Misurare il successo dei social media



di Jim Richardson 

Tratto dal sito MuseumNext


Mentre è facile farsi entusiasmare dal numero di seguaci che il tuo museo attira su Twitter o Facebook, è importante essere obiettivi sul perché stai utilizzando i social media.
Bisogna puntare di più sulla qualità che sulla quantità – l’interazione regolare tra un certo numero di fan su Facebook è più efficace rispetto ad avere un elevato numero di seguaci che lasciano un messaggio sulla bacheca e non si fanno più vivi. Starbucks e Coca Cola sono i principali esempi di gruppi di Facebook su larga scala con bassi livelli di coinvolgimento.
All’inizio di qualsiasi progetto di social media, dovresti pensare a quelli che sono i tuoi obiettivi; sono questi obiettivi che contano, piuttosto che la popolarità della tua organizzazione, quando si tratta di misurare il tuo successo online.
Ci sono misure facili e difficili per dimostrare il successo. Le misure difficili comprendono gli indicatori web standard come:
• Visite e reindirizzamenti
• Volume di ricerca
• Analisi delle statistiche utilizzate per migliorare le procedure rendendole più efficaci
• Numeri di seguaci, fans, amici
Queste misure difficili rendono molto più facile la quantificazione del ritorno degli investimenti nei social media rispetto ai media tradizionali; è ad esempio virtualmente impossibile misurare con precisione quante persone agiscono su un annuncio di giornale.
Possiamo sfruttare l’influenza che i social media hanno sul pubblico, cercando di misurare, ad esempio, quante persone che interagiscono con te on-line visitano anche il museo fisicamente; si tratta di una cosa difficile, ma non impossibile.
Nel 2009 il TATE ha offerto ai suoi fan di Facebook, sulla sua bacheca, un buono sconto per una mostra dell’artista britannico Chris Odofi. Questo buono è stato sfruttato da oltre 10.000 persone, mostrando un legame diretto tra coloro che interagiscono con la galleria su Facebook e coloro che pagano per partecipare a un’esibizione.
Oltre a utilizzare strumenti quali buoni per misurare l’efficacia dei social media, dovresti anche includere delle domande rilevanti nel tuo sondaggio annuale proposto ai visitatori, scoprendo se il tuo pubblico è attivo su siti come Facebook e Twitter e chiedendogli se sa che il tuo museo è presente su questi siti.
Verifica anche la qualità delle tue interazioni, per esempio se fai al pubblico una domanda su Facebook, quante persone rispondono e cosa stanno scrivendo?  Facebook’s Insight analytics ti fornisce gli strumenti per misurare quanto impegno c’è sui tuoi contenuti sul social network.
Potresti anche guardare oltre ciò che le persone ti dicono direttamente, monitorando qualsiasi riferimento al tuo museo che viene fatto sulle piattaforme di social media, registrando sia le risposte positive che quelle negative.
Perché misurare?
Mentre i social media possono sembrare una risorsa a basso costo, ci può volere molto tempo per riuscire a gestire queste piattaforme e potrebbe essere necessario dover giustificare questa attività, soprattutto se hai un team di gestori scettico sulla sua utilità.
Misurare la risposta al tuo museo e all’attività dei social media è importante anche per registrare i progressi ed il successo e per imparare da ciò che si sta facendo; non sarai mai veramente in grado di sapere se quello che stai facendo ha qualche effetto se non lo misuri.
Ritengo inoltre che i musei possono avere un enorme successo con i social media, e questo dovrebbe essere misurato per giustificare il tempo di gestione di tali siti web.
Come si misura il successo dei social media?

Davide contro Golia

Continua la guerra per salvare il Museo Nazionale dell'Uganda

( ENGLISH TRANSLATION AT THE BOTTOM OF THIS PAGE)

Attraverso questo blog abbiamo dato voce varie volte alla causa di Ellady Muyambi, il direttore esecutivo dell’Historic Resources Conservation Initiative (HRCI) che ormai ben conosciamo, che sta cercando di salvare il Museo Nazionale dell'Uganda dalla demolizione decisa dal Governo ugandese. Oggi ho ricevuto da lui un'e-mail cui ha allegato un interessante articolo del giornale ugandese The Observer, firmato da Edris Kiggundu. Lo pubblico con piacere nel mio blog, augurando a Ellady Muyambi di vincere la sua battaglia che non è soltanto una questione di principio ma è una vera e propria azione di coraggio anche contro la corruzione e lo strapotere politico che, purtroppo, non è soltanto una questione ugandese. Spero che anche i lettori di questo blog vogliano supportare questa causa nel modo migliore, cioè facendola conoscere il più possibile. Grazie fin d'ora per quanto vorrete fare.

Caterina Pisu 


Infuria la guerra sul Museo dell’Uganda


di  Edris Kiggundu

tratto da The Observer 

L'annuncio del governo ugandese, il gennaio dello scorso anno, di demolire l’unico Museo Nazionale dell’Uganda per dare il via alla costruzione di un centro commerciale di 60 piani, ha comprensibilmente causato scalpore.
Attivisti culturali, politici e molta gente comune si sono opposti strenuamente al progetto governativo ed il governo è stato addirittura portato in tribunale. Sedici mesi dopo, la battaglia infuria ancora ma come andrà a finire? Edris Kiggundu analizza gli argomenti pro e contro la demolizione della storica struttura museale. 

Circa un metro e cinquantasette di altezza, Ellady Muyambi non incarna le sembianze di qualcuno che può sostenere una lotta. Tuttavia, una sera, davanti a una bottiglia di soda e tirando un pugno al suo portatile, l'attivista per i diritti culturali dai grandi occhi, era in agitazione.
"Non possiamo permettere che ciò accada. Che cosa diremo ai nostri figli e nipoti?" così rispondeva Muyambi, interrogato in relazione all'imminente demolizione del Museo Nazionale dell’Uganda per fare posto al grattacielo dell’East Africa Trade Centre.
Muyambi è il direttore esecutivo dell’Historic Resources Conservation Initiative (HRCI), un'organizzazione civile che ha come finalità la conservazione della cultura e della natura. E non è un caso che il nostro incontro si svolga presso il Museo dell’Uganda, un luogo che è diventato una sorta di seconda casa per lui.
Lavorando a stretto contatto con altre organizzazioni come la Cross Cultural Foundation of Uganda (CCFU), l’Historic Building Conservation Trust (HBCT) e persone illustri come il giudice della Corte Suprema in pensione, il giudice George Kanyeihamba, Muyambi ha letteralmente messo in gioco la sua vita per salvare il museo.
Questo ha ottenuto a lui e alle altre organizzazioni coinvolte nella causa, il supporto mediatico nazionale e internazionale. I loro sforzi hanno anche catturato l'attenzione della United Nations Educational, Scientific and Cultural Organisation (UNESCO), l'organismo delle Nazioni Unite che sovrintende il patrimonio culturale. Nel mese di aprile 2011, quando la campagna aveva acquistato slancio, Francesco Bandarin, Assistant Director-General for Culture presso l'UNESCO, ha scritto a Kahinda Otafiire, attuale ministro ugandese del Turismo, Commercio e Industria, chiedendo al governo di abbandonare il progetto di demolizione del museo e di trovare alternative per costruire altrove.
"Come sapete, il Museo Nazionale dell’Uganda è il museo più grande e più antico del Paese. Le sue mostre sulla cultura tradizionale, l’archeologia, la storia, la scienza e la natura, sono tra le più importanti in Africa Orientale... Alla luce di tali considerazioni, vi saremmo grati se poteste farci conoscere la posizione ufficiale del vostro governo per quanto riguarda la sorte del Museo Nazionale dell’Uganda", così ha scritto Bandarin il 15 aprile 2011.
Allo stesso modo, l'anno scorso, Merrick Posnansky, che è stato curatore del museo tra il 1958 e il 1962, ha scritto sul The Independent, una rivista settimanale ugandese, che trasferire il contenuto del museo in modo sicuro sarebbe un’impresa difficile.
"Ho visto altri musei limitati dai piani di un edificio multipiano: in genere non funzionano. Un museo ha bisogno di varie sale per mostre diverse; due piani ne limiterebbero i movimenti” ha scritto Posnansky.
Ma la loro lotta resta disseminata di sfide che si alternano a battute d'arresto non facili da superare. Ad esempio, nell'aprile di quest'anno, Muyambi e la sua organizzazione hanno subito un duro colpo quando la Corte ha respinto, per motivi tecnici, le motivazioni della causa intentata contro la demolizione. A quanto pare, durante la presentazione del caso, i loro avvocati non avevano inoltrato una notifica al governo, come richiesto in questi casi. Ma gli attivisti non si sono scoraggiati.
Nel mese di giugno, hanno presentato un ricorso presso la Corte di Appello e l’udienza si svolgerà in tempi brevi.
"Il Museo Nazionale dell’Uganda è un istituto storico che dovrebbe stare da solo, in un suo spazio, e la distruzione è un crimine culturale che equivale a distruggere l'anima stessa dell’Uganda", ha detto la settimana scorsa Muyambi.
Il Governo continua ad inviare segnali contrastanti sulla sua intenzione di demolire o no il museo. Quando gli attivisti hanno citato in giudizio il governo, l'anno scorso, il vicesegretario presso il Ministero del Turismo, James Byenjeru, ha dichiarato che il centro commerciale dovrebbe essere costruito “vicino” e non al posto del museo.
"So che il governo intende costruire l’East Africa Trade Centre accanto all’edificio che ospita il museo e, pertanto, non ha intenzione di demolire il museo", ha detto Byenjeru.
Successivamente, il governo ha detto che il museo sarebbe stato trasferito e avrebbe occupato due piani del centro commerciale, precisando: questo spazio è pari a 6.000 metri quadrati, dieci volte più grande dello spazio che occupa attualmente (600 metri quadrati). Più tardi, Otafiire ha annullato tutto questo quando ha detto al Parlamento che il museo "must go", definendo "arretrati" quelli che si oppongono alla sua demolizione. 

Patrimonio culturale 

Il Museo Nazionale dell’Uganda, che occupa 3.359 ettari (circa 13 ettari), situati sul Plot 5, strada Kira in Kamwokya, ha un disperato bisogno di un lifting. Sebbene sia evidente che l'esterno ha recentemente avuto una mano di vernice, un certo numero di problemi devono ancora essere risolti. Per esempio, le panchine del giardino sono fatiscenti, mentre il parcheggio deve essere ampliato e ripavimentato.
Il museo è stato fondato nel 1908 ed espone manufatti della cultura tradizionale, di archeologia, storia e scienza. Ha varie sezioni interessanti piene di artefatti che animano i diversi aspetti storici della società ugandese. Per esempio, nella sezione “Età della Pietra”, si è in grado di osservare gli strumenti utilizzati dagli uomini dell'età della pietra. Questi strumenti includono pietre, ossa e legno utilizzati per il taglio, la rottamazione e la scheggiatura, e si mostra come si sono evoluti fino agli strumenti moderni che utilizzano gli ugandesi oggi, o che hanno utilizzato nel recente passato.
E’ possibile anche vedere l’evoluzione umana dalla preistoria, cominciando dalle scimmie fino agli esseri umani. La storia è raccontata con immagini, reperti, teschi e ossa che illustrano la storia che si impara a scuola e che così sembra più reale.
Il passato multiculturale e colorato dell’Uganda diventa vivo, così, come se si partecipasse a un viaggio. La sezione sulla Storia e l'età del Ferro descrive i modi tradizionali di vita durante i diversi regni, delle tribù e delle comunità ugandesi. Qui sono esposti suggestivi abiti tradizionali (per lo più confezionati con corteccia e pelle di animale), e si possono vedere le attività di caccia, la storia dei trasporti, la pesca, l’agricoltura, la guerra, la religione, ed anche come i nostri antenati passavano il loro tempo libero (ricreazione tradizionale).
Di notevole interesse è la vetrina che descrive come era amministrata la giustizia in Uganda molti anni fa. Senza codice penale, forze di polizia o dipartimenti investigativi, così come si usa oggi, come si poteva dimostrare chi aveva commesso un crimine e quale pena infliggere? Si viene a sapere che il Madi e il Lugbara erano vasi divini utilizzati per valutare l'innocenza degli imputati.
Tuttavia, nonostante il valore di questo ricco patrimonio culturale, il governo ritiene che il museo sia diventato un peso, non essendo riuscito a generare un fatturato significativo. Un centro commerciale nello stesso luogo, per il Governo, sarebbe molto meglio. Ma il Governo deve anche prendersi parte della colpa, dopo aver costantemente sottofinanziato il museo. Ad esempio, per l'esercizio finanziario 2011/12, sono stati assegnati soli 50 milioni di scellini ugandesi, soldi che certamente non sono sufficienti per soddisfarne le esigenze.
Nel corso degli anni, la gestione del museo ha cercato di trovare dei modi innovativi per aggirare la crisi del finanziamento. Ha, per esempio, concesso in leasing una parte della sua area all’Uganda Wildlife Authority, che ha istituito degli uffici gli sviluppatori privati ​​come il ristorante Ibamba. Tuttavia, le fonti ci hanno detto che il museo non ha alcun controllo diretto sulle risorse generate da queste iniziative.
Per quanto riguarda la gestione delle tariffe ai fini di un aumento delle entrate, fino all'inizio degli anni 2000, gli ugandesi in visita al museo non pagavano nulla, mentre oggi gli adulti pagano Shs 1000 per entrare e i bambini, Shs 500. Il biglietto per gli stranieri è di Shs 3000 per gli adulti e di SHS 1500 per i bambini. I visitatori che hanno fotocamere e videocamere pagano rispettivamente ulteriori SHS 5.000 e 20.000. 

Una causa persa? 

Tuttavia alcuni analisti ritengono che laddove un governo ignora il pubblico sentimento e, in particolare, trattandosi di demolizione di una proprietà pubblica, gli attivisti culturali stanno combattendo una causa persa. Nel 2006, per esempio, il governo ha dato l'assenso alla demolizione della Shimoni Demonstration School per lasciare spazio alla costruzione di un albergo, nonostante le proteste provenienti da varie parti della comunità ugandese.
Gli attivisti sono consapevoli di questo e, per ora, hanno riposto le loro speranze sul fatto di dover essere ancora ascoltati dalla Corte d'Appello. Il vero spettacolo, dice Muyambi, inizia adesso.


War over Uganda museum rages on


by Edris Kiggundu

The announcement by government in January last year that it would demolish the Uganda museum to give way for the construction of a 60-storey trade centre understandably caused a stir. Cultural activists, politicians and many people bitterly opposed the move and even took government to court. Sixteen months later, the battle still rages on, but how will it end? Edris Kiggundu dissects the arguments for and against the demolition of the historical structure.

At about five feet, seven inches tall, Ellady Muyambi does not cut the figure of someone who can sustain a fight. However, on a recent evening over a bottle of soda and punching away at his laptop, the big-eyed, bubbly-cheeked cultural rights activist appeared to be itching for one.
“We cannot allow this to happen. What will we tell our children and grandchildren?” Muyambi queried, in relation to the impending demolition of the Uganda museum by government to give way for construction of the 60-storey East Africa Trade Centre.
Muyambi is the executive director of Historic Resources Conservation Initiative (HRCI), a civil society organisation concerned with preservation of culture and nature. And it is not a coincidence that our meeting takes place within the precincts of the Uganda museum, a place that has become something of a second home for him.
Working closely with other organisations like Cross Cultural Foundation of Uganda (CCFU), Historic Building Conservation Trust (HBCT) and distinguished people like retired Supreme court Judge, Justice George Kanyeihamba, Muyambi has literally staked his life on saving the museum.
This has earned him and other organisations involved in the cause national and international media coverage. Their efforts have also caught the attention of the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organisation (UNESCO), the UN body that oversees cultural heritage, among members. In April 2011 when the campaign had gathered momentum, Francesco Bandarin, the Assistant Director-General for Culture at UNESCO, wrote to Kahinda Otafiire, the minister of Tourism, Trade and Industry at the time, urging the government to abandon the move and find alternative land elsewhere.
“As you are aware, the Uganda National Museum is the largest and oldest museum in the country. Its exhibitions on traditional culture, archeology, history, science and natural history are among the most important in East Africa… In light of the above considerations, we would appreciate it if  you could inform us of the official position of your government regarding the fate of the Uganda National Museum,” Bandarin wrote on April 15, 2011.
Similarly, last year, Merrick Posnansky, who was curator of the museum between 1958 and 1962, wrote in The Independent, a Ugandan weekly news magazine, that it would not be ideal to transfer the contents of the museum safely.
“I have seen museums restricted to floors of a multi-storey building. They do not work. A museum needs different rooms for different exhibitions, two floors would restrict some movement,” Posnansky wrote.
Yet their struggle remains strewn with challenges and setbacks that will not be easy to overcome. For instance, in April this year, Muyambi and company suffered a major blow when the High Court dismissed, on technical grounds, a case they had filed against the demolition. Apparently, while filing the case, their lawyers had not provided a statutory notice to government, as is required in such cases. But the activists are not deterred.
In June, they filed an appeal in the Court of Appeal and hearing is scheduled to start soon.
“The Uganda Museum is a historical piece that should stand alone, and destroying it is a cultural crime which is tantamount to destroying Uganda’s soul,” Muyambi said last week.
Government continues to send mixed signals on whether it will demolish the museum. When the activists sued government last year, the Principal Assistant Secretary in the ministry of Tourism, James Byenjeru told court the trade centre would be constructed ‘near’ the museum.
“I know that the government intends to construct the East African Trade Centre next to the building housing the museum and as such, does not intend to demolish the museum,” Byenjeru said.
Thereafter, the government said the museum would occupy two floors on the trade centre building, saying this space amounted to 6,000 square metres, ten times bigger that the space it currently occupies (600 square metres). Later, Otafiire quashed all this when he told Parliament that the museum “must go”, describing those opposed to its demolition as “backward”.

Cultural heritage 

Indeed, the museum, which occupies 3.359 hectares (approximately 13 acres), located on Plot 5, Kira road in Kamwokya, is in dire need of a facelift. Although it is evident that the exterior recently got a fresh brush of paint, a number of things need to be fixed. For instance, the benches in the garden are dilapidated, while the parking yard needs to be widened and repaved.
The museum was founded in 1908 and has exhibits and artifacts of traditional culture, archeology, history and science. It has various interesting sections riddled with artifacts that bring to life the different historical aspects of our society. For instance, in the Stone Age section, one is able to observe physical tools used by Stone Age people. These tools include stones, bones and wood used for cutting, scrapping and chipping, and how they evolved into the modern tools that Ugandans use today, or used in the recent past.
One is also able to see how we evolved from our ancestors, from the pre-historic period through the history of apes and how they evolved into humans. The story is told by the displayed pictures, as well as real tools and bones or skulls that make the history we learn in school seem more real.
Uganda’s multicultural and colourful past comes alive as one tours the History and Iron Age displays depicting the traditional ways of life in different kingdoms, tribes and communities of Uganda. Here one finds striking displays of traditional clothing (mostly bark cloth and animal skin), headdress, hairdressing, as well as hunting, the history of transportation, fishing, agriculture, war, religion, and how our ancestors spent their free time (traditional recreation).
Also of interest is the display that describes how justice was dispensed in Uganda many years ago. With no penal code, police force or criminal investigations department as they exist today, how did people in earlier days know/prove who had committed which crime and what punishment fitted him/her? One would be able to learn that the Madi and Lugbara used divine pots to assess the innocence of the accused.
However, despite this rich cultural heritage value, government believes that the museum has become a liability, having failed to generate any meaningful revenue. A trade centre in the same place, government feels, would perform much better. Yet government must also take part of the blame, having continually underfunded the museum. For instance, for the 2011/2012 financial year, it was allocated a mere Shs 50 million, money that certainly is not enough to meet its needs.
Over the years, the management of the museum has tried to come up with innovative ways to circumvent the funding crisis. It has, for instance, leased part of its land to the Uganda Wildlife Authority, which has established offices and to private developers like Ibamba restaurant. However, sources told us that the museum has no direct control over the resources generated from these ventures.
Management also introduced entry charges to boost the facility’s income. Until the early 2000s, Ugandans visiting the museum were not charged but, today, adults pay Shs 1,000 to enter and children, Shs 500. The entry fees for foreigners are Shs 3,000 for adults and Shs 1,500 for children. Visitors carrying still and video cameras pay an additional Shs 5,000 and Shs 20,000 respectively.

Lost cause?

Yet some analysts feel that for a government that has a history of ignoring public sentiment, particularly where demolition of public property is concerned, the cultural activists are fighting a lost cause. In 2006, the government gave the nod to the demolition of Shimoni Demonstration School to give way for the construction of a hotel, despite protests from various sections of the public.
The activists are aware of this and for now, have pinned their hopes on the case yet to be heard by the Court of Appeal. The real show, Muyambi says, starts now.

Indagine sulla presenza dei musei italiani nei social networks

di Caterina Pisu



Cari amici e colleghi,
come vi avevamo preannunciato, l'Associazione Nazionale Piccoli Musei (www.piccolimusei.com) sta conducendo un'indagine nazionale sulla presenza dei musei nei social networks. Scopo della ricerca è avere un quadro il più possibile preciso della situazione attuale che evidenzi anche le caratteristiche dei musei che sentono l'esigenza di comunicare con il proprio pubblico attraverso le varie forme e i molteplici strumenti del web 2.0. A tal fine è stato elaborato un questionario che in questi giorni abbiamo iniziato ad inviare a musei di tutte le regioni italiane. Sarà difficile riuscire a raggiungere tutti e questo, naturalmente, non è il nostro obiettivo; tuttavia abbiamo bisogno di lavorare su un campione di musei sufficientemente ampio e ben distribuito sul territorio nazionale.
I direttori/curatori di musei italiani (o comunque chi è responsabile, in varie forme e modalità, di un qualsiasi tipo di museo) che volessero cortesemente aderire a questa iniziativa ma non hanno ancora ricevuto la nostra e-mail, possono trovare il questionario sul sito http://www.scribd.com/doc/99580974/Questionario-musei.
Il questionario, compilato in tutte le sue parti, potrà essere inviato all'indirizzo di posta elettronica caterinapisu@alice.it.
I dati del questionario saranno trattati in forma rigorosamente anonima, pertanto non sarà fatto alcun riferimento ai singoli musei nella elaborazione finale dell'indagine.
I risultati complessivi del progetto di ricerca saranno presentati in occasione del 3° Convegno Nazionale Piccoli Musei in programma ad Amalfi (SA) il 5-6 novembre 2012.
Vi ringrazio vivamente per la Vostra preziosa collaborazione e resto a disposizione per ogni necessità di ulteriori informazioni o chiarimenti.

Investire in un grande museo? No, grazie


di Caterina Pisu


Il ministro Ornaghi accetta le dimissioni di Pio Baldi mentre il governo continua la politica dei tagli alla cultura. Per il Ministero l’unica soluzione è il commissariamento.

Il presidente della Fondazione Maxxi, Pio Baldi, ha rassegnato le sue dimissioni, tra le polemiche, insieme ai consiglieri di amministrazione Roberto Grossi e Stefano Zecchi. Alle origini della decisione di Baldi sarebbe il disavanzo del bilancio 2011 e la mancata approvazione del bilancio del 2012 da parte dell’Amministrazione; fatto grave che il 12 aprile scorso ha immediatamente condotto alla decisione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di avviare il processo di commissariamento del museo. Ci sarebbe il rischio, infatti, di un aumento del disavanzo nel 2012 a causa di un «buco» di quasi 11 milioni di euro. Come si è giunti a questo punto? Per alcuni l’errore è da ricercarsi nella scelta iniziale della forma giuridica, la fondazione, mentre sarebbe stato più saggio scegliere una struttura autonoma dal punto di vista tecnico-finanziario, per esempio sul modello dei poli museali già esistenti. Ma di certo ci sono molte altre motivazioni. L’ex Presidente della Fondazione le ha individuate nei pesanti tagli operati dal governo. Se nel 2010 si era riusciti a ripianare i 700.000 euro di passivo causati dai tagli con i ricavi del bilancio, già l’anno successivo sono cominciate ad arrivare le prime complicazioni quando il contributo del MiBAC è sceso da 7 a 4 milioni di euro. Ora è già sicuro che nel 2012 il contributo statale si ridurrà ulteriormente: solo 2 milioni. In una lettera aperta, inviata ai vertici del Ministero, Baldi sottolinea che nel 2011 la capacità di autofinanziamento del Maxxi è stata di circa il 50 % grazie alla buona reputazione acquisita che lo ha portato, nel giro di due anni, a conquistarsi la fiducia dei finanziatori privati, i quali hanno contribuito con importi pari ad oltre il 50% del budget annuale del museo; una percentuale molto alta se si confronta con quella dichiarata dalla maggior parte dei musei italiani ed europei, che arriva appena al 20-30% di autofinanziamento. Eppure il Maxxi riceve anche un contributo statale ben inferiore alla media europea. A questo proposito Baldi cita il Macba di Barcellona, finanziato dall'ente pubblico per 9 milioni l'anno, il Reina Sofia di Madrid, che riceve ben 45 milioni, il Kiasma di Helsinki 15 milioni, il piccolo Pompidou di Metz 8,5 milioni. «Oggi il Maxxi» - rivendica Pio Baldi - «ha fortunatamente ancora i conti a posto, ma certo non per molto se il ministero da lei diretto, socio fondatore e finanziatore, dovesse continuare a sostenerlo solo con i 2 milioni annuali che costituiscono il minimo attualmente previsto». I numeri per una buona gestione del Maxxi, dunque ci sarebbero, ma lo Stato sembra non voler puntare su questo tipo di investimento. Dopo aver preso atto delle dimissioni di Baldi, Grossi e Zecchi, il ministro ha provveduto a nominare commissario straordinario della Fondazione l'architetto Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del Ministero «al fine di garantire al Maxxi il prosieguo della sua regolare attività». Baldi non ha gradito la decisione del commissariamento perché, con l'avvio inaspettato di questa procedura straordinaria «è stata resa pubblica un'inspiegabile cattiva valutazione sul Maxxi, di cui non si vede, nei fatti, alcuna motivazione. Da questa valutazione decisamente dissento, e non da solo. Un museo è un servizio pubblico, come la scuola, l'università, la ricerca. Tutti sono costituiti e vivono per conto dell'articolo 9 della Costituzione e sono, chi più chi meno, sostenuti e finanziati dallo Stato». La decisione ha fatto sorgere non poche perplessità anche in ambito politico e culturale. Dissente Matteo Orfini, responsabile Cultura e informazione del Pd, che ha chiesto al Ministro Ornaghi, in una nota pubblicata da Libero lo scorso 9 maggio, «un gesto di umilta': su questa vicenda ha commesso un'evidente leggerezza, forse per una scarsa conoscenza del tema. Puo' capitare: riconoscerlo e cercare di recuperare sarebbe un auspicabile gesto di buon senso» - inoltre, continua Orfini - «Il Maxxi non ha bisogno ne' di un commissario ne' di un nuovo direttore, semmai di un ministero che si impegni a sostenerne seriamente il lavoro». Sulla questione è intervenuta anche l'ex assessore regionale, ora responsabile nazionale Cultura dell'Italia dei Valori, Giulia Rodano: «Al Maxxi è in corso un caso di spoil system arbitrario e immotivato, che lascia a dir poco sconcertati.  Nella rottura del rapporto di fiducia con Pio Baldi e Roberto Grossi, non ci sono infatti motivazioni chiare ed identificabili: le loro dimissioni sono soltanto un'altra conseguenza dello stato di abbandono e disordine in cui versa la cultura pubblica del nostro Paese, in cui ormai si procede solo per commissariamenti e ricorso ai privati». Per Umberto Croppi, che analizza la vicenda del Maxxi dalle pagine de Il Futurista, l’equivoco risiede nell’idea che un museo sia in grado di camminare con le proprie gambe, mentre «non esiste al mondo un solo museo che si regga sulle proprie economie, nessuno. Intanto alcuni dei più grandi sono ad ingresso gratuito (per esempio quelli inglesi) o quasi. Al citato Prado, metà dei tre milioni di visitatori entrano gratis. In ogni caso i costi per lo Stato variano tra il 70 e il 100%, con bilanci che vanno dai 50 ai 120 milioni. Perfino nel caso, spesso citato a vanvera, degli Stati Uniti, dove esistono una tradizione e un sistema fiscale che favoriscono investimenti privati, il pubblico interviene, eccome se interviene. Il Metropolitan di New York riceve 14 milioni di dollari l'anno dal comune. Persino il Moma, interamente privato, ha in corso lavori di ristrutturazione per i quali ha un contributo pubblico di 60 milioni». Resta aperto, quindi, l’eterno dilemma: lo Stato deve o no finanziare i musei? Deve considerarli imprese o servizi pubblici? Si rende necessaria una riflessione seria sull’argomento, tanto più in un momento storico in cui le scelte che si faranno ora saranno decisive per il futuro del nostro paese. Certamente predisporre un piano di crescita economica che metta la cultura ai primi posti richiederà un atto di coraggio, ma di certo ne varrà la pena. Bisogna, innanzitutto, misurare gli effetti che l’investimento statale nei musei potrà produrre sulla crescita economica globale perché il museo è una risorsa, anzi, come sottolinea Croppi, è la risorsa maggiore di cui si dispone. Solo che lo Stato italiano finora lo ha ignorato e investe in cultura meno della metà della media degli altri paesi europei. Nel caso del Maxxi, per esempio, per incrementare l’apporto privato, abbiamo visto che il governo italiano ha ridotto sensibilmente gli stanziamenti pubblici, mentre per raggiungere quell’effetto, il governo francese ha aumentato le erogazioni al Louvre. Una contraddizione? No, secondo Croppi: «Per avere più soldi privati bisogna investire più soldi pubblici, non il contrario». Qualcuno avvisi il ministro Ornaghi, finché siamo in tempo.
(tratto da ArcheoNews, giugno 2012)

Musei nel cellulare: parte la seconda edizione di Musées (em) portables




L’Associazione Nazionale Piccoli Musei ha accolto con entusiasmo l’invito rivolto da Museumexperts, ad essere partner internazionale della manifestazione Musées (em)portables, il grande evento che ha lo scopo di avvicinare i visitatori ai musei attraverso i più usuali strumenti di comunicazione: i cellulari.
La comunicazione globale dei nostri tempi, infatti, passa attraverso mezzi tecnologici come i telefoni cellulari, gli smartphone o altro, che ci accompagnano in molti momenti della nostra vita e, perché no, anche durante una visita al museo. Possiamo affermare che i musei stanno cambiando velocemente di pari passo con l’evoluzione della società e quindi anche dei suoi progressi tecnologici. Oggi i musei stanno iniziando ad essere più aperti e sensibili verso le esigenze delle persone; il visitatore è al centro dell’attenzione e tutto è orientato al suo benessere. Come affermava il grande museologo Kenneth Hudson: «Visitando un museo, ci si deve sentire liberi, liberi di esplorarlo a proprio piacimento, liberi di scegliere le cose che si giudicano interessanti, e di ignorare tutto il resto. Non ci si deve sentire costretti a vedere tutto, o a seguire un particolare percorso che attraversa tutta l’esposizione». Questo è il concetto che, in qualche modo, è anche alla base di Musées (em)portables. E’ vero, come affermano, gli organizzatori, che la sicurezza impone le sue regole e spesso non è concesso filmare o fare fotografie nei musei, ma si possono rompere schemi troppo rigidi a vantaggio della libertà e di una maggiore soddisfazione dei visitatori, tenendo conto di poche, semplici regole.
La proposta lanciata da Museumexperts, dunque, è invitare i visitatori dei musei a realizzare un filmato della durata di non più di tre minuti con il proprio cellulare, in un museo a loro scelta. Attraverso questo filmato i partecipanti potranno esprimere il loro “modo” di vedere il museo. Nella scorsa edizione, che si è svolta dal 24 al 26 gennaio 2012, quasi tutti i filmati sono stati realizzati da giovani, soprattutto studenti, e le università di Poitiers e La Rochelle si sono particolarmente distinte. La giuria ha assegnato quattro premi alle opere che hanno mostrato la maggiore originalità. Questi quattro film e tutti quelli preselezionati possono essere visionati collegandosi a questa pagina http://www.simesitem.fr/musees_em_portables/video/. La giuria ha apprezzato l'originalità, l’entusiasmo, il talento dei vincitori; due di loro hanno anche creato la colonna sonora del loro filmato, ma naturalmente non si pretende questo da tutti!
La seconda edizione è attualmente in fase di lancio dallo scorso maggio 2012 e tutti i filmati selezionati saranno presentati in occasione del prossimo SIMESITEM (Salone dei Musei e dei Luoghi di cultura), il 29-31 gennaio 2013, al Carrousel du Louvre. La nuova giuria sarà molto prestigiosa come quella della scorsa edizione e vedrà anche qualche riconferma.
Invitiamo anche i musei italiani ad aderire a questa bella manifestazione e a pubblicizzarla il più possibile. Sul sito web ufficiale di Museumexperts si possono trovare informazioni anche in lingua italiana.
Forniamo qui qualche indicazione di base tratta dal Regolamento che può essere visionato alla pagina http://www.simesitem.fr/musees_em_portables/reglement/:
I filmati possono essere realizzati con il cellulare ma è consentito anche l’uso di una macchina fotografica o di una telecamera compatta. Il soggetto dovranno essere soltanto i musei, ovvero collezioni, mostre, attività culturali o “i dietro le quinte”, cioè tutto ciò che è inerente il funzionamento dei musei nelle varie forme. Come già detto, la durata massima dei filmati è di tre minuti.
La partecipazione è libera e gratuita. Tutti possono inviare un loro filmato e i partecipanti avranno i diritti di utilizzo esclusivi del loro filmato. E’ possibile iscriversi al concorso tramite il modulo disponibile nel sito web: http://www.simesitem.fr. I filmati devono essere inviati in formato CD o DVD per posta all’indirizzo che sarà indicato sul sito web.
Tutti i film selezionati dalla giuria saranno proiettati in continuazione, senza alcun costo per gli spettatori, durante la fiera SimeSitem 2013 al Carrousel du Louvre. Essi saranno poi pubblicati per la visualizzazione sul sito web. La giuria assegnerà premi in denaro ai primi tre.
Vi daremo presto notizia dell’inizio ufficiale del concorso e ulteriori dettagli.
Ci auguriamo che anche i visitatori italiani partecipino numerosi grazie alla disponibilità e alla cortesia dei musei che vorranno promuovere questa manifestazione. Grazie a tutti in anticipo!

IL MUSEO STA CON I GIOVANI


Strategie per attrarre i giovani nei musei: il progetto Junction del Museo di Londra

di Caterina Pisu (pubblicato su ArcheoNews, maggio 2012) 


«Se vivi con i giovani, dovrai diventare anche tu giovane». Chi non ricorda questa frase del famoso discorso di Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del 2000, pronunciato al campus dell’Università di Tor Vergata? In effetti, ogni ambito della società non può fare a meno dell’apporto delle giovani generazioni, pena il rischio di perdere la capacità di rinnovarsi continuamente, di attingere a nuove idee e, soprattutto, di distaccarsi dal mondo reale. Un’indagine pilota su “I giovani e il Museo”, realizzata nel 1998 dall’Ufficio Studi del Ministero per i Beni e le attività Culturali (condotta su giovani di 19-30 anni di età, residenti in Campania e in Veneto), ha prodotto alcuni dati interessanti anche se, ovviamente, in attesa di ulteriori ricerche, questi non possono essere estesi a tutto il territorio nazionale. Da questa indagine è emerso che, al momento dell’intervista, i giovani che negli ultimi dodici mesi avevano visitato un luogo culturale in Veneto erano il 46% e in Campania, il 42%, mentre i giovani frequentatori sia abituali (cioè da tre a sei volte l’anno o più di sei volte l’anno) che occasionali (da una a tre volte l’anno) superavano di poco il 50% in entrambe le regioni. Certamente le scelte dei giovani sono dettate da vari fattori, culturali, sociali ed economici che condizionano anche la gestione del tempo libero. Quali possono essere, allora, le strategie per attrarre l’interesse dei giovani nei confronti dei musei? Una risposta ci viene da Junction, un progetto per i giovani promosso dal Museo di Londra che non si limita a fare ricerche sui giovani ma dà loro voce affinché siano essi stessi a spiegare quali sono le loro aspettative e le loro esigenze. Secondo i giovani londinesi, gli adulti hanno molti preconcetti su di loro, di conseguenza anche i musei, in quanto specchio della società, possono talvolta essere soggetti a questi stereotipi. In realtà i giovani non vogliono essere “classificati” e l’unico modo per non cadere in questo errore è dialogare. I giovani di Junction, quindi, sono diventati i “consulenti” del museo. Si tratta di ragazzi di età compresa tra i 16 e i 21 anni, cui è affidato il compito di creare progetti, mostre ed eventi per i loro coetanei. I giovani, infatti, amano imparare da soli, a modo loro e con i loro tempi. Il modo migliore per attrarre i giovani verso i musei è quello di far sì che siano altri giovani a portarceli. Per ottenere ciò è necessario che il gruppo che dovrà fare da “traino” sia coinvolto al massimo e che tragga un effettivo beneficio dall’esperienza museale. Nel caso del progetto Junction, il clou sarà la mostra Londinium 2012, un’esposizione la cui inaugurazione è prevista in concomitanza con la prossima apertura dei Giochi olimpici, in cui ai giovani consulenti sarà affidata la rivisitazione di spazi importanti del Museo di Londra, compresa la Galleria di Antichità romane. Secondo gli stessi giovani di Junction, i musei sono spazi in cui si possono cambiare gli stereotipi, ci si può mettere in discussione e si può anche sperimentare. Ecco, allora, come è nata l’idea semplice e, nello stesso tempo, molto intuitiva, che è alla base di Londinium 2012: individuare il significato che ogni oggetto aveva nella società romana cercando di capire se questo, oggi, avrebbe una qualche importanza anche nella vita di un giovane londinese moderno. I musei, infatti, secondo i ragazzi, dovrebbero preoccuparsi non solo del passato ma anche di ciò che sta succedendo ora, cercando di capire quali sono gli argomenti cui i giovani sono realmente interessati. Non ci può essere niente di appassionante da apprendere dal passato se questo non ha nulla a che fare con il nostro presente. Se i musei si sintonizzassero maggiormente sui problemi della società moderna, la gente potrebbe trovare nuove chiavi di lettura per capire il mondo che li circonda. Londinium 2012, per esempio, include alcuni filmati realizzati dai giovani che hanno cercato di capire l'importanza dell’anfiteatro dell’antica Londra e attraverso ciò hanno sviluppato delle riflessioni sulla violenza. Rintracciando le forme di violenza nella cultura romana, i giovani hanno così parlato anche della violenza che essi stessi sperimentano, oggi, nei loro quartieri. Ma i giovani non si sono limitati a mostrare con molta chiarezza il loro modo di concepire il museo, hanno anche fatto conoscere le loro esigenze con altrettanta concretezza: - «c’è un maggiore incentivo a vivere un’esperienza in un museo se non ci sono costi. Le spese per uscire a divertirci sono già abbastanza. Alla fine, se dobbiamo decidere se andare a una mostra o andare a prendere un caffè con un amico, che cosa saremo più propensi a scegliere?». Anche questo è un aspetto importante di cui tenere conto, senza scandalizzarsi se i giovani, posti di fronte a una scelta di questo tipo, probabilmente non preferiranno il museo.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...