Aggiungi un senso all'arte: doniamo la gioia di "vedere" un capolavoro!

Particolare de La Fornarina di Raffaello


In vista della Giornata Internazionale dei diritti delle persone con disabilità (3 dicembre) vorrei invitarvi a contribuire alla campagna di raccolta fondi “Aggiungi un senso all’Arte”,  promossa dalla Fondazione CittàItalia per realizzare il bassorilievo tattile del dipinto La Fornarina di Raffaello, che permetterà ai non vedenti e ipovedenti di ammirare questo capolavoro.

Il bassorilievo sarà collocato accanto all'opera originale nella Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma. Un’idea meravigliosa e un gesto di grande generosità e civiltà da parte di chi vorrà contribuire. Il miglior dono che si possa fare a chi non ha la gioia di godere dell’arte con il bene della vista. Ma possiamo fare qualcosa per permettere loro di “vedere” con il tatto. E non è poco. E' importante fare in modo che i musei possano dotarsi di modelli tattili dei grandi capolavori affinché una parte del pubblico non ne sia esclusa dalla fruizione. 


L'esperienza tattile aiuta non vedenti e ipovedenti
a "vedere" con l'opera d'arte con le proprie mani.


Per riuscire nell’intento è necessario raccogliere la cifra di 15.000 euro. Finora ne sono stati raccolti 7.467. C’è bisogno, quindi, di altri gesti generosi! “L’Arte è di tutti e deve essere di tutti!" Si legge nella pagina di Retedeldono dedicata al progetto e non si può non essere d'accordo.

Per inviare le vostre donazioni potete utilizzare il conto corrente bancario intestato a Fondazione CittàItalia presso Monte dei Paschi di Siena - codice IBAN IT69C0103003200000015000089 oppure potete collegarvi al sito www.fondazionecittaitalia.it nella sezione dona on line. Per informazioni: Numero verde 800 00 17 22

Grazie!!!

Giornata Internazionale dei diritti delle persone con disabilità: i piccoli musei aderiscono

L'inchiesta di Repubblica è davvero pessima? Una replica a Federico Giannini

Sulla pagina Facebook dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei ho pubblicato la nota seguente tentando di replicare con gli argomenti che sono di mia competenza all'articolo di Federico Giannini, "La (pessima) ricerca di Repubblica sui siti web dei musei. E una proposta". Lo "scambio" di vedute è scaturito da un'inchiesta di Repubblica, curata da Giuseppe Borello.



Ho esaminato con attenzione il post di Federico Giannini su Finestre sull'Arte. La critica che è stata rivolta ai giornalisti di Repubblica è stata quella di superficialità, ma leggendo la sua disamina posso dire che quello che ho letto ha un’impostazione troppo tecnica e una visione prevalentemente “accademica”. Giannini, infatti, è laureato in Informatica umanistica ed è specializzato in tecnologie web per i beni culturali. E’ logico che lui abbia preso in considerazione quasi esclusivamente gli aspetti tecnici, addirittura sminuendo altri aspetti della visita museale che per noi museologi non sono affatto marginali. Da parte mia, quindi, io posso esprimere un parere da museologa e da comunicatrice, mentre non entro in ambito tecnico. Dal mio punto di vista, io giudico un sito per la sua capacità di attrarre l’attenzione e di instaurare subito, già attraverso lo stile della comunicazione, un rapporto amichevole con i lettori. Ci sono delle regole per riuscire in questo intento e basta studiare i siti web di musei inglesi e americani per capire quali sono, dato che in Italia gli esempi del genere sono davvero pochi; cerco, qui, di riassumerle, ricordando che si stanno prendendo in considerazione gli aspetti connessi alla comunicazione: evitare lo stile “freddo”, da trattato accademico; evitare la staticità delle immagini nell’intestazione; ovviamente aggiornare in continuazione le news; creare la possibilità di interazione non solo attraverso i social network collegati al sito ma, per esempio, anche creando dei blog nel sito stesso.
Posso fare tre esempi pratici di siti stranieri di musei “importanti” che rispettano queste regole, intendendo con il termine “importanti” musei noti a livello internazionale, e li metterò a confronto con il sito web del Polo museale degli Uffizi, così come ha fatto Giannini.

Primo esempio: Victoria & Albert Museum. Innanzitutto l’intestazione è dinamica e colpisce subito l’attenzione del lettore; il corpo della pagina è occupato interamente dal menù delle varie mostre in corso, cui si accede cliccando sulle immagini che già introducono al tema dell’esibizione corrente. In basso, il “piede” della pagina consente di accedere a tutte le altre informazioni possibili e immaginabili che permettono al visitatore di avere un quadro chiarissimo di tutti i servizi di cui potrà usufruire: dagli orari di apertura alla possibilità di usufruire di fasciatoi per i bambini piccoli, orari del bar in cui è specificata perfino la possibilità di usare i seggioloni, la riduzione a metà prezzo dei pasti per i bambini, la presenza di un distributore d’acqua gratuita, la presenza di una mappa che indica come visitare il museo con passeggino al seguito sapendo già quali sono le sezioni dove non sarà possibile entrare, ecc.; sono indicati anche i servizi per i disabili, in particolare i colloqui per i non vedenti, i servizi per non udenti, ecc. La precisione di queste informazioni è veramente eccellente. Vi sono poi: mappe interattive con possibilità di accedere alle schede di singoli oggetti, fotografie o altro delle varie mostre. Nella sezione Eating & Drinking, il visitatore saprà in anticipo anche quali sono le specialità proposte. Ci sono, poi, tutte le informazioni sulla biblioteca, sui dipartimenti, sulle Study Rooms, ecc.  e si può accedere anche ad ulteriori contenuti in base alle tematiche.
Un’altra caratteristica importante è la presenza dei blog amministrati dai curatori del museo. Questo è un aspetto fondamentale perché il visitatore può entrare in contatto con chi lavora nel museo, il quale non rimane una figura per lo più nascosta, che opera nell’ombra, dietro le quinte, ma una persona riconoscibile che instaura un dialogo con il pubblico. 

Secondo esempio: The Metropolitan Museum of Art. Come si può vedere, anche in questo sito si evita la staticità e si sceglie l’impostazione dei testi e delle figure sullo stile di un magazine. La sidebar di sinistra riunisce tutte le informazioni pratiche e la possibilità di acquistare i biglietti on line. La traduzione è possibile in ben dieci lingue. Nella sezione centrale sono raccolte le informazioni sugli eventi, sulle mostre in corso, sui programmi speciali per disabili, per i sostenitori del museo e per le famiglie; la sidebar di destra permette di accedere ai blogs: ancora una volta si sottolinea la scelta da parte dei curatori di non restare dietro le quinte o di non essere conosciuti solo in un ristretto ambito accademico, ma da tutto il pubblico.
Il footer del sito permette di accedere ad altre risorse: materiale audio e video nella sezione Met Media, una sezione dedicata ai programmi speciali per i bambini e le famiglie, la sezione Community che introduce alle attività del Met sui social media. A proposito, hanno raggiunto un milione di like su Facebook!
E infine la sezione dedicata all’offerta del Museum Shop, che secondo Giannini sarebbe paccottiglia, ma che in realtà ha anch’essa la sua importanza. L’acquisto, lo sappiamo, serve per conservare il ricordo della visita, crea un legame affettivo con quel luogo e con quella esperienza. C’è, ovviamente una differenza tra un museum shop e l’altro per quanto riguarda la qualità, ma è comunque giusto che il sito web del museo metta in evidenza anche la presenza di un museum shop e la possibilità di effettuare gli acquisti anche on line.

Terzo esempio: National Museums Liverpool. Mi è già capitato di citare questo sito web forse perché sono una grande estimatrice del lavoro di David Fleming. Il riferimento mi è molto utile per il confronto con il sito web del Polo museale fiorentino, in quanto anche in questo caso si tratta di un sito unico che riunisce tutti i musei nazionali di Liverpool. Per la terza volta si può notare che l’aspetto della home page è molto simile a quella di un magazine a colori. L’intestazione è, anche in questo caso, dinamica, con immagini che scorrono e attirano l’attenzione del lettore sulle varie mostre in corso. Anche da questo sito si può accedere al materiale video e ai blogs, ma l’aspetto più interessante è che cliccando sui nomi dei vari musei di Liverpool non si accede ad una schermata con le principali informazioni sul singolo museo di nostro interesse, ma si viene introdotti ad un altro sito web completo, in cui si può accedere, poi, ad altre risorse, al blog, a tutte le informazioni necessarie e che, naturalmente, è collegata con i vari social network.

Vediamo ora il sito del Polo museale fiorentino.

L’aspetto che mi colpisce maggiormente di questo sito web è la parte che riguarda le informazioni. Abbiamo appena visto che i musei inglesi e americani cercano di facilitare in ogni modo la visita, informando sui minimi dettagli e predisponendo ogni tipo di servizio per tutte le categorie di pubblico. Guardiamo come il sito web del Polo museale fiorentino accoglie i “potenziali” visitatori. Leggo l’intera sezione inerente la Galleria degli Uffizi, sono 14 righe:

ORARI
Da martedì a domenica, ore 8,15-18,50
Chiusura: tutti i lunedì, Capodanno, 1° maggio, Natale.

La biglietteria chiude alle 18.05
Le operazioni di chiusura iniziano alle 18.35

REGOLAMENTO
Si pregano i visitatori di attenersi ad alcune regole di comportamento (vedi di seguito il pdf scaricabile) e si ricorda alle guide turistiche e agli insegnanti che i gruppi non possono superare le 25 unità.

E qui è data la possibilità di scaricare le regole di comportamento. Un pessimo modo di accogliere i propri visitatori! Per quanto riguarda la conoscenza del personale responsabile, dal sito è possibile scaricare l’intero curriculum del direttore che, per carità, può essere interessante ed è in linea con le norme sulla trasparenza, ma certamente è insufficiente per conoscere una persona e il lavoro che questi svolge all’interno del museo, e non è di certo paragonabile ai blog gestiti dai curatori dei musei stranieri appena esaminati. 
I disabili sono informati che esiste un ascensore, e questo è l’unico servizio che possono permettersi. Ora qualcuno potrà obiettare che questo non è un giudizio sul sito web. E’ vero, però evidentemente se i siti web dei musei stranieri esaminati hanno così tante informazioni, risorse e materiali è perché dietro quel sito web c’è un museo che è attento innanzitutto alla soddisfazione del proprio pubblico. Ciò che salta agli occhi è che in quei siti è il pubblico ad avere una posizione centrale e tutto ruota intorno al suo bisogno di informazioni, che vengono fornite con uno stile amichevole e rassicurante, ma anche di conoscenza, perché quei siti hanno anche un alto valore didattico in quanto sono attenti che i contenuti siano comprensibili per tutti. Non si può pretendere, però, che un sito web esprima ciò che in realtà non c’è! Ed evidentemente la scarsità di informazioni è direttamente proporzionale alla scarsità di servizi. Passiamo, poi, ai singoli musei che fanno parte del Polo museale. Se proviamo a cliccare, non compare un altro sito web come succedeva cliccando sui singoli musei di Liverpool, ma compare una pagina di informazioni, statica, senza altre risorse, se non l’acquisto dei biglietti on line. Gli archivi digitali sono senza dubbio una risorsa importantissima ma riguardano gli studiosi e il pubblico con un grado di specializzazione più avanzato. Linguaggio tecnico, stile accademico, schede descrittive che sono state lasciate così come erano negli archivi della soprintendenza senza alcun tentativo di semplificazione: tutto questo è una barriera posta tra il museo e il grande pubblico. Non mi meraviglia che la pagina Facebook del Polo museale degli Uffizi conti 3055 like e che quello del Met ne conti un milione! La causa sarà il diverso modo di comunicare? Se vogliamo che i siti web dei musei italiani siano più soddisfacenti, dobbiamo fare in modo che prima di tutto i musei stessi siano più accoglienti. Non entro nel merito dello stile di comunicazione utilizzato nei social network, che quasi sempre sono pagine niente affatto “social” ma esattamente come i siti web: istituzionali e distanti, senza possibilità di interazione. Ma questo è un altro argomento e lo si potrà affrontare in una differente occasione.

Caterina Pisu

Lavorare con i bambini di età inferiore ai cinque anni




In un articolo pubblicato da Rebecca Atkinson su Museum Practice (15/11/2013), si affronta un tema di grande interesse: i musei possono accogliere i bambini di età inferiore ai cinque anni? Il preconcetto, tuttora duro a morire, è che i musei siano luoghi polverosi dove non si può fare nulla, dice Jo Graham, fondatrice di Learning unlimited, un’organizzazione che aiuta i musei e altre istituzioni culturali a creare servizi visitor-friendly, mostre, programmi ed altre risorse anche per bambini piccoli", in modo da ottenere relazioni più a lungo termine con i visitatori e, in particolare, con le famiglie. Il Museum of London lavora con i bambini al di sotto dei 5 anni, dal 2007. Come molti altri musei, il museo londinese si è reso conto che l'offerta di programmi per bambini al di sotto dei 5 anni, e per i loro genitori, è una buona occasione per affezionare un pubblico, quello delle famiglie, che quando entra in un museo cerca attività che si possano svolgere insieme con i bambini. "E così si anima anche il museo", dice Claire Haywood, responsabili dei servizi educativi per i più piccoli. "Ci siamo allontanati dall'idea che i musei non sono luoghi per i bambini piccoli. Dobbiamo raggiungere e coinvolgere tutti”. La speranza è che i bambini che visitano i musei già in età così giovane, diventino affezionati visitatori dei musei per tutta la vita, e che poi, a loro volta, vi conducano i propri figli o addirittura i nipoti. Molti musei pianificano già programmi di visite regolari per famiglie con bambini. Bisogna far capire che il museo è un luogo che chiunque può visitare, dove si può imparare, impegnarsi e divertirsi.  Purtroppo c’è ancora la convinzione che la presenza di bambini piccoli possa disturbare gli altri visitatori. Secondo Jo Graham, invece, i musei devono essere condivisi da tutti come qualsiasi altro spazio pubblico, e se un museo è uno spazio pubblico, bisogna trovare un modo per consentire che questo spazio sia correttamente condiviso.
I musei usano vari tipi di approccio quando si tratta di lavorare con bambini al di sotto i 5 anni. Alcune istituzioni, come la Whitechapel Gallery di Londra, pianificano visite o programmi di attività per i genitori ed i loro figli al di fuori dei normali orari di visita. Altri, come il Museum of London, fanno in modo che i visitatori siano informati del fatto che sono in corso visite e attività con bambini piccoli. Al Museum of East Anglian Life (Meal), il learning officer Jo Rooks riserva un settore del museo alle attività con i bambini, in modo che gli altri utenti lo possano evitare, se vogliono. "Ma non abbiamo mai avuto una sola lamentela" dice. "Le persone sono felici, invece, di vedere i bambini che si divertono".
E’ chiaro che lo staff cui sono affidati questi programmi di intrattenimento, deve essere adeguatamente preparato anche ad affrontare eventuali imprevisti. Non ci si può aspettare che i bambini abbiano lo stesso auto-controllo degli adulti sul loro comportamento. E’ importante, per esempio, che non vi siano spazi in cui i bambini possono uscire dal controllo a vista degli operatori. Quando i bambini sono stanchi e si dimostrano più inclini a svolgere giochi in libertà, meglio lasciarli fare. E’ importante anche assicurarsi che ci sia abbastanza materiale o giochi per tutti, in quanto i bambini non sanno condividere le cose tra di loro". Una volta capito come funzionano le loro menti, è possibile costruire attività specifiche adatte al loro grado di apprendimento. 
L'attuale clima di crisi e il taglio dei bilanci avrà sicuramente un impatto negativo anche su questo tipo di progetti. Questa è la preoccupazione dei responsabili dei musei inglesi. E infatti si è già notato che sta diminuendo il numero di programmi per i bambini piccoli perché visti non come attività principale dei musei. "Ciò è comprensibile ", dice Joe Graham. Come sempre tutto si basa sulla passione e l'impegno dei singoli ma è importante capire che se i musei saranno più amici dei bambini in tutti gli spazi disponibili - dall'ingresso, al caffè, al museum-shop - ci saranno più possibilità che i genitori tornino a visitare il museo anche individualmente e che così si avvii un rapporto duraturo con l’istituzione.
E in Italia? Da un primo esame sembra che le attività didattiche siano prevalentemente proposte per la fascia d’età dai 5/6 anni fino agli 11/12, quindi già in età scolare, ma ci sono anche molti musei che prevedono programmi per bambini più piccoli (da non confondersi con altri tipi di servizi, come gli spazi nursery), come il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, in cui opera l’Associazione Didattica Museale che svolge attività anche per bambini di 2-3 anni; e poi ancora, il Museo Diocesano di Milano (3-5 anni), il Galata-Museo del Mare di Genova (3-5 anni, ma anche 2-3 anni), il Planetario di Torino (3-5 anni), la Pinacoteca di Forlì (3-5 anni) ed altri ancora. 



Les Étrusques et la Méditerranée - Wéo

Musei e social networks: i diversi livelli dell’engagement





Un interessante articolo di Natalia Grincheva, “How Far Can We Reach? International Audiences in Online Museums Communities” [1], analizza il metodo per rilevare in che modo i musei, attraverso i social networks, riescono a ottenere il coinvolgimento non solo del pubblico più vicino ma anche di quello internazionale.
Nella sua analisi, l’autrice compie una “scomposizione” del concetto di “engagement” suddividendo questo processo in vari livelli [2]: coinvolgimento, partecipazione, interazione, intimità, e influenza. 
In questa sede si focalizzerà l’attenzione sulla descrizione di tali livelli.

Coinvolgimento

Il “coinvolgimento” è il livello iniziale del rapporto che il pubblico instaura con un museo. In questa fase la partecipazione avviene a livello generale e rappresenta l’interesse che il pubblico esprime riguardo il contenuto, le attività e le collezioni del museo. Il coinvolgimento può essere monitorato e controllato in base ai dati quantitativi offerti dal web, ovvero attraverso il numero delle visite, il numero di pagine viste, il tempo di permanenza su ogni pagina,  la frequenza delle visite e le connessioni stabilite con il museo sui siti di social network (ad esempio Facebook, Flickr, YouTube, e Twitter).

Partecipazione

La “partecipazione” rappresenta un livello più alto dell’engagement e si riferisce a tutte quelle azioni che portano il pubblico a stabilire una relazione o a connettersi con il museo. Si evidenzia in base agli eventi cui le stesse persone danno un loro contributo con propri contenuti creativi, scrivendo commenti o partecipando a sondaggi, richiedendo ulteriori informazioni su mostre o progetti, iscrivendosi ai feed RSS, via newsletter o e-mail, o acquistando biglietti per il museo on-line. La misura della partecipazione si ottiene attraverso la presenza di una serie concreta di azioni che le persone compiono: per esempio conversazioni che si svolgono sui blog, il caricamento di foto e video, i contributi sui social media, compresi quelli di propria creazione, i “like” e i commenti.

Interazione

L'"interazione" è un livello dell’engagement che rappresenta come gli individui all'interno di una comunità sono collegati tra loro e se questi collegamenti sono abbastanza forti per sostenere la comunità online che si è formata intorno al museo. L’ interazione si misura attraverso i dati qualitativi e quantitativi che indicano se gli individui si scambiano informazioni, contenuti e opinioni attraverso attività di collaborazione o interattive. Questi dati si basano sul numero di collaborazioni che si sono create tra i partecipanti, sul numero di contributi realizzati in collaborazione, sul numero e sui contenuti dei messaggi che queste persone si scambiano tra loro, e infine sul numero e sul significato dei commenti lasciati ciascuno sui post degli altri.

Intimità

L'”intimità” rappresenta la componente emotiva dell’engagement ovvero i sentimenti (positivi o negativi) che gli spettatori hanno verso un dato museo. La misurazione dell’”intimità”, dunque, va oltre la quantificazione delle interazioni e misura, piuttosto, lo stato emotivo o il sentimento che il pubblico mostra verso il museo o nei riguardi di eventi specifici, collezioni e progetti. Questa misurazione si basa sulla raccolta e sull'analisi di tali dati qualitativi quali opinioni, sensazioni e stati emotivi nei confronti del museo, che possono essere espressi attraverso il linguaggio (la scelta di determinate parole) e il contenuto/significato dei messaggi provenienti dal pubblico.

Influenza

L'”influenza” indica la capacità che alcuni individui hanno nel promuovere il museo ad un pubblico più ampio. Per un museo, quindi, è importante identificare gli "influenzatori" tra il pubblico e misurare la portata della loro influenza attraverso la grandezza e la diversificazione delle loro reti personali e  il tipo di azioni svolte al fine di promuovere il museo. Quantitativamente, l’influenza può essere evidenziata, dunque, nel numero di tali "influenzatori", nella frequenza delle loro azioni promozionali a favore del museo, e nel numero di followers che essi hanno. Qualitativamente, invece, esse si evidenzia nel linguaggio e nel contenuto dei messaggi che essi sollecitano nell’ambito della più ampia comunità. L'influenza è una componente determinante dell’engagement perché indica se il museo, nell’ambito della sua  comunità, ha dei sostenitori che agiscono per conto del museo per attirare nuovi simpatizzanti e in questo modo moltiplicano la portata e l’efficacia dei messaggi originati dal museo.






[1] The International Journal of Technology, Knowledge and Society, Volume 7, Issue 4, Champaign, Illinois, USA, 2012
[2] Questa analisi è stata effettuata dall’autrice combinando due differenti punti di vista: da una parte il concetto espresso da Brian Haven, un ricercatore in social computing della Forrester University, (Haven, Brian. 2007, Marketing’s New Key Metric: Engagement. Forrester. http://www.adobe.com/ engagement/pdfs/marketings_new_key_metric_engagement.pdf (accessed October 08, 2010); dall’altra il concetto sviluppato da Nina Simon, autrice del libro The Participatory Museum, (Simon 2007, www.participatorymuseum.org).

Musei e uguaglianza di genere



Lo scorso aprile, la Sesta Conferenza Internazionale sul Museo inclusivo, svoltasi dal 22 al 24 aprile presso la National Art Gallery of Denmark, ha affrontato, fra gli altri temi, la questione del gender mainstreaming. Come sono rappresentate le donne nei musei?
Le politiche mondiali hanno iniziato a prendere in considerazione questo aspetto dal 1995, dopo che la questione fu affrontata nella Quarta Conferenza mondiale sulle Donne, promossa dalle Nazioni Unite nell’ambito della United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women.  Le prime normative in materia sono state poi tracciate dall’UE, nel 1997, con il Trattato di Amsterdam sulle pari opportunità, e dal Regno Unito, nel 2007, con il Gender Equality Duty Act.
La conferenza di Amsterdam ha rilevato che, apparentemente, nella maggior parte dei musei si può riscontrare il rispetto della parità di genere. Ma se si approfondisce l’indagine, in realtà molte delle politiche applicate in ambito museale, hanno ora bisogno di un aggiornamento. Si è convenuto che il contributo che l’ingegno delle donne ha donato alla cultura e alla scienza deve essere visibile in ogni ambito pubblico, non solo nelle narrazioni e nei soggetti delle mostre, ma nelle stesse opere in mostra, poiché attualmente le opere di artisti di sesso maschile detengono una prevalenza numerica schiacciante.
C'è stato consenso sul fatto che l’uguaglianza di genere non dovrebbe essere una preoccupazione soltanto delle donne ma che dovrebbe essere affare di tutti e questo imperativo è diventato più urgente se si vogliono raggiungere gli obiettivi che le Nazioni Unite hanno prefissato per il 2015, e cioè la "promozione dell’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile”.  
Quali strategie possono adottare i musei per realizzare questa rinnovata visione della società? E’ stato stilato un elenco di tre principali sfide da affrontare e di relative proposte per riuscire a raggiungere l’obiettivo:

• Quali sono gli indicatori chiave che mettono in luce la rappresentazione dei generi in tutto il settore culturale? Si consiglia ai musei di monitorare le storie raccontate da una prospettiva di genere.
• Come possiamo controllare e valutare la rappresentazione di genere? Si consiglia ai musei di lavorare con il pubblico, il personale e sui programmi da una prospettiva di genere.
• Quali politiche potrebbero individuare eventuali divari di genere e disuguaglianze, ed eliminare questi fattori? Si consiglia ai musei di affrontare le relazioni tra sesso, razza, età e gruppi sociali in modo proattivo.

Queste raccomandazioni sono state inviate al consiglio esecutivo di ICOM e all'Agenzia Culturale danese per l'approvazione; è previsto un follow-up per garantire lo sviluppo della discussione.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...