Grazie ai nuovi accordi tra Italia e USA, mostre e collaborazioni con musei e università americane
Un anno fa, su queste pagine, ci siamo occupati del processo contro Marion True, la curatrice del Paul Getty Museum di Los Angeles, la cui carriera è stata compromessa dalle pesanti accuse di ricettazione aggravata e associazione a delinquere con diversi noti mercanti d’arte, italiani e stranieri. Il caso True è certamente il più noto, non solo perché ha coinvolto un grande museo ma anche perché le indagini dell’autorità giudiziaria italiana hanno fatto emergere solo la punta di un iceberg, l’affioramento di ciò che, si è capito subito, era un’imponente organizzazione internazionale finalizzata alla ricettazione e al traffico internazionale di opere d’arte e di reperti archeologici. Le proporzioni di tale mercato criminale era tale che, nell’arco di quarant’anni, il nostro patrimonio archeologico ha subito la sottrazione di centinaia di migliaia di oggetti. L’atteggiamento inflessibile dell’Italia nei confronti di tali illeciti, ha indotto i musei americani ad adeguare il più possibile le politiche di acquisizione delle antichità alla Convenzione UNESCO del 1970, concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, ma c’è ancora molto da fare. Ad un anno dalla fine del processo True (che, ricordiamo, purtroppo non ha portato a nessuna condanna a causa della decorrenza dei termini), i direttori e i curatori dei musei americani cominciano a porsi delle domande per cercare di capire come uscire da una situazione di ambiguità che per anni è stata tacitamente accettata da alcuni di loro e che ha arrecato un danno a tutta la categoria. E’ stata messa a rischio, infatti, la questione della stessa sopravvivenza dei musei, perché la pubblicità negativa dovuta alla restituzione dei manufatti illecitamente acquisiti, ha avuto delle conseguenze anche sull’interesse degli investitori a finanziare i musei. I direttori e i curatori americani, inoltre, non vogliono più lavorare in un clima di paura a causa degli errori compiuti in passato; temono per la loro stessa reputazione professionale che potrebbe essere compromessa da eventuali azioni penali messe in atto contro di loro da parte di paesi esteri. In ogni caso, il loro stesso lavoro rischia delle ripercussioni: le collezioni di antichità che hanno al loro interno elementi di dubbia provenienza potrebbero rimanere bloccate per anni e quindi sarebbe più difficile continuare a svolgere le normali attività di curatela. La speranza, pertanto, è che si assicurino al più presto condizioni favorevoli di cooperazione internazionale per tornare alla normalità. Alcuni passi sono stati compiuti: già nel 2001 è stato redatto il Memorandum d’intesa tra il Governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana circa l’imposizione di limitazioni all’importazione ed esportazione di categorie di materiale archeologico databile ai periodi italiani preclassico, classico e della Roma imperiale (MOU). Il MOU è stato poi rinnovato nel 2006 e nel 2011, ed ha incluso anche la prolungabilità di prestiti di lunga durata di beni del patrimonio culturale nazionale a Istituzioni museali degli Stati Uniti, estendendola, in casi particolari, dai quattro agli otto anni. In questa circostanza sono stati stipulati anche molti accordi di collaborazione con i maggiori musei e università americane. Al momento è in corso la grande mostra “Aphrodite and the Gods of Love”, presso il Museum of Fine Arts di Boston, che espone capolavori come L’Ermafrodito dormiente ed altri provenienti dal nostro Paese, che resteranno in prestito negli Stati Uniti fino all’estate del 2012. La mostra è stata organizzata grazie ad un accordo che ha previsto la restituzione di tredici manufatti, esportati illegalmente negli USA. Parallelamente anche il Paul Getty Museum ha firmato, nel febbraio 2010, un importante accordo di collaborazione culturale a lungo termine con la Sicilia. Sia il Getty che il Cleveland Museum of Art hanno in programma una mostra, nel 2013, sull’arte classica ed ellenistica della Sicilia. Le premesse per un miglioramento dei rapporti tra Italia e Stati Uniti sul fronte della lotta al traffico di antichità, sembrano buone, sperando che i curatori americani non si facciano sedurre nuovamente dal desiderio di acquistare ad ogni costo con l’alto rischio di attrarre mercanti d’arte senza scrupoli: il timore viene ascoltando le parole del curatore della sezione di arte greca e romana del Cleveland Museum of Art, Michael Bennett, il quale ha asserito: “loans are wonderful, but ownership is better”, “i prestiti sono meravigliosi, ma la proprietà è ancora meglio”. In ogni caso ormai sarà più difficile continuare a percorrere la via delle acquisizioni a tappeto senza prudenti verifiche, grazie alla stessa opinione pubblica americana che ha disapprovato queste condotte, ampiamente criticate anche da buona parte della stampa; a questo proposito, ricordiamo il successo del libro dossier “Chasing Aphrodite” dei due reporters del Los Angeles Times, Jason Felch e Ralph Frammolino, incentrato sul recupero della famosa Venere di Morgantina, contesa dall’Italia al Paul Getty Museum. Il lavoro dei magistrati italiani è stato molto apprezzato dagli americani: il magistrato Paolo Ferri, cui si devono tutte le indagini giudiziarie contro i trafficanti d’arte degli ultimi vent’anni, è stato premiato la scorsa estate dall’associazione americana ARCA (Association for Research into Crimes against Art). Un riconoscimento che premia il rigore italiano e che fa sperare in un futuro di più ampie e migliori collaborazioni nella lotta al traffico di antichità.