Intervista a Giorgio Gallavotti, fondatore e direttore del Museo del Bottone di Santarcangelo di Romagna
Intervista
realizzata da Caterina Pisu
I bottoni hanno sempre
avuto un fascino particolare su di me, fin da quando ero bambina, quasi quanto
le palline colorate degli alberi di Natale. D’altra parte i bottoni sono sempre
stati i giocattoli dei bambini di tante passate generazioni, quando la fantasia
non era ancora stata rimossa dal frastuono alienante dei videogiochi. Pertanto,
quando ho iniziato la mia collaborazione con l’Associazione Nazionale Piccoli
Musei, circa due anni fa, è stata una piacevole sorpresa scoprire che tra i
nostri soci più attivi vi è il direttore del Museo del Bottone di Santarcangelo
di Romagna, Giorgio Gallavotti. Ho fatto la sua conoscenza ad Amalfi, lo scorso novembre, in occasione del terzo convegno nazionale dei Piccoli Musei, dove
Gallavotti - che è intervenuto ad ogni nostro convegno, fin dalla prima
edizione - era presente insieme alla gentilissima signora Giulia. Mi ha colpita
la sua affabilità, quei modi così educati e perbene che ricordano i tempi di
una volta. Deve esserci uno stile che accomuna coloro che nella loro vita si
occupano o si sono occupati di bottoni, perché il mio pensiero corre subito ad
un ugualmente distinto signore di Viterbo (la città dove vivo), proprietario di
un’antica merceria in piazza delle Erbe, che è una delle persone più garbate
che io conosca. Anche Giorgio Gallavotti ha venduto bottoni nel negozio
paterno, aperto nel lontano 1929. Nel 2002 ha cessato l’attività commerciale e
ha potuto dedicarsi a tempo pieno al suo progetto: il Museo del Bottone. L’idea
di un museo comincia a concretizzarsi nel corso degli anni Ottanta, ma quello
che possiamo definire il “concept”, cioè il soggetto del nucleo narrativo del
museo, ha avuto una definizione più graduale ed è nata dagli studi che
Gallavotti ha dedicato, in tanti anni, alla storia del bottone. I magazzini del
negozio paterno potevano contare su una collezione di circa 8.500 bottoni che
abbraccia quasi tutta la storia del Novecento, pertanto l’idea è stata quella
di raccontare la storia attraverso i bottoni. I bottoni, come le tendenze della
moda, sono cambiati nel corso degli anni e possono parlarci dei mutamenti della
società, delle rivoluzioni delle tradizioni e dei costumi, ed anche delle
singole storie delle persone. E in effetti il museo può essere “letto”
attraverso vari percorsi di visita che spaziano dalla storia delle due guerre
mondiali alle dittature del Novecento, dall’emancipazione femminile alle
Olimpiadi, ed altri ancora che ricordano le tappe più importanti della nostra
storia e della storia mondiale, come il boom economico degli anni ’50, la crisi
degli anni di piombo, la fine della guerra fredda. Non mancano bottoni che
parlano anche di periodi più antichi che risalgono fino al 1600- 1700-1800.
Tutto l’allestimento è stato creato con infinita pazienza dallo stesso
Gallavotti, che ha cucito i bottoni sui pannelli e li ha incorniciati per il museo
definitivo che è stato aperto nel 2008.
Il museo attira
moltissimi visitatori (sta per raggiungere i 200.000 ingressi dalla sua
apertura, non pochi per un piccolo museo) e bisogna anche dire che è uno dei
pochi musei privati ad ingresso gratuito. Forse proprio per questo è diventato
innanzitutto uno dei musei più cari ai cittadini di Santarcangelo di Romagna,
che ne sono giustamente orgogliosi.
Ma come mai un piccolo
museo come il Museo del Bottone riesce ad attirare tanto interesse intorno a
sé? Il merito deve essere attributo alle sue collezioni? All’allestimento? Alla
capacità di accogliere i visitatori? Probabilmente da tutte queste cose insieme,
unite ad un’ottima capacità comunicativa che vede il museo al passo con i
tempi, presente sul web con un sito ufficiale, un blog, e con un’intensa attività
anche sui social networks. Questa è una strategia che funziona e un modello dal
quale dovrebbero trarre insegnamento tanti professionisti museali che sono
molto meno sensibili sia all’arte dell’accoglienza che a quella della
comunicazione. Ma, come afferma Giancarlo Dall’Ara, fondatore dell’Associazione
Nazionale Piccoli Musei, ogni museo ha anche una sua personalità che è definita
da un insieme di fattori e dalle precise scelte di chi lo amministra. E allora,
per cercare di capire qual è la personalità del Museo del Bottone, ho
intervistato il suo creatore e direttore, Giorgio Gallavotti, che oltre a
dirigere il Museo è anche, come già accennato, un profondo conoscitore della storia dei bottoni (è
autore del volume “Bottoni. Arte, moda, costume, società, seduzione, storia”, Editore Pazzini). Dall’intervista
sono emerse una sensibilità e una consapevolezza della pratica professionale
del museologo che a volte non riscontriamo in coloro che sono specializzati
nella materia.
Giorgio Gallavotti |
- Giorgio, che cosa c’è
della tua famiglia e, in particolare, dell’eredità morale di tuo padre, in
questo museo?
L’eredità
morale che mio padre mi ha lasciato è impagabile: “l’onestà e il rispetto di tutti”.
Questi, in quei tempi, erano i principi cardine di ogni persona, e mio padre, nato
nel 1901, mi ha trasmesso quei valori col suo esempio e col suo comportamento
nella vita di tutti i giorni. Vicesindaco di Santarcangelo nei primi anni Cinquanta,
non ha mai preso una lira per lo svolgimento delle sue funzioni. Se doveva recarsi
fuori dal comune, adoperava i mezzi pubblici e se li pagava di tasca propria.
Soprattutto
non dimenticherò mai il suo esempio sul lavoro. Dopo la seconda guerra mondiale,
con la ripresa delle attività, mio padre è andato a Milano, alla prima fiera
campionaria del dopoguerra. Ha comperato dei matassoni di filo di vari colori da 500 metri per
cucire a mano e a macchina. Bisognava fare delle spolette da 100 metri, che era
la misura delle confezioni standard, avvolgendo il filo su dei cartoncini
arrotolati. In questo modo le sarte, o chi aveva bisogno del filo per cucire, poteva
avere la quantità che occorreva dato che le confezioni standard di fabbrica non
si trovavano più o erano nascoste per il mercato nero. La misura doveva
essere precisamente di 100 metri, perché se qualcuno avesse avuto voglia di
controllare e fosse risultato un metro in meno, sarebbe stato un grande
disonore per la famiglia e per il negozio. Nonostante tutto, alla fine ebbe la
beffa dello Stato: dovette pagare i profitti di guerra.
Giacomo, padre di Giorgio Gallavotti, ritratto nella sua merceria |
- Che
cos’erano i profitti di guerra?
Finita la
guerra e con la ripresa dell’economia, chi aveva la merce da vendere,
generalmente ne approfittava per venderla molto più cara e magari sottobanco
per guadagnare di più. Questo aveva fatto fiorire il mercato nero con la
realizzazione di profitti ricavati in maniera non lecita. Lo Stato, allora, pretese
una tassa forfettaria su questi introiti da tutti, sia da quelli che erano
stati onesti che da quelli che non lo erano stati. Questi erano i cosiddetti
“profitti di guerra”.
La merceria dei Gallavotti negli anni Sessanta |
Il negozio nel 1970 |
- Che parte hanno avuto
i tuoi famigliari in questo progetto?
Nello
svolgimento della loro attività di merceria, i miei genitori hanno conservato
sempre tutte le rimanenze in un magazzino, soprattutto i bottoni che, formando
molte giacenze, hanno costituito il nucleo originario della collezione del
Museo.
La
cosa più importante è che i miei genitori hanno sempre avuto fiducia in me. Già
ventenne mi hanno dato la possibilità di gestire il negozio assieme a loro
lasciandomi la responsabilità per quanto riguardava gli assortimenti. La cosa
che mi piaceva di più era comperare i bottoni: sceglievo i più all’avanguardia nella moda e
anche i più costosi. Il bello è che avevano successo e il nostro negozio era
sempre pieno di sarte.
La
mia famiglia all’inizio mi lasciava fare e non mi ha mai ostacolato nella progettazione
del Museo. Dopo la prima mostra, nel 1991, visto il successo, hanno capito che
facevo sul serio. Pian piano sono diventati solidali e mio genero ha anche
creato il primo sito internet del Museo. Ora mia moglie, che odiava la storia e
i bottoni, è diventata una brava guida molto apprezzata dai visitatori. Nei
momenti di necessità, quando ci sono raduni e feste al Museo, e abbiamo
necessità di più personale, anche mia figlia si attiva e spesso prepara il
buffet e lo serve.
- Qual è stato il
complimento ricevuto da un visitatore che ti ha fatto più piacere?
Con
200.000 visitatori i complimenti sono tantissimi e tutti graditi. Sono il cibo
dell’animo. Per non fare torto a nessuno ne cito uno di un visitatore
particolare. Per me è stato dolcissimo e mi ha fatto scendere una lacrima: «Caro nonno il tuo museo è molto bello. La tua parola non è una parola
ma una storia lunghissima».
Allora la mia
nipotina aveva 8 anni.
File di bottoni in vendita nella merceria di famiglia, chiusa nel 2002. |
- Se tu avessi a
disposizione ingenti risorse, pari a quelle dei più grandi musei del mondo,
cambieresti qualcosa nel tuo museo o pensi che nulla dovrebbe essere
modificato?
Troppo
bello avere ingenti risorse. L’unica cosa che non cambierei è il luogo dove ora
si trova il Museo, un posto strategico per il Museo ma soprattutto per il
turismo santarcangiolese.
Preciso
che l’allestimento attuale è molto soddisfacente e anche pratico per i
visitatori. Ma…cercherei di comperare od affittare il locale vuoto sopra il
Museo; di ricavare uno spazio per la sezione dei materiali, della biblioteca e
una sala per le conferenze per svolgervi anche le lezioni agli alunni delle
scuole e per la formazione dei giovani che in futuro saranno il personale
qualificato che gestirà il Museo.
Se
potessi disporre di personale altamente qualificato nel Museo, avrei più tempo
per scrivere e per le mie ricerche sul mondo dei bottoni; potrei aumentare i
contatti con le scuole e così potrei portare il Museo nelle aule attraverso le
mie visite nelle scuole; potrei soddisfare più spesso le richieste di
conferenze.
Rifarei
tutto l’allestimento della sezione curiosità dal mondo, creando spazi più ampi fra
i quadri e migliorando la disposizione cronologica che abbraccia l’arco di
tempo 1600-1700-1800; inoltre disporrei luci mirate sui pezzi più pregiati e farei
creare un dvd su di essi che potrebbe essere visionato in uno spazio apposito
del Museo.
Rimodernerei la zona gift shop e book shop, dove sono
disponibili due libri di cui sono l’autore, quadri di bottoni, bottoni,
cartoline, manifesti ecc. ecc., che ci
permettono di sopravvivere. Tutto il materiale in vendita riguarda il Museo.
Visitatori affollano l'ingresso del Museo del Bottone |
- Chi è, per te, una
persona che varca la soglia del tuo museo?
Le
persone che entrano nel Museo per me all’inizio sono tutte uguali, ma tutte
diseguali.
Ognuna
ha le sue caratteristiche, la sua cultura, il suo modo di vedere le cose, ma soprattutto quasi tutti non pensano
che dietro ad un bottone vi possa essere tanta storia, arte e cultura. Ognuno
ha la sua visione, che è quella della sua intelligenza, della sua cultura e
della sua sensibilità, e allora qui
comincia la sfida. Innanzitutto, cerco di capire che tipo di persona ho davanti
a me. Mi adeguo ai suoi desideri, al modo in cui preferisce svolgere la visita:
ascoltando, osservando con attenzione e ascoltando con interesse i riferimenti
alla storia, all’arte ecc. ecc.; oppure svolgendo la visita in modo meno
impegnativo e più ludico. Interagendo con tatto e descrizione, riesco quasi
sempre a meravigliarlo sul grande contenuto culturale che rappresenta il Museo
del Bottone, ma anche su quanta strada ha fatto nel mondo. Così quando esce è
soddisfatto di averlo visitato, mi rivolge tanti complimenti e spesso scrive una dedica sul libro delle
firme. Questo visitatore diventerà una fonte di pubblicità con il passaparola.
- Parliamo, ora, delle
tue strategie di comunicazione. Sei molto attivo sia nel tuo blog, http://ibottonialmuseo.blogspot.it/,
che sulla tua pagina Facebook. Che cosa significa, per te, essere comunicativo
sul web? Riuscire a mantenere viva l’attenzione nei confronti del museo? Cercare
di attrarre un maggior numero di visitatori? Mantenere i contatti con chi ha
già visitato il museo? Migliorare l’informazione sul museo o che cos’altro?
La
risposta a queste domande può essere solo una: il contatto è la cosa più
importante nella vita. La vita è la vita degli uomini con gli uomini,
non con le cose. Nelle relazioni ciò che conta è l’incontro. Mantenendo viva l’attenzione sul
Museo si possono attrarre nuovi visitatori. E’ necessario rendere continuamente
disponibili le informazioni sulle attività e sulle conquiste del Museo. E’
importante mantenere i contatti con i visitatori. Ma c’è anche un altro
aspetto: proprio il fatto di aver
mantenuto continuamente viva l’informazione con i comunicati stampa attraverso
i mass media, ha fatto sì che il Museo fosse conosciuto non
solo in Italia ma anche nel resto del mondo. Questo ha portato sviluppi
positivi per il Museo. Un esempio: nel 2010 Elena Chahanova giornalista accreditata
a Radio Nazionale Bulgaria in Italia, ha parlato del Museo del Bottone. Da quel momento abbiamo sempre
mantenuto i contatti attraverso internet e questo ha fatto si che ne abbia
parlato ancora, alla vigilia di Natale del 2012.
- Che cosa attrae, in
particolare, i bambini e giovani che visitano il tuo museo? Hai ideato
strumenti adatti a questa fascia di utenti per facilitare e rendere più
coinvolgente la loro visita al museo?
I
bambini, furbi ed intelligenti, sono una fonte di gioia. Spesso prima parlo con
loro e li porto a vedere i quadri che a
loro piacciono, per esempio Biancaneve e i sette nani, Pinocchio e un quadro
particolare dove vi sono bottoni degli anni Ottanta che rappresentano case,
conigli, gelati, farfalle ecc. ecc. Di solito io indico loro un oggetto ma
dicendo il nome sbagliato. Loro mi correggono subito e ridono; allora io,
imperterrito, sbaglio tutti i nomi e loro si divertono un mondo. Alla fine
regalo loro bottoncini di varie forme, soprattutto a forma di cappellino, di
pallone, di coccinella, di mela o a forma di cuore. Quando, poi, incomincio a
parlare coi genitori, anche loro seguono
tutto il percorso stando molto attenti e io continuo a sollecitare la loro
attenzione.
I
giovani o i ragazzini di 14-16 anni che vengono a visitare il museo, di solito
sono coppie di “morosini” (fidanzati,
NdR). All’inizio sono sempre timidi e premurosi, poi nel corso della visita
perdono la timidezza e apprezzano tantissimo le storie dei bottoni. Spesso
racconto loro le storie della seduzione e della provocazione che hanno come
protagonisti i bottoni, e loro si accorgono di ascoltare quelle cose che
provano realmente quando sono da soli. In omaggio offro loro fiori, bottoni
Swarovski e cuoricini, che sono sempre graditissimi, e alla fine sul libro
delle presenze scrivono frasi come: «qui
si entra come in una favola e non viene mai la voglia di uscire…».
Bottoni esposti nel Museo |
- Quali sono i Paesi da
cui provengono maggiormente i visitatori stranieri? Si tratta di visite
programmate o casuali?
In
assoluto il Museo del Bottone è visitato dai turisti tedeschi che sono, per l’80%, gruppi prenotati accompagnati dalla loro guida.
Quest’anno,
dal 3 marzo 2013, il movimento dei tedeschi è stato di 100-150 presenze al
giorno per quattro giorni alla
settimana. Nella classifica seguono i francesi, i russi, i belgi, inglesi e gli
statunitensi. Meno numerosi, invece, i visitatori provenienti dai paesi ex
Urss, Norvegia, Olanda, Spagna, Canada, Argentina, Brasile, Cina, Giappone, sud
est asiatico e stati africani.
Sul
libro delle firme le nazioni straniere
conteggiate sono 120, provenienti da tutti i cinque continenti del Mondo. Il 50%
dei francesi e dei russi arrivano in gruppi prenotati, accompagnati dalla loro
guida. Altri giungono in piccoli gruppi autonomi e altri ancora, questo è
importante, accompagnati da ex visitatori o amici e parenti. Il bottone come
incontro fra le varie culture del mondo!
- Nel tuo museo in che
modo metti in pratica i principi dell’accoglienza di cui tanto discutiamo nei
nostri convegni dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei?
Credo
in parte di aver già risposto a questa domanda. E’ l’attenzione per i desideri
della gente, accoglierli come quando arriva a casa un amico. La scalinata davanti
al Museo è piena di manifesti sul Museo stesso. L’ampia porta a vetri è sempre
aperta e da fuori si può intravedere l’esposizione: questo incuriosisce la
gente che si chiede cosa potrà mai dire un bottone. L’ingresso gratuito è
scritto ben visibile sulla bacheca esterna.
La
guida, che ha il cartellino di riconoscimento come guida volontaria, accoglie
il visitatore con un buon giorno, un sorriso ed una battuta spiritosa che mettono
subito a proprio agio i visitatori, informando anche che si può fotografie. La
guida, poi, costruisce un percorso comunicativo che emoziona il visitatore
con riferimenti al territorio
e alla realtà culturale che ospita il Museo. Non lo sollecitiamo assolutamente a comperare libri,
cartoline, bottoni ecc. ecc. sebbene la visita comprenda anche lo spazio
allestito per l’acquisto di libri e souvenir. L’unica cosa che chiediamo è la
firma di presenza per le statistiche.
Vi
sono a disposizione, gratuitamente, fogli illustrativi che raccontano il Museo,
cartoline con orari e foto del museo, brochures
complete di tutte le informazioni utili. Spesso alle signore e signorine
riservo omaggi di bottoni particolari.
- Il tuo impegno è stato
ed è supportato dalle istituzioni?
Pur
avendone a disposizione, non mi hanno mai voluto concedere un locale. Sotto
l’aspetto economico, dal maggio 2008 – primo giorno di apertura del Museo - al 31
dicembre 2012, le Istituzioni hanno contribuito al pagamento dell’affitto del
locale per 5 mesi l’anno, ma quest’anno ancora non si sa che cosa succederà a causa della crisi e del
sindaco dimissionario. Per il resto…la parola è d’argento ma il silenzio è d’oro!
- Se tu dovessi creare
uno slogan per il tuo museo, così di getto, che frase ti verrebbe in mente?
«Un inno alla storia e all’arte», frase
lasciata sul libro delle firme da un professore di storia della Università di
Treviso, dopo una chiacchierata di due ore e mezzo, in un giorno di luglio, con
31 gradi di temperatura (la gente era tutta al mare), e che entrando aveva
detto: «cosa può mai dire un bottone?»
La
seconda opzione: «Il bottone, la memoria
della storia».
- Grazie, Giorgio, per
avermi concesso questa bellissima e coinvolgente intervista.
Ringrazio
te, Caterina, per avermi fatto delle domande particolari che mi hanno permesso
di scrivere sulla mia famiglia, ma soprattutto su mio padre a cui ho dedicato
il mio primo libro del Museo. E’ un onore per il Museo del Bottone essere stato
scelto per il tuo blog.
Permettimi,
in conclusione, di fare dei ringraziamenti. In cinque anni di attività fissa il
Museo ha raggiunto traguardi inimmaginabili per il numero delle visite, ben 200.000,
ed è riuscito a farsi conoscere nel contesto nazionale e internazionale. Mi sento in dovere di rivolgere un ringraziamento
particolare a tutti coloro cui debbo questo successo: ai soci dell’Associazione “Amici del Museo del
Bottone”, all’Associazione “La Scatola
dei Bottoni” e al suo presidente Sig.ra Lorena Ghinelli, che con i loro consigli e le loro osservazioni
hanno dato un’impronta particolare alla conduzione del Museo.
Ringrazio
anche Claudia Protti che cura il
blog “I bottoni al Museo”; le professoresse Ilaria Picardi e Chiara Marziani, per i contatti con l’Università della Moda di Rimini e per la creazione della pagina Facebook; il Prof. Giancarlo Dall’Ara, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Piccoli Musei, che ha fatto del Museo dei Bottoni
un’icona dei piccoli musei, portandola ad esempio in giro per l’Italia; la Pro Loco di Santarcangelo, con cui vi è un’ottima
collaborazione; infine, le tante laureate che hanno svolto le loro tesi di
laurea sul Museo del Bottone.
Ringrazio
alcuni di coloro che hanno portato il
Museo in giro per il mondo: la giornalista bulgara di Radio Nazionale Bulgaria, Elena
Chahanova, che ha raccontato il Museo attraverso le antenne di radio nazionale; la giornalista cinese Pingsha Tian, che ha scritto sul Global Times di Pechino; la guida russa
Yuri, che porta tantissimi turisti. Un
grazie anche agli sconosciuti per il loro passaparola
Infine
un particolare ringraziamento di cuore è per Caterina, per il suo impegno e
dedizione per la conservazione del mondo della memoria. Grazie.
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Il
Museo del Bottone si trova a Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini.
Via
Della Costa, 11
Tel.
0541624270
Sito
web: http://www.bottoni-museo.it/
Aperto tutti i giorni
dalle 10-12 15-18 orario invernale 10-12 16-18.30 21-23.30 orario estivo
Ingresso gratuito come
la guida interna.
Offerta facoltativa per
l'associazione no profit “La Scatola dei Bottoni” che cura la visibilità del
Museo del Bottone.
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I racconti dei bottoni
Il Museo del Bottone ispira un libro di racconti di Silvio Biondi e Amedeo Blasi
di Caterina Pisu
I bottoni sono i protagonisti di una raccolta di nove racconti un po' surreali, divertenti, talvolta irriverenti, scritti da Silvio Biondi e Amedeo Blasi, due autori diversi per formazione e per professione, ma che insieme hanno saputo dare vita ai bottoni, immaginando "che i bottoni potessero parlare" - citando i due stessi scrittori - facendoli diventare piccoli "maestri di saggezza". Leggendo le pagine di questo volumetto mi sono affezionata ai singoli protagonisti: dal bottone papalino dell'"indeciso" e ambizioso Generale Zucchi al bottone di Papa Sisto V; dal bottone viterbese, ignorantello e anche un po' infame, ai bottoni rifugiati sul pianeta "Futuro Della Terra"; dal bottone del prete che vola sulla luna al bottone del ciabattino che diventa primo ministro e viene ucciso a causa del suo "brutto vizio" di fare del bene ai poveri. Per finire con il filo e bottone che litigano tra loro ma poi si accorgono di non poter fare a meno l'uno dell'altro, e con il "bottone volante" di Giorgio Gallavotti, che ci porta alle lontane origini del bottone.
Da oggi in poi guarderò i bottoni con maggior rispetto perché in fondo è vero: loro, più o meno saldamente attaccati ai nostri abiti, sono i testimoni della nostra vita e chissà quante cose possono raccontare di ciascuno di noi!