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I temi di Expo al Polo Museale dell'Atac tra il 19 e il 27 settembre

Ricevo e pubblico questa iniziativa che si svolgerà a settembre presso il Polo Museale dell'Atac, a Roma: 

SETTIMANA DELLA MOBILITA’ AL POLO MUSEALE EVENTO
TAG.GHIAMOCI - OFFICINA CREATIVA



Nell’ambito delle attività in calendario durante la “Settimana Europea della Mobilità”, all’interno dell’area Polo Museale di Atac, è in programma il progetto TAG.GHIAMOCI - Officina Creativa.

Tale progetto, destinato soprattutto ai giovani ed alle scuole, propone prioritariamente di affrontare le tematiche di EXPO2015 “Nutrire il pianeta, Energia per la Vita” attraverso azioni di divulgazione, informazione ed educazione alimentare sulle eccellenze dei prodotti agricoli e agroalimentari italiani.

Con questa iniziativa si intende informare soprattutto i giovani sui contenuti tecnici e socio- culturali con riferimento a tre macro tematiche individuate dal documento “Il Lazio e Roma verso EXPO 2015”:

− Crescere meglio (le produzioni di eccellenza laziali e la loro sostenibilità);

− L’origine e la qualità (coltivazioni biologiche e prodotti tipici, origine ed eco- sostenibilità! delle produzioni, ecc.);

− Mangiare sostenibile (consumo di prodotti alimentari a basso impatto ambientale e gestione! responsabile degli sprechi alimentari). Il!percorso verrà articolato all'interno e all'esterno dei vagoni storici presenti nel Polo Museale ATAC con possibilità di degustazioni alla luce delle conoscenze acquisite durante la visita. Inoltre, l’area museale sarà allestita con orti provvisori, piante, erbe aromatiche e fiori che consentiranno un percorso didattico sulle conoscenze ortofrutticole e floreali. L'evento proposto avrà corso nel periodo dal 19 al 27 settembre 2015 a Roma presso il Polo museale ATAC di Piramide (adiacente alla stazione Ostiense).

Apertura straordinaria la mattina su prenotazione per le scuole. 

L’azione di informazione avverrà attraverso tre principali strumenti:

 - Distribuzione di materiali informativi;
Presenza di personale qualificato (agronomi) affiancato da uno staff appositamente formato;
- Realizzazione di un’App con “realtà aumentata” fruibile con il semplice utilizzo di fotocamere (smart-phone; tablet) per poter acquisire informazioni sulle  eccellenze presenti nell’esposizione

Durante le visite guidate gli allievi, se in possesso di smart-phone, verranno invitati a scaricare l’App in modo da poter meglio seguire il docente durante le diverse spiegazioni. In un apposito spazio saranno disponibili sessioni formative sui contenuti del programma indicato.

Indirizzo evento: 

Polo Museale di Atac,Via Bartolomeo Bossi, 7

Presso Stazione Piramide Metro B-Roma Lido

in alternativa ingresso da Metro B Piramide - Stazione Roma Lido (solo per le scuole)

Per informazioni rivolgersi a:

Atac Polo Museale  tel. 06-46958212-8207, email: caterina.isabella@atac.roma.it

Associazione culturale Double, tel. 339 215 3546, email: infodouble@gmail.com; dupla106@gmail.com

Silvana Sperati illustra il metodo Bruno Munari

Riporto qui un’intervista a Silvana Sperati, presidente dell’Associazione Bruno Munari, pubblicata sulla rivista online La vita scolastica.Bruno Munari fu artista, designer e scrittore tra i maggiori del secolo scorso. Dedicò un interesse particolare al mondo dell’infanzia e dell’educazione. Alla scuola di oggi consegna una proposta assai attuale: il laboratorio come luogo della migliore educazione, la creatività come “ricerca sincera di varianti”, un metodo che risiede nel “creare relazioni tra gli elementi conosciuti”. L’Associazione Bruno Munari ne prosegue ufficialmente il metodo e la ricerca che indicò l’artista. Promuove seminari, laboratori, eventi, mostre in Italia e nel mondo ed è l'unica deputata alla formazione sul Metodo Munari. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.brunomunari.it.
Foto tratta da:
http://www.artribune.com/2014/03/munari-artista-politecnico-in-attesa-della-grande-mostra-a-milano/3-614/
  
Una sua intervista a Bruno Munari del 1997 si chiude con questa domanda: “Munari è per tutti o per pochi?”. E Munari risponde: “Mah, io direi per tutti”. Che cos’è oggi Munari per la scuola?

Intanto vorrei dire che, secondo me, questa risposta che diede Munari: “Mah, io direi per tutti” descrive in modo assolutamente chiaro il pensiero dell’artista. Ho motivo di credere che negli ultimi anni della sua vita Bruno Munari abbia riservato un’attenzione particolare al mondo dell’infanzia e all’educazione. Diceva lui stesso che quello che voleva restasse era il laboratorio. In questa sua affermazione, io riconoscevo l’accezione vera del laboratorio, come luogo, spazio, tempo, occasione per la costruzione della conoscenza a partire dalla sperimentazione. Lì, nel laboratorio, c’è Munari. E nel laboratorio c’è gran parte del futuro di tutti noi che si costruisce qui e ora attraverso la migliore educazione, proprio quella che ci venne insegnata da questo grande artista.
Pablo Picasso lo paragonò al genio di Leonardo da Vinci, perché si esprimeva con agilità in tanti settori (l’arte, la grafca, la scultura, la scrittura, la progettazione...) e per la tipologia di pensiero, così attenta alla conoscenza, che sempre espresse in tutti i campi. Nonostante questa poliedricità e intensità, Munari sente sempre, e lo ribadisce nell’intervista, di voler essere “per tutti”. Questo vuol dire che dalla lezione di Bruno Munari possiamo trarre anche delle indicazioni necessarie al mondo della scuola. Perché la scuola cos’è, se non il luogo deputato alla costruzione del sapere? Certo si va a scuola per imparare, ma soprattutto per scoprire, per aguzzare la curiosità, per conoscere. Ecco io credo che nell’approccio che Bruno Munari mostrò nei laboratori possiamo trovare indicazioni per portare in aula l’apprendimento, in senso pieno. E questo atteggiamento è quello richiesto proprio oggi dalla scuola, non solo italiana, ma anche europea, quando insiste su quello che viene defnito “imparare a imparare”: quindi fare in modo che l'individuo apprenda, fin da piccolo, a diventare fautore del proprio apprendimento.

Foto tratta dal sito http://www.labogattomeo.it/?page_id=279

L’Associazione di cui è presidente lavora per la comprensione e la diffusione del “metodo Munari”. Vuole illustrarlo ai nostri lettori?

Proverò, attingendo ai testi di Munari e in particolare al suo libro Fantasia (Universale Laterza, Bari, 1977). Qui Munari prova a defnire alcune parole molto spesso confuse tra di loro: fantasia, immaginazione, creatività, invenzione. Quando parla della fantasia, Munari dice che è la facoltà più importante di tutte, perché ci permette di fantasticare di cose e di oggetti che possono anche essere assolutamente irrealizzabili. Si parla di una fantasia che va a briglie sciolte, dunque, di una possibilità del pensiero in cui tutto può essere immaginato. Però, quando parla di fantasia, Munari dice anche che la fantasia usa lo stesso metodo, e sottolinea proprio la parola metodo, di altre facoltà: per esempio dell’invenzione, o della creatività. E dunque: che cos’è questo metodo? Questo metodo, dice Munari, risiede nel “creare relazioni tra gli elementi conosciuti”.
Dunque la persona, prima di tutto, è invitata a “costruirsi” delle informazioni attraverso la sperimentazione che avviene nel laboratorio e nel vissuto quotidiano. Nel laboratorio di Munari posso esplorare un materiale, una tecnica, per scoprire tutto quello che si può fare. Questo mi dà la possibilità di “costruirmi” delle informazioni. Ma se queste informazioni rimanessero ferme, non utilizzate in nessun progetto – Munari dice “come un magazzino di dati inerti” – non servirebbero a nulla. Dunque l’importante è creare una situazione, un'attività che inviti ciascuno a creare relazioni tra queste informazioni, relazioni che poi portano a progettare, costruire, immaginare un qualcosa di nuovo.
Questo “qualcosa di nuovo” non deve essere necessariamente finalizzato, perché può essere anche qualcosa di cui ancora non immaginiamo un uso possibile. Munari dice: quando un oggetto è così preciso, descritto, come un trompe-l’oeil, non stimola il soggetto come un’immagine che invece può essere tante cose, per esempio un ippopotamo o una cavalletta. Massima apertura, dunque, verso materiali “imperfetti”, semplici e più vari possibile, in modo che il bambino possa realizzare sperimentazioni diverse. A livello educativo, inoltre, occorre tempestività: se un bambino riceve un’educazione che lo invita a vedere quello che si può fare con le cose fin da piccolo, è verosimile che manterrà questa attitudine per sempre. Se, invece, già nei primi anni a un bambino si dice: “Stai attento, No!... Si deve fare così, si deve fare cosà!... Il cielo è sempre azzurro... Il pulcino è sempre giallo... La mela è sempre rossa...”, quel bambino avrà poche possibilità di emancipare i propri pensieri, di contemplare le infinite variabili, di costruire i propri apprendimenti...

Tornando all’intervista del 1997, Munari dice che la creatività è “ricerca sincera di varianti”. Come possiamo tradurre, anche per il mondo della scuola, questa definizione?

Questa frase sulla creatività è molto bella e mi permette di precisare la risposta sul metodo che ho dato prima, perché ogni parola della frase è un elemento di metodo. La parola “ricerca” ci porta all'approccio scientifco, così vicino all’attenzione di Munari, che ha sempre cercato di analizzare ogni aspetto, di non dare nulla per scontato. L’atteggiamento del ricercatore è l’atteggiamento di colui che con curiosità guarda a tutte le espressioni che il mondo gli presenta. E Bruno Munari aveva fatto suo questo atteggiamento, manifestato anche con la grande attenzione che ha sempre riservato al mondo della natura. Per tutta la vita Munari osservò la natura, i suoi processi, i suoi cambiamenti, le sue variabili e io credo che dalla lezione di Munari ci venga anche lo stimolo di tornare alla natura con uno sguardo di stupore per tutto quello che ci può insegnare.

Questa ricerca, dice Munari, deve essere “sincera”. Una ricerca sincera è una ricerca “vera”. Dal nido all’università proponiamo ricerche viziate, non vere ogni volta che si dà il risultato per scontato. Per esempio: se provo a fare un’esperienza di mescolamento dei colori, come il blu e il giallo, so bene che il risultato sarà il verde, ma non posso fermarmi lì. Infatti quante variabili ci possono essere in quell’esperienza, a partire dall’intensità e tipologia dei pigmenti, da quanto blu e quanto giallo metto, dal materiale su cui spalmo, spremo o stendo il colore? In questo senso la dimensione della ricerca deve essere “sincera”. Perché la dimensione della ricerca “sincera” coinvolge, appaga l’individuo e, soprattutto, diventa realmente generativa di nuovi saperi. La ricerca non deve essere millantata, su questo dobbiamo essere molto attenti. Come il laboratorio: deve essere il luogo della ricerca, non può essere il luogo del “facciamo finta che facciamo la ricerca”. Ormai anche intorno alla parola “laboratorio” è andato un po’ a perdersi questo elemento costitutivo della ricerca: dobbiamo rileggere il senso delle parole, ritornare al loro significato come definizione di azioni realmente congruenti. “Ricerca sincera di varianti”, dice Munari. Ecco, qui entriamo nell’orizzonte molto creativo del “quanti ce ne sono” e del “come sono”. Proviamo a immaginare delle domande: un sasso: quanti ce ne sono di sassi?; è rosso: quanti ce ne sono di rossi?; fino a quando questo materiale che è rosso è rosso, e quando invece da rosso diventa scuro scuro, e forse stiamo passando nel marrone? La ricerca delle varianti mi “apparecchia davanti” le possibilità del mondo, ma insieme mi descrive anche i suoi confini, portandomi in quel territorio dello “sfumato” dove posso descrivere un fenomeno con un’esattezza che non è solo mero dato, numero, definizione ma consapevolezza del mondo. Entrare in questo tipo di processo significa prendersi in mano il gusto, la gioia dell’apprendere. E sarà proprio ritornando a questa gioia che potremmo dare ai nostri studenti una grande chance. Si tratta di un movimento da compiere all’insegna del festina lente, dove l’investimento nell’educazione, oggi, è l’azione più importante che possiamo fare.

Bebè al museo

Foto: http://www.toledomuseum.org/learn/babytours/
In un post di alcuni mesi fa, "Lavorare con i bambini di età inferiore ai cinque anni" si era fatto cenno ai musei che hanno introdotto nei loro programmi alcune speciali attività didattiche per bambini molto piccoli, solitamente tra i due e i cinque anni; tuttavia, ci sono musei che non tralasciano di occuparsi anche dei neonati.


Infatti, i musei, in particolare i musei d'arte, sono una ricca fonte di stimolazione visiva per i bambini; portarli in questi ambienti fin dai primi mesi di vita aiuta a sviluppare la loro mente.  

I musei, allora, si organizzano per accogliere i genitori con neonati: il Louvre Lens, per esempio, organizza alcune speciali iniziative dedicate a bambini anche di soli nove mesi, con l'aiuto di un mediatore. Sono state programmate tre visite di mezz'ora (10.30-11.00): la prima si è già svolta domenica 14 settembre e le prossime sono previste le domeniche del 12 ottobre e del 9 novembre. Durante questo tempo i genitori potranno osservare le reazioni dei propri bambini davanti a una grande opera colorata. I bambini, infatti, si sottolinea nel sito del museo francese, già a tre mesi sono in grado di distinguere perfettamente i colori e di apprezzare i contrasti.


Oltre al Louvre Lens, oltreoceano, negli Stati Uniti, il Toledo Museum of Art  svolge visite molto simili e della durata, anche in questo caso, di trenta minuti, da 0 a 18 mesi. Nel sito del museo è possibile osservare una serie di immagini relative a queste attività. 

Forse, se si inizierà a frequentare i musei in così tenera età, si imparerà ad amarli e a considerarli ambienti familiari anche per il resto della vita! 



Il mio museo ideale: colorato, istruttivo ma anche divertente come un videogioco!


Intervista al giovanissimo blogger Marco Mameli


di Caterina Pisu


Il 18 novembre scorso, Jake McGowan-Lowe, il ragazzo scozzese di 11 anni autore del blog Jake's Bones, era stato protagonista di un mio post con la sua personale visione del museo ideale. 

Ma Jake non è l'unico ragazzino autore di un blog culturale. In Italia il suo omologo è Marco Mameli, giovanissimo autore del blog http://marco-mameli.blogspot.it/.

Una notte al Museo, Cagliari, maggio 2014


Marco ha 10 anni, frequenta la quinta elementare a Cagliari, adora i videogiochi, fare calcio e scautismo. Il suo film preferito è Harry Potter; il libro più amato: la storia di Dragon Ball. Adora fare foto e cantare e la sua canzone preferita è Uncle Grandpa canta i classici.

Oltre che con il suo blog, Marco è attivo anche su Instagram

Avendo saputo che Marco è stato molto attivo, ultimamente, soprattutto durante Monumenti Aperti (la manifestazione nata in Sardegna per riscoprire la cultura come valore primario), gli ho chiesto di concedermi un'intervista per sapere come immagina il suo museo ideale. 
Marco ha tratteggiato molto bene un museo in cui non sia difficile imparare e non sia necessario leggere lunghi testi noiosi, ma dove ci si possa divertire e conoscere cose nuove anche con l'aiuto di disegni e spiegazioni audio. 
I ragazzi di oggi sono abituati a giocare con i videogiochi e quindi è quel tipo di interazione e di comprensione intuitiva che si aspettano anche da un luogo come il museo. Hanno bisogno di ambienti che sappiano trasmettere emozioni e infatti Marco vorrebbe vedere musei più colorati e meno freddi, dove non solo vista e udito ma perfino l'olfatto siano tutti coinvolti nell'esperienza di visita. 



Ecco l'intervista di Marco:

Marco, quando hai deciso di aprire il tuo blog e perché?

Quando avevo 5 anni mio padre ha deciso di aprire un blog per me. A 8 anni me ne sono aperto uno mio.

Nel tuo blog ho letto che hai partecipato a varie manifestazioni che riguardano, in particolare, i musei o le aree archeologiche, per esempio, Una Notte al Museo e Monumenti aperti. Che cosa ti è piaciuto di più di queste manifestazioni?

Una Notte al Museo sono andato a guardare i giganti e invece gli altri ho partecipato attivamente: Monumenti aperti con la mia classe come guide all'Anfiteatro Romano di Cagliari. Mi è piaciuto di più fare foto e catturare reti WiFi per condividere le foto con Instagram. E ovviamente un pochino anche giocare!

C’è un museo o un luogo culturale che preferisci tra quelli che hai visitato fino ad oggi? E perché ti è piaciuto?

No, è ingiusto fare preferenze.

Entrando in un museo che emozioni ti piacerebbe provare sempre e che cosa, invece, ti infastidisce o non ti piace?

Mi piacerebbe poter avere dei videogiochi riguardanti i contenuti del museo a disposizione dei visitatori in più lingue. Non mi piace leggere tutti i testi che compaiono nel museo: sarebbe molto meglio avere una sintesi di alcune cose e voci registrate.

Immagina di essere il direttore di un museo: quali sono le prime 3 cose che faresti?

1) farei fare i videogiochi dedicati ai contenuti del museo;
2) farei disegnare le spiegazioni del museo da bravi disegnatori;
3) farei colorare i muri, mettere musiche di sottofondo e profumi nelle sale.

Grazie, Marco!


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   Ringrazio Ilenia Atzori, collega dell'APM, Coordinatrice regionale Sardegna, che ha reso possibile questa intervista mettendomi in contatto con il padre di Marco, il Dott. Andrea Mameli. 

Fotografando Cagliari


Lavorare con i bambini di età inferiore ai cinque anni




In un articolo pubblicato da Rebecca Atkinson su Museum Practice (15/11/2013), si affronta un tema di grande interesse: i musei possono accogliere i bambini di età inferiore ai cinque anni? Il preconcetto, tuttora duro a morire, è che i musei siano luoghi polverosi dove non si può fare nulla, dice Jo Graham, fondatrice di Learning unlimited, un’organizzazione che aiuta i musei e altre istituzioni culturali a creare servizi visitor-friendly, mostre, programmi ed altre risorse anche per bambini piccoli", in modo da ottenere relazioni più a lungo termine con i visitatori e, in particolare, con le famiglie. Il Museum of London lavora con i bambini al di sotto dei 5 anni, dal 2007. Come molti altri musei, il museo londinese si è reso conto che l'offerta di programmi per bambini al di sotto dei 5 anni, e per i loro genitori, è una buona occasione per affezionare un pubblico, quello delle famiglie, che quando entra in un museo cerca attività che si possano svolgere insieme con i bambini. "E così si anima anche il museo", dice Claire Haywood, responsabili dei servizi educativi per i più piccoli. "Ci siamo allontanati dall'idea che i musei non sono luoghi per i bambini piccoli. Dobbiamo raggiungere e coinvolgere tutti”. La speranza è che i bambini che visitano i musei già in età così giovane, diventino affezionati visitatori dei musei per tutta la vita, e che poi, a loro volta, vi conducano i propri figli o addirittura i nipoti. Molti musei pianificano già programmi di visite regolari per famiglie con bambini. Bisogna far capire che il museo è un luogo che chiunque può visitare, dove si può imparare, impegnarsi e divertirsi.  Purtroppo c’è ancora la convinzione che la presenza di bambini piccoli possa disturbare gli altri visitatori. Secondo Jo Graham, invece, i musei devono essere condivisi da tutti come qualsiasi altro spazio pubblico, e se un museo è uno spazio pubblico, bisogna trovare un modo per consentire che questo spazio sia correttamente condiviso.
I musei usano vari tipi di approccio quando si tratta di lavorare con bambini al di sotto i 5 anni. Alcune istituzioni, come la Whitechapel Gallery di Londra, pianificano visite o programmi di attività per i genitori ed i loro figli al di fuori dei normali orari di visita. Altri, come il Museum of London, fanno in modo che i visitatori siano informati del fatto che sono in corso visite e attività con bambini piccoli. Al Museum of East Anglian Life (Meal), il learning officer Jo Rooks riserva un settore del museo alle attività con i bambini, in modo che gli altri utenti lo possano evitare, se vogliono. "Ma non abbiamo mai avuto una sola lamentela" dice. "Le persone sono felici, invece, di vedere i bambini che si divertono".
E’ chiaro che lo staff cui sono affidati questi programmi di intrattenimento, deve essere adeguatamente preparato anche ad affrontare eventuali imprevisti. Non ci si può aspettare che i bambini abbiano lo stesso auto-controllo degli adulti sul loro comportamento. E’ importante, per esempio, che non vi siano spazi in cui i bambini possono uscire dal controllo a vista degli operatori. Quando i bambini sono stanchi e si dimostrano più inclini a svolgere giochi in libertà, meglio lasciarli fare. E’ importante anche assicurarsi che ci sia abbastanza materiale o giochi per tutti, in quanto i bambini non sanno condividere le cose tra di loro". Una volta capito come funzionano le loro menti, è possibile costruire attività specifiche adatte al loro grado di apprendimento. 
L'attuale clima di crisi e il taglio dei bilanci avrà sicuramente un impatto negativo anche su questo tipo di progetti. Questa è la preoccupazione dei responsabili dei musei inglesi. E infatti si è già notato che sta diminuendo il numero di programmi per i bambini piccoli perché visti non come attività principale dei musei. "Ciò è comprensibile ", dice Joe Graham. Come sempre tutto si basa sulla passione e l'impegno dei singoli ma è importante capire che se i musei saranno più amici dei bambini in tutti gli spazi disponibili - dall'ingresso, al caffè, al museum-shop - ci saranno più possibilità che i genitori tornino a visitare il museo anche individualmente e che così si avvii un rapporto duraturo con l’istituzione.
E in Italia? Da un primo esame sembra che le attività didattiche siano prevalentemente proposte per la fascia d’età dai 5/6 anni fino agli 11/12, quindi già in età scolare, ma ci sono anche molti musei che prevedono programmi per bambini più piccoli (da non confondersi con altri tipi di servizi, come gli spazi nursery), come il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, in cui opera l’Associazione Didattica Museale che svolge attività anche per bambini di 2-3 anni; e poi ancora, il Museo Diocesano di Milano (3-5 anni), il Galata-Museo del Mare di Genova (3-5 anni, ma anche 2-3 anni), il Planetario di Torino (3-5 anni), la Pinacoteca di Forlì (3-5 anni) ed altri ancora. 



Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...