Continua la guerra per salvare il Museo Nazionale dell'Uganda
( ENGLISH TRANSLATION AT THE BOTTOM OF THIS PAGE)
Attraverso questo blog abbiamo dato voce varie volte alla causa di Ellady Muyambi, il direttore
esecutivo dell’Historic Resources Conservation Initiative (HRCI) che ormai ben conosciamo, che sta cercando di salvare il Museo Nazionale dell'Uganda dalla demolizione decisa dal Governo ugandese. Oggi ho ricevuto da lui un'e-mail cui ha allegato un interessante articolo del giornale ugandese The Observer, firmato da Edris Kiggundu. Lo pubblico con piacere nel mio blog, augurando a Ellady Muyambi di vincere la sua battaglia che non è soltanto una questione di principio ma è una vera e propria azione di coraggio anche contro la corruzione e lo strapotere politico che, purtroppo, non è soltanto una questione ugandese. Spero che anche i lettori di questo blog vogliano supportare questa causa nel modo migliore, cioè facendola conoscere il più possibile. Grazie fin d'ora per quanto vorrete fare.
Caterina Pisu
Infuria la guerra sul Museo dell’Uganda
di Edris Kiggundu
L'annuncio del governo ugandese, il gennaio dello scorso anno, di demolire l’unico Museo Nazionale dell’Uganda
per dare il via alla costruzione di un centro commerciale di 60 piani, ha comprensibilmente
causato scalpore.
Attivisti culturali, politici e
molta gente comune si sono opposti strenuamente al progetto governativo ed il
governo è stato addirittura portato in tribunale. Sedici mesi dopo, la
battaglia infuria ancora ma come andrà a finire? Edris Kiggundu analizza
gli argomenti pro e contro la demolizione della storica struttura museale.
Circa un metro e cinquantasette
di altezza, Ellady Muyambi non incarna le sembianze di qualcuno che può
sostenere una lotta. Tuttavia, una sera, davanti a una bottiglia di soda e tirando
un pugno al suo portatile, l'attivista per i diritti culturali dai grandi
occhi, era in agitazione.
"Non possiamo permettere che
ciò accada. Che cosa diremo ai nostri figli e nipoti?" così rispondeva Muyambi, interrogato in relazione all'imminente
demolizione del Museo Nazionale dell’Uganda per fare posto al grattacielo
dell’East Africa Trade Centre.
Muyambi è il direttore esecutivo dell’Historic
Resources Conservation Initiative (HRCI), un'organizzazione civile che ha come
finalità la conservazione della cultura e della natura. E non è un caso che il
nostro incontro si svolga presso il Museo dell’Uganda, un luogo che è diventato
una sorta di seconda casa per lui.
Lavorando a stretto contatto con
altre organizzazioni come la Cross Cultural Foundation of Uganda (CCFU), l’Historic
Building Conservation Trust (HBCT) e persone illustri come il giudice della
Corte Suprema in pensione, il giudice George Kanyeihamba, Muyambi ha letteralmente
messo in gioco la sua vita per salvare il museo.
Questo ha ottenuto a lui e alle
altre organizzazioni coinvolte nella causa, il supporto mediatico nazionale e
internazionale. I loro sforzi hanno anche catturato l'attenzione della United
Nations Educational, Scientific and Cultural Organisation (UNESCO), l'organismo
delle Nazioni Unite che sovrintende il patrimonio culturale. Nel mese di aprile
2011, quando la campagna aveva acquistato slancio, Francesco Bandarin, Assistant
Director-General for Culture presso l'UNESCO, ha scritto a Kahinda Otafiire,
attuale ministro ugandese del Turismo, Commercio e Industria, chiedendo al
governo di abbandonare il progetto di demolizione del museo e di trovare
alternative per costruire altrove.
"Come sapete, il Museo
Nazionale dell’Uganda è il museo più grande e più antico del Paese. Le sue
mostre sulla cultura tradizionale, l’archeologia, la storia, la scienza e la
natura, sono tra le più importanti in Africa Orientale... Alla luce di tali
considerazioni, vi saremmo grati se poteste farci conoscere la posizione
ufficiale del vostro governo per quanto riguarda la sorte del Museo Nazionale
dell’Uganda", così ha scritto Bandarin il 15 aprile 2011.
Allo stesso modo, l'anno scorso,
Merrick Posnansky, che è stato curatore del museo tra il 1958 e il 1962, ha scritto
sul The Independent, una rivista settimanale ugandese, che trasferire il
contenuto del museo in modo sicuro sarebbe un’impresa difficile.
"Ho visto altri musei
limitati dai piani di un edificio multipiano: in genere non funzionano. Un
museo ha bisogno di varie sale per mostre diverse; due piani ne limiterebbero i
movimenti” ha scritto Posnansky.
Ma la loro lotta resta
disseminata di sfide che si alternano a battute d'arresto non facili da
superare. Ad esempio, nell'aprile di quest'anno, Muyambi e la sua
organizzazione hanno subito un duro colpo quando la Corte ha respinto, per
motivi tecnici, le motivazioni della causa intentata contro la demolizione. A
quanto pare, durante la presentazione del caso, i loro avvocati non avevano inoltrato
una notifica al governo, come richiesto in questi casi. Ma gli attivisti non si
sono scoraggiati.
Nel mese di giugno, hanno
presentato un ricorso presso la Corte di Appello e l’udienza si svolgerà in
tempi brevi.
"Il Museo Nazionale dell’Uganda è un istituto storico che dovrebbe stare
da solo, in un suo spazio, e la distruzione è un crimine culturale che equivale
a distruggere l'anima stessa dell’Uganda", ha detto la settimana scorsa
Muyambi.
Il Governo continua ad inviare
segnali contrastanti sulla sua intenzione di demolire o no il museo. Quando gli
attivisti hanno citato in giudizio il governo, l'anno scorso, il vicesegretario
presso il Ministero del Turismo, James Byenjeru, ha dichiarato che il centro
commerciale dovrebbe essere costruito “vicino” e non al posto del museo.
"So che il governo intende
costruire l’East Africa Trade Centre accanto all’edificio che ospita il museo
e, pertanto, non ha intenzione di demolire il museo", ha detto Byenjeru.
Successivamente, il governo ha
detto che il museo sarebbe stato trasferito e avrebbe occupato due piani del
centro commerciale, precisando: questo spazio è pari a 6.000 metri quadrati,
dieci volte più grande dello spazio che occupa attualmente (600 metri
quadrati). Più tardi, Otafiire ha annullato tutto questo quando ha detto al
Parlamento che il museo "must go", definendo "arretrati" quelli
che si oppongono alla sua demolizione.
Patrimonio culturale
Il Museo Nazionale dell’Uganda,
che occupa 3.359 ettari (circa 13 ettari), situati sul Plot 5, strada Kira in
Kamwokya, ha un disperato bisogno di un lifting. Sebbene sia evidente che
l'esterno ha recentemente avuto una mano di vernice, un certo numero di problemi
devono ancora essere risolti. Per esempio, le panchine del giardino sono
fatiscenti, mentre il parcheggio deve essere ampliato e ripavimentato.
Il museo è stato fondato nel 1908
ed espone manufatti della cultura tradizionale, di archeologia, storia e
scienza. Ha varie sezioni interessanti piene di artefatti che animano i diversi
aspetti storici della società ugandese. Per esempio, nella sezione “Età della
Pietra”, si è in grado di osservare gli strumenti utilizzati dagli uomini
dell'età della pietra. Questi strumenti includono pietre, ossa e legno
utilizzati per il taglio, la rottamazione e la scheggiatura, e si mostra come
si sono evoluti fino agli strumenti moderni che utilizzano gli ugandesi oggi, o
che hanno utilizzato nel recente passato.
E’ possibile anche vedere l’evoluzione
umana dalla preistoria, cominciando dalle scimmie fino agli esseri umani. La
storia è raccontata con immagini, reperti, teschi e ossa
che illustrano la storia che si impara a scuola e che così sembra più reale.
Il passato multiculturale e
colorato dell’Uganda diventa vivo, così, come se si partecipasse a un viaggio. La
sezione sulla Storia e l'età del Ferro descrive i modi tradizionali di vita
durante i diversi regni, delle tribù e delle comunità ugandesi. Qui sono
esposti suggestivi abiti tradizionali (per lo più confezionati con corteccia e
pelle di animale), e si possono vedere le attività di caccia, la storia dei
trasporti, la pesca, l’agricoltura, la guerra, la religione, ed anche come i
nostri antenati passavano il loro tempo libero (ricreazione tradizionale).
Di notevole interesse è la vetrina
che descrive come era amministrata la giustizia in Uganda molti anni fa. Senza
codice penale, forze di polizia o dipartimenti investigativi, così come si usa
oggi, come si poteva dimostrare chi aveva commesso un crimine e quale pena
infliggere? Si viene a sapere che il Madi e il Lugbara erano vasi divini utilizzati
per valutare l'innocenza degli imputati.
Tuttavia, nonostante il valore di
questo ricco patrimonio culturale, il governo ritiene che il museo sia
diventato un peso, non essendo riuscito a generare un fatturato significativo.
Un centro commerciale nello stesso luogo, per il Governo, sarebbe molto meglio.
Ma il Governo deve anche prendersi parte della colpa, dopo aver costantemente
sottofinanziato il museo. Ad esempio, per l'esercizio finanziario 2011/12, sono
stati assegnati soli 50 milioni di scellini ugandesi, soldi che certamente non sono
sufficienti per soddisfarne le esigenze.
Nel corso degli anni, la gestione
del museo ha cercato di trovare dei modi innovativi per aggirare la crisi del
finanziamento. Ha, per esempio, concesso in leasing una parte della sua area
all’Uganda Wildlife Authority, che ha istituito degli uffici gli sviluppatori
privati come il ristorante Ibamba. Tuttavia, le fonti ci hanno detto che il
museo non ha alcun controllo diretto sulle risorse generate da queste
iniziative.
Per quanto riguarda la gestione
delle tariffe ai fini di un aumento delle entrate, fino all'inizio degli anni
2000, gli ugandesi in visita al museo non pagavano nulla, mentre oggi gli
adulti pagano Shs 1000 per entrare e i bambini, Shs 500. Il biglietto per gli
stranieri è di Shs 3000 per gli adulti e di SHS 1500 per i bambini. I
visitatori che hanno fotocamere e videocamere pagano rispettivamente ulteriori
SHS 5.000 e 20.000.
Una causa persa?
Tuttavia alcuni analisti
ritengono che laddove un governo ignora il pubblico sentimento e, in particolare, trattandosi di demolizione di una proprietà pubblica, gli attivisti culturali
stanno combattendo una causa persa. Nel 2006, per esempio, il governo ha dato l'assenso alla
demolizione della Shimoni Demonstration School per lasciare spazio alla costruzione
di un albergo, nonostante le proteste provenienti da varie parti della comunità
ugandese.
Gli attivisti sono consapevoli di
questo e, per ora, hanno riposto le loro speranze sul fatto di dover essere ancora
ascoltati dalla Corte d'Appello. Il vero spettacolo, dice Muyambi, inizia
adesso.
War
over Uganda museum rages on
by Edris Kiggundu
The announcement by government in January last
year that it would demolish the Uganda museum to give way for the construction
of a 60-storey trade centre understandably caused a stir. Cultural activists, politicians and many people
bitterly opposed the move and even took government to court. Sixteen months
later, the battle still rages on, but how will it end? Edris Kiggundu
dissects the arguments for and against the demolition of the historical
structure.
At about five feet, seven inches tall, Ellady
Muyambi does not cut the figure of someone who can sustain a fight. However, on
a recent evening over a bottle of soda and punching away at his laptop, the
big-eyed, bubbly-cheeked cultural rights activist appeared to be itching for
one.
“We cannot allow this to happen. What will we
tell our children and grandchildren?” Muyambi queried, in relation to the
impending demolition of the Uganda museum by government to give way for
construction of the 60-storey East Africa Trade Centre.
Muyambi is the executive director of Historic
Resources Conservation Initiative (HRCI), a civil society organisation
concerned with preservation of culture and nature. And it is not a coincidence
that our meeting takes place within the precincts of the Uganda museum, a place
that has become something of a second home for him.
Working closely with other organisations like
Cross Cultural Foundation of Uganda (CCFU), Historic Building Conservation
Trust (HBCT) and distinguished people like retired Supreme court Judge, Justice
George Kanyeihamba, Muyambi has literally staked his life on saving the museum.
This has earned him and other organisations
involved in the cause national and international media coverage. Their efforts
have also caught the attention of the United Nations Educational, Scientific
and Cultural Organisation (UNESCO), the UN body that oversees cultural
heritage, among members. In April 2011 when the campaign had gathered momentum,
Francesco Bandarin, the Assistant Director-General for Culture at UNESCO, wrote
to Kahinda Otafiire, the minister of Tourism, Trade and Industry at the time,
urging the government to abandon the move and find alternative land elsewhere.
“As you are aware, the Uganda National Museum
is the largest and oldest museum in the country. Its exhibitions on traditional
culture, archeology, history, science and natural history are among the most
important in East Africa… In light of the above considerations, we would
appreciate it if you could inform us of the official position of your
government regarding the fate of the Uganda National Museum,” Bandarin wrote on
April 15, 2011.
Similarly, last year, Merrick Posnansky, who
was curator of the museum between 1958 and 1962, wrote in The Independent, a
Ugandan weekly news magazine, that it would not be ideal to transfer the
contents of the museum safely.
“I have seen museums restricted to floors of a multi-storey building. They do
not work. A museum needs different rooms for different exhibitions, two floors
would restrict some movement,” Posnansky wrote.
Yet their struggle remains strewn with
challenges and setbacks that will not be easy to overcome. For instance, in
April this year, Muyambi and company suffered a major blow when the High Court
dismissed, on technical grounds, a case they had filed against the demolition.
Apparently, while filing the case, their lawyers had not provided a statutory
notice to government, as is required in such cases. But the activists are not
deterred.
In June, they filed an appeal in the Court of
Appeal and hearing is scheduled to start soon.
“The Uganda Museum is a historical piece that should stand alone, and
destroying it is a cultural crime which is tantamount to destroying Uganda’s
soul,” Muyambi said last week.
Government continues to send mixed signals on
whether it will demolish the museum. When the activists sued government last
year, the Principal Assistant Secretary in the ministry of Tourism, James
Byenjeru told court the trade centre would be constructed ‘near’ the museum.
“I know that the government intends to
construct the East African Trade Centre next to the building housing the museum
and as such, does not intend to demolish the museum,” Byenjeru said.
Thereafter, the government said the museum
would occupy two floors on the trade centre building, saying this space
amounted to 6,000 square metres, ten times bigger that the space it currently
occupies (600 square metres). Later, Otafiire quashed all this when he told
Parliament that the museum “must go”, describing those opposed to its
demolition as “backward”.
Cultural heritage
Indeed, the museum, which occupies 3.359
hectares (approximately 13 acres), located on Plot 5, Kira road in Kamwokya, is
in dire need of a facelift. Although it is evident that the exterior recently
got a fresh brush of paint, a number of things need to be fixed. For instance,
the benches in the garden are dilapidated, while the parking yard needs to be
widened and repaved.
The museum was founded in 1908 and has exhibits
and artifacts of traditional culture, archeology, history and science. It has
various interesting sections riddled with artifacts that bring to life the
different historical aspects of our society. For instance, in the Stone Age
section, one is able to observe physical tools used by Stone Age people. These
tools include stones, bones and wood used for cutting, scrapping and chipping,
and how they evolved into the modern tools that Ugandans use today, or used in
the recent past.
One is also able to see how we evolved from our
ancestors, from the pre-historic period through the history of apes and how
they evolved into humans. The story is told by the displayed pictures, as well
as real tools and bones or skulls that make the history we learn in school seem
more real.
Uganda’s multicultural and colourful past comes
alive as one tours the History and Iron Age displays depicting the traditional
ways of life in different kingdoms, tribes and communities of Uganda. Here one
finds striking displays of traditional clothing (mostly bark cloth and animal
skin), headdress, hairdressing, as well as hunting, the history of
transportation, fishing, agriculture, war, religion, and how our ancestors
spent their free time (traditional recreation).
Also of interest is the display that describes
how justice was dispensed in Uganda many years ago. With no penal code, police
force or criminal investigations department as they exist today, how did people
in earlier days know/prove who had committed which crime and what punishment
fitted him/her? One would be able to learn that the Madi and Lugbara used
divine pots to assess the innocence of the accused.
However, despite this rich cultural heritage
value, government believes that the museum has become a liability, having
failed to generate any meaningful revenue. A trade centre in the same place,
government feels, would perform much better. Yet government must also take part
of the blame, having continually underfunded the museum. For instance, for the
2011/2012 financial year, it was allocated a mere Shs 50 million, money that
certainly is not enough to meet its needs.
Over the years, the management of the museum
has tried to come up with innovative ways to circumvent the funding crisis. It
has, for instance, leased part of its land to the Uganda Wildlife Authority,
which has established offices and to private developers like Ibamba restaurant.
However, sources told us that the museum has no direct control over the
resources generated from these ventures.
Management also introduced entry charges to
boost the facility’s income. Until the early 2000s, Ugandans visiting the
museum were not charged but, today, adults pay Shs 1,000 to enter and children,
Shs 500. The entry fees for foreigners are Shs 3,000 for adults and Shs 1,500
for children. Visitors carrying still and video cameras pay an additional Shs
5,000 and Shs 20,000 respectively.
Lost cause?
Yet some analysts feel that for a government
that has a history of ignoring public sentiment, particularly where demolition
of public property is concerned, the cultural activists are fighting a lost
cause. In 2006, the government gave the nod to the demolition of Shimoni
Demonstration School to give way for the construction of a hotel, despite
protests from various sections of the public.
The activists are aware of this and for now,
have pinned their hopes on the case yet to be heard by the Court of Appeal. The real show, Muyambi says, starts now.