di Caterina Pisu
Nessun museo può limitare i
confini della missione di cui è depositario al perimetro delle mura del proprio
edificio. Oltre alla conservazione delle collezioni è di vitale importanza conoscere
bene il proprio territorio, capire quali realtà convivono con la propria e cercare di interagire con esse. E se un territorio, che si tratti di quello di
una grande città o di un piccolo centro, ospita un carcere, chi è responsabile
di un museo non può ignorare questa presenza, al cui interno vive una comunità
che non deve essere trascurata.
Il Louvre è stato il primo museo
al mondo ad aver stipulato, nel 2011, una convenzione con un carcere, nello specifico con l'amministrazione
penitenziaria del Carcere di Poissy, a Parigi, che ospita 230
detenuti, di cui l’80% condannato a più di 20 anni di reclusione.
Il progetto, denominato "Au-delà des murs", aveva
permesso a 10 detenuti di partecipare alla creazione di una mostra di 10 riproduzioni di opere esposte nel Museo del Louvre, con l'obiettivo di portare l'arte
all'interno del carcere, solitamente escluso dalle manifestazioni culturali pubbliche.
Il rapporto del Louvre con le carceri risale già al 2007: fino ad oggi sono
state organizzate più di 120 attività cui hanno preso parte professionisti del
settore culturale. Nel caso del progetto
"Au-delà des murs", che ha rafforzato l'impegno del Louvre per le
attività sociali e culturali nelle carceri, ogni detenuto che ha preso parte al
progetto ha scelto autonomamente il proprio modo di contribuire alla
realizzazione della mostra, dedicandosi alla pittura, alla progettazione grafica o ai testi, ma lavorando sempre avendo come punto di partenza le opere visionabili nel catalogo del
Museo, tra le quali i curatori del Louvre hanno preventivamente scelto 26 opere.
I volontari sono stati scelti non per le loro capacità artistiche ma per la forte motivazione interiore che hanno dimostrato.
La mostra ha avuto la
supervisione dello scrittore Luc Lang, membro della Maison des écrivains et de
la littérature, e dell'architetto-scenografo Philippe Maffre (che ha già
collaborato con il Louvre e che ha realizzato lo storyboard della mostra) i quali hanno lavorato al progetto con il gruppo di detenuti, con
il personale del carcere e con quello del Louvre.
Per circa sei mesi il cortile
dell'istituto penitenziario ha ospitato l'esposizione delle riproduzioni realizzate dai detenuti mentre il Louvre esponeva,
nello stesso tempo, una "mostra-specchio" con le copie delle stesse
opere. Il cortile è stato
scelto come spazio espositivo non perché non si disponesse di altre soluzioni,
ma perché, in questo modo, tutti i detenuti, ogni giorno, avrebbero potuto
osservare quelle opere e trarne un beneficio.
L'iniziativa ha suscitato grande emozione
non solo nell'ambito della comunità carceraria e dello staff di curatori e collaboratori del Louvre, ma anche dell'intera
cittadinanza parigina.
Iniziative analoghe sono state proposte, successivamente, anche dalla National Gallery di Londra, ma per ora il Louvre resta l'unico museo ad aver trasformato i detenuti non solo in artisti ma anche in curatori.
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