Pubblico qui un articolo molto interessante del museologo Riccardo Rosati, dedicato al museo storico-didattico di Roma, "La memoria giocosa". Si tratta di un museo privato dalla storia affascinante e che merita veramente di essere maggiormente conosciuto.
Un sabato, andando oltre la
ormai improponibile via del Pigneto, siamo tornati in un luogo poco conosciuto
di Roma: Il Museo – La Memoria Giocosa. Ricordevoli della interessante conversazione
col suo Direttore, Franco Palmieri, abbiamo deciso di intervistarlo.
Un personaggio abbastanza
atipico è Palmieri, apparentemente un anarchico, e come tutti quelli veri,
con alcune simpatie a Destra. Egli ci ha proposto una lettura del mondo
attraverso i giocattoli; un qualcosa che non avevamo mai sentito prima. Dopo
uno smarrimento iniziale, siamo entrati nella dimensione dei balocchi,
accompagnati dalla interpretazione di una persona che si è anche rivelata
preparata ben oltre l'argomento “giocattoli”. Palmieri è, infatti, pure un fine
americanista, con alle spalle due borse di studio alla Columbia
University, una delle università facenti parte della “Ivy League”: gli unici
atenei che contino davvero in America.
La sua personale teoria
museologica è totalmente strutturata. Non c'è da stupirsi di ciò. In due ore,
il termine “studiare” è ricorso spesso. Prima di porgli qualche domanda, raccontiamo
sinteticamente di questo prezioso, benché piccolo museo.
La Memoria Giocosa nasce
nel 2000, seguendo una indicazione museale didattica che ha la sua origine nel
Museum of the City of New York. Esso
ha sede in un loft di circa 300 mq, nell'area dei villini del Pigneto, fiorita
nell'epoca futurista e sviluppatasi poi nel Barocchetto Romano ad opera degli
architetti del Ventennio. Il museo propone il giocattolo inteso come veicolo di
comunicazione culturale e di conoscenza della realtà. È il primo museo in
Italia ispirato alla filosofia dell'educatore tedesco Friedrich Fröbel (1782 –
1852), ideatore dei giardini d’infanzia. Lungo un itinerario museale composto
di oltre duecento piani espositivi, i giocattoli e i giochi costituiscono una
sorta di percorso parallelo alla evoluzione storica e sociale delle epoche che
i medesimi riproducono.
Caro Palmieri quello da lei
diretto è un museo non certo grande, però che ha una sua importanza, è così?
Lo può ben dire! Non tanto
per la vastità della collezione, ma per completezza, La Memoria Giocosa
racchiude una testimonianza assai rara. L'Italia è piena di importanti
collezioni di bambole e di giocattoli, ma solo noi non abbiamo “buchi” storici
o tematici in quello che esponiamo. Tanto per intenderci, il famoso Museo del
Giocattolo di Zagarolo, ospitato nella bella sede di Palazzo Rospigliosi, l'ho
inizialmente allestito io, e il primo nucleo della raccolta nasce con dei pezzi
che gli vendetti a suo tempo, poiché quelli erano dei doppioni che avevamo.
Comunque, il mio museo possiede dei pezzi unici. È il caso dei pupazzi di latta
presi dai protagonisti dei comics americani; oltre che da noi, li si trovano
solo nelle collezioni statunitensi.
Come è stato pensato il
Museo?
Abbiamo voluto raccontare
il periodo che va sotto il nome di “modernariato”. Dunque, la raccolta
abbraccia un lasso temporale che va dal 1835, periodo di sviluppo del motore a
vapore a opera di George Stephenson, fino al 1963, anno in cui il Premio Nobel
Giulio Natta sintetizza il Moplen, con l'inizio della diffusione della
plastica.
E sulla collezione di
giocattoli – si dice la più importante al mondo, con 30 mila pezzi – facente
parte della raccolta dello svedese P. Pluntky, poi acquistata dal Comune di
Roma da Leonardo Servadio? Nel 2005, l'ex-Sindaco Walter Veltroni la volle
comprare per farne un museo a Villa Ada. Il prezzo pagato fu esorbitante:
cinque milioni e quattrocentomila euro! Il progetto non andò in porto e con
l'avvento di Alemanno questi giocattoli sparirono. Si è successivamente
scoperto che il Comune sborsa da allora le rate del mutuo per l’acquisto della
collezione, nonché le spese mensili per la custodia dei giochi, che dal
magazzino del venditore non si sono mai mossi. Uno scandalo tutto italiano?
Sembrerebbe. Una delle
tante trovate di Veltroni, il quale ha avuto la fortuna di avere al suo fianco
un uomo della competenza di Gianni Borgna, che è stato un amico del mio museo.
Non posso però dire molto su questo fatto, se non che si tratta sì di una
raccolta davvero imponente, con numerosi pezzi antichi; tuttavia, anche questa
è incompleta, non coprendo tutte le epoche. È fondamentale chiarire che per garantire
la funzione didattica dei musei dei giocattoli avere 1 o 1000 pezzi non fa la
differenza: mettere assieme decine di oggetti tutti uguali è una mania. È
sufficiente un giocattolo per raccontare quello che è utile spiegare.
Il suo museo è chiaramente
visitato dalle scolaresche, che ci può dire in merito?
Io farei una piccola accusa
al sistema scolastico italiano, con docenti che vogliono soltanto gli oggetti
esposti, privi di un racconto. Se vai ai Vaticani e non hai studiato prima,
cosa impari? Tutti parlano di “didattica museale”, ma quasi nessuno ci capisce
qualcosa. È fondamentale contestualizzare. Il Museo deve essere una “narrazione
universale”, e quello dei giocattoli è il museo didattico per antonomasia,
diverso da quello che io chiamo: “museo
espositivo”. Con il primo, apprendi al momento della visita. Nel caso del
secondo, se non hai cultura, serve a poco.
Come sempre la scuola ha
dei problemi?
Mi limito a ciò che mi
riguarda, i musei. Ritengo che la scuola abbia “subito” il Museo, non dandogli
suggerimenti utili, né lo ha mai motivato. Si portano gli studenti in giro come
dei branchi. Non ci si sofferma a guardare, così da capire cosa si stia
osservando. Un giocattolo racconta la vita autentica della sua epoca, non la
imita, né scimmiotta, sia chiaro. Esso è una testimonianza di mode e culture.
Parliamo di un mondo che racconta un mondo. Fondamentale è, inoltre, il
discorso sui materiali con cui sono fatti i giocattoli. In sintesi, io questo
spiego ai visitatori, grandi e piccoli, che ci vengono a trovare.
Il giocattolo è un fatto
nostalgico o una realtà educativa?
Ma che nostalgico, è
educazione allo stato puro. La nostalgia riguarda i collezionisti – categoria
di cui non faccio parte – che sono dei maniaci monotematici. Un museo del
giocattolo è una sorta di iperuranio platonico, un mondo delle idee.
Allora, non è solo “roba
per bambini”?
È per tutti. E non si
confonda la produzione dei giocattoli, con ciò che essi testimoniano.
Purtroppo, oggi i “modelli” si sono esauriti, tutto è stato rappresentato
attraverso i giocattoli. Questa è la ragione per la quale l'esposizione qui si
ferma al 1963. Alla plastica è stata destinata la serialità degli oggetti, di
cose già fatte con altri materiali in precedenza.
Quindi, è stata una scelta
“antimoderna” il non continuare a raccogliere pezzi appartenenti a periodi più
vicini a noi?
Assolutamente no. Tematica,
solo ed esclusivamente tematica. La mia è stata la predilezione per una
determinata epoca, il modernariato, e non il rifiuto di un'altra.
Quante cose si scoprono
attraverso lo studio dei giocattoli. Qualche altra curiosità?
Ce ne sarebbero di
infinite. Per quanto concerne l'Italia, abbiamo grandi collezioni sparse sul
nostro territorio, ma non una importante storia “produttiva”. Il giocattolo,
quasi nessuno lo sa, nasce in Germania. Successivamente, si è diffuso in
Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Da noi, l'industria in questo campo è nata
durante il fascismo, copiando quello che si faceva proprio in Germania.
A proposito di America? Che
ci dice di Barbie, alla quale sono state dedicate varie mostre ultimamente?
Icona negativa come pensano taluni?
Per nulla. La Barbie
rappresenta la donna liberata, ha una sua vita, la macchina, una casa di
proprietà, un lavoro. Chi ha un problema con questa bambola ha una visione del
mondo femminile problematica.
Ci viene da pensare che gli
insegnanti e i genitori possano rimanere
sorpresi e, di conseguenza, messi in difficoltà dalla sua lettura dei
giocattoli, dove tutta la storia umana moderna è presente.
I docenti che accompagnano
i ragazzi al Museo vengono “preparati”. Ovvero, si informano prima sulle mie
idee e si comportano in modo collaborativo. In generale, le persone poco
capiscono del senso di questo luogo. È il giocattolo il vero testimone del
passato, altro che le foto! I musei sono in sostanza tutti uguali, la
differenza sta nel progetto culturale che ne sta alla base. I giocattoli
obbediscono alla realtà. Visitando questo museo non si fugge dal mondo; al
contrario, lo si comprende un pochino meglio.
Riccardo Rosati
* Un sentito
ringraziamento ad Annarita Mavelli per il suo prezioso aiuto nella supervisione
di questo scritto.