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Investire in un grande museo? No, grazie


di Caterina Pisu


Il ministro Ornaghi accetta le dimissioni di Pio Baldi mentre il governo continua la politica dei tagli alla cultura. Per il Ministero l’unica soluzione è il commissariamento.

Il presidente della Fondazione Maxxi, Pio Baldi, ha rassegnato le sue dimissioni, tra le polemiche, insieme ai consiglieri di amministrazione Roberto Grossi e Stefano Zecchi. Alle origini della decisione di Baldi sarebbe il disavanzo del bilancio 2011 e la mancata approvazione del bilancio del 2012 da parte dell’Amministrazione; fatto grave che il 12 aprile scorso ha immediatamente condotto alla decisione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di avviare il processo di commissariamento del museo. Ci sarebbe il rischio, infatti, di un aumento del disavanzo nel 2012 a causa di un «buco» di quasi 11 milioni di euro. Come si è giunti a questo punto? Per alcuni l’errore è da ricercarsi nella scelta iniziale della forma giuridica, la fondazione, mentre sarebbe stato più saggio scegliere una struttura autonoma dal punto di vista tecnico-finanziario, per esempio sul modello dei poli museali già esistenti. Ma di certo ci sono molte altre motivazioni. L’ex Presidente della Fondazione le ha individuate nei pesanti tagli operati dal governo. Se nel 2010 si era riusciti a ripianare i 700.000 euro di passivo causati dai tagli con i ricavi del bilancio, già l’anno successivo sono cominciate ad arrivare le prime complicazioni quando il contributo del MiBAC è sceso da 7 a 4 milioni di euro. Ora è già sicuro che nel 2012 il contributo statale si ridurrà ulteriormente: solo 2 milioni. In una lettera aperta, inviata ai vertici del Ministero, Baldi sottolinea che nel 2011 la capacità di autofinanziamento del Maxxi è stata di circa il 50 % grazie alla buona reputazione acquisita che lo ha portato, nel giro di due anni, a conquistarsi la fiducia dei finanziatori privati, i quali hanno contribuito con importi pari ad oltre il 50% del budget annuale del museo; una percentuale molto alta se si confronta con quella dichiarata dalla maggior parte dei musei italiani ed europei, che arriva appena al 20-30% di autofinanziamento. Eppure il Maxxi riceve anche un contributo statale ben inferiore alla media europea. A questo proposito Baldi cita il Macba di Barcellona, finanziato dall'ente pubblico per 9 milioni l'anno, il Reina Sofia di Madrid, che riceve ben 45 milioni, il Kiasma di Helsinki 15 milioni, il piccolo Pompidou di Metz 8,5 milioni. «Oggi il Maxxi» - rivendica Pio Baldi - «ha fortunatamente ancora i conti a posto, ma certo non per molto se il ministero da lei diretto, socio fondatore e finanziatore, dovesse continuare a sostenerlo solo con i 2 milioni annuali che costituiscono il minimo attualmente previsto». I numeri per una buona gestione del Maxxi, dunque ci sarebbero, ma lo Stato sembra non voler puntare su questo tipo di investimento. Dopo aver preso atto delle dimissioni di Baldi, Grossi e Zecchi, il ministro ha provveduto a nominare commissario straordinario della Fondazione l'architetto Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del Ministero «al fine di garantire al Maxxi il prosieguo della sua regolare attività». Baldi non ha gradito la decisione del commissariamento perché, con l'avvio inaspettato di questa procedura straordinaria «è stata resa pubblica un'inspiegabile cattiva valutazione sul Maxxi, di cui non si vede, nei fatti, alcuna motivazione. Da questa valutazione decisamente dissento, e non da solo. Un museo è un servizio pubblico, come la scuola, l'università, la ricerca. Tutti sono costituiti e vivono per conto dell'articolo 9 della Costituzione e sono, chi più chi meno, sostenuti e finanziati dallo Stato». La decisione ha fatto sorgere non poche perplessità anche in ambito politico e culturale. Dissente Matteo Orfini, responsabile Cultura e informazione del Pd, che ha chiesto al Ministro Ornaghi, in una nota pubblicata da Libero lo scorso 9 maggio, «un gesto di umilta': su questa vicenda ha commesso un'evidente leggerezza, forse per una scarsa conoscenza del tema. Puo' capitare: riconoscerlo e cercare di recuperare sarebbe un auspicabile gesto di buon senso» - inoltre, continua Orfini - «Il Maxxi non ha bisogno ne' di un commissario ne' di un nuovo direttore, semmai di un ministero che si impegni a sostenerne seriamente il lavoro». Sulla questione è intervenuta anche l'ex assessore regionale, ora responsabile nazionale Cultura dell'Italia dei Valori, Giulia Rodano: «Al Maxxi è in corso un caso di spoil system arbitrario e immotivato, che lascia a dir poco sconcertati.  Nella rottura del rapporto di fiducia con Pio Baldi e Roberto Grossi, non ci sono infatti motivazioni chiare ed identificabili: le loro dimissioni sono soltanto un'altra conseguenza dello stato di abbandono e disordine in cui versa la cultura pubblica del nostro Paese, in cui ormai si procede solo per commissariamenti e ricorso ai privati». Per Umberto Croppi, che analizza la vicenda del Maxxi dalle pagine de Il Futurista, l’equivoco risiede nell’idea che un museo sia in grado di camminare con le proprie gambe, mentre «non esiste al mondo un solo museo che si regga sulle proprie economie, nessuno. Intanto alcuni dei più grandi sono ad ingresso gratuito (per esempio quelli inglesi) o quasi. Al citato Prado, metà dei tre milioni di visitatori entrano gratis. In ogni caso i costi per lo Stato variano tra il 70 e il 100%, con bilanci che vanno dai 50 ai 120 milioni. Perfino nel caso, spesso citato a vanvera, degli Stati Uniti, dove esistono una tradizione e un sistema fiscale che favoriscono investimenti privati, il pubblico interviene, eccome se interviene. Il Metropolitan di New York riceve 14 milioni di dollari l'anno dal comune. Persino il Moma, interamente privato, ha in corso lavori di ristrutturazione per i quali ha un contributo pubblico di 60 milioni». Resta aperto, quindi, l’eterno dilemma: lo Stato deve o no finanziare i musei? Deve considerarli imprese o servizi pubblici? Si rende necessaria una riflessione seria sull’argomento, tanto più in un momento storico in cui le scelte che si faranno ora saranno decisive per il futuro del nostro paese. Certamente predisporre un piano di crescita economica che metta la cultura ai primi posti richiederà un atto di coraggio, ma di certo ne varrà la pena. Bisogna, innanzitutto, misurare gli effetti che l’investimento statale nei musei potrà produrre sulla crescita economica globale perché il museo è una risorsa, anzi, come sottolinea Croppi, è la risorsa maggiore di cui si dispone. Solo che lo Stato italiano finora lo ha ignorato e investe in cultura meno della metà della media degli altri paesi europei. Nel caso del Maxxi, per esempio, per incrementare l’apporto privato, abbiamo visto che il governo italiano ha ridotto sensibilmente gli stanziamenti pubblici, mentre per raggiungere quell’effetto, il governo francese ha aumentato le erogazioni al Louvre. Una contraddizione? No, secondo Croppi: «Per avere più soldi privati bisogna investire più soldi pubblici, non il contrario». Qualcuno avvisi il ministro Ornaghi, finché siamo in tempo.
(tratto da ArcheoNews, giugno 2012)

IL MUSEO STA CON I GIOVANI


Strategie per attrarre i giovani nei musei: il progetto Junction del Museo di Londra

di Caterina Pisu (pubblicato su ArcheoNews, maggio 2012) 


«Se vivi con i giovani, dovrai diventare anche tu giovane». Chi non ricorda questa frase del famoso discorso di Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del 2000, pronunciato al campus dell’Università di Tor Vergata? In effetti, ogni ambito della società non può fare a meno dell’apporto delle giovani generazioni, pena il rischio di perdere la capacità di rinnovarsi continuamente, di attingere a nuove idee e, soprattutto, di distaccarsi dal mondo reale. Un’indagine pilota su “I giovani e il Museo”, realizzata nel 1998 dall’Ufficio Studi del Ministero per i Beni e le attività Culturali (condotta su giovani di 19-30 anni di età, residenti in Campania e in Veneto), ha prodotto alcuni dati interessanti anche se, ovviamente, in attesa di ulteriori ricerche, questi non possono essere estesi a tutto il territorio nazionale. Da questa indagine è emerso che, al momento dell’intervista, i giovani che negli ultimi dodici mesi avevano visitato un luogo culturale in Veneto erano il 46% e in Campania, il 42%, mentre i giovani frequentatori sia abituali (cioè da tre a sei volte l’anno o più di sei volte l’anno) che occasionali (da una a tre volte l’anno) superavano di poco il 50% in entrambe le regioni. Certamente le scelte dei giovani sono dettate da vari fattori, culturali, sociali ed economici che condizionano anche la gestione del tempo libero. Quali possono essere, allora, le strategie per attrarre l’interesse dei giovani nei confronti dei musei? Una risposta ci viene da Junction, un progetto per i giovani promosso dal Museo di Londra che non si limita a fare ricerche sui giovani ma dà loro voce affinché siano essi stessi a spiegare quali sono le loro aspettative e le loro esigenze. Secondo i giovani londinesi, gli adulti hanno molti preconcetti su di loro, di conseguenza anche i musei, in quanto specchio della società, possono talvolta essere soggetti a questi stereotipi. In realtà i giovani non vogliono essere “classificati” e l’unico modo per non cadere in questo errore è dialogare. I giovani di Junction, quindi, sono diventati i “consulenti” del museo. Si tratta di ragazzi di età compresa tra i 16 e i 21 anni, cui è affidato il compito di creare progetti, mostre ed eventi per i loro coetanei. I giovani, infatti, amano imparare da soli, a modo loro e con i loro tempi. Il modo migliore per attrarre i giovani verso i musei è quello di far sì che siano altri giovani a portarceli. Per ottenere ciò è necessario che il gruppo che dovrà fare da “traino” sia coinvolto al massimo e che tragga un effettivo beneficio dall’esperienza museale. Nel caso del progetto Junction, il clou sarà la mostra Londinium 2012, un’esposizione la cui inaugurazione è prevista in concomitanza con la prossima apertura dei Giochi olimpici, in cui ai giovani consulenti sarà affidata la rivisitazione di spazi importanti del Museo di Londra, compresa la Galleria di Antichità romane. Secondo gli stessi giovani di Junction, i musei sono spazi in cui si possono cambiare gli stereotipi, ci si può mettere in discussione e si può anche sperimentare. Ecco, allora, come è nata l’idea semplice e, nello stesso tempo, molto intuitiva, che è alla base di Londinium 2012: individuare il significato che ogni oggetto aveva nella società romana cercando di capire se questo, oggi, avrebbe una qualche importanza anche nella vita di un giovane londinese moderno. I musei, infatti, secondo i ragazzi, dovrebbero preoccuparsi non solo del passato ma anche di ciò che sta succedendo ora, cercando di capire quali sono gli argomenti cui i giovani sono realmente interessati. Non ci può essere niente di appassionante da apprendere dal passato se questo non ha nulla a che fare con il nostro presente. Se i musei si sintonizzassero maggiormente sui problemi della società moderna, la gente potrebbe trovare nuove chiavi di lettura per capire il mondo che li circonda. Londinium 2012, per esempio, include alcuni filmati realizzati dai giovani che hanno cercato di capire l'importanza dell’anfiteatro dell’antica Londra e attraverso ciò hanno sviluppato delle riflessioni sulla violenza. Rintracciando le forme di violenza nella cultura romana, i giovani hanno così parlato anche della violenza che essi stessi sperimentano, oggi, nei loro quartieri. Ma i giovani non si sono limitati a mostrare con molta chiarezza il loro modo di concepire il museo, hanno anche fatto conoscere le loro esigenze con altrettanta concretezza: - «c’è un maggiore incentivo a vivere un’esperienza in un museo se non ci sono costi. Le spese per uscire a divertirci sono già abbastanza. Alla fine, se dobbiamo decidere se andare a una mostra o andare a prendere un caffè con un amico, che cosa saremo più propensi a scegliere?». Anche questo è un aspetto importante di cui tenere conto, senza scandalizzarsi se i giovani, posti di fronte a una scelta di questo tipo, probabilmente non preferiranno il museo.

La politica dei prestiti contro l’acquisto illegale delle antichità


Grazie ai nuovi accordi tra Italia e USA, mostre e collaborazioni con musei e università americane
In prestito l’Ermafrodito dormiente al Museum of Fine Arts di Boston fino al 2012


Un anno fa, su queste pagine, ci siamo occupati del processo contro Marion True, la curatrice del Paul Getty Museum di Los Angeles, la cui carriera è stata compromessa dalle pesanti accuse di ricettazione aggravata e associazione a delinquere con diversi noti mercanti d’arte, italiani e stranieri. Il caso True è certamente il più noto, non solo perché ha coinvolto un grande museo ma anche perché le indagini dell’autorità giudiziaria italiana hanno fatto emergere solo la punta di un iceberg, l’affioramento di ciò che, si è capito subito, era un’imponente organizzazione internazionale finalizzata alla ricettazione e al traffico internazionale di opere d’arte e di reperti archeologici. Le proporzioni di tale mercato criminale era tale che, nell’arco di quarant’anni, il nostro patrimonio archeologico ha subito la sottrazione di centinaia di migliaia di oggetti. L’atteggiamento inflessibile dell’Italia nei confronti di tali illeciti, ha indotto i musei americani ad adeguare il più possibile le politiche di acquisizione delle antichità alla Convenzione UNESCO del 1970, concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, ma c’è ancora molto da fare. Ad un anno dalla fine del processo True (che, ricordiamo, purtroppo non ha portato a nessuna condanna a causa della decorrenza dei termini), i direttori e i curatori dei musei americani cominciano a porsi delle domande per cercare di capire come uscire da una situazione di ambiguità che per anni è stata tacitamente accettata da alcuni di loro e che ha arrecato un danno a tutta la categoria. E’ stata messa a rischio, infatti, la questione della stessa sopravvivenza dei musei, perché la pubblicità negativa dovuta alla restituzione dei manufatti illecitamente acquisiti, ha avuto delle conseguenze anche sull’interesse degli investitori a finanziare i musei. I direttori e i curatori americani, inoltre, non vogliono più lavorare in un clima di paura a causa degli errori compiuti in passato; temono per la loro stessa reputazione professionale che potrebbe essere compromessa da eventuali azioni penali messe in atto contro di loro da parte di paesi esteri. In ogni caso, il loro stesso lavoro rischia delle ripercussioni: le collezioni di antichità che hanno al loro interno elementi di dubbia provenienza potrebbero rimanere bloccate per anni e quindi sarebbe più difficile continuare a svolgere le normali attività di curatela. La speranza, pertanto, è che si assicurino al più presto condizioni favorevoli di cooperazione internazionale per tornare alla normalità. Alcuni passi sono stati compiuti: già nel 2001 è stato redatto il Memorandum d’intesa tra il Governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana circa l’imposizione di limitazioni all’importazione ed esportazione di categorie di materiale archeologico databile ai periodi italiani preclassico, classico e della Roma imperiale (MOU). Il MOU è stato poi rinnovato nel 2006 e nel 2011, ed ha incluso anche la prolungabilità di prestiti di lunga durata di beni del patrimonio culturale nazionale a Istituzioni museali degli Stati Uniti, estendendola, in casi particolari, dai quattro agli otto anni. In questa circostanza sono stati stipulati anche molti accordi di collaborazione con i maggiori musei e università americane. Al momento è in corso la grande mostra “Aphrodite and the Gods of Love”, presso il Museum of Fine Arts di Boston, che espone capolavori come L’Ermafrodito dormiente ed altri provenienti dal nostro Paese, che resteranno in prestito negli Stati Uniti fino all’estate del 2012. La mostra è stata organizzata grazie ad un accordo che ha previsto la restituzione di tredici manufatti, esportati illegalmente negli USA. Parallelamente anche il Paul Getty Museum ha firmato, nel febbraio 2010, un importante accordo di collaborazione culturale a lungo termine con la Sicilia. Sia il Getty che il Cleveland Museum of Art hanno in programma una mostra, nel 2013, sull’arte classica ed ellenistica della Sicilia. Le premesse per un miglioramento dei rapporti tra Italia e Stati Uniti sul fronte della lotta al traffico di antichità, sembrano buone, sperando che i curatori americani non si facciano sedurre nuovamente dal desiderio di acquistare ad ogni costo con l’alto rischio di attrarre mercanti d’arte senza scrupoli: il timore viene ascoltando le parole del curatore della sezione di arte greca e romana del Cleveland Museum of Art, Michael Bennett, il quale ha asserito: “loans are wonderful, but ownership is better”, “i prestiti sono meravigliosi, ma la proprietà è ancora meglio”. In ogni caso ormai sarà più difficile continuare a percorrere la via delle acquisizioni a tappeto senza prudenti verifiche, grazie alla stessa opinione pubblica americana che ha disapprovato queste condotte, ampiamente criticate anche da buona parte della stampa; a questo proposito, ricordiamo il successo del libro dossier “Chasing Aphrodite” dei due reporters del Los Angeles Times, Jason Felch e Ralph Frammolino, incentrato sul recupero della famosa Venere di Morgantina, contesa dall’Italia al Paul Getty Museum. Il lavoro dei magistrati italiani è stato molto apprezzato dagli americani: il magistrato Paolo Ferri, cui si devono tutte le indagini giudiziarie contro i trafficanti d’arte degli ultimi vent’anni, è stato premiato la scorsa estate dall’associazione americana ARCA (Association for Research into Crimes against Art). Un riconoscimento che premia il rigore italiano e che fa sperare in un futuro di più ampie e migliori collaborazioni nella lotta al traffico di antichità.

Caterina Pisu (ArcheoNews, Editore Magna Graecia, dicembre 2011)

Crisi economica: un’opportunità di rinnovamento per la cultura italiana?



La crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo ha portato a consistenti tagli di bilancio in tutti i settori dell’economia. Nel mondo, negli ultimi due/tre anni, si è assistito a una considerevole riduzione delle risorse destinate alla cultura, a drammatici tagli dell’organico e al blocco delle assunzioni. In Francia, la Corte dei conti, il cui ruolo è quello di monitorare l'utilizzo dei fondi pubblici, ha affermato che i musei sono troppo costosi e non sufficientemente redditizi, soprattutto in questi tempi di crisi economica. Intanto, lo scorso ottobre - e in precedenza anche a giugno - il Musée d'Orsay è rimasto chiuso diversi giorni a causa di uno sciopero indetto per protestare contro la riduzione dell’organico. In Gran Bretagna, il British Museum ha disposto una diminuzione del 15% delle spese nei prossimi cinque anni. In Grecia, dove la situazione è ancora più tragica e molti musei sono stati costretti a chiudere, gli scioperi si stanno susseguendo a ripetizione. In Portogallo, già dal 2010 sono state ridotte del 9% le risorse statali destinate alla cultura, mentre in Spagna, in alcune regioni si è arrivati a ridurre i fondi di un terzo. Oltre Oceano i tagli sono stati ugualmente notevoli: in Canada le associazioni museali denunciano che il 60% dei musei è in difficoltà finanziarie e negli Stati Uniti, secondo un’indagine statistica dell’American Association of Museums - finalizzata a individuare l’entità delle misure di risparmio economico adottate da un campione di musei americani - è emerso che il 35% di essi ha bloccato le assunzioni, il 34% si è affidato soprattutto ai volontari, il 30% ha rinviato la manutenzione degli edifici, il 29% ha sfruttato maggiormente le proprie collezioni per l’organizzazione di mostre; il 12% ha aumentato il prezzo di ingresso; il 40% ha ridotto ulteriormente il budget del 2011 rispetto a quello del 2010, mentre il 29% è stato in grado di aumentare il proprio bilancio. Per contrastare la crisi si cercano anche nuove fonti di finanziamento per i musei: il Guggenheim Museum di New York ha organizzato un’asta di beneficienza grazie alla disponibilità di alcuni artisti contemporanei. Il sistema delle aste non riguarda solo i musei americani, ma anche musei sparsi in altre zone del mondo che, in alcuni casi, sono arrivati a vendere parte delle loro collezioni, come il Museo d’Israele che venderà alcune opere da Sotheby's, a New York. In Italia la situazione è, in generale, difficile ma non omogenea: a casi di musei che versano in condizioni drammatiche, rischiando anche la chiusura, si affiancano istituti museali molto attivi come, per esempio, il Museo Egizio di Torino che si è recentemente rinnovato ed è sempre più all’avanguardia anche dal punto di vista tecnologico (è il primo museo italiano a utilizzare MuseumPlus, il piu' avanzato e sofisticato software attualmente in commercio per la digitalizzazione dei reperti archeologici). Altrove la situazione non è altrettanto felice: in Abruzzo, i musei archeologici Villa Frigerj di Chieti e della Civitella rischiano la chiusura durante i giorni festivi per carenza di personale di custodia; così pure il MAV, il Museo Archeologico Virtuale, in Campania; in Veneto è stato vietato il superamento del 50% dei festivi del personale di vigilanza del Museo di Portogruaro e dei siti archeologici di Concordia Sagittaria. Tale situazione determinerà la chiusura del sito di Concordia per sei domeniche negli ultimi due mesi dell’anno e l’affidamento a ditte esterne del servizio di vigilanza notturno. «Non possiamo che denunciare ancora una volta” – ha dichiarato Edoardo Radolovich – della UIL Cultura – “come la carenza di personale stia, a poco a poco, facendo chiudere molti siti museali. E tutto ciò avviene soprattutto nei giorni festivi quando in maniera indubitabile vi è la maggiore richiesta da parte dell’utenza». Non si può evitare di ritornare sulla questione degli investimenti nella cultura, che varie volte è stata trattata da queste pagine. Se nell’ambito della Sesta Conferenza Nazionale degli Assessori alla Cultura “Le Città della Cultura”, svoltasi a Roma dal 22 al 23 settembre scorso, il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, ha puntato il dito contro la mancanza di investimenti pubblici e privati nel settore culturale, lo scorso 19 ottobre, a conclusione della riunione del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, il Presidente di Commissione, Andrea Carandini, ha parlato della necessità di aprire ai finanziamenti privati: “ (…) il mondo imprenditoriale ha delle idee molto innovative ed interessanti ed è mia intenzione mettere il mondo delle imprese in rapporto con il Consiglio Superiore dei Beni Culturali per cercare di elaborare strategie di politica culturale”. Si spera che questo sia il segnale di un vero cambiamento positivo. Gli sprechi di risorse finanziarie, causati da cattive amministrazioni e da erogazioni a pioggia, sono stati troppi negli ultimi vent’anni e c’è chi vede in questo frangente di crisi un’occasione per rivoluzionare tutto il sistema che fin qui ha retto le sorti del nostro patrimonio culturale, spingendo verso una migliore gestione. Abbiamo già citato il caso di eccellenza del Museo Egizio di Torino, ma si possono menzionare anche altri casi, come la Fondazione dei Musei Senesi che quest’anno ha vinto il Premio Cultura di Gestione organizzato da Federculture per il progetto intitolato “Dal museo diffuso al museo partecipato. Il piano di distrettualizzazione del Sistema museale senese”, elaborato dal direttore generale della Fondazione, Luigi De Corato. Si tratta di un nuovo modello di gestione che punta alla creazione di distretti culturali territoriali, definiti nel rispetto degli ambiti geografici tipici della Provincia di Siena, con l’obiettivo di utilizzare concreti strumenti di sviluppo strategico per l’economia del territorio, utilizzando come leva proprio i beni culturali. Il progetto, attualmente in corso, prevede la messa a sistema del patrimonio museale senese (43 musei) e dei monumenti, delle dimore storiche ed anche delle manifestazioni popolari presenti in ogni area, al fine di creare le condizioni di sinergia con le altre attività economiche e produttive del territorio, a partire dal comparto turistico e agroalimentare per arrivare a quello dell’artigianato e del manifatturiero di qualità, alle nuove tecnologie e alla comunicazione. Il progetto della Fondazione dei Musei Senesi dà un segnale di fiducia a tutto il mondo culturale italiano, segno che l’innovazione e la ricerca potranno portare il nostro Paese fuori da questa crisi senza precedenti. Si potrebbe ricreare, in qualche modo, il cosiddetto “effetto Guggenheim”, termine usato dagli specialisti di economia della cultura per indicare la rinascita di una città o di un territorio grazie ad un investimento intelligente nelle proprie risorse culturali. Bilbao, infatti, capitale dei Paesi Baschi spagnoli, per uscire da una crisi derivata dalla perdita di importanza delle industrie manifatturiere locali, nel 1997 puntò tutto su un museo, investendo 150 milioni di euro nella realizzazione del Museo Guggenheim. Il museo attira ora milioni di turisti ogni anno e contribuisce all'economia del Paese Basco spagnolo con un gettito di 1,57 milioni di euro, generando 45.000 posti di lavoro diretti e indiretti! E tuttora, in piena, crisi economica e finanziaria globale, il museo non ha patito contraccolpi ma, anzi, ha avuto una crescita di quasi il 6%.
Caterina Pisu (ArcheoNews, novembre 2011)     

Musei “nell’occhio del ciclone”

La sicurezza dei musei in primo piano dopo il terremoto e l’uragano “Irene” che hanno colpito la costa orientale degli Stati Uniti



di Caterina Pisu e Antony Wakefield (British Museum Deputy Head of Security Operations)



Le calamità naturali che recentemente hanno colpito la costa orientale degli Stati Uniti, il terremoto del 23 agosto scorso in Virginia e, soprattutto, l’uragano Irene che alla fine di agosto ha devastato vaste zone del Paese, facendo temere anche per la città di New York, hanno posto in primo piano la questione della salvaguardia del patrimonio culturale mondiale anche da questo tipo di avvenimenti, spesso imprevedibili. La sicurezza dei musei, nello specifico, è uno degli aspetti che si sono maggiormente evidenziati. Il Codice etico dell’ICOM per i musei, al punto 2.21 afferma che “particolare attenzione va dedicata allo sviluppo di politiche di protezione delle collezioni durante i conflitti armati e le altre calamità naturali o provocate dall’uomo”. Lo stesso ICOM nel 2002 ha messo a punto il programma MEP - Museums Emergency Programme - finalizzato alla formazione di professionisti museali in caso di emergenza. Sono stati elaborati, inoltre, alcuni manuali incentrati specificatamente sulla sicurezza nei musei, in particolare il capitolo “Museum Security, including Disaster Preparedness” di Pavel Jirásek in “Running a Museum”  e “Guidelines for Disaster Preparedness in Museums”, che forniscono una serie di linee guida da seguire per progettare un valido piano di emergenza e per formare il personale che lo attuerà. Per poter realizzare efficienti piani di sicurezza è importante che le esperienze siano condivise ed è per questo motivo che abbiamo rivolto alcune domande al Presidente della Museum Association of New York, John Haworth che dirige lo Smithsonian National Museum of the American Indian’s e il George Gustav Heye Center, e alla Direttrice della Museum Association of New York, Anne W. Ackerson.  

Dott. Haworth, questa è la prima volta che New York ha dovuto affrontare due calamità naturali, il terremoto della Virginia e l’uragano Irene, in un così breve lasso di tempo. E’ stato elaborato un piano di sicurezza comune per tutti i musei dello Stato? In particolare, che cosa ha comportato il susseguirsi di questi due eventi nella gestione del vostro museo? 
Il National Museum of the American Indian’s di New York e il George Gustav Heye Center, da me diretti, fanno parte dell’istituzione Smithsoniana, il museo nazionale degli Stati Uniti. All’interno della gestione condotta dall’Istituto Smithsoniano, il museo ha sempre avuto concreti piani di emergenza finalizzati alla salvaguardia dei visitatori e delle collezioni. Il nostro staff è rimasto in contatto con le varie agenzie di New York che si occupavano di dare informazioni sull’arrivo dell’uragano. Il terremoto, invece, per noi non ha avuto un impatto rilevante. Il personale in molti casi non lo ha neppure avvertito ed è venuto a conoscenza del fatto solo dopo. In ogni caso, i responsabili delle collezioni hanno immediatamente esaminato gli oggetti con attenzione per assicurarsi che effettivamente non fossero rimasti danneggiati.  
Qual è stata l’entità dei danni causati dall’uragano?  
Sono lieto di riferire che non c’è stato alcun danno né al museo né alle sue collezioni. Il nostro personale ha lavorato diligentemente sulla base dei piani di sicurezza usuali e degli aggiornamenti che pervenivano riguardo l’avvicinarsi dell’uragano, curandosi anche di spostare un’intera esposizione fuori da un’area potenzialmente a rischio. Abbiamo chiuso il museo Domenica, in previsione dell’arrivo dell’uragano. Parte del personale è rimasto nel museo per garantire la sicurezza delle collezioni. I nostri visitatori sono stati avvisati della chiusura attraverso il sito web e le nostre pagine Facebook e Twitter, ma siamo stati felici di aver potuto riaprire già il giorno dopo.  
Sulla base della recente esperienza, in che modo potranno eventualmente essere rivisti e aggiornati i piani di sicurezza per affrontare questo tipo di evento?  
Il museo ha un accurato piano di emergenza e il personale specializzato per la sua attuazione. In ogni caso non è sempre possibile prevedere una calamità naturale. Sono felice di aver constatato che tutto il nostro staff ha saputo lavorare per realizzare perfettamente il piano di sicurezza a salvaguardia del museo, operando anche in collaborazione con le agenzie locali.  

Dott.ssa Ackerson, in che modo la Museum Association of New York, da lei diretta, ha dato supporto ai musei dello Stato di New York durante l'arrivo dell'uragano Irene? 
In un caso, la nostra Associazione ha messo in contatto una casa-museo con il personale degli Archivi di Stato di New York che ha poi provveduto a fornire assistenza. Nel nostro sito ufficiale, abbiamo postato una serie di risorse che sono state diffuse anche sulle nostre pagine Facebook e Twitter. Tramite posta elettronica abbiamo contattato i musei affinché documentassero eventuali danni, quindi abbiamo postato le loro risposte su Facebook insieme alle fotografie, relazionando, nel contempo, la nostra associazione nazionale sulle comunicazioni ricevute. 
Prima e dopo l'arrivo dell'uragano Irene, il Governo ha sostenuto la vostra azione sia dal punto di vista economico che da quello tecnico? 
In previsione dell'uragano, noi ed altre organizzazioni di New York abbiamo postato sul nostro sito web e sulla nostra pagina Facebook le informazioni fornite dall'Archivio di Stato di New York. Noi abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione con l'Archivio di Stato di New York, che fa parte del Dipartimento dell'Educazione dello Stato di New York. L'Archivio è in grado di mobilitare il suo personale e di fornire informazioni tecniche alle istituzioni culturali che si trovano in situazioni di emergenza (alluvioni, incendi, furti, etc.). Esso è collegato allo State Emergency Management Office (SEMO), che a sua volta è collegato al Federal Emergency Management Agency (FEMA). Non abbiamo ricevuto alcun supporto economico dal Governo per essere stati una fonte di informazioni durante le emergenze. Questo è il nostro lavoro. 
 In riferimento al recente terremoto della Virginia, secondo le vostre informazioni, quanti musei di New York sono stati costruiti con le più avanzate tecniche antisismiche e quanti, invece, sarebbero a rischio nell'eventualità di altri terremoti?  
Non sono in grado di rispondere a questa domanda. Le regioni americane del Medio-Atlantico normalmente non sono zone a rischio sismico, ma non credo che molti musei potrebbero resistere a terremoti di forte entità.

(Tratto da ArcheoNews, ottobre 2011)

Erogazioni liberali ai musei: l’urgenza di una riforma fiscale

 di Caterina Pisu

Mentre nel mondo anglosassone le risorse private costituiscono una voce importante nel budget delle istituzioni culturali, in Italia l’apporto dei privati stenta ancora a crescere, se si esclude il caso del Colosseo che sarà restaurato dall’imprenditore Diego Della Valle con un finanziamento di 25 milioni di Euro. Secondo i dati delle più recenti statistiche, nel 2010 il British Museum, per esempio, ha ricevuto 14,7 milioni di sterline da donatori privati, sponsor, trust e fondazioni; il MoMa di New York nello stesso anno è stato sostenuto da ben 135.000 donatori, e così molti altri musei, soprattutto negli Stati Uniti, dove si favoriscono le donazioni grazie alla detassazione. Altrove si ricorre ad espedienti pubblicitari, come in Francia, in cui la situazione è abbastanza simile a quella italiana, con la differenza che non sono stati effettuati gli stessi drastici tagli alle sovvenzioni dello Stato, come purtroppo invece è avvenuto in Italia; inoltre, in Francia le donazioni sono deducibili fino al 66 %. Nonostante ciò, gli introiti non sono ugualmente sufficienti per cui il Musée d’Orsay, per esempio, ha affittato a Chanel la facciata del museo, su cui è stato apposto un gigantesco flacone di Chanel numero 5. In Italia la maggior parte delle erogazioni liberali delle imprese, pari a circa 31 milioni di euro annui, sono destinati per lo più al settore dello spettacolo, ma l’iter burocratico resta, comunque, eccessivamente intricato. Ai donatori, inoltre, spesso non viene dato il giusto risalto, e non sempre essi possono scegliere direttamente a quali istituzioni culturali indirizzare le proprie erogazioni, tranne nel caso in cui queste siano in possesso di personalità giuridica (per esempio le fondazioni); perciò solitamente le risorse vengono incamerate dal Ministero delle Finanze che poi le trasferisce al Mibac, il quale destina i fondi soltanto agli istituti culturali che non hanno autonomia amministrativa. Il meccanismo complicato, la scarsa visibilità dei donatori, unitamente alla normativa fiscale poco vantaggiosa (con una detrazione pari al 19%) hanno quindi l’effetto di scoraggiare l’investimento dei nostri imprenditori nel settore della cultura (argomento trattato anche in ArcheoNews gennaio 2011, “Mecenati in soccorso alla cultura”). La riforma delle normative che riguardano le erogazioni liberali deve essere attuata urgentemente perché ormai l’impoverimento delle risorse statali non è più sufficiente a mantenere in vita le migliaia di musei italiani e il ricorso ai finanziamenti privati non è più soltanto un’opzione. E’ necessario arrivare alla deduzione individuale al 100%, come nei paesi anglosassoni, ed anche all’autonomia amministrativa dei musei. Per ora, infatti, ci sono solo alcune iniziative, come in Toscana, per esempio, dove è stata avanzata una proposta di legge che dovrà essere approvata dalla Giunta regionale della Toscana prima della fine dell’estate e che prevede sgravi fiscali per privati e imprese che decideranno di investire in cultura. Si potrà detrarre il 20% di ciascuna donazione e, inoltre, sono previsti sconti sull’addizionale Irpef e, nel caso di aziende, sull’imposta per le attività produttive (Irap). Le riforme, tuttavia, dovranno essere ben più radicali e risolutive se si vorrà salvare veramente il patrimonio culturale nazionale.

Tratto da ArcheoNews, anno VIII, n. XCI, agosto 2011

VII Conferenza Nazionale dei Musei.

Il Presidente di ICOM Italia, Alberto Garlandini, nel corso dell’ultima assemblea nazionale, svoltasi a Palermo il 5 e 6 giugno scorsi, tra le varie proposte ha annunciato le date della prossima Conferenza nazionale dei musei d’Italia che si svolgerà a Milano, presso la Fondazione Stelline, il prossimo 21 novembre.  In un momento di particolare malessere per la cultura italiana che lamenta enormi difficoltà a causa della crisi globale che ha coinvolto anche il nostro Paese, tale Conferenza si fa portavoce delle esigenze e delle urgenti necessità del mondo museale. Essa deve essere, citando le parole di Garlandini “il perno di una strategia coalizionale dei professionisti del patrimonio culturale”. La prossima VII Conferenza avrà come tema: Musei d’Italia. L’Italia dei musei. 150 anni di storia e di storie. Si parlerà della storia dei musei dall’Unità ad oggi ma anche del futuro. In particolare, uno dei temi su cui si confronteranno i professionisti museali sarà: Passato, presente, futuro.  2025: quali istituti della cultura e quali professioni del patrimonio culturale negli scenari del futuro?  Obiettivo dell’Icom è far diventare la pubblicazione degli Atti di questa Conferenza, che saranno editi dal Ministero, una vera e propria pietra miliare della storia della museologia italiana. Ciò in previsione della più lontana Conferenza del 2012 alla quale pure si guarda fin da ora perché potrebbe avere, secondo Garlandini, carattere di Stati Generali degli istituti e del patrimonio culturale e nella quale si intende coinvolgere anche i professionisti delle biblioteche, degli archivi e del patrimonio culturale in genere, per una riflessione comune.
(articolo di Caterina Pisu pubblicato su ArcheoNews, luglio 2011)

Nasce il primo Istituto di Museologia egiziano

Sorgerà al centro del Cairo e sarà realizzato grazie alla collaborazione internazionale

All'inizio di giugno, il Ministero di Stato per le Antichità egiziane (MSA) ha annunciato la nascita del primo Istituto di Museologia in Egitto. “We've been talking to USAID for a year and a half about opening a museology school in Cairo,” states Ramadan Hussein, a senior archaeological supervisor at the MSA.I finanziamenti arriveranno da USAID (United States Agency for International Development), l'istituzione governativa statunitense che coordina i programmi internazionali di assistenza umanitaria e che ha deciso di sostenere il progetto poiché l’Egitto, nonostante il gran numero di musei - almeno uno per ogni governatorato - difetta di personale qualificato e di manager esperti nel settore culturale; ciò si riflette spesso in una non ottimale gestione delle risorse e nel bisogno frequente di ricorrere ad esperti stranieri. Despite the large number of museums that the country enjoys, Egypt's museums suffer from a shortage of qualified personnel at the senior management level.In attempt to reinvigorate the museums' lackluster condition, the MSA Institute of Museology plans to provide a two-year intensive training program on museum curating, exhibition design and antiquity collection management, including proper documentation of exhibits, as well as fundraising and on-site business managemePer miglioPer migliorare la situazione dei musei egiziani, l'Istituto di Museologia inizierà la sua attività con un programma biennale di formazione intensiva incentrata sui principali temi della disciplina: dalla curatela del museo alle tecniche dell’allestimento, dalla gestione delle collezioni museali all’organizzazione delle mostre, dalla raccolta di fondi ai principi fondamentali di gestione aziendale. The museums are envisioned to ultimately function as independent cultural institutions rather than publically funded ones. L’Istituto formerà un curriculum che dovrà soddisfare i requisiti di accreditamento che saranno fissati dal Ministero egiziano dell'Istruzione superiore due anni dopo la fondazione della scuola. Saranno istituiti il Master e il dottorato di ricerca in Museologia e in gestione del patrimonio. Ampio spazio sarà dato anche alla didattica museale: si insegnerà a sviluppare progetti e laboratori per i bambini e per adulti affinché i musei riescano a richiamare un pubblico sempre più ampio, soprattutto quelle fasce di potenziali fruitori solitamente non abituati a frequentare i musei. La determinazione con cui il Governo egiziano intende attuare i programmi formativi attraverso il nuovo Istituto di Museologia è dimostrata dalla decisione di rendere obbligatori i corsi per gli stessi funzionari museali attualmente in carica, i quali dovranno  necessariamente aderire alle nuove disposizioni in materia di formazione e di aggiornamento, a meno di rinunciare alla propria posizione dirigenziale. Il Ministero per le Antichità Egiziane in questo particolare momento storico di rinnovamento e di ricostruzione, seguito alla drammatica rivoluzione dello scorso febbraio che causò ingenti danni anche al patrimonio culturale, intende soprattutto consolidare i musei esistenti, prestando molta attenzione alle risorse umane. L’obiettivo è far sì che i musei siano istituzioni culturali indipendenti anche dal punto di vista economico. Non appena arriverà il finanziamento USAID – il Ministro Zahi Hawass* ha parlato di una cifra pari a cinque milioni di dollari - la scuola avvierà immediatamente i suoi corsi presso una struttura del Ministero del Cairo, ma contemporaneamente si lavorerà anche alla ristrutturazione del Casdagli Palace, situato nel centro della capitale, e che diventerà la sede ufficiale dell’Istituto. La scelta è strategica: il Casdagli Palace si trova a pochi metri dal Museo Egizio, situato a Tahrir Square, e a breve distanza da altri musei importanti: il Museo copto, il Museo islamico e il Museo Nazionale della Civiltà egiziana. The central location of this villa will facilitate the students' travels between the school and these museums for on-site training. La posizione centrale di questa sede faciliterà gli spostamenti degli studenti tra la scuola e questi musei dove si svolgerà una parte della formazione. Per garantire l’eccellenza dell’offerta formativa e l’aderenza agli standard internazionali in materia di musei, si cercherà la collaborazione di altre organizzazioni internazionali, Once funding is provided by USAID, the school will commence immediately at one of the ministry's various facilities in CaThe scope of the programs, however, remains speculative as the ministry is still seeking the collaboration of professional organizations, such as the American Research Centre in Egypt, for curricula development. come l'American Research Centre, l’ICOM egiziana e altri enti. Chi gestirà l’Istituto dovrà avere una conoscenza approfondita delle carenze del vecchio sistema e dovrà essere deciso a introdurre cambiamenti radicali al fine di aprire una nuova pagina nella gestione del patrimonio culturale di questo Paese.
(articolo di Caterina Pisu pubblicato su ArcheoNews, luglio 2011)
* l'articolo è uscito prima dell'allontanamento di Zahi Hawass dai suoi incarichi di governo.





L'archeologo che difese il Museo di Baghdad

La recente scomparsa di Donny George Youkhanna, lo storico direttore del Museo Nazionale dell’Iraq

Lo scorso marzo, all’età di soli sessant’anni, è venuto a mancare Donny George Youkhanna, l’archeologo iracheno, assiriologo di fama internazionale, che durante la Guerra del Golfo del 2003 cercò di fermare il saccheggio del Museo Nazionale dell'Iraq riuscendo, negli anni successivi, ad ottenere il recupero di migliaia di reperti rubati in quella drammatica circostanza. Nato ad Habbaniyah, in Iraq, il 23 ottobre 1950, conseguì la laurea, il master e il diploma di dottorato in archeologia all'Università di Baghdad e subito dopo iniziò a lavorare per il Consiglio di Stato per le Antichità e il Patrimonio. Grazie al suo fluente inglese, essendo cresciuto nella vecchia base RAF di Habbaniyah, dove suo padre lavorava come contabile, fu inviato a numerose conferenze internazionali. Cristiano iracheno, divenne membro del partito Baath di Saddam, scelta obbligatoria per chiunque ricoprisse un incarico governativo, anche se lo studioso ammise che ogni qualvolta gli fu possibile, per potersi sottrarre alle riunioni di partito, si allontanava per lunghi periodi da Baghdad, dedicandosi alla direzione di importanti scavi archeologici. Quando le truppe statunitensi intervennero in Iraq, George Youkhanna in quel momento era il direttore del Consiglio di Stato per le Antichità e il Patrimonio. Lottò strenuamente, durante l’infuriare delle battaglie, per convincere le truppe americane a proteggere il Museo di Baghdad. In quella occasione furono rubati almeno 15.000 manufatti. Durante e dopo la Guerra del Golfo, Youkhanna fu incaricato della direzione del Museo, in cui già lavorava dal 1976, sostituendo il precedente direttore, cugino di Saddam Hussein. Denunciò non solo l’opera devastante dei tombaroli, ma anche l’indifferenza delle autorità civili e militari irachene e americane che non si preoccuparono né durante la guerra né successivamente di impedire la cancellazione dell’antico passato iracheno, patrimonio di tutta l’umanità. Nel Museo di Baghdad fu addirittura costretto a murare i reperti più preziosi per evitare che venissero razziati. Nel momento peggiore, quando infuriava la battaglia, cercò in tutti i modi di ottenere l’aiuto delle truppe americane affinché si cercasse di proteggere il museo, ma l’allora Segretario della Difesa americano, Donald Rumsfeld, gli rispose: "Cose che succedono". Intanto, il museo fu preso d’assalto da vere e proprie orde di saccheggiatori mentre Youkhanna, rischiando la vita, tentava di fermarli, incurante del pericolo. Riuscì a prendere in prestito un telefono satellitare da alcuni giornalisti stranieri e a chiamare il suo amico John Curtis del British Museum per chiedere aiuto. Si temeva che le bande potessero anche dare fuoco all’edificio. Purtroppo, nonostante l’intervento del direttore del British Museum, Neil MacGregor, che riuscì ad ottenere l’interessamento di Tony Blair, i carri armati arrivarono a proteggere il museo soltanto tre giorni dopo, quando ormai la depredazione era stata in gran parte compiuta. Dopo la fine della guerra, Youkhanna riuscì gradualmente a riallestire il museo, riparando anche le strutture danneggiate. Ottenne aiuto da vari Paesi, compresa l’Italia (proprio i tecnici italiani realizzarono l’allestimento della nuova sala assira) e fece in modo che venisse istituito un corpo di polizia specializzata nel difendere le aree archeologiche. Ma l’obiettivo prioritario era il recupero di tutto o almeno di una parte dei reperti trafugati. Con l’aiuto internazionale e il contributo anche del nostro Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico, alla fine si riuscì a recuperare circa la metà dei 15.000 beni trafugati, un risultato notevole.  Nel dicembre 2008, l’intervento di Youkhanna fu determinante per evitare la vendita all’asta da Christie’s degli orecchini neo-assiri provenienti dal famoso tesoro di Nimrud, rubati durante la guerra. Purtroppo, nonostante il successo della sua direzione, la collaborazione di Donny George con il nuovo governo post-bellico fu costellata di incomprensioni e difficoltà che resero sempre più difficile il suo lavoro finché si ritrovò isolato e anche oggetto di minacce da parte di oltranzisti islamici, rivolte sia a lui che alla sua famiglia. Per recarsi al lavoro fu costretto ad usare tre macchine diverse e a cambiare continuamente il percorso, tanto più che già altri suoi colleghi avevano perso la vita. La situazione precipitò quando, nel 2005, Muqtada al-Sadr, membro della fazione sciita radicale, fu nominato ministro del Turismo e delle Antichità. Questi, secondo Youkhanna, si preoccupava soltanto di salvaguardare l’arte islamica del Paese e non il patrimonio archeologico più antico, ostacolando così il suo lavoro e rendendolo, in pratica, impossibile. Quando uno dei suoi figli, appena diciassettenne, ricevette una busta contenente un proiettile e un messaggio che accusava il giovane di "maledire l'Islam e di prendere in giro le ragazze musulmane"  - e soprattutto, di avere un padre che collaborava con gli americani - Youkhanna capì che non poteva più continuare a vivere in Iraq. Nel 2006, pertanto, fu costretto a lasciare il suo Paese, recandosi dapprima in Siria e poi, nel 2007, negli Stati Uniti, dove divenne professore di antropologia e di studi asiatici presso la Stony Brook University di New York. Fu un uomo che amò profondamente la sua professione ma che ebbe anche molti altri interessi, primo fra tutti la musica. Suonava la batteria cimentandosi in pezzi dei Deep Purple e dei Pink Floyd. Per capire la sua personalità può essere utile ricordare anche un aneddoto raccontato dal suo amico, l’artista Michael Rakowitz: nel 1987, quando dirigeva gli scavi di Babilonia, Donny George Youkhanna ricevette la visita ufficiale di Saddam Hussein, cui fece da guida sia nello scavo archeologico sia nel museo. Qui erano esposte le traduzioni di un testo babilonese; in una di queste, re Nabucodonosor proclamava che uno degli dei lo aveva inviato a proteggere “la gente dalla testa nera”. Allora Saddam disse a Youkhanna che sarebbe stato opportuno modificare quella iscrizione, cambiando la frase “la gente dalla testa nera” con la formula “tutto il popolo”, ma Youkhanna rispose con un no deciso perché la traduzione doveva rispettare il testo antico. “Questa è scienza”, disse lo studioso a Saddam. Più tardi una delle guardie del corpo di Saddam lo prese da parte e gli disse: “Come puoi dire di no al Presidente?” E Youkhanna insistette risoluto: “E' la scienza”. Alla guardia del corpo non restò altro da fare che ritirarsi. Oggi l’archeologia ha perso un grande studioso ed un grande uomo. "Sono un cristiano assiro" diceva Donny George Youkhanna "e tutti i miei antenati sono vissuti in Mesopotamia, l’attuale Iraq, al tempo degli antichi Assiri, più di cinquemila anni fa. Ho dedicato tutta la mia vita al lavoro e a servire il mio popolo e il mio Paese con onore e fedeltà, perché questo è il mio Paese".
Caterina Pisu, ArcheoNews, giugno 2011



Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...