Small Museums Best Practices: call for papers

Nasce il nuovo blog/journal  dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei



APM is calling for contributions to its new blog/journal, "Small Museums Best Practices", http://smallmuseumsbp.over-blog.com/, a compilation of case studies and best practices in small museums.
You may send your contribution  in .doc or .pdf format as attachment to the e-mail address piccolimusei@hotmail.com. Contributions in English, Spanish and French will be accepted. Thank you for your contribution to our research activities.


L’Associazione Nazionale PiccoliMusei - APM dedica particolare attenzione alle buone pratiche messe in atto dai professionisti museali e dai volontari che operano nell’ambito dei piccoli musei. Ogni anno un’ampia sezione dei nostri convegni nazionali è dedicata a queste tematiche.
In generale, però, si nota una mancanza di informazione al riguardo o una dispersione dei casi studio attraverso i più disparati canali, in assenza di uno spazio pensato espressamente per riunirli e rendere più semplice la consultazione. Il risultato di ciò è che - sebbene siano tanti i piccoli musei che elaborano e realizzano progetti interessanti inerenti la gestione, la didattica, il rapporto con la comunità, le azioni inclusive o socialmente utili - non sempre i risultati prodotti ottengono adeguato riscontro.
Accade, pertanto, che si continui a pensare ai musei, soprattutto ai piccoli musei, solo in termini di numeri, cioè di biglietti venduti, senza considerare altri parametri di valutazione che tengano conto soprattutto dei benefici che i piccoli musei possono apportare alla vita della società.
L’APM, quindi,  ha deciso di dare vita ad un blog/journal, “Small Museums Best Practices”, http://smallmuseumsbp.over-blog.com/, cui tutti possono contribuire per far conoscere le proprie buone pratiche, i progetti e le iniziative che si desidera mettere in evidenza. Per partecipare si prega di inviare il proprio contributo in formato .doc o .pdf all’indirizzo di posta elettronica piccolimusei@hotmail.com.
Vi ringraziamo fin d’ora per la Vostra collaborazione.

Associazione Nazionale Piccoli Musei
http://piccolimusei.weebly.com

Il Manifesto dei Musei Age Friendly



La prima Age Collective Conference ha avuto luogo il 22 novembre 2013 presso il British Museum  ed ha riunito 172 relatori e delegati provenienti da una vasta gamma di settori di tutto il Regno Unito. 
Age Collective è un progetto realizzato in partnership dal British Museum con Glasgow Life (Glasgow Museums), il Manchester Museum e il National Museums Northern Ireland.

In quella occasione è stato redatto il Manifesto dei Musei Age Friendly. Di seguito, il testo:

Un Museo Age-Friendly...

…abbraccia le opportunità e le sfide che si accompagnano all'invecchiamento della popolazione e ai cambiamenti demografici; l’età non è un ostacolo al coinvolgimento o alla partecipazione.

…riconosce che la categoria della persone anziane è tutt'altro che omogenea e che può avere stili di vita, esperienze di vita, punti di vista, requisiti e interessi verso le collezioni museali del tutto differenti.

…fornisce opportunità di partecipazione sostenibili, di alta qualità e rilevanti che possono soddisfare le esigenze del pubblico più anziano; adotta soluzioni per cercare di raggiungere coloro che non possono recarsi fisicamente a visitare i musei.

…utilizza accorgimenti per il benessere e il comfort delle persone - tra cui poltrone con poggiaschiena e braccioli!

…utilizza le collezioni dinamicamente al fine di valorizzare le singole storie di vita e favorire nuove esperienze, opportunità di apprendimento e il pensiero creativo.

…riconosce il valore della terza età e il contributo positivo che gli anziani danno alla società. Lavora per dissipare le percezioni negative dell'invecchiamento e creare dialogo  tra le varie generazioni.

…valorizza le conoscenze, le competenze e l'esperienza che tutte le persone anziane portano con sé, sia che si tratti di dipendenti, di volontari oppure di visitatori.

…collabora per condividere le esperienze con gli altri musei, con gli operatori sanitari e sociali, con gli studiosi delle università, come le organizzazioni rivolte alle persone anziane e con gli anziani della propria comunità locale.


…si impegna a formare il proprio personale a tutti i livelli, affinché riesca a coinvolgere e a comprendere meglio il pubblico dei più anziani.
Se troppo successo fa male al museo

di Salvatore Settis

Da La Repubblica, 30 luglio 2014


Sterminate folle premono sui musei, sulle città d’arte. Miliardi di cinesi, indiani, giapponesi, russi che paiono dietro l’angolo disegnano nuove frontiere non della cultura ma della cupidigia di nuovi introiti. 

Il turismo mordi-e-fuggi genera l’arte usa-e-getta (il 75% dei turisti che vanno a Venezia si fermano meno di un giorno lasciandovi chili di detriti).

La neomania dei selfie, sdoganati come performance individualista, inonda il web di fotoricordo che certificano non la curiosità culturale ma la presenza rituale del turista. Non archiviano il ricordo, sostituiscono lo sguardo: perciò la loro quantità è più importante della qualità. La visita a un museo somiglia più a una simulazione che all’esperienza di un tempo, l’incontro di una persona (il visitatore di oggi) con un’altra (Giotto, Caravaggio, Rembrandt). Perciò in un libro recente (2010) Steven Conn si domanda sin dal titolo se i musei hanno ancora bisogno di oggetti (Do Museums still need Objects?). Secondo lui, via via che diminuisce la fiducia nel potere degli oggetti di trasmettere conoscenza diminuiscono di numero gli oggetti esposti nei musei, crescono gli apparati tecnologici e le appropriazioni fotografiche. Il nuovo rituale turistico sostituisce la tecnologia alla storia, la rappresentazione virtuale alla realtà.

Le immagini su un cellulare acquistano un grado di verità e un’intensità di esperienza che non si accontentano di essere equivalenti al contatto con «la cosa vera», vogliono essere superiori ad esso. Consentono manipolazioni (ingrandire un dettaglio), archiviazione di impressioni momentanee, scambi di opinioni via Facebook. L’oggetto d’arte diventa il mero innesco di un processo sensoriale che si svolge prevalentemente altrove. Davanti alla Gioconda, il 20% dell’esperienza (diciamo) è quella del quadro nell’affollatissima sala del Louvre; ma l’80% ha luogo nello smartphone, nell’i-Pad, in un labirinto di modalità interattive che consentono inedite forme di appropriazione. Secondo Conn, la storia (la “cosa vera”) sta diventando noiosa, la tecnologia la rivitalizza; la realtà virtuale è superiore alla realtà tangibile, l’illusione prende il posto della riflessione, la duplicazione spodesta l’unicità dell’originale. L’irriducibile diversità del passato si diluisce e si annienta in un gratuito bricolage. Viene in mente Baudrillard: «Il simulacro non è mai ciò che nasconde la verità; la verità è il simulacro, e nasconde che non c’è alcuna verità. Solo il simulacro è vero».

Le folle che si accalcano davanti alla Gioconda e ignorano i Leonardo della sala lì accanto e l’accanimento fotografico che sostituisce lo sguardo sono fratelli: due declinazioni della fretta, di una concezione del museo come esperienza di consumo, di una stessa rinuncia alla riflessione. Vi sono rimedi? Il Louvre ci sta provando a Lens, città mineraria in gran decadenza, dove un “secondo Louvre” è stato aperto con gran successo un anno fa, e ha già avuto più di un milione di visitatori, rianimando un’area di scarsa attrattività. Scegliendo oggetti della collezione e disponendoli in ordine cronologico (ma mescolando le opere d’arte dei vari dipartimenti), sia lo staff del museo che i visitatori sono invitati a riflettere sulla consistenza e sulla storia delle collezioni; collocando a Lens una bellissima mostra sui Disastri della guerra che ricorda l’anniversario 1914-2014, una parte cospicua di visitatori è attratta altrove, e moltiplica le potenzialità di quel grande museo. Se arrestare la valanga di selfie pare difficile, sarà possibile diffondere una cultura della lentezza che nell’osservazione dell’opera d’arte veda un’occasione di riflessione e di crescita civile? È immaginabile mettere in rete i tour operator e indirizzare i flussi turistici non solo su poche destinazioni iconiche, ma sulla trama minuta dei monumenti, delle città, dei musei?

A queste domande nessuno si aspetta più risposte dirimenti dall’Italia, che pure è il Paese con la più nobile tradizione museografica, con le più antiche norme di tutela, prescritta dalla Costituzione nell’art. 9, sempre celebrato e mai pienamente attuato. Volgari approssimazioni vedono nell’arte delle nostre città e dei nostri musei un’occasione di business e non un’esperienza di vita; circola nei palazzi del potere la stolta ipotesi che un manager vale per principio più di uno storico dell’arte; si ipotizza di chiudere musei e siti archeologici con pochi visitatori, si ironizza sul fatto che gli Uffizi abbiano meno visitatori del Louvre (che è 30 volte più grande). E intanto è in fase di cottura una riforma del ministero dei Beni culturali innescata non (come sarebbe giusto) dalla voglia di investire sulla cultura, di assumere nuovo personale, di mettere l’Italia in prima fila in un discorso, quello sul rapporto fra arte e cittadinanza, che sarà fra i più importanti del nostro secolo; ma da una pretestuosa spending review , e cioè da ulteriori tagli che vanno ad aggiungersi a quelli perpetrati dal 2008 in poi da governi d’ogni colore. Ma la colpevole insistenza sul turismo come ragione ultima delle cure dovute al nostro patrimonio culturale trascura il solo punto essenziale: quel patrimonio non è dei turisti, ma dei cittadini; è “nostro” a titolo di sovranità (questo dice la Costituzione), è consustanziale al diritto di cittadinanza, serbatoio di energie morali per costruire il futuro. L’Italia ha su questo fronte un diritto di primogenitura, ma pare decisa a rinunciarvi.

Comunicazione vera o apparente?



Quando parliamo di musei e di comunicazione sui social media, "non è sempre tutto oro quel che luccica", soprattutto se la comunicazione e il rapporto sul web con il pubblico sono affidati totalmente a società in house

Se non c'è alcun coinvolgimento da parte dello staff del museo, in realtà il dialogo è solo apparente, e se non si può dire che si tratta di un bluff però è evidente che tra il museo e i visitatori virtuali è stata posta una barriera.

Nel settore del marketing la questione è già stata approfondita e uno degli aspetti fondamentali di una buona strategia è la capacità di interagire in prima persona.

A tale proposito, così si è espressa Carlotta Petracci, esperta italiana di storytelling e di comunicazione, fondatrice dello studio creativo White

La prima cosa che facciamo noi, quando un marchio ci affida la gestione della sua pagina o dei suoi profili, è fare un piano editoriale che sia contemporaneamente di approfondimento (anche se in pillole) e di intrattenimento. Raramente ci sostituiamo ai marchi nelle risposte perché riteniamo che quello sia un lavoro molto personale e che un marchio, come una persona fisica, debba prendersi la responsabilità della costruzione della propria reputation online. E' una questione di autenticità. Noi possiamo sviluppare piani, campagne, contenuti visivi e di copy, ma non possiamo e non vogliamo sostituirci alle persone. Le conversazioni sono una cosa preziosa e devono essere vere".
(Dal magazine "Uomini e donne della comunicazione")

Forse è per questo che i piccoli musei (o i grandi musei che dimenticano di essere tali) raggiungono il cuore delle persone più in fretta? 

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...