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#UNITE4HERITAGE

Ieri, venerdì 15 maggio, un drappo nero in segno di lutto è stato posto su molti luoghi di interesse storico, artistico e archeologico del nostro Paese, rispondendo all'appello dell'UNESCO. L'iniziativa ha avuto lo scopo di testimoniare lo sconcerto e lo sgomento conseguente alla sistematica e brutale distruzione di beni storico-culturali in Medio Oriente – molti dei quali peraltro inclusi nella Lista del Patrimonio dell’Umanità – ad opera delle falangi armate dell’Isis.
In Italia l'iniziativa è sostenuta e promossa dall’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO che ha voluto così rendere pubblico il cordoglio per le vittime civili e lo sdegno per lo scempio dei cimeli artistici, invitando gli associati a manifestare la propria partecipazione a questa simbolica ma significativa protesta, designando un  monumento di particolare valore storico a simbolo del dolore che unisce la comunità internazionale di fronte a questa incivile e insensata barbarie.
Intanto in Medio Oriente, dopo le antiche città assire di Nimrud, Hatra e Ninive in Iraq, anche le rovine romane di Palmira, in Siria, rischiano di essere distrutte dall'Isis. Protestiamo contro questa barbarie che colpisce non solo i luoghi fisici ma soprattutto le radici storiche e l'anima profonda della storia di tutta l'umanità.

L'Arena di Verona con il drappo nero per UNITE4HERITAGE



TRASPARENZA NEI MUSEI: UNA BATTAGLIA TUTTA ITALIANA

Intervista a Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini, Ufficio sequestri della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale




L’Ufficio sequestri della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale, diretto da Daniela Rizzo, coadiuvata da Maurizio Pellegrini, è stato istituito nel 1985 allo scopo di monitorare e arginare il fenomeno degli scavi clandestini e il traffico illecito di reperti archeologici, in stretta collaborazione con l’Autorità Giudiziaria e con le Forze dell’Ordine. E’ grazie a questa sinergia che, a partire dal 1995, si è dato inizio ad un piano di rintracciamento di molte antichità esportate illegalmente, grazie al quale, in particolare negli ultimi dieci anni, sono stati raggiunti risultati straordinari tra i quali si evidenzia il rientro in Italia di molti importanti reperti archeologici, come il cratere di Euphronios e la Venere di Morgantina. La “battaglia etica” condotta dall’Ufficio sequestri della Soprintendenza ha interessato anche l’ambito giudiziario, conseguendo, ugualmente, esiti importanti: si ricorda, fra tutti, il procedimento penale contro Marion True, ex curatrice delle antichità del Paul Getty Museum, che si è poi concluso con la prescrizione. Sono ancora molte le antichità da recuperare e a questa attività è necessario associare un’altrettanto indispensabile opera di mediazione e di collaborazione con i musei stranieri e con i Paesi in cui sono stati trasferiti illegalmente i reperti. Ho incontrato Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini per porre loro alcune domande riguardo questi temi.

- Possiamo affermare che il nostro Paese, più di altri, con un’azione forte di recupero delle proprie antichità, ha indotto i musei americani a riesaminare comportamenti che probabilmente, fino a qualche decennio fa, erano tacitamente permessi?

Certamente l’attività di contrasto del traffico illecito di materiale archeologico condotta a partire dalla metà degli anni ’90 dalla Procura della Repubblica di Roma in collaborazione con gli archeologi della Soprintendenza e le Forze dell’Ordine ha riscosso un insperato successo: infatti, molti direttori di musei stranieri, anche famosissimi, hanno finalmente cominciato a porsi il problema della “provenienza” dei reperti archeologici che ancora oggi vengono posti in vendita sul mercato internazionale. E’ un piccolo passo, ma se si pensa che fino a qualche anno fa centinaia di reperti, anche veri e propri capolavori, venivano acquistati dai musei senza alcun problema, se non addirittura “ordinati” direttamente ai più noti trafficanti italiani o stranieri, crediamo di poter ben sperare per il futuro del nostro Patrimonio Archeologico

- I curatori americani stanno vivendo un momento particolarmente critico e di profondi cambiamenti dopo il procedimento penale contro Marion True; alcuni ritengono che il ricorso agli strumenti giudiziari non sia il più adatto, ma che si debba percorrere, piuttosto, la via del dialogo al fine di giungere ad accordi ragionevoli per entrambe le parti. Che cosa ne pensate al riguardo?

Indubbiamente il ricorso all’Autorità Giudiziaria in questo campo dovrebbe essere limitato solo ai casi più gravi di “incomunicabilità” con le Istituzioni straniere che rifiutano ogni contatto con l’Italia: il dialogo tra gli archeologi di tutto il mondo dovrebbe essere diretto, rapido e non soggetto a iter burocratici lunghi, estenuanti e ben poco produttivi. Come abbiamo avuto modo di dire più volte, gli studiosi di archeologia parlano un linguaggio comune, tendono tutti a “salvare” e a valorizzare i reperti, anche se con modalità e punti di vista diversi. Forse un dialogo più stretto e informale tra gli studiosi potrebbe portare risultati migliori e in tempi più rapidi.

- Il problema della depredazione e del traffico illecito di reperti non riguarda soltanto i rapporti tra Italia e USA. E’ possibile avere un quadro della misura di tale fenomeno? Quanti sono i reperti che devono ancora rientrare in Italia e quali sono gli altri Paesi, oltre gli USA, con i quali l’Italia sta avviando azioni di recupero?

Fino ad ora l’Italia ha concluso accordi di restituzione di reperti archeologici solo con alcuni musei americani, mentre con alcuni musei europei che detengono reperti illecitamente usciti dall’Italia il dialogo non sembra sia giunto a conclusioni positive, almeno per ora. Eppure nel corso del nostro lavoro, durato ben 13 anni, abbiamo individuato in molti musei europei reperti di provenienza italiana certamente acquistati attraverso il mercato illecito e gli esiti delle nostre ricerche sono stati segnalati alla Procura di Roma e al Ministero per i Beni e le Attività culturali, ma al momento non sappiamo se e con quali paesi siano in corso trattative di restituzione.

- A vostro parere si potrebbe pensare, nell’ambito della formazione universitaria, a preparare archeologi che, unendo le competenze della disciplina archeologica a nozioni giuridiche e del diritto internazionale, siano in grado di portare avanti, in futuro, il lavoro da voi iniziato?

Sarebbe indubbiamente importantissimo avere nei ruoli del Ministero giovani archeologi che possano vantare una formazione specifica in un settore tanto delicato e complesso come questo.

- Quale sarà il futuro dell’Ufficio sequestri? Si prevede un potenziamento, visti i notevoli risultati conseguiti fino ad oggi?

In un momento così difficile per il Paese e per il futuro del nostro Ministero non vediamo assolutamente la possibilità di un potenziamento del Servizio Circolazione Beni che, purtroppo, sembra destinato a chiudere i battenti nel momento in cui noi andremo in pensione. Non si prevedono a breve assunzioni di giovani, le cosiddette “nuove leve” a cui passare il “testimone” e tramandare i “trucchi del mestiere”: se non ci sarà a breve un incremento di personale, l’esperienza fatta fino ad ora rimarrà solo un bel ricordo da rintracciare negli archivi della Soprintendenza.

Intervista realizzata da Caterina Pisu per ArcheoNews (Gennaio 2012)

Robert E. Hecht Jr., leading antiquities dealer over five decades, dead at 92

photo by Ed Alcock/NYT
Robert E. Hecht Jr. 1919 - 2012

Bob Hecht died quietly at home in Paris at about noon on Wednesday, according to his wife Elizabeth. He was 92 years old. Here’s my obituary in the LA Times.
When Robert E. Hecht Jr. arrived at the loading platform of the Metropolitan Museum of Art in New York in the fall of 1972, he was carrying a large wooden box and was escorted by an armed guard.
Inside the box was perhaps the finest Greek vase to survive antiquity, a masterpiece that would soon be making headlines around the world.
The Met had agreed to pay a record $1 million for the ancient work. Hecht said it had been in the private collection of a certain Lebanese gentleman.
But when Met director Thomas Hoving heard the story, he scoffed: “I bet he doesn’t exist.”
Indeed, as Hecht later revealed in his unpublished memoir, he had just bought the vase from “loyal suppliers” who had dug it up from ancient tombs outside Rome and smuggled it out of Italy.


Robert Hecht poses in front of the famous looted
Greek vase he sold the museum in 1972 for $1 million.

The ensuing controversy over the so-called Euphronios krater marked a turning point in the art world, opening the public’s eyes to the shady side of museums. It also solidified Hecht’s reputation as the preeminent dealer of classical antiquities, driving him underground — but not out of business.
He became a legendary but mysterious figure, one whose passion for ancient art overcame any questions about the destruction wrought by its illicit origins.
That career ended Wednesday, when Hecht died at his home in Paris at age 92.
His death comes less than three weeks after the ambiguous end of his criminal trial in Rome on charges of trafficking in looted antiquities. Since the 1990s, Hecht had been at the center of an Italian investigation that traced objects looted from tombs in Italy through a network of smugglers, dealers and private collectors to museums across the United States, Europe and beyond.


This chart showing the key players in the illicit antiquities trade was seized by Italian police in the 1990s.

Hecht was accused of being a key player in that illicit trade, along with his alleged co-conspirators, former J. Paul Getty Museum antiquities curator Marion True and Italian dealer Giacomo Medici. Medici, who supplied Hecht with the Met’s famous vase after buying it from looters, was convicted in 2004. The trial of Hecht and True began in 2005, but the statute of limitations expired before the court could reach a verdict for either.
In a phone interview after his trial ended, Hecht sounded frail but characteristically coy about the source of his remarkable inventory of ancient vases, statues and frescoes, which now reside in museums around the globe.
“I have no idea of where an object was excavated,” he said. “It could have been excavated 100 years ago; it could have been excavated an hour ago.”
Hecht was born in Baltimore in 1919, heir to the Washington, D.C.-area department store chain that bore his family name. He served in the Navy Reserve in World War II, then accepted a scholarship to study classics and archaeology at the American Academy in Rome.
It was there that he began buying ancient art. At the time, ancient artifacts were sold openly to tourists in the city’s piazzas. But Hecht soon learned that his passion carried risks.
In 1962, he was barred from reentering Turkey after being accused of trying to smuggle out ancient coins. Not long after, he was accused in Italy of trafficking in looted antiquities. Italy’s highest court eventually exonerated him for lack of evidence.
That case was still working through Italy’s legal system when Hecht was offered the Euphronios krater by Medici, who had grown up near the Etruscan necropolis where the vase was illegally excavated.
The deal cemented Hecht’s relationship with Medici, whom he describes in his memoir as “a faithful purveyor” who “rose early each morning [and] toured the villages … visiting all the clandestine diggers.”
The ensuing scandal forced Hecht to relocate to Paris and do business through a series of front men, one of whom was a precocious ancient coin dealer named Bruce McNall.
“He was like a father,” said McNall, who first met Hecht in 1970 while buying ancient coins at an auction in Basel. “He was one of the most fascinating characters I’ve met in my life — a man of mystery, a genius, a family man.”
Soon after meeting, McNall and Hecht became partners, and according to McNall began selling recently looted antiquities to museums and collectors out of McNall’s Rodeo Drive storefront gallery. They also created an elaborate tax fraud scheme with former Getty antiquities curator Jiri Frel, arranging for Hollywood figures to donate looted antiquities to the Getty in exchange for inflated tax write-offs.
“I found him to be without question the most knowledgeable person I’d met in the business, much more of an academic than a dealer,” said McNall, who went on to produce Hollywood films and buy the Los Angeles Kings hockey team before going to jail on unrelated bank fraud charges.
Among Hecht’s top clients was the J. Paul Getty Museum, which was aggressively building its collection of ancient art in the 1980s and ’90s. In a deposition, True said Hecht could be “charming, very, very intelligent, but he could also turn, be very hostile, very sarcastic, very sinister.”
It was Hecht’s ties to the Getty that landed him on trial with True in Rome. In addition to Hecht’s memoir, which was seized in 2001, investigators found correspondence in which the two appeared to openly discuss the illicit origin of objects the Getty was buying.
Confronted with the evidence, the Getty and other leading American museums agreed to return more than 100 antiquities to Italy, including dozens that came through Hecht. Among them was the Met’s Euphronios krater, which was returned to Italy in 2008.
Ultimately, Italian prosecutors could not win a criminal conviction in the case before the allotted time elapsed.
“He was not able to be proven guilty, so he was innocent,” Hecht’s wife, Elizabeth, said Wednesday.
In addition to his wife, Hecht is survived by his daughters Daphne Hecht Howat of Paris, Andrea Hecht of Brooklyn, N.Y., and Donatella Hecht of Westchester, N.Y.


American art dealer Robert Hecht, 86, center, is approached by reporters as he leaves a Rome court for a break Friday Jan. 13, 2006

La politica dei prestiti contro l’acquisto illegale delle antichità


Grazie ai nuovi accordi tra Italia e USA, mostre e collaborazioni con musei e università americane
In prestito l’Ermafrodito dormiente al Museum of Fine Arts di Boston fino al 2012


Un anno fa, su queste pagine, ci siamo occupati del processo contro Marion True, la curatrice del Paul Getty Museum di Los Angeles, la cui carriera è stata compromessa dalle pesanti accuse di ricettazione aggravata e associazione a delinquere con diversi noti mercanti d’arte, italiani e stranieri. Il caso True è certamente il più noto, non solo perché ha coinvolto un grande museo ma anche perché le indagini dell’autorità giudiziaria italiana hanno fatto emergere solo la punta di un iceberg, l’affioramento di ciò che, si è capito subito, era un’imponente organizzazione internazionale finalizzata alla ricettazione e al traffico internazionale di opere d’arte e di reperti archeologici. Le proporzioni di tale mercato criminale era tale che, nell’arco di quarant’anni, il nostro patrimonio archeologico ha subito la sottrazione di centinaia di migliaia di oggetti. L’atteggiamento inflessibile dell’Italia nei confronti di tali illeciti, ha indotto i musei americani ad adeguare il più possibile le politiche di acquisizione delle antichità alla Convenzione UNESCO del 1970, concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, ma c’è ancora molto da fare. Ad un anno dalla fine del processo True (che, ricordiamo, purtroppo non ha portato a nessuna condanna a causa della decorrenza dei termini), i direttori e i curatori dei musei americani cominciano a porsi delle domande per cercare di capire come uscire da una situazione di ambiguità che per anni è stata tacitamente accettata da alcuni di loro e che ha arrecato un danno a tutta la categoria. E’ stata messa a rischio, infatti, la questione della stessa sopravvivenza dei musei, perché la pubblicità negativa dovuta alla restituzione dei manufatti illecitamente acquisiti, ha avuto delle conseguenze anche sull’interesse degli investitori a finanziare i musei. I direttori e i curatori americani, inoltre, non vogliono più lavorare in un clima di paura a causa degli errori compiuti in passato; temono per la loro stessa reputazione professionale che potrebbe essere compromessa da eventuali azioni penali messe in atto contro di loro da parte di paesi esteri. In ogni caso, il loro stesso lavoro rischia delle ripercussioni: le collezioni di antichità che hanno al loro interno elementi di dubbia provenienza potrebbero rimanere bloccate per anni e quindi sarebbe più difficile continuare a svolgere le normali attività di curatela. La speranza, pertanto, è che si assicurino al più presto condizioni favorevoli di cooperazione internazionale per tornare alla normalità. Alcuni passi sono stati compiuti: già nel 2001 è stato redatto il Memorandum d’intesa tra il Governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana circa l’imposizione di limitazioni all’importazione ed esportazione di categorie di materiale archeologico databile ai periodi italiani preclassico, classico e della Roma imperiale (MOU). Il MOU è stato poi rinnovato nel 2006 e nel 2011, ed ha incluso anche la prolungabilità di prestiti di lunga durata di beni del patrimonio culturale nazionale a Istituzioni museali degli Stati Uniti, estendendola, in casi particolari, dai quattro agli otto anni. In questa circostanza sono stati stipulati anche molti accordi di collaborazione con i maggiori musei e università americane. Al momento è in corso la grande mostra “Aphrodite and the Gods of Love”, presso il Museum of Fine Arts di Boston, che espone capolavori come L’Ermafrodito dormiente ed altri provenienti dal nostro Paese, che resteranno in prestito negli Stati Uniti fino all’estate del 2012. La mostra è stata organizzata grazie ad un accordo che ha previsto la restituzione di tredici manufatti, esportati illegalmente negli USA. Parallelamente anche il Paul Getty Museum ha firmato, nel febbraio 2010, un importante accordo di collaborazione culturale a lungo termine con la Sicilia. Sia il Getty che il Cleveland Museum of Art hanno in programma una mostra, nel 2013, sull’arte classica ed ellenistica della Sicilia. Le premesse per un miglioramento dei rapporti tra Italia e Stati Uniti sul fronte della lotta al traffico di antichità, sembrano buone, sperando che i curatori americani non si facciano sedurre nuovamente dal desiderio di acquistare ad ogni costo con l’alto rischio di attrarre mercanti d’arte senza scrupoli: il timore viene ascoltando le parole del curatore della sezione di arte greca e romana del Cleveland Museum of Art, Michael Bennett, il quale ha asserito: “loans are wonderful, but ownership is better”, “i prestiti sono meravigliosi, ma la proprietà è ancora meglio”. In ogni caso ormai sarà più difficile continuare a percorrere la via delle acquisizioni a tappeto senza prudenti verifiche, grazie alla stessa opinione pubblica americana che ha disapprovato queste condotte, ampiamente criticate anche da buona parte della stampa; a questo proposito, ricordiamo il successo del libro dossier “Chasing Aphrodite” dei due reporters del Los Angeles Times, Jason Felch e Ralph Frammolino, incentrato sul recupero della famosa Venere di Morgantina, contesa dall’Italia al Paul Getty Museum. Il lavoro dei magistrati italiani è stato molto apprezzato dagli americani: il magistrato Paolo Ferri, cui si devono tutte le indagini giudiziarie contro i trafficanti d’arte degli ultimi vent’anni, è stato premiato la scorsa estate dall’associazione americana ARCA (Association for Research into Crimes against Art). Un riconoscimento che premia il rigore italiano e che fa sperare in un futuro di più ampie e migliori collaborazioni nella lotta al traffico di antichità.

Caterina Pisu (ArcheoNews, Editore Magna Graecia, dicembre 2011)

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...