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Raccomandazione di ICOM Italia sulla direzione dei Musei Civici

ICOM Italia ha inviato a ANCI e UPI nazionali una raccomandazione rivolta alle amministrazioni locali in merito alla direzione dei musei civici. Il Comitato nazionale italiano di ICOM è pienamente cosciente delle difficoltà e dei limiti operativi in cui si colloca l’azione degli enti locali e si impegnerà ad offrire il suo contributo, in tutte le forme ritenute utili, alle Amministrazioni proprietarie di musei affinché riescano a garantire il miglior funzionamento possibile dei musei civici.
Ecco il testo del documento:

Nel corso degli ultimi vent’anni, riforme delle pubbliche amministrazioni, riduzioni della spesa pubblica, manovre finanziarie hanno costretto gli Enti Locali a concentrare e ridurre la propria struttura dirigenziale.
Queste ristrutturazioni interne, fatte salve poche eccezioni, hanno fortemente limitato l'autonomia dei Musei Civici che sono stati accorpati nella gestione di più ampi settori/uffici amministrativi.
Anche in conseguenza di ciò, i Musei Civici, che rappresentano circa la metà dei musei italiani, stanno subendo una forte riduzione e persino la scomparsa (di numero e di ruolo) delle direzioni scientifiche. I ruoli di direzione scientifica, caso unico in Europa, sono oramai quasi sempre attribuiti a dirigenti amministrativi ai quali vengono attribuite anche tutte le competenze e le responsabilità, anche quelle squisitamente scientifiche e museologiche riguardanti la ricerca, la didattica, lo studio, la proposta dei programmi annuali e pluriennali di attività museali e più in generale tutte le funzioni e le finalità istituzionali del museo definite dall’art. 101 del d.l. 42/2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio
. Dove sopravvivono direttori con competenze scientifiche, questi sono nominati pro tempore dai dirigenti amministrativi sovraordinati che spesso mantengono la piena titolarità sui programmi, sull’affidamento delle collezioni, sui finanziamenti, sulla didattica e su tutte le altre attività relative alla vita del museo. Quando il direttore è nominato titolare di una posizione organizzativa ciò corrisponde spesso all’assunzione di una troppo limitata autonomia e responsabilità sia nei confronti del museo sia all’interno dell’apparato comunale.
In questo contesto è molto positivo che alcune Regioni siano intervenute fissando precisi standard per il funzionamento e l'accreditamento dei Musei Civici, fra cui è determinante la presenza di un direttore pienamente responsabile dello sviluppo e dell'attuazione del progetto culturale e scientifico del museo stesso, della sua gestione complessiva, della conservazione, valorizzazione, promozione e godimento pubblico dei culturali in esso contenuti e della ricerca scientifica ad essi connessa. I requisiti necessari per affrontare correttamente i complessi compiti di Direttore di Museo sono stati individuati dalla Carta nazionale delle professioni museali (allegata e parte integrante della presente Raccomandazione, preparata da ICOM e dalla Conferenza permanente delle Associazioni museali italiame, discussa nella I Conferenza nazionale dei musei d'Italia tenutasi a Milano il 24 ottobre 2005 e approvata definitivamente dalla II Conferenza nazionale dei musei d'Italia tenutasi a Roma il 2 ottobre 2006. In particolare, nella carta sono individuate Responsabilità, ambiti e compiti del Direttore del museo, i Requisiti per l'accesso all'incarico e le Modalità d'incarico che la comunità professionale unanimemente considera necessarie.
Pertanto
ICOM Italia, il Comitato nazionale italiano dell’International Council of Museums,
Raccomanda

 - che le Amministrazioni proprietarie di Musei Civici si impegnino a richiedere e a verificare come condizione imprescindibile per l’accesso all’incarico di Direttore quanto previsto dalla Carta Nazionale delle professioni museali.

- che il Direttore di Museo Civico sia pienamente responsabile dello sviluppo e dell’attuazione del progetto culturale e scientifico del museo stesso, della sua gestione complessiva, della conservazione, valorizzazione, promozione e godimento pubblico dei beni culturali in esso contenuti e della ricerca e della divulgazione scientifica ad essi connessa.
- che ai Musei Civici sia garantita dallo Statuto e dai Regolamenti degli Enti, la più ampia autonomia scientifica, didattica e gestionale, riconoscendone il ruolo di Istituti della Cultura permanenti che, senza scopo di lucro, sono al servizio della società e del suo sviluppo, sono dedicati alla ricerca delle testimonianze materiali e immateriali della Comunità di riferimento e del suo ambiente; che acquisiscono, conservano, comunicano, espongono a fini di studio, educazione e diletto.
- che le attribuzioni delle dirigenze amministrative non siano di norma estese anche alla governance della ricerca, della conservazione e della didattica, in tutte le loro forme, missioni essenziali dei Musei Civici, se non nel coordinamento di tali funzioni.
- che ANCI e UPI si impegnino a diffondere questa raccomandazione ai loro iscritti.
ICOM Italia, cosciente delle difficoltà e dei limiti operativi in cui si colloca l’azione degli Enti locali, si impegna ad offrie il proprio contributo in tutte le forme ritenute utili, alle Amministrazioni proprietarie di Musei al fine di garantire il miglior funzionamento possibile dei musei civici, la loro autonomia scientifica e gestionale, la professionalità, il ruolo e la responsabilità dei loro direttorei e del loro personale scientifico, così come previsto dal Codice etico ICOM per i musei e dalla Carta nazionale delle Professioni museali di ICOM.

Approvata dal Consiglio direttivo di ICOM Italia riunitosi a Palermo in data 5 giugno 2011


I musei in Russia: presente e futuro

Intervista a Vladimir Ilytch Tolstoj nell’anno della Cultura e Lingua Russa in Italia e della Cultura e Lingua Italiana in Russia


Il 2011 è dedicato alla Cultura e Lingua Russa in Italia e viceversa. In Italia il primo evento è quello che si è aperto a Firenze, presso la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, lo scorso 8 febbraio, e che durerà fino al 30 aprile, dal titolo “Dall’icona a Malevich. Capolavori dal Museo Russo di San Pietroburgo”. E’ con grande piacere, quindi, che ho rivolto alcune domande a Vladimir Ilytch Tolstoj, presidente dell’ICOM-Russia e direttore della casa-museo di Lev Nikolaevich Tolstoj, a Jasnaja Poljana, il quale ha concesso questa intervista in esclusiva per ArcheoNews.


- Dott. Tolstoj, in occasione dell’apertura dell’anno della cultura Italia-Russia, è avvenuto l’incontro tra il Ministro della Cultura italiana, Sandro Bondi, e il Ministro della Cultura della Federazione Russa, Alexander Avdeev. In questa occasione, Avdeev ha ricordato gli stretti rapporti tra le nostre due culture e, in particolare, il ruolo degli architetti italiani negli edifici di prestigio delle principali città russe. Secondo lei, in che modo l’Italia, ancora oggi, è presente nella cultura russa?


E’ un tema vastissimo perché la cultura italiana si intreccia con quella russa da secoli, anzi, possiamo dire che è parte di essa. Se parliamo dell’architettura di Mosca e di San Pietroburgo, noi russi la percepiamo assolutamente come nostra anche se sappiamo benissimo che gli autori di questi capolavori sono di origine italiana.  Lo stesso si può dire sia per la musica classica, soprattutto per l’opera - nessun russo colto può immaginare la sua vita senza Verdi, Rossini, Puccini, etc. -  che per la pittura italiana - la quale annovera grandi personaggi come Leonardo da Vinci, Michelangelo – e infine per la letteratura italiana, pensiamo a Dante, Boccaccio etc. La cultura italiana è una parte importante della cultura mondiale e pertanto essa è percepita come la propria da ogni popolo. Oltre alla cultura nazionale, infatti, esiste anche una cultura più ampia, che supera tali confini ed è altrettanto importante per ciascuno di noi. Tornando al caso specifico della Russia, così come abbiamo detto che la cultura italiana ha avuto una particolare influenza sull’arte russa e su altri aspetti del patrimonio culturale russo, d’altra parte ci auguriamo che personaggi russi come Tolstoj, Dostoevskij, Čechov, Čajkovskij, abbiano influito ugualmente sulla cultura italiana, immaginando, in tal modo, un’originale forma di reciproca interconnessione. Ora, quando è stato dato avvio all’anno degli scambi tra le culture russe e italiane, sono sorti numerosissimi progetti interessanti che hanno coinvolto, tra gli altri, anche la tenuta di Jasnaja Poljana (la casa del grande scrittore russo Leo Nikolaevich Tolstoj), e ciò mi ha fatto molto piacere. La mostra Tolstoj e Leopardi”, che è uno di questi progetti, si svolgerà in entrambi i Paesi - prima in Italia, dopo in Russia, proprio a Jasnaja Poljana. Giacomo Leopardi forse non è una figura molto presente nella coscienza culturale russa, così come lo sono sicuramente Dante e Boccaccio, ma scoprire una personalità così brillante sarà senza dubbio interessante per noi Russi e produrrà sviluppi affascinanti: già sono emersi paralleli straordinari con le vite di scrittori russi come, per esempio, Puškin. Siamo molto lieti, pertanto, di aver promosso tale progetto e ci auguriamo che gli italiani, ai quali porteremo, invece, gli oggetti appartenuti a Tolstoj, lo trovino ugualmente interessante. Oltre a questo, realizzeremo insieme agli italiani anche altri progetti: per esempio, abbiamo proposto di organizzare due mostre di pittori italiani contemporanei a Jasnaja Poljana.


- Il patrimonio museale russo è immenso e lei, in qualità di Presidente dell’ICOM-Russia, può illustrarci l’attuale situazione. In Italia, come in tutta Europa, i musei stanno attraversando un momento di crisi legato soprattutto alla mancanza di risorse economiche. In che misura i musei russi stanno vivendo questo problema, se esiste anche nel vostro Paese e, in questo caso, quali soluzioni avete adottato per garantire il buon funzionamento dei vostri musei?


La domanda è molto attuale perché in tutto il mondo i processi di trasformazione delle istituzioni museali, nel corso degli ultimi decenni, hanno raggiunto anche la Russia e, oggi, si può parlare di difficoltà comuni sebbene permangano le peculiarità che distinguono i vari Paesi. Generalmente il problema, anche per noi, riguarda i finanziamenti: lo Stato taglia i fondi alla cultura e, in particolare, al settore museale, “spingendo” sempre di più i musei verso attività concorrenziali tipiche del mercato libero e verso il settore dei servizi, ma non verso la conservazione dei beni culturali. Anche noi, in questo senso, soffriamo la pressione dello Stato, il quale si allontana sempre di più dalle sue precise responsabilità di tutela del patrimonio culturale. Nonostante ciò i musei russi stanno cercando di reagire. L’unione dei musei russi, l’ICOM-Russia, sta cercando di rafforzare le sue posizioni per contrastare i cambiamenti giuridici in atto. A differenza di quanto avviene in Europa, però, un problema tipicamente russo è la questione che riguarda il patrimonio culturale di carattere religioso, il quale, in base alle nuove leggi previste, dovrà essere restituito alle organizzazioni religiose. Si tratta di una situazione senza precedenti che fa sì che lo Stato, attuale proprietario dei beni immobili - edifici e dei monumenti - e dei beni mobili – collezioni museali - perderà la proprietà di tale patrimonio (per ora si parla solo dei beni immobili), denazionalizzandolo e trasformandolo in proprietà privata delle organizzazioni religiose, in primis della Chiesa ortodossa russa. Ciò sta avvenendo massicciamente e non si tratta di singoli casi ma di una disposizione generale fondata su una base normativa e realizzata secondo la legge. Per ora è stato possibile salvare soltanto la proprietà mobile, inoltre il patrimonio museale conservato nei depositi della Federazione Russa non è soggetto alla restituzione, ma non sono sicuro che tale situazione resterà immutata. Quando la Chiesa chiede di riavere le icone che fanno parte delle collezioni museali, a volte si possono trovare dei compromessi, mediante cessioni temporanee, ma oltre alle icone, le collezioni a carattere religioso comprendono anche gli abiti sacri ed altri oggetti di culto. Ciò rappresenta un grande problema per alcuni musei perché non di rado le collezioni sono composte esclusivamente da oggetti di carattere religioso, come i musei storici della religione, per esempio il Museo Etnografico di San Pietroburgo, il Museo Statale di Storia a Mosca e il Museo del Cremlino. Possiamo dire, infatti, che la storia della cultura russa ha molto spesso origini religiose. Per esempio, è difficile stabilire se le icone di Andrej Rublev sono da considerarsi solo opere d’arte oppure anche oggetti sacri ai quali spetta un posto all’interno di una chiesa. Forse per i colleghi italiani è più facile comprendere tale problema se si fa un paragone con le opere di tanti maestri rinascimentali che sono tuttora conservati nelle vostre chiese. Mentre in Russia la questione si sta risolvendo a favore delle organizzazioni religiose, sarebbe difficile immaginare che la Chiesa cattolica richiederà mai indietro le opere a carattere religioso che sono nei musei italiani. Un altro problema dei musei russi riguarda la conservazione del patrimonio museale: non sempre i musei sono adeguati allo svolgimento di questa funzione - a parte i musei più grandi, come l’Ermitage – ma, in generale, la situazione da noi è allarmante e, purtroppo, non sono adeguate anche le soluzioni adottate dal Ministero della Cultura, dal Ministero delle Finanze e dal Ministero dello Sviluppo Economico. Mi riferisco, in particolare, al progetto di creazione di grandi depositi centralizzati nei quali saranno concentrate tutte le opere d’arte che attualmente sono collocate nei magazzini dei singoli musei. Il piano prevede l’allestimento di otto grandi depositi, uno per ciascuna delle otto regioni federali nelle quali è divisa la Federazione Russa. La costruzione di ogni deposito costerà un miliardo di rubli. Immaginate la situazione in cui si verrà a trovare Novosibirsk, il capoluogo del distretto federale della Siberia, in cui saranno raccolti i fondi museali di  tutte le altre città della propria regione, Irkutsk, Krasnojarsk, Omsk, Tomsk, Kemerovo, etc., per non parlare dei piccoli musei, in cui resteranno soltanto le esposizioni permanenti. Tutto sarà concentrato in questi moderni depositi, i quali, però sono anche difficilmente accessibili: ciò significherà privare del proprio patrimonio culturale la popolazione di vastissime regioni. Inoltre, per trasportare, accompagnare, salvaguardare, assicurare e organizzare il personale che dovrà spedire e ricevere gli oggetti dai musei a questi magazzini, saranno necessari altri miliardi di rubli. Ritengo, pertanto, che l’idea sia disastrosa.  Il problema è, a mio avviso, così serio che vorrei tentare di organizzare un incontro dell’Icom-Russia con il Presidente russo Dmitri Medvedev per chiedergli di bloccare l’attuazione di tali decisioni. C’è anche da dire che per tanti russi – soprattutto per gli abitanti delle piccole città – i musei locali sono notevolmente più importanti dei musei della capitale. La maggior parte della gente, infatti, non può permettersi di muoversi all’interno del paese, di viaggiare dalla Siberia e dal lontano Oriente per raggiungere i musei di San Pietroburgo o di Mosca – solo  pochi possono superare distanze così lunghe. Inoltre non tutti sono attrezzati all’uso di internet e quindi non possono accedere ai siti web dei musei per vedere le collezioni museali – considerando sempre che, comunque, questo tipo di “visita” ha caratteristiche differenti da una visita reale. Noi, pertanto, cercheremo di contrastare in ogni modo l’applicazione di questi provvedimenti. I finanziamenti stanziati potrebbero essere distribuiti non tra le sole otto regioni ma, almeno, tra tutti i musei federali che esistono all’interno della Federazione Russa e, in questo modo, potranno essere costruiti non otto, ma ottanta depositi adeguati. I governatori, infatti, non potranno che essere d’accordo: è assurdo che il governatore di Krasnojarsk, per esempio, sia favorevole all’invio a Novosibirsk dei fondi museali dei propri magazzini. Eppure è questo il provvedimento stabilito dalle proposte di legge, ed esistono lobbies molto potenti che trovano la loro convenienza in questa operazione. Prima di tutto ne avrebbero dei vantaggi i collezionisti privati di Mosca, di San Pietroburgo e di altre grande città, i quali hanno investito grosse somme per acquistare le opere d’arte e per questa ragione non possono e non vogliono conservarli a casa. Per loro questa è una soluzione ideale perché tali depositi saranno costruiti a carico dello Stato e in essi si permetterà di collocare anche le collezioni private in base a precisi accordi.  Ciò è conveniente anche ad alcuni funzionari di stato per vari motivi, tra cui la corruzione e l’avidità. Sarà molto difficile contrastare tale stato di cose. Comunque, le associazioni museali russe sono abbastanza forti. L’autorità dell’ICOM-Russia è notevole; abbiamo non solo il diritto di esprimerci, ma le nostre opinioni hanno il loro peso sia a livello del Ministero della Cultura sia a livello governativo. In ogni caso, non è possibile non considerare che i musei russi stanno attraversando un periodo di transizione che includerà vari cambiamenti normativi, indirizzati soprattutto alla riduzione degli oneri da parte dello Stato. Riguardo i piccoli musei municipali, lo Stato è orientato a garantire loro un minimo finanziamento, ma nello stesso tempo essi saranno privati della propria creatività e della possibilità di agire liberamente. Ai musei più grandi, invece, che devono necessariamente essere attivi, si propongono due modalità, dal finanziamento preventivo, assicurato dallo Stato, al finanziamento tramite un sistema dei sussidi e sovvenzioni, dove lo Stato stesso stabilisce quale parte finanziare. Per ogni altra necessità i musei dovranno provvedere a sé stessi autonomamente.


- In base alle vostre indagini sul tipo di visitatori che frequentano abitualmente i musei russi, mi può dire qual è il profilo del “visitatore tipo”? La visita al museo è una prassi diffusa presso tutte la categorie sociali oppure vi è una prevalenza di determinate categorie? In che modo cercate di promuovere i vostri musei?


Come in ogni società, anche noi abbiamo alcune categorie di persone che non s’interessano dei musei e che non li hanno mai frequentati nella loro vita. Ovviamente i nostri visitatori sono costituiti, prima di tutto, dall’intellighenzia, cioè da persone che sono coinvolte in attività culturali, laureati, insegnanti, etc., ed anche da persone semplicemente attratte dalla cultura. Tra le fasce di età più giovane sono presenti sia gli adolescenti che i bambini più piccoli, di età pre-scolastica, ma la  percentuale più alta è rappresentata dal pubblico liceale e universitario.  Se ci riferiamo più specificatamente al nostro museo, abbiamo registrato un aumento del numero di visitatori dall’estero. E’ abbastanza difficoltoso lavorare con gruppi specifici di visitatori – noi cerchiamo semplicemente di essere sempre interessanti per tutti. Il nostro museo, la tenuta storica di Jasnaja Poljana, ha il problema delle visite a numero chiuso ma senza tale limitazione sicuramente avremmo un maggior numero di visitatori.


- Qual è il rapporto tra i musei e le scuole russe? La didattica museale è una pratica educativa diffusa?


La didattica museale rappresenta una parte essenziale delle attività dei musei russi. Ci sono diversi programmi formativi nei vari musei ed esistono dipartimenti di didattica museale. Possiamo anche dire che da noi si svolge un’esperienza abbastanza interessante e in qualche modo unica, quella dell’asilo di Jasnaja Poljana. La nostra sezione di pedagogia museale ha una collaborazione fissa annuale con le scuole elementari, che permette ai bambini di venire a contatto con le tradizioni del podere e del villaggio russo. Per i ragazzi più grandi, invece, abbiamo il movimento “Fraternità delle formiche” entro la quale i giovani vengono a Jasnaja Poljana ogni anno e partecipano ai  campeggi estivi. La mia personale convinzione, non condivisa da tutti i miei colleghi, consiste nell’idea che alcuni musei siano in grado di gestire in modo indipendente anche delle vere e proprie scuole. Per esempio, presso il Museo Russo funziona un ottimo liceo. Si potrebbe anche far rinascere la tradizione del liceo di Carskoe Selo (palazzo imperiale a 25 km da San Pietroburgo), il quale diventerebbe una parte importante del museo. Esattamente come il ginnasio di Jasnaja Poljana, fondato dalla figlia di Leo Tolstoj, Alessandra – che secondo il mio parere potrebbe funzionare assai più efficientemente come istituzione formativa se facesse parte dell’intera struttura di Jasnaja Poljana. Non abbandono questa idea e sto tentando di trovare delle soluzioni per realizzarla. Purtroppo ciò si scontra con l’atteggiamento burocratico e la mentalità chiusa che ancora esiste nell’ambito della Federazione Russa, per la quale le istituzioni formative appartengono al Ministero e ai Dipartimenti dell’Istruzione, mentre i musei devono fare capo al Ministero e ai Dipartimenti della Cultura. Ci sono anche altri ostacoli e barriere connessi con i finanziamenti federali, con i rapporti con i soggetti burocratici della Federazione e con quelli dei municipi. Non sarà facile individuare il giusto sistema per unire i musei e le scuole, ma personalmente lo proporrò di nuovo, almeno come sperimentazione. Ciò permetterebbe di modificare permanentemente tutto il sistema della formazione russa dall’età prescolastica fino al livello universitario.


- Il problema dell’accessibilità dei musei oggi può essere in parte migliorato grazie alle moderne tecnologie. Come si stanno attrezzando i musei russi per venire incontro alle esigenze dei portatori di handicap?


Purtroppo la maggior parte dei nostri musei non è adeguata alle necessità dei portatori di handicap. Quando si costruiscono nuovi edifici museali, questo aspetto è preso in considerazione e, talvolta, anche le vecchie strutture vengono adattate a tali esigenze. I piccoli musei, invece, spesso risentono della mancanza di finanziamenti. Riguardo il nostro caso specifico, per le particolarità architettoniche e monumentali della casa di Tolstoj, i portatori di handicap non hanno la possibilità di visitare il secondo piano e nessuna innovazione tecnologica ci può aiutare. L’unica soluzione è la costruzione di edifici speciali dove esporre gli oggetti della casa; questi tipi di strutture possono e devono essere adeguate alle esigenze dei portatori di handicap. Riguardo alla tecnologia – se in ciò intendiamo i mezzi multimediali moderni - allora si può dire che i musei più avanzati tendono a rispondere alle esigenze del tempo. Tanti musei sono dotati di siti web di alta qualità, della possibilità di svolgere visite virtuali ed altre tecniche moderne. Certamente i musei russi sono più indietro rispetto ai musei cinesi o, generalmente, a quelli del Sud-Est asiatico, dove è assai diffuso l’impiego delle tecnologie moderne in ambito museale. Uno dei nostri obiettivi futuri è creare un catalogo digitale; sarà un lavoro lungo, ma stiamo cercando di superare il ritardo rispetto ad altri paesi.


- Durante l’anno della cultura Italia-Russia, dieci regioni russe saranno coinvolte negli scambi culturali con altrettante regioni italiane; in questa circostanza i giovani di entrambi i paesi, soprattutto giovani attori, pittori, poeti e scrittori potranno partecipare a stages formativi in cui esprimeranno la propria creatività. Gli italiani saranno accolti nella residenza del grande romanziere Lev Tolstoj, Jasnaja Poljana, la casa-museo da lei diretta. Lei è uno dei discendenti di Tolstoj. Che cosa rappresenta per lei questa importante eredità famigliare?


Sì, in realtà abbiamo pianificato qualcosa di simile alla scuola estiva per scrittori e traduttori italiani a Jasnaja Poljana – lo faremo insieme con il nuovo Istituto della Traduzione e all’Agenzia Federale dei Media e Comunicazione di Massa. Stiamo per organizzare diversi progetti di scambio e ne sono molto lieto. Come discendente di Lev Nikolaevich Tolstoj, tengo molto al fatto che negli ultimi decenni è stato possibile stringere definitivamente i contatti con i discendenti dello Scrittore abitanti in Italia. Sono molto felice che questi legami famigliari, per esempio, abbiano portato i discendenti di Tolstoj ad imparare la lingua russa. In questo periodo la pronipote di Tolstoj, Chiara Albertini, sta svolgendo un tirocinio annuale in Russia, a Jaroslavl’. Anche le generazioni più vecchie si stanno impegnando seriamente nell’apprendimento della lingua russa e, ovviamente, ciò non può che farci piacere.  Probabilmente, è proprio grazie a Jasnaja Poljana che la famiglia di Tolstoj non si è dissolta, e tutti noi lo apprezziamo molto.


- La ringrazio per la sua cortese disponibilità e mi congedo da lei augurandomi che i rapporti tra Italia e Russia siano sempre più stretti, amichevoli e proficui.


Senza dubbio, l’Italia è uno dei paesi più amati da me per tanti motivi. Mi piacciono molto le varie regioni del Paese, le diverse città, la gente. Ho contatti molto amichevoli con l’Italia, i quali si accrescono e si rafforzano ogni anno di più. Ho un rapporto molto piacevole con la regione Marche con la quale stiamo organizzando la mostra “Tolstoj e Leopardi” – però non vorrei offendere le altre splendide regioni. Per me, come per tante persone, l’Italia rappresenta un paese continuamente affascinante e meraviglioso. Amo tutto dell’Italia: la gente, la natura, la cultura, lo stile di vita, il carattere. Studiavo l’italiano all’università, ne capisco la lingua, la leggo, ma non so parlarla molto bene; però, quando sono in Italia per un certo periodo, sento che potrei anche iniziare a parlarla. A questo proposito, quando ho incominciato a lavorare a Jasnaja Poljana come direttore, organizzavamo brevi visite di gruppi di collaboratori museali nelle città e nei musei d’Italia. Purtroppo, abbiamo dovuto interrompere questa consuetudine, anche se ricomincerei molto volentieri.


Caterina Pisu, Konstantin Vekua (ArcheoNews, aprile 2011)

I CONTRATTI NAZIONALI DI LAVORO PER I PROFESSIONISTI MUSEALI: PROBLEMATICHE APERTE

Dal 2006 l’ICOM Italia ha avviato un’indagine sui contratti nazionali di lavoro per il personale dei musei. Una prima stima sul numero del personale presente complessivamente nei musei italiani, con varie tipologie di contratti e varie mansioni, ha portato a individuare la cifra di circa 50.000 persone, la maggior parte delle quali è amministrata da contratti di lavoro collettivi così riassunti dall’ICOM:
CCNL Ministeri, CCNL Regioni ed Autonomie locali, CCNL Federculture (l’unico contratto specificatamente indirizzato al settore culturale, soprattutto in ambito imprenditoriale), CCNL Ricerca (per tutto il personale operante nell’ambito della ricerca sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato), CCNL Commercio, servizi e terziario (adottato in alcuni musei soprattutto per il suo buon margine di flessibilità, lasciando alcune prerogative alla facoltà decisionale dei dipendenti, per esempio per la gestione delle ferie e degli orari di lavoro), CCNL Turismo (rivolto alle aziende alberghiere, complessi turistici, ecc., applicato per esempio da associazioni che si occupano della gestione di musei, chiese di rilevanza storico-artistica, palazzi storici; anche in questo caso il contratto gode di una buona flessibilità), CCNL Multiservizi (applicato soprattutto nell’ambito di cooperative e di società che lavorano in appalto anche per l’amministrazione pubblica, vedi la gestione dei servizi ausiliari), CCNL Portierato (specifico per gli addetti alla sorveglianza o alla pulizia negli stabili proprietà di soggetti terzi).



Concentrando l’attenzione sulle prime due tipologie di contratto, per quanto riguarda i musei statali, i profili professionali che operano nell’ambito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali non sono distinti in base alle funzioni che svolgono o all’ambito in cui agiscono; pertanto non è considerata la figura del direttore di museo, del curatore, del conservatore, del responsabile dei servizi educativi, ecc., ma si fa riferimento unicamente alle competenze possedute, distinguendo tra archeologi, architetti, storici dell’arte, ecc.; sono poi le declaratorie che descrivono le specifiche attività di lavoro per ciascun profilo professionale.



I musei statali (come anche la maggior parte dei musei civici) non hanno autonomia gestionale e finanziaria, infatti questi dipendono direttamente dalle soprintendenze cui afferiscono. Il direttore di un museo statale è individuato, di solito, tra i funzionari di livello C3 e opera su delega del soprintendente. Lo svantaggio è che il personale, non appartenendo al singolo istituto museale in modo permanente e definitivo, può essere spostato o impiegato contemporaneamente in altre attività, a discapito dello svolgimento di tutte le funzioni del museo stesso, che non sono finalizzate soltanto alla fruizione pubblica delle sue collezioni, ma anche allo studio, alla ricerca, alla conservazione, alla didattica. Il vantaggio, invece, è quello di poter costituire una rete di musei che afferiscono ad un’istituzione centrale e che godono, così, di servizi comuni producendo un risparmio gestionale.



Venendo agli enti locali (seconda tipologia di contratto), i circa 3430 musei civici (censiti dalla Corte dei conti nel 2005) sono generalmente gestiti in parte da fondazioni e associazioni, in parte direttamente dagli uffici comunali competenti, cioè in economia. Province e Regioni hanno il compito di collegare e coordinare i vari musei presenti nel territorio. Il CCNL per le Regioni e le Autonomie locali prevede la distribuzione dei dipendenti  tra i vari settori ed unità operative, sulla base della pianta organica che determina il fabbisogno di personale del Comune e quindi provvede alle assunzioni a seconda delle competenze richieste e dell’inquadramento attribuito. La disciplina di dettaglio è rimandata ai vari Contratti Collettivi Decentrati Integrativi (CCDI) e ai Regolamenti propri di ciascun Comune, Provincia e Regione.



I regolamenti dei singoli musei civici, che elencano le figure professionali, le declaratorie e i requisiti d’accesso del personale, rappresentano, al momento, forse l’unico strumento per specificare le singole professionalità museali e garantire il corretto funzionamento dei musei. Il decentramento attuato dalla riforma Bassanini, infatti, ha in pratica condotto alla equiparazione tra i musei civici e gli uffici amministrativi, applicando ai primi  i regolamenti comunali, generalmente difficili da utilizzare in contesti che hanno esigenze del tutto differenti da quelle di un ufficio amministrativo. Non solo, ma sempre per il principio della gestione in economia, si consente che l’amministrazione del museo sia affidata agli stessi impiegati comunali che fanno parte dell’organico fisso dell’ente, privi quasi sempre delle necessarie competenze, rinunciando all’assunzione di personale qualificato. Tuttavia il nuovo Codice dei Beni Culturali nell’art. 6 afferma che Regioni ed Enti locali devono concorrere, con lo Stato, al riconoscimento, alla tutela e alla catalogazione dei beni culturali presenti sui territori di propria competenza. In base al Codice e alla legislazione italiana (art. 33  l. 488/01) che ha accettato la definizione internazionale di museo e i principi stabiliti all’art. 2 c.1 dello Statuto dell’ICOM, il museo non potrebbe essere considerato una semplice articolazione amministrativa, temporanea e modificabile, ma un istituto della cultura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio. Anche i contratti nazionali, i CCNL cui si faceva cenno, dovrebbero adeguarsi a queste normative riconoscendo le figure professionali museali specifiche e i relativi ambiti operativi, ma la strada dei cambiamenti sarà ancora lunga e tortuosa.



Caterina Pisu (ArcheoNews, agosto 2010)

GRANDI MOSTRE: UNO SPRECO DI RISORSE?

Sempre attuale l’appello dell’ICOM del 2008

Il 14 giugno 2008 l’ICOM Italia compilò un documento, sottoscritto da tutte le associazioni museali italiane (AMACI, AMEI, ANMLI, ANMS e SIMBDEA), in cui si esprimeva preoccupazione per la moltiplicazione di mostre e grandi eventi, dissociandole dai musei stessi, quasi come se si trattasse di attività separate che nulla hanno a che fare non solo con le istituzioni museali ma neppure con le città, con i territori e con le comunità che li ospitano.

A due anni di distanza è opportuno risollevare il problema, quanto mai attuale soprattutto in questo momento di grave crisi economica che ha ulteriormente ridotto le già esigue risorse disponibili per il settore museale. La politica culturale degli anni Settanta ha, in vari modi, indirizzato le scelte delle pubbliche amministrazioni nei decenni successivi: attraverso l’organizzazione di eventi e di mostre-spettacolo si cercava di guadagnare nuovi pubblici e di “modernizzare” il vecchio sistema museale. Il problema concreto è che a poco serve l’organizzazione di una grande mostra se poi questa va a discapito della stessa salvaguardia e conservazione del nostro patrimonio artistico, architettonico e archeologico, privando gli istituti culturali, gli archivi, le biblioteche e i musei, del necessario sostentamento.

Il rischio è quello di un consumo culturale usa e getta che coinvolge, sì, grandi masse ma nell’arco di un breve periodo, quasi una sorta di “fast-culture”.

Mario Resca,  già manager della McDonald’s in Italia, ed ora direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale del Ministero per i Beni culturali, afferma: «Gli ottimi esperti che abbiamo conservano l' arte, io cercherò di farla vedere a più gente possibile. Accessibilità, piacevolezza, servizi al pubblico. Pubblicità» (La Repubblica, 22 settembre 2009).

Eppure questo affiancamento del marketing alla cultura continua a lasciare un po’ d’amaro in bocca. Non è reticenza all’innovazione, ma piuttosto timore dell’effimero, della spettacolarità e del consumismo applicato alla cultura. A proposito delle mostre, scrive Rosanna Cappelli in “Punto e a capo. Abbecedario per i musei”: “la crescita a dismisura dell’attività e la sua progressiva e crescente esternalizzazione rischiano però di produrre forti disarmonie nelle dinamiche di funzionamento dei musei, in specie se non si riuscirà a ricomporre le scelte relative in un progetto complessivo di valorizzazione culturale e di definizione dell’offerta al pubblico […]” . Il problema, quindi, è quello di una subordinazione della cultura alle logiche di mercato, del tutto in conflitto con il Codice deontologico per i musei elaborato dall’ICOM che, al contrario, si oppone all’uso  dei beni museali come fonte di guadagno (art. 2.16). Eppure l’organizzazione di mega-mostre è ormai un business nelle mani di pochissime società specializzate, le uniche in grado di fare fronte ai costi elevati di progettazione e di allestimento. Ma non sempre si parla di successi. Nel suo documento, l’ICOM riporta una ricerca dell’Università Bocconi, commissionata dalla Regione Lombardia, in base alla quale “in Italia ogni anno vengono allestite più di 1600 mostre: per ogni grande successo vi sono decine di dolorosi fallimenti […] i tempi sono maturi per riconoscere che anche nel settore delle mostre, come nel mercato dell’editoria, esistono prodotti differenti che si rivolgono a pubblici diversi: mostre best seller e mostre di nicchia. Nell’introduzione alla ricerca si afferma, inoltre, che in Italia non vi è spazio per più di due progetti espositivi dotati di caratteristiche simili e allestiti simultaneamente in aree distanti non più di 300 km. Il mercato è piccolo e il pubblico, come si è desunto dai dati sulle frequenze di visita, è prossimo al raggiungimento di soglie di saturazione quasi fisiologiche.

E’ chiaro che le mostre non sono di per sé un male; è l’uso che se ne fa che è sbagliato. Osserva l’ICOM, per esempio, che i musei italiani, a differenza di quelli stranieri, sono spesso privati della possibilità di organizzare mostre proprie, legate alle collezioni del museo e all’identità stessa del museo, considerando che esso è, o dovrebbe essere, un organismo vivo, centro di numerose attività, che spaziano dallo studio al restauro, dall’accoglienza ai progetti didattici. Su questo obiettivo, ancora lontano da raggiungere, dovrebbero puntare l’attenzione le amministrazioni pubbliche e dovrebbero essere concentrate le risorse economiche disponibili, piuttosto che guardare al riscontro immediato, ma anche molto fugace, del grande evento di successo fine a sé stesso.  

Si potrebbero citare alcune eccezioni, ma senza far torto ad altri mi piace qui ricordare il Museo Archeologico dell’Alto Adige, con sede a Bolzano, che dal 1998 ad oggi è stato visitato da quasi 3 milioni di persone da tutto il mondo, pur con una lieve flessione negli ultimi anni, circostanza comune a quasi tutti gli istituti museali. Il Museo, accanto alla mostra permanente sulla mummia del Similaun, conosciuta come Ötzi, e all’allestimento fisso che espone reperti dal Paleolitico fino all’Alto Medioevo, ospita anche mostre temporanee, convegni e conferenze, sulla base di un programma annuale sempre molto ricco e articolato, con eventi che si ripetono ogni mese, sempre coerente, soprattutto, con i contenuti e le caratteristiche del museo. Sicuramente un esempio di museo dinamico, operoso, perfettamente integrato nel proprio territorio, da imitare anche dal punto di vista organizzativo da tanti altri musei italiani, se tutti avessero le risorse economiche necessarie.

Ritornando al documento del giugno 2008, consultabile nel sito ufficiale dell’ICOM Italia (www.icom-italia.org), vi sono riportate anche sei raccomandazioni, rivolte alle amministrazioni pubbliche e a tutti i cittadini. Riassumendone i contenuti, l’ICOM “chiede alle Pubbliche amministrazioni, alle Fondazioni ex-bancarie e ad altri sponsor/mecenati di distinguere i finanziamenti per le mostre-evento effimere e commerciali da quelli per le istituzioni culturali permanenti e di finanziare queste ultime con maggiore costanza e altrettanta generosità, visto il loro duraturo ruolo educativo e sociale verso i più diversi tipi di pubblico e il dovere di conservare integri (anche moralmente) i patrimoni dei musei per le prossime generazioni. I finanziamenti agli eventi effimeri non possono soverchiare e annientare quelli alle istituzioni culturali permanenti; pena il rischio di cancellare le indispensabili diversità culturali.”  

Vengono sollevati, come abbiamo già accennato, anche problemi deontologici: “Le domande che ci poniamo sono gravi: dove stanno andando alcuni grandi musei? È ammissibile che essi prestino a pagamento le proprie opere?”. Il prestito di opere a pagamento, infatti, oltre a scontrarsi con il Codice deontologico dei musei, come si è detto, comporta due grandi rischi: un aumento generale dei costi a scapito delle istituzioni meno dotate di risorse finanziarie e che, quindi, resterebbero escluse da queste attività; il rischio della privatizzazione delle mostre, “antitetica al concetto di museo come pubblico servizio […]. Nel momento in cui le collezioni, fondamento e ragion d’essere del museo, sono piegate a una logica di pura redditività il fine pubblico del museo passa in secondo piano, sostituito da una logica di profitto”. Un profitto che, però, non è a vantaggio del territorio o della collettività, mentre gli oneri ricadono, spesso, anche oltre il 50% del totale, sugli enti pubblici e quindi, conseguentemente, sui cittadini. Si richiede, pertanto, anche più trasparenza in tutto il processo di organizzazione e di allestimento dei grandi eventi. Se i cittadini, in ultima analisi, contribuiscono ai costi che tali manifestazioni comportano, allora è giusto, come suggerisce l’ICOM, “rendere pubblici e trasparenti i bilanci delle mostre e svolgere indagini prima e dopo le mostre sul gradimento del pubblico e sull’impatto turistico, economico e culturale complessivo sul proprio territorio di tali eventi, anche nel medio-lungo periodo. Ovvero adottare metodi di indagine e indicatori di successo o insuccesso complessi, quali i Balanced Scorecards (BSC), superando i limiti della contabilità economico finanziaria tradizionale”.

Dubitiamo che dal 2008 ad oggi qualcosa sia cambiato ma si spera che le raccomandazioni dell’ICOM, portavoce di tutte le associazioni museali italiane, siano finalmente accolte da chi ha il potere di alimentare o di spegnere ogni sano impulso proveniente dal mondo museale italiano.

Caterina Pisu (ArcheoNews, giugno 2010)

Per una presenza attiva dei musei nei social network

La sfida dei nuovi linguaggi comunicativi


Il MoMA, il British Museum, i Musei Vaticani, il Museo Nacional del Prado, il Louvre, la Galleria Borghese, il Tate, il Museu Picasso di Barcellona, sono solo alcuni dei più grandi musei mondiali presenti su Facebook e su Twitter. La presenza dei musei nei social network è coerente con lo sviluppo esponenziale che ha avuto la rete in questi ultimi anni. Dalla nascita di una delle prime reti sociali, the Well, durante gli anni Ottanta, sono trascorsi più di trent’anni, ma è dal 2004, anno della fondazione di Facebook, e poi dal 2006, con la nascita di Twitter, i due social network più seguiti, che la socializzazione in rete può essere considerata il fenomeno culturale di massa del nuovo millennio.

Il potere dei social network è soprattutto quello di evidenziare gli interessi comuni che legano gruppi di individui, e questo porta alcuni innegabili vantaggi che sono peculiari degli ambienti virtuali: innanzitutto l’abbattimento delle barriere socio-culturali; comunicare attraverso internet riduce le distanze interpersonali, mentre nella comunità “reale” i condizionamenti socio-culturali sono sempre molto attivi. Il secondo vantaggio è quello del numero elevatissimo di persone che sono presenti in una comunità virtuale e che, grazie a questi strumenti telematici, possono superare anche le distanze geografiche esistenti tra loro, incontrandosi in rete per scambiarsi qualsiasi tipo di opinione.

Inevitabilmente, date le sue potenzialità, il mondo dei social network è divenuto un mercato appetibile per molti gruppi commerciali, per le aziende e per qualunque altro soggetto che abbia necessità di promuovere un prodotto o un’idea sfruttando l’altissima visibilità offerta dalla rete. Non a caso anche alcuni partiti politici o singoli politici, utilizzano i social network per auto-sponsorizzarsi. Ed è forse anche questo il motivo per cui il fenomeno dei social network si è esteso anche in paesi in cui la libertà di informazione è limitata, come per esempio la Cina, con QQ, che conta oltre 300 milioni di utenti, o il mondo arabo, con Maqtoob.

Il rischio dietro l’angolo, a seguito della “scoperta” dei social network da parte del mondo della pubblicità e della self-promotion, potrebbe essere la perdita dell’originaria forma democratica della rete il cui valore è dato (o forse dobbiamo già dire, era dato) dalla libera circolazione delle idee. Non è difficile immaginare che il futuro porterà ad un controllo totale di queste potenzialità per ottenere vantaggi, consensi e guadagni.

A prescindere da questi aspetti negativi, è altamente positivo, invece, che la cultura possa trovare nella rete un potente elemento propulsore in grado di diffondere capillarmente idee innovatrici, espressioni del pensiero, dell’arte, della musica e di ogni altra scienza umana.

Il mondo museale non si è sottratto a questa nuova sfida culturale, sebbene l’avvicinamento ai social network sia ancora lento e, soprattutto in Italia, ci sia ancora una certa diffidenza nell’affrontare l’interazione con gli utenti. Ciò è sbagliato perché, come afferma il codice etico dell’ICOM per i musei, “al museo spetta l’importante compito di sviluppare il proprio ruolo educativo e di richiamare un ampio pubblico proveniente dalla comunità, dal territorio o dal gruppo di riferimento. L’interazione con la comunità e la promozione del suo patrimonio sono parte integrante della funzione educativa del museo”. L’interazione con la comunità, quindi, è una funzione pertinente alla natura stessa del museo, eppure spesso mancano strategie mirate per utilizzare al meglio gli strumenti più efficaci per raggiungere i propri utenti. Anche la diffusione dei siti web museali non è sempre soddisfacente. Molte volte la creazione del sito non è pianificata mediante uno studio preventivo che ne individui le finalità, né si ricorre a ricerche valutative che misurino il livello di soddisfazione dei visitatori. Manca, in poche parole, una cultura della promozione e della comunicazione.

Non è biasimevole che il mondo museale faccia ricorso più spesso alle strategie del marketing, purché queste siano un supporto valido per la sua promozione ma senza snaturare la sua missione, riducendola solo a fini commerciali. E allora, gettando un occhio all’ambiente del business, potrà essere utile, anche per chi si occupa di cultura, analizzare i risultati di una recente ricerca della Microsoft Digital Advertising Solutions, finalizzata allo studio dei comportamenti delle persone che utilizzano i social network.

E’ interessante osservare alcune percentuali emerse da questa ricerca: il 47% degli intervistati usa i social network per approfondire relazioni con persone accomunate dai medesimi interessi. Un terzo dei frequentatori europei di social network visita questi siti almeno una volta al giorno e il 41% più volte nel corso della settimana. Impressiona, quindi, la costanza della presenza dei visitatori nel network. Se dovessimo ipoteticamente applicare queste percentuali alla pagina di un museo in un qualsiasi social network, è chiaro che la differenza tra i visitatori reali e quelli virtuali, in termini numerici, è abissale, sebbene sia evidente che si tratti di due esperienze di conoscenza del museo completamente diverse. Eppure già solo questo dato induce a riflettere quale possa essere il ruolo dei musei in rete e soprattutto a pensare quale contributo aggiuntivo possa dare questa presenza virtuale rispetto alla visita reale.

Continuando con l’esame delle percentuali, la ricerca ha rilevato che, dopo l’adolescenza, è con l’aumentare dell’età che si allarga la rete di relazioni personali e il desiderio di condividere con gli amici aspetti della vita più profondi e importanti. È in questo momento, quindi, che i social network acquistano maggiore importanza nella vita delle persone. In media, il 25% dei frequentatori di social network europei dedica all’interazione sociale almeno 15-29 minuti, mentre circa un terzo vi dedica 30-59 minuti. Le donne tendono a utilizzare le reti sociali più degli uomini. In Europa, il 37% delle donne visita quotidianamente i siti delle reti sociali, mentre gli uomini sono solo il 27%. Rispetto alle donne, però, gli uomini tendono ad utilizzarli per necessità specifiche, ad esempio per allargare la rete delle opportunità d’impiego e di lavoro o per mantenere o raccogliere informazioni relative a hobby e interessi.

Il dato più importante rilevato dalla ricerca Microsoft è l’ampia pratica di segnalare un brand, cioè un marchio o una campagna pubblicitaria, agli amici. I consumatori si fidano delle indicazioni fornite loro dagli amici appartenenti al medesimo social network; ciò dimostra l’importanza del “passa-parola”, amplificato dalle potenzialità della rete. E se ciò è valido per l’universo aziendale, lo è senza dubbio anche per la cultura. Basta sostituire al brand aziendale, il marchio museale; alla pubblicizzazione di un prodotto, la promozione di un evento, di una mostra, di qualsiasi altra iniziativa culturale. Si tratta di un’opportunità enorme che sfrutta il sistema della “raccomandazione sociale” e il forte senso di fiducia all’interno delle comunità dei social network. In termini numerici, ben l’80% dei consumatori si fida dei consigli degli amici online: una percentuale tre volte superiore alla fiducia riposta nelle inserzioni pubblicitarie su mezzi tradizionali.

Infine, l’ultimo dato rilevato dalla ricerca è l’importanza del dialogo tra promotori e utenti all’interno dei social network. Si è detto che le persone utilizzano i social network per esprimere la propria individualità e quindi anche chi intende promuoversi presso tali utenti dovrà fare altrettanto. I musei nei social network dovrebbero abbandonare la tendenza a non interagire concretamente con i propri utenti e dovrebbero trasformare le proprie pagine che, spesso, sono soltanto pagine informative, in luoghi di incontro e di scambio reciproco, controllati da amministratori preparati. Questo è un punto su cui nel prossimo futuro sarà necessario lavorare, studiando le migliori e più adeguate forme di interazione con il pubblico.

Secondo la ricerca della Microsoft, infatti, “le persone all’interno di questo ambiente virtuale hanno potere: sono gli ideatori dei contenuti, i promotori delle conversazioni e gli sviluppatori della comunità. Pertanto, i marchi che desiderano aprire un dialogo, anziché un monologo, si inseriscono più facilmente in questo ambiente e possono trarre importanti vantaggi dalla sua capacità di contagio “virale”…Aprire il marchio alla libera espressione degli individui conferisce potere agli utenti e crea una positiva esperienza migliorando di conseguenza il loro gradimento”.

La ricerca suggerisce, quindi, una regola d’oro: “comportarsi come un frequentatore di social network. Uno dei principi fondamentali è che i migliori inserzionisti pubblicitari sui siti di social network saranno coloro che si comporteranno come i migliori utilizzatori di quest’ultimi, risultando perciò: creativi, onesti e cortesi, spiccatamente personali, rispettosi del pubblico, regolarmente aggiornati…..Per quelli che lo capiranno e lo faranno nel modo giusto, le opportunità saranno immense. Per quelli che non lo capiranno, il rischio è dietro l’angolo”.

Concludendo, i vantaggi dell’essere presente in rete, all’interno dei social network, possono essere innumerevoli, ma è necessario affrontare questa nuova forma di comunicazione sociale con la giusta preparazione, essendo consapevoli che la presenza in rete può amplificare ogni avvenimento sia in positivo che in negativo.

Caterina Pisu (ArcheoNews, marzo 2010)

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

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