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I CONTRATTI NAZIONALI DI LAVORO PER I PROFESSIONISTI MUSEALI: PROBLEMATICHE APERTE

Dal 2006 l’ICOM Italia ha avviato un’indagine sui contratti nazionali di lavoro per il personale dei musei. Una prima stima sul numero del personale presente complessivamente nei musei italiani, con varie tipologie di contratti e varie mansioni, ha portato a individuare la cifra di circa 50.000 persone, la maggior parte delle quali è amministrata da contratti di lavoro collettivi così riassunti dall’ICOM:
CCNL Ministeri, CCNL Regioni ed Autonomie locali, CCNL Federculture (l’unico contratto specificatamente indirizzato al settore culturale, soprattutto in ambito imprenditoriale), CCNL Ricerca (per tutto il personale operante nell’ambito della ricerca sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato), CCNL Commercio, servizi e terziario (adottato in alcuni musei soprattutto per il suo buon margine di flessibilità, lasciando alcune prerogative alla facoltà decisionale dei dipendenti, per esempio per la gestione delle ferie e degli orari di lavoro), CCNL Turismo (rivolto alle aziende alberghiere, complessi turistici, ecc., applicato per esempio da associazioni che si occupano della gestione di musei, chiese di rilevanza storico-artistica, palazzi storici; anche in questo caso il contratto gode di una buona flessibilità), CCNL Multiservizi (applicato soprattutto nell’ambito di cooperative e di società che lavorano in appalto anche per l’amministrazione pubblica, vedi la gestione dei servizi ausiliari), CCNL Portierato (specifico per gli addetti alla sorveglianza o alla pulizia negli stabili proprietà di soggetti terzi).



Concentrando l’attenzione sulle prime due tipologie di contratto, per quanto riguarda i musei statali, i profili professionali che operano nell’ambito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali non sono distinti in base alle funzioni che svolgono o all’ambito in cui agiscono; pertanto non è considerata la figura del direttore di museo, del curatore, del conservatore, del responsabile dei servizi educativi, ecc., ma si fa riferimento unicamente alle competenze possedute, distinguendo tra archeologi, architetti, storici dell’arte, ecc.; sono poi le declaratorie che descrivono le specifiche attività di lavoro per ciascun profilo professionale.



I musei statali (come anche la maggior parte dei musei civici) non hanno autonomia gestionale e finanziaria, infatti questi dipendono direttamente dalle soprintendenze cui afferiscono. Il direttore di un museo statale è individuato, di solito, tra i funzionari di livello C3 e opera su delega del soprintendente. Lo svantaggio è che il personale, non appartenendo al singolo istituto museale in modo permanente e definitivo, può essere spostato o impiegato contemporaneamente in altre attività, a discapito dello svolgimento di tutte le funzioni del museo stesso, che non sono finalizzate soltanto alla fruizione pubblica delle sue collezioni, ma anche allo studio, alla ricerca, alla conservazione, alla didattica. Il vantaggio, invece, è quello di poter costituire una rete di musei che afferiscono ad un’istituzione centrale e che godono, così, di servizi comuni producendo un risparmio gestionale.



Venendo agli enti locali (seconda tipologia di contratto), i circa 3430 musei civici (censiti dalla Corte dei conti nel 2005) sono generalmente gestiti in parte da fondazioni e associazioni, in parte direttamente dagli uffici comunali competenti, cioè in economia. Province e Regioni hanno il compito di collegare e coordinare i vari musei presenti nel territorio. Il CCNL per le Regioni e le Autonomie locali prevede la distribuzione dei dipendenti  tra i vari settori ed unità operative, sulla base della pianta organica che determina il fabbisogno di personale del Comune e quindi provvede alle assunzioni a seconda delle competenze richieste e dell’inquadramento attribuito. La disciplina di dettaglio è rimandata ai vari Contratti Collettivi Decentrati Integrativi (CCDI) e ai Regolamenti propri di ciascun Comune, Provincia e Regione.



I regolamenti dei singoli musei civici, che elencano le figure professionali, le declaratorie e i requisiti d’accesso del personale, rappresentano, al momento, forse l’unico strumento per specificare le singole professionalità museali e garantire il corretto funzionamento dei musei. Il decentramento attuato dalla riforma Bassanini, infatti, ha in pratica condotto alla equiparazione tra i musei civici e gli uffici amministrativi, applicando ai primi  i regolamenti comunali, generalmente difficili da utilizzare in contesti che hanno esigenze del tutto differenti da quelle di un ufficio amministrativo. Non solo, ma sempre per il principio della gestione in economia, si consente che l’amministrazione del museo sia affidata agli stessi impiegati comunali che fanno parte dell’organico fisso dell’ente, privi quasi sempre delle necessarie competenze, rinunciando all’assunzione di personale qualificato. Tuttavia il nuovo Codice dei Beni Culturali nell’art. 6 afferma che Regioni ed Enti locali devono concorrere, con lo Stato, al riconoscimento, alla tutela e alla catalogazione dei beni culturali presenti sui territori di propria competenza. In base al Codice e alla legislazione italiana (art. 33  l. 488/01) che ha accettato la definizione internazionale di museo e i principi stabiliti all’art. 2 c.1 dello Statuto dell’ICOM, il museo non potrebbe essere considerato una semplice articolazione amministrativa, temporanea e modificabile, ma un istituto della cultura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio. Anche i contratti nazionali, i CCNL cui si faceva cenno, dovrebbero adeguarsi a queste normative riconoscendo le figure professionali museali specifiche e i relativi ambiti operativi, ma la strada dei cambiamenti sarà ancora lunga e tortuosa.



Caterina Pisu (ArcheoNews, agosto 2010)

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