungeranno da altre regioni italiane e, indubitabilmente, anche da tutto il mondo, data la notorietà del personaggio: due euro che serviranno per garantire un minimo di introiti destinati al suo funzionamento. Sarà il primo autentico esempio di “museo di quartiere” italiano e quindi un modello anche per altri progetti che seguiranno, ma bisogna fare presto perché i lavori di ristrutturazione già eseguiti ormai rischiano di subire i danni del tempo. Ci uniamo, allora, ai continui appelli che i napoletani rivolgono alle Autorità competenti (l’ultimo incontro tra alcuni assessori della giunta De Magistris e i rappresentanti del rione Sanità si è svolto lo scorso 24 febbraio), confidando che finalmente - “oh, perbacco!” - come avrebbe detto il Principe, il Museo di Totò possa essere aperto e che non sia ulteriormente prolungata quest’attesa ormai ultradecennale. 

(ArcheoNews, aprile 2012)

Misurare il successo dei social media



di Jim Richardson 

Tratto dal sito MuseumNext


Mentre è facile farsi entusiasmare dal numero di seguaci che il tuo museo attira su Twitter o Facebook, è importante essere obiettivi sul perché stai utilizzando i social media.
Bisogna puntare di più sulla qualità che sulla quantità – l’interazione regolare tra un certo numero di fan su Facebook è più efficace rispetto ad avere un elevato numero di seguaci che lasciano un messaggio sulla bacheca e non si fanno più vivi. Starbucks e Coca Cola sono i principali esempi di gruppi di Facebook su larga scala con bassi livelli di coinvolgimento.
All’inizio di qualsiasi progetto di social media, dovresti pensare a quelli che sono i tuoi obiettivi; sono questi obiettivi che contano, piuttosto che la popolarità della tua organizzazione, quando si tratta di misurare il tuo successo online.
Ci sono misure facili e difficili per dimostrare il successo. Le misure difficili comprendono gli indicatori web standard come:
• Visite e reindirizzamenti
• Volume di ricerca
• Analisi delle statistiche utilizzate per migliorare le procedure rendendole più efficaci
• Numeri di seguaci, fans, amici
Queste misure difficili rendono molto più facile la quantificazione del ritorno degli investimenti nei social media rispetto ai media tradizionali; è ad esempio virtualmente impossibile misurare con precisione quante persone agiscono su un annuncio di giornale.
Possiamo sfruttare l’influenza che i social media hanno sul pubblico, cercando di misurare, ad esempio, quante persone che interagiscono con te on-line visitano anche il museo fisicamente; si tratta di una cosa difficile, ma non impossibile.
Nel 2009 il TATE ha offerto ai suoi fan di Facebook, sulla sua bacheca, un buono sconto per una mostra dell’artista britannico Chris Odofi. Questo buono è stato sfruttato da oltre 10.000 persone, mostrando un legame diretto tra coloro che interagiscono con la galleria su Facebook e coloro che pagano per partecipare a un’esibizione.
Oltre a utilizzare strumenti quali buoni per misurare l’efficacia dei social media, dovresti anche includere delle domande rilevanti nel tuo sondaggio annuale proposto ai visitatori, scoprendo se il tuo pubblico è attivo su siti come Facebook e Twitter e chiedendogli se sa che il tuo museo è presente su questi siti.
Verifica anche la qualità delle tue interazioni, per esempio se fai al pubblico una domanda su Facebook, quante persone rispondono e cosa stanno scrivendo?  Facebook’s Insight analytics ti fornisce gli strumenti per misurare quanto impegno c’è sui tuoi contenuti sul social network.
Potresti anche guardare oltre ciò che le persone ti dicono direttamente, monitorando qualsiasi riferimento al tuo museo che viene fatto sulle piattaforme di social media, registrando sia le risposte positive che quelle negative.
Perché misurare?
Mentre i social media possono sembrare una risorsa a basso costo, ci può volere molto tempo per riuscire a gestire queste piattaforme e potrebbe essere necessario dover giustificare questa attività, soprattutto se hai un team di gestori scettico sulla sua utilità.
Misurare la risposta al tuo museo e all’attività dei social media è importante anche per registrare i progressi ed il successo e per imparare da ciò che si sta facendo; non sarai mai veramente in grado di sapere se quello che stai facendo ha qualche effetto se non lo misuri.
Ritengo inoltre che i musei possono avere un enorme successo con i social media, e questo dovrebbe essere misurato per giustificare il tempo di gestione di tali siti web.
Come si misura il successo dei social media?

Davide contro Golia

Continua la guerra per salvare il Museo Nazionale dell'Uganda

( ENGLISH TRANSLATION AT THE BOTTOM OF THIS PAGE)

Attraverso questo blog abbiamo dato voce varie volte alla causa di Ellady Muyambi, il direttore esecutivo dell’Historic Resources Conservation Initiative (HRCI) che ormai ben conosciamo, che sta cercando di salvare il Museo Nazionale dell'Uganda dalla demolizione decisa dal Governo ugandese. Oggi ho ricevuto da lui un'e-mail cui ha allegato un interessante articolo del giornale ugandese The Observer, firmato da Edris Kiggundu. Lo pubblico con piacere nel mio blog, augurando a Ellady Muyambi di vincere la sua battaglia che non è soltanto una questione di principio ma è una vera e propria azione di coraggio anche contro la corruzione e lo strapotere politico che, purtroppo, non è soltanto una questione ugandese. Spero che anche i lettori di questo blog vogliano supportare questa causa nel modo migliore, cioè facendola conoscere il più possibile. Grazie fin d'ora per quanto vorrete fare.

Caterina Pisu 


Infuria la guerra sul Museo dell’Uganda


di  Edris Kiggundu

tratto da The Observer 

L'annuncio del governo ugandese, il gennaio dello scorso anno, di demolire l’unico Museo Nazionale dell’Uganda per dare il via alla costruzione di un centro commerciale di 60 piani, ha comprensibilmente causato scalpore.
Attivisti culturali, politici e molta gente comune si sono opposti strenuamente al progetto governativo ed il governo è stato addirittura portato in tribunale. Sedici mesi dopo, la battaglia infuria ancora ma come andrà a finire? Edris Kiggundu analizza gli argomenti pro e contro la demolizione della storica struttura museale. 

Circa un metro e cinquantasette di altezza, Ellady Muyambi non incarna le sembianze di qualcuno che può sostenere una lotta. Tuttavia, una sera, davanti a una bottiglia di soda e tirando un pugno al suo portatile, l'attivista per i diritti culturali dai grandi occhi, era in agitazione.
"Non possiamo permettere che ciò accada. Che cosa diremo ai nostri figli e nipoti?" così rispondeva Muyambi, interrogato in relazione all'imminente demolizione del Museo Nazionale dell’Uganda per fare posto al grattacielo dell’East Africa Trade Centre.
Muyambi è il direttore esecutivo dell’Historic Resources Conservation Initiative (HRCI), un'organizzazione civile che ha come finalità la conservazione della cultura e della natura. E non è un caso che il nostro incontro si svolga presso il Museo dell’Uganda, un luogo che è diventato una sorta di seconda casa per lui.
Lavorando a stretto contatto con altre organizzazioni come la Cross Cultural Foundation of Uganda (CCFU), l’Historic Building Conservation Trust (HBCT) e persone illustri come il giudice della Corte Suprema in pensione, il giudice George Kanyeihamba, Muyambi ha letteralmente messo in gioco la sua vita per salvare il museo.
Questo ha ottenuto a lui e alle altre organizzazioni coinvolte nella causa, il supporto mediatico nazionale e internazionale. I loro sforzi hanno anche catturato l'attenzione della United Nations Educational, Scientific and Cultural Organisation (UNESCO), l'organismo delle Nazioni Unite che sovrintende il patrimonio culturale. Nel mese di aprile 2011, quando la campagna aveva acquistato slancio, Francesco Bandarin, Assistant Director-General for Culture presso l'UNESCO, ha scritto a Kahinda Otafiire, attuale ministro ugandese del Turismo, Commercio e Industria, chiedendo al governo di abbandonare il progetto di demolizione del museo e di trovare alternative per costruire altrove.
"Come sapete, il Museo Nazionale dell’Uganda è il museo più grande e più antico del Paese. Le sue mostre sulla cultura tradizionale, l’archeologia, la storia, la scienza e la natura, sono tra le più importanti in Africa Orientale... Alla luce di tali considerazioni, vi saremmo grati se poteste farci conoscere la posizione ufficiale del vostro governo per quanto riguarda la sorte del Museo Nazionale dell’Uganda", così ha scritto Bandarin il 15 aprile 2011.
Allo stesso modo, l'anno scorso, Merrick Posnansky, che è stato curatore del museo tra il 1958 e il 1962, ha scritto sul The Independent, una rivista settimanale ugandese, che trasferire il contenuto del museo in modo sicuro sarebbe un’impresa difficile.
"Ho visto altri musei limitati dai piani di un edificio multipiano: in genere non funzionano. Un museo ha bisogno di varie sale per mostre diverse; due piani ne limiterebbero i movimenti” ha scritto Posnansky.
Ma la loro lotta resta disseminata di sfide che si alternano a battute d'arresto non facili da superare. Ad esempio, nell'aprile di quest'anno, Muyambi e la sua organizzazione hanno subito un duro colpo quando la Corte ha respinto, per motivi tecnici, le motivazioni della causa intentata contro la demolizione. A quanto pare, durante la presentazione del caso, i loro avvocati non avevano inoltrato una notifica al governo, come richiesto in questi casi. Ma gli attivisti non si sono scoraggiati.
Nel mese di giugno, hanno presentato un ricorso presso la Corte di Appello e l’udienza si svolgerà in tempi brevi.
"Il Museo Nazionale dell’Uganda è un istituto storico che dovrebbe stare da solo, in un suo spazio, e la distruzione è un crimine culturale che equivale a distruggere l'anima stessa dell’Uganda", ha detto la settimana scorsa Muyambi.
Il Governo continua ad inviare segnali contrastanti sulla sua intenzione di demolire o no il museo. Quando gli attivisti hanno citato in giudizio il governo, l'anno scorso, il vicesegretario presso il Ministero del Turismo, James Byenjeru, ha dichiarato che il centro commerciale dovrebbe essere costruito “vicino” e non al posto del museo.
"So che il governo intende costruire l’East Africa Trade Centre accanto all’edificio che ospita il museo e, pertanto, non ha intenzione di demolire il museo", ha detto Byenjeru.
Successivamente, il governo ha detto che il museo sarebbe stato trasferito e avrebbe occupato due piani del centro commerciale, precisando: questo spazio è pari a 6.000 metri quadrati, dieci volte più grande dello spazio che occupa attualmente (600 metri quadrati). Più tardi, Otafiire ha annullato tutto questo quando ha detto al Parlamento che il museo "must go", definendo "arretrati" quelli che si oppongono alla sua demolizione. 

Patrimonio culturale 

Il Museo Nazionale dell’Uganda, che occupa 3.359 ettari (circa 13 ettari), situati sul Plot 5, strada Kira in Kamwokya, ha un disperato bisogno di un lifting. Sebbene sia evidente che l'esterno ha recentemente avuto una mano di vernice, un certo numero di problemi devono ancora essere risolti. Per esempio, le panchine del giardino sono fatiscenti, mentre il parcheggio deve essere ampliato e ripavimentato.
Il museo è stato fondato nel 1908 ed espone manufatti della cultura tradizionale, di archeologia, storia e scienza. Ha varie sezioni interessanti piene di artefatti che animano i diversi aspetti storici della società ugandese. Per esempio, nella sezione “Età della Pietra”, si è in grado di osservare gli strumenti utilizzati dagli uomini dell'età della pietra. Questi strumenti includono pietre, ossa e legno utilizzati per il taglio, la rottamazione e la scheggiatura, e si mostra come si sono evoluti fino agli strumenti moderni che utilizzano gli ugandesi oggi, o che hanno utilizzato nel recente passato.
E’ possibile anche vedere l’evoluzione umana dalla preistoria, cominciando dalle scimmie fino agli esseri umani. La storia è raccontata con immagini, reperti, teschi e ossa che illustrano la storia che si impara a scuola e che così sembra più reale.
Il passato multiculturale e colorato dell’Uganda diventa vivo, così, come se si partecipasse a un viaggio. La sezione sulla Storia e l'età del Ferro descrive i modi tradizionali di vita durante i diversi regni, delle tribù e delle comunità ugandesi. Qui sono esposti suggestivi abiti tradizionali (per lo più confezionati con corteccia e pelle di animale), e si possono vedere le attività di caccia, la storia dei trasporti, la pesca, l’agricoltura, la guerra, la religione, ed anche come i nostri antenati passavano il loro tempo libero (ricreazione tradizionale).
Di notevole interesse è la vetrina che descrive come era amministrata la giustizia in Uganda molti anni fa. Senza codice penale, forze di polizia o dipartimenti investigativi, così come si usa oggi, come si poteva dimostrare chi aveva commesso un crimine e quale pena infliggere? Si viene a sapere che il Madi e il Lugbara erano vasi divini utilizzati per valutare l'innocenza degli imputati.
Tuttavia, nonostante il valore di questo ricco patrimonio culturale, il governo ritiene che il museo sia diventato un peso, non essendo riuscito a generare un fatturato significativo. Un centro commerciale nello stesso luogo, per il Governo, sarebbe molto meglio. Ma il Governo deve anche prendersi parte della colpa, dopo aver costantemente sottofinanziato il museo. Ad esempio, per l'esercizio finanziario 2011/12, sono stati assegnati soli 50 milioni di scellini ugandesi, soldi che certamente non sono sufficienti per soddisfarne le esigenze.
Nel corso degli anni, la gestione del museo ha cercato di trovare dei modi innovativi per aggirare la crisi del finanziamento. Ha, per esempio, concesso in leasing una parte della sua area all’Uganda Wildlife Authority, che ha istituito degli uffici gli sviluppatori privati ​​come il ristorante Ibamba. Tuttavia, le fonti ci hanno detto che il museo non ha alcun controllo diretto sulle risorse generate da queste iniziative.
Per quanto riguarda la gestione delle tariffe ai fini di un aumento delle entrate, fino all'inizio degli anni 2000, gli ugandesi in visita al museo non pagavano nulla, mentre oggi gli adulti pagano Shs 1000 per entrare e i bambini, Shs 500. Il biglietto per gli stranieri è di Shs 3000 per gli adulti e di SHS 1500 per i bambini. I visitatori che hanno fotocamere e videocamere pagano rispettivamente ulteriori SHS 5.000 e 20.000. 

Una causa persa? 

Tuttavia alcuni analisti ritengono che laddove un governo ignora il pubblico sentimento e, in particolare, trattandosi di demolizione di una proprietà pubblica, gli attivisti culturali stanno combattendo una causa persa. Nel 2006, per esempio, il governo ha dato l'assenso alla demolizione della Shimoni Demonstration School per lasciare spazio alla costruzione di un albergo, nonostante le proteste provenienti da varie parti della comunità ugandese.
Gli attivisti sono consapevoli di questo e, per ora, hanno riposto le loro speranze sul fatto di dover essere ancora ascoltati dalla Corte d'Appello. Il vero spettacolo, dice Muyambi, inizia adesso.


War over Uganda museum rages on


by Edris Kiggundu

The announcement by government in January last year that it would demolish the Uganda museum to give way for the construction of a 60-storey trade centre understandably caused a stir. Cultural activists, politicians and many people bitterly opposed the move and even took government to court. Sixteen months later, the battle still rages on, but how will it end? Edris Kiggundu dissects the arguments for and against the demolition of the historical structure.

At about five feet, seven inches tall, Ellady Muyambi does not cut the figure of someone who can sustain a fight. However, on a recent evening over a bottle of soda and punching away at his laptop, the big-eyed, bubbly-cheeked cultural rights activist appeared to be itching for one.
“We cannot allow this to happen. What will we tell our children and grandchildren?” Muyambi queried, in relation to the impending demolition of the Uganda museum by government to give way for construction of the 60-storey East Africa Trade Centre.
Muyambi is the executive director of Historic Resources Conservation Initiative (HRCI), a civil society organisation concerned with preservation of culture and nature. And it is not a coincidence that our meeting takes place within the precincts of the Uganda museum, a place that has become something of a second home for him.
Working closely with other organisations like Cross Cultural Foundation of Uganda (CCFU), Historic Building Conservation Trust (HBCT) and distinguished people like retired Supreme court Judge, Justice George Kanyeihamba, Muyambi has literally staked his life on saving the museum.
This has earned him and other organisations involved in the cause national and international media coverage. Their efforts have also caught the attention of the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organisation (UNESCO), the UN body that oversees cultural heritage, among members. In April 2011 when the campaign had gathered momentum, Francesco Bandarin, the Assistant Director-General for Culture at UNESCO, wrote to Kahinda Otafiire, the minister of Tourism, Trade and Industry at the time, urging the government to abandon the move and find alternative land elsewhere.
“As you are aware, the Uganda National Museum is the largest and oldest museum in the country. Its exhibitions on traditional culture, archeology, history, science and natural history are among the most important in East Africa… In light of the above considerations, we would appreciate it if  you could inform us of the official position of your government regarding the fate of the Uganda National Museum,” Bandarin wrote on April 15, 2011.
Similarly, last year, Merrick Posnansky, who was curator of the museum between 1958 and 1962, wrote in The Independent, a Ugandan weekly news magazine, that it would not be ideal to transfer the contents of the museum safely.
“I have seen museums restricted to floors of a multi-storey building. They do not work. A museum needs different rooms for different exhibitions, two floors would restrict some movement,” Posnansky wrote.
Yet their struggle remains strewn with challenges and setbacks that will not be easy to overcome. For instance, in April this year, Muyambi and company suffered a major blow when the High Court dismissed, on technical grounds, a case they had filed against the demolition. Apparently, while filing the case, their lawyers had not provided a statutory notice to government, as is required in such cases. But the activists are not deterred.
In June, they filed an appeal in the Court of Appeal and hearing is scheduled to start soon.
“The Uganda Museum is a historical piece that should stand alone, and destroying it is a cultural crime which is tantamount to destroying Uganda’s soul,” Muyambi said last week.
Government continues to send mixed signals on whether it will demolish the museum. When the activists sued government last year, the Principal Assistant Secretary in the ministry of Tourism, James Byenjeru told court the trade centre would be constructed ‘near’ the museum.
“I know that the government intends to construct the East African Trade Centre next to the building housing the museum and as such, does not intend to demolish the museum,” Byenjeru said.
Thereafter, the government said the museum would occupy two floors on the trade centre building, saying this space amounted to 6,000 square metres, ten times bigger that the space it currently occupies (600 square metres). Later, Otafiire quashed all this when he told Parliament that the museum “must go”, describing those opposed to its demolition as “backward”.

Cultural heritage 

Indeed, the museum, which occupies 3.359 hectares (approximately 13 acres), located on Plot 5, Kira road in Kamwokya, is in dire need of a facelift. Although it is evident that the exterior recently got a fresh brush of paint, a number of things need to be fixed. For instance, the benches in the garden are dilapidated, while the parking yard needs to be widened and repaved.
The museum was founded in 1908 and has exhibits and artifacts of traditional culture, archeology, history and science. It has various interesting sections riddled with artifacts that bring to life the different historical aspects of our society. For instance, in the Stone Age section, one is able to observe physical tools used by Stone Age people. These tools include stones, bones and wood used for cutting, scrapping and chipping, and how they evolved into the modern tools that Ugandans use today, or used in the recent past.
One is also able to see how we evolved from our ancestors, from the pre-historic period through the history of apes and how they evolved into humans. The story is told by the displayed pictures, as well as real tools and bones or skulls that make the history we learn in school seem more real.
Uganda’s multicultural and colourful past comes alive as one tours the History and Iron Age displays depicting the traditional ways of life in different kingdoms, tribes and communities of Uganda. Here one finds striking displays of traditional clothing (mostly bark cloth and animal skin), headdress, hairdressing, as well as hunting, the history of transportation, fishing, agriculture, war, religion, and how our ancestors spent their free time (traditional recreation).
Also of interest is the display that describes how justice was dispensed in Uganda many years ago. With no penal code, police force or criminal investigations department as they exist today, how did people in earlier days know/prove who had committed which crime and what punishment fitted him/her? One would be able to learn that the Madi and Lugbara used divine pots to assess the innocence of the accused.
However, despite this rich cultural heritage value, government believes that the museum has become a liability, having failed to generate any meaningful revenue. A trade centre in the same place, government feels, would perform much better. Yet government must also take part of the blame, having continually underfunded the museum. For instance, for the 2011/2012 financial year, it was allocated a mere Shs 50 million, money that certainly is not enough to meet its needs.
Over the years, the management of the museum has tried to come up with innovative ways to circumvent the funding crisis. It has, for instance, leased part of its land to the Uganda Wildlife Authority, which has established offices and to private developers like Ibamba restaurant. However, sources told us that the museum has no direct control over the resources generated from these ventures.
Management also introduced entry charges to boost the facility’s income. Until the early 2000s, Ugandans visiting the museum were not charged but, today, adults pay Shs 1,000 to enter and children, Shs 500. The entry fees for foreigners are Shs 3,000 for adults and Shs 1,500 for children. Visitors carrying still and video cameras pay an additional Shs 5,000 and Shs 20,000 respectively.

Lost cause?

Yet some analysts feel that for a government that has a history of ignoring public sentiment, particularly where demolition of public property is concerned, the cultural activists are fighting a lost cause. In 2006, the government gave the nod to the demolition of Shimoni Demonstration School to give way for the construction of a hotel, despite protests from various sections of the public.
The activists are aware of this and for now, have pinned their hopes on the case yet to be heard by the Court of Appeal. The real show, Muyambi says, starts now.

 Cari amici, in questi anni in cui ho svolto l’incarico di direttore scientifico del Museo Civico “Ferrante Rittatore Vonwiller”, dal 2019 a...